• Testo RISOLUZIONE CONCLUSIVA

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Atto a cui si riferisce:
C.8/00193 Risoluzione conclusiva 8-00193presentato daCAUSI Marcotesto diGiovedì 14 luglio 2016 in 7-01047 Causi: Ricorso agli strumenti finanziari derivati da parte delle pubbliche...



Atto Camera

Risoluzione conclusiva 8-00193presentato daCAUSI Marcotesto diGiovedì 14 luglio 2016 in

7-01047 Causi: Ricorso agli strumenti finanziari derivati da parte delle pubbliche amministrazioni.

RISOLUZIONE APPROVATA DALLE COMMISSIONI

  Le Commissioni V e VI,
   premesso che:
    la Commissione Finanze ha svolto un'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati: per ciò che concerne l'uso di tali strumenti da parte del Tesoro, l'indagine si è necessariamente ampliata all'insieme delle strategie di gestione del debito pubblico italiano, e a come esse si siano modificate nel corso del tempo, anche in relazione all'evoluzione delle opportunità e dei rischi presenti nei mercati finanziari;
    l'indagine conoscitiva ha consentito di fare chiarezza su alcune questioni connesse all'utilizzo dei derivati: grazie alle risultanze dell'indagine si è ampliata la conoscenza dello strumento e delle condizioni in cui esso può essere adoperato e ciò consentirà di agevolare i decisori pubblici nelle scelte future; inoltre, si è compiuto un avanzamento significativo della discussione pubblica in merito alla gestione del debito, su cui spesso si leggono commenti poco informati, superficiali o talvolta anche strumentali;
    nel corso di tale attività conoscitiva è stato compiuto un monitoraggio ad ampio raggio, sia con riferimento al comparto pubblico, sia con riferimento al comparto privato, su un settore dei mercati finanziari che appare particolarmente articolato e controverso, in ragione della complessità dei meccanismi contrattuali con cui sono costruiti gli strumenti derivati, del potenziale carattere speculativo caratterizzante di alcuni di questi, nonché delle dimensioni della leva finanziaria ad essi sottostante;
    in questo contesto è emerso come il fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati, in particolare da parte dello Stato e degli enti locali, debba essere inquadrato anche all'interno del più ampio tema della complicata gestione della finanza pubblica: in breve occorre «guardare la foresta, non solo l'albero», ovvero il tema rappresentato dagli strumenti finanziari derivati è a maggior ragione preoccupante se si considera il «contesto» del debito pubblico italiano; il debito italiano è infatti il terzo debito pubblico del mondo, con oltre 2 mila miliardi di euro, ed è questa la «madre» di tutte le anomalie: appare dunque con chiarezza come la gestione di una simile massa debitoria abbia portato con sé tutta una serie di altre anomalie, tra cui, appunto, l'uso degli strumenti finanziari derivati, per valori e perdite ritenute «accettabili», ma con quantità molto rilevanti, non paragonabili a quelle utilizzate nella gestione dei debiti sovrani degli altri Paesi europei;
    è questo primo aspetto, nella metafora, la «foresta», il vero e proprio fallimento della politica italiana, che chiama in causa partiti e classe dirigente della Prima Repubblica per aver generato questa incredibile mole di debito pubblico, inseguendo il consenso di breve-medio termine ma scaricando sulle future generazioni (che non potevano votare, né scioperare, né protestare) un fardello immenso; anche la Seconda Repubblica, peraltro, ha le sue responsabilità: esaurita la fase di virtuosa stabilizzazione conseguente all'ingresso nell'euro, nel nuovo millennio si è limitata a gestire lo status quo, senza avere il coraggio e la forza di tentare operazioni per abbattere, o almeno ridurre significativamente, questo debito, nemmeno quando le condizioni politiche e macro-economiche erano più favorevoli, per esempio negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore dell'euro, quando i tassi di interesse sui titoli di Stato toccarono i minimi storici grazie all'implicita garanzia europea;
    mentre l'indagine conoscitiva era in corso, il Ministero dell'economia e delle finanze e la Direzione generale del Tesoro hanno deciso di pubblicare il primo Rapporto sul debito pubblico, edito nel novembre del 2015 con riferimento alla gestione del 2014; tale Rapporto assumerà una cadenza annuale, e contiene un insieme molto ampio di informazioni sulle strategie di gestione del debito pubblico italiano; questo fatto va considerato in modo positivo, come una corretta risposta del Governo alle richieste di trasparenza informativa che da più parti, e non da ultimo dal Parlamento, venivano avanzate;
    per quanto riguarda i derivati, nel corso delle audizioni è emerso che con questo tipo di contratti le parti possono perseguire diverse finalità – di copertura, speculativa, di arbitraggio – alcune delle quali possono risultare indispensabili alla gestione di attività finanziarie o imprenditoriali; ad esempio, perseguendo una finalità di copertura, i derivati consentono a enti e imprese di finanziare perdite inattese oppure di garantire la realizzazione dei propri obiettivi, ivi compresi i piani di investimento programmati; ciò è particolarmente importante nei vasti segmenti produttivi del Paese che, posizionati all'interno delle catene globali del valore, gestiscono ampie operatività sia di import sia di export: analogamente, le operazioni in valuta possono allargare lo spettro degli investitori e, conseguentemente, ridurre il costo del debito all'emissione; per altro verso, si è potuto constatare che i derivati – in particolare nel settore della finanza pubblica – sono stati utilizzati nel tempo anche per avere benefici «cosmetici» sui bilanci, con lo scopo di ottenere finanziamenti impliciti ovvero occulti, acquisendo così risorse finanziarie in alternativa alle fonti tradizionali; analogamente, essi sono stati utilizzati per postergare, ovvero occultare, perdite economiche esistenti su contratti non ancora scaduti o regolati;
    nell'insieme, si ritiene di poter concludere che i derivati manifestano i loro aspetti più critici quando non sono utilizzati con finalità di copertura; in tal caso si possono registrare nel tempo perdite di valore non bilanciate da contestuali guadagni;
    le audizioni hanno messo in evidenza come, a seguito della crisi finanziaria iniziata nel 2008, le autorità nazionali e sovranazionali hanno provveduto a modificare il quadro normativo al fine di tutelare la stabilità finanziaria e l'integrità dei mercati finanziari e assicurare un appropriato grado di protezione dell'investitore; in tale ambito sono stati rafforzati i presidi patrimoniali e di liquidità delle banche e degli altri operatori finanziari a fronte dei contratti derivati, favorendo la standardizzazione dei contratti e lo scambio su mercati regolamentati e introducendo regole volte ad assicurare un'adeguata informativa sulle negoziazioni OTC, per rafforzare la capacità di gestione dei rischi di questi strumenti e proteggere gli investitori più deboli; è stata migliorata la trasparenza contabile, soprattutto per le imprese soggette ai princìpi contabili internazionali, ma anche per quelle soggette ai princìpi contabili domestici, nonostante queste ultime operino in un quadro di procedure e oneri meno stringenti, variabili di Paese in Paese;
    in linea con le finalità dei predetti interventi, nel corso dell'indagine si è evidenziato un ampio consenso su alcuni ulteriori possibili aggiustamenti – di carattere normativo e a livello organizzativo – volti a bilanciare le criticità tipiche di tale strumento finanziario, vale a dire la complessità e la conseguente – possibile – opacità; alcuni auditi hanno infatti rilevato come, a seguito dei predetti interventi regolatori, l'opacità di detti strumenti si sia ridotta, ma permanga comunque alta, in mancanza di adeguati incentivi politici alla trasparenza;
    in tale prospettiva si ritiene in primo luogo essenziale introdurre una maggiore trasparenza nella gestione dei derivati: al riguardo, è opportuno che il gap di trasparenza sia colmato in relazione a ciascuno dei diversi passaggi relativi alla gestione di tali contratti, dunque sia al momento della loro sottoscrizione, sia in rapporto all'andamento dei contratti in essere;
    in particolare, per quanto riguarda il settore pubblico, alla luce dell'attuale contesto economico-finanziario e stante l'annunciata strategia del Governo, che sembra andare nella direzione di ridurre l'uso di questo strumento, occorrerebbe monitorare con maggiore attenzione e rendere comprensibile al Parlamento – e, di conseguenza, all'opinione pubblica – le modalità con cui detta strategia intende essere attuata, soprattutto in considerazione del fatto che tale questione in Italia assume una rilevanza ancora più significativa che in altri Paesi, visto l'alto livello del debito sia in termini assoluti che in rapporto al Prodotto interno lordo; il Rapporto sul debito pubblico è una prima efficace risposta a tale esigenza, comunque migliorabile;
    occorre quindi inquadrare l'utilizzo dei derivati da parte del Tesoro nel più ampio ambito della gestione del debito pubblico, tenendo conto della complementarietà con l'attività di emissione e perseguendo l'obiettivo strategico di un bilanciamento ottimale tra riduzione del costo del finanziamento nel medio e lungo termine e contenimento dei rischi di mercato, con particolare riferimento al rischio di rifinanziamento, al rischio di tasso e al rischio di cambio: per gli ultimi due rischi – di tasso e di cambio – l'uso di contratti derivati rappresenta uno strumento complementare alla politica di emissione;
    complessivamente, si condivide la strategia – basata su principi di derivazione internazionale – che ha ispirato le politiche di gestione del debito pubblico adottate dal Ministero dell'economia e delle finanze nel corso del tempo e che considera obiettivo primario di tale gestione, universalmente condiviso dalla comunità finanziaria, assicurare che l'obbligazione di pagamento che uno Stato ha contratto indebitandosi sia onorata al più basso costo compatibile con il contenimento del rischio in un orizzonte di lungo termine, che è proprio quello del debito pubblico; come unanimemente riconosciuto nel corso delle audizioni, si deve infatti evidenziare come un debito pubblico non possa essere gestito in un'ottica di minimizzazione dei costi di breve periodo, né tantomeno in un'ottica speculativa;
    ciò nonostante, dal confronto tra l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione europea nell'uso degli strumenti finanziari derivati, emerge un'anomalia che non può che destare forti preoccupazioni, in quanto nessun Paese è esposto ai derivati come lo è l'Italia; i dati acquisiti dalla Commissione Finanze nel corso della predetta indagine conoscitiva sono in questo senso eloquenti: l'Italia è il primo Paese in Europa per perdite potenziali da derivati, con un valore di mercato negativo per circa 42 miliardi di euro; anche in rapporto al prodotto interno lordo il valore di mercato dei derivati italiani è tra i peggiori (peggio di noi solo la Grecia); è vero che rispetto al debito pubblico le distanze si riducono, che le dimensioni del debito italiano spiegano almeno in parte il massiccio ricorso ai derivati, e che bisogna tener conto dei benefici ricevuti dall'assicurazione sui movimenti sfavorevoli dei tassi di interesse, ma tutto ciò non rende meno preoccupante la situazione;
    desta altresì forte preoccupazione la presenza in alcuni contratti derivati attualmente in essere, o chiusi nel recente passato, di clausole particolarmente onerose e di possibilità di recesso anticipato per le controparti;
    occorre peraltro rilevare che il valore del debito sovrano è quello nominale, e che il riferimento al valore mark-to-market può essere fuorviante: i contratti di copertura contro il rischio di rialzo dei tassi perdono valore, ovviamente, quando i tassi si abbassano, ma sarebbe paradossale sperare in un aumento dei tassi per ridurre le perdite nozionali mark-to-market della sola componente derivati, dimenticando che su tutto il resto del debito si andrebbe invece incontro a costi aggiuntivi;
    occorre altresì considerare come la gestione del debito italiano sia stata caratterizzata da due aspetti: una durata del debito lunga e una copertura dal rischio di interesse più estesa rispetto ad altri Paesi: ciò è stato determinato principalmente dalla dimensione – molto ampia – del debito; si è trattato quindi, in entrambi i casi, di una scelta di gestione prudente, anche se più costosa; tale scelta può essere ricondotta anche al fatto che in passato il nostro Paese è andato ripetutamente incontro a crisi di fiducia sul suo debito; è opinione condivisa che, grazie alle politiche di gestione citate, si è sempre riusciti a collocare il debito pubblico italiano e l'Italia non ha mai perso l'accesso al mercato;
    alcune problematiche sui derivati pregressi sono quindi il frutto di tale strategia, basata sull'obiettivo di coprirsi da uno scenario di interessi crescenti; la crisi del 2008, invece, tra le sue conseguenze, ha provocato il rovesciamento di tale scenario, determinando una forte contrazione dei tassi, per cui oggi si sta sopportando il costo di questa copertura assicurativa senza che si sia concretizzato lo scenario da cui ci si voleva proteggere, ma anzi con un'evoluzione dei tassi di mercato di segno opposto e mai sperimentata prima in quanto a durata e intensità; oggi i tassi di interesse sono anormalmente bassi e non è possibile estendere questo livello di tassi alle emissioni di debito pubblico oltre un certo limite, in quanto la capacità di assorbimento del mercato è limitata;
    inoltre, gli investitori istituzionali (fondi d'investimento, assicurazioni, fondi pensioni e altro) sono oggi spinti ad allungare l'orizzonte temporale dei loro investimenti per trovare rendimenti sufficienti a soddisfare gli impegni assunti con la propria clientela, per cui si è determinato un contesto più favorevole a mitigare il rischio di tasso direttamente sul fronte delle emissioni, offrendo una maggior quantità di titoli a lungo termine; ed è ciò che è stato fatto durante il 2015, con il lancio e la riproposizione di Btp a 15 e 30 anni e con l'allungamento delle durate tipiche di altri strumenti;
    queste condizioni rendono dunque meno conveniente, nella fase attuale e in quella prospettica, ricorrere al mercato dei derivati; si prende pertanto atto di quanto comunicato dal Tesoro, e cioè che nel futuro l'attività in derivati si limiterà alla copertura assicurativa per i nuovi titoli in valuta e, per quanto riguarda i derivati di tasso, a una gestione del portafoglio esistente, necessariamente delimitata per le ragioni dette; peraltro, tale politica è in continuità con quanto ha caratterizzato l'attività recente, poiché già da alcuni anni si opera in questo senso;
    altrettanto condivisibile è apparsa la scelta – effettuata con il regolamento del 24 febbraio del 1994 a seguito della grave crisi monetaria e finanziaria del 1992 e delle pesanti ripercussioni sul bilancio dello Stato – di introdurre la figura dello specialista in titoli di Stato, intermediario di elevata affidabilità selezionato tra i migliori operatori principali, cosiddetti primary dealers del mercato telematico dei titoli di Stato, che, oltre a impegnarsi continuativamente a quotare i titoli di Stato su una piattaforma regolamentata di negoziazione, si assume anche obblighi di sottoscrizione dei titoli in asta;
    si condividono anche le motivazioni addotte nel corso dell'indagine a sostegno del mantenimento di una parziale riservatezza sulla gestione dei contratti derivati da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, volta a scongiurare – tra l'altro – una perdita di potere contrattuale e una maggiorazione del prezzo dei contratti: tali considerazioni sono del resto armoniche con le linee-guida del Fondo monetario e della Banca mondiale, che raccomandano la comunicazione delle ragioni di fondo dell'utilizzo dei derivati assieme a statistiche aggregate oppure indicatori sintetici;
    ciò nonostante, si reputa necessario operare una parziale disclosure su questa tipologia di operazioni finanziarie, che consenta di rendere disponibili maggiori informazioni rispetto a quelle attualmente rese note, attraverso un flusso informativo organico e regolare, che dia conto delle interazioni tra le diverse funzioni e attività gestionali;
    discende dal predetto profilo anche un ulteriore motivo di riflessione, riguardante la capacità di governance di tali strumenti, che concretamente si manifesta nell'introduzione di financial risk policies, ovvero procedure formalizzate volte a rendere manifesti le motivazioni, le modalità e i tempi di utilizzo dei prodotti derivati nello specifico contesto;
    si rileva quindi l'esigenza che gli operatori pubblici si dotino di regole predeterminate nella gestione dei derivati, corrispondenti alle reali necessità degli enti che li sottoscrivono;
    in particolare, con riferimento alla fase della sottoscrizione dei derivati, si ritiene necessario che la politica dei rischi (risk policy) adottata dal Governo sia delineata – e resa pubblica – in via preventiva; particolare importanza riveste quindi la cornice normativa ed organizzativa entro la quale gli uffici incaricati della gestione del debito sono chiamati a operare (risk framework); in tal senso, occorrerebbe definire criteri oggettivi, connessi anche alle esigenze degli equilibri di finanza pubblica, volti a tutelare l’accountability nei riguardi del Parlamento e dell'opinione pubblica;
    in merito, è stata accolta con favore l'indicazione, nelle linee guida della gestione del debito pubblico 2016, pubblicate sul sito web del Tesoro, dei principi per l'operatività in derivati da parte dello Stato; in particolare, nelle predette linee guida si chiarisce che le nuove transazioni in derivati saranno disposte solo con riferimento alle operazioni di copertura del tasso di cambio, fatte salva la possibilità di intervenire, in misura marginale, con una gestione attiva del portafoglio in essere per migliorarne la performance;
    tuttavia, accanto ai criteri di individuazione del livello ottimale di coperture dal rischio di variazione dei tassi o dei cambi, a fronte di posizioni debitorie a tasso variabile o espresse in valuta estera, le linee guida dovrebbero anche definire se, e a quali condizioni, sia corretto l'utilizzo dei derivati per finalità di modulazione della duration del debito, nonché se, e in quali circostanze, sia ammissibile la vendita di swaption;
    con specifico riguardo all'utilizzo di derivati per finalità di carattere assicurativo, cioè di copertura dal rischio di rialzo dei tassi di interesse, nel corso dell'indagine è stato inoltre verificato che la componente del debito pubblico finanziata con titoli a tasso variabile è oggi molto bassa rispetto al passato (14 per cento contro circa il 50 per cento nel 1995): conseguentemente, i benefici della copertura assicurativa andrebbero valutati a fronte dei costi potenziali associati al ricorso ai derivati;
    inoltre, stante l'immutato quadro normativo e, in particolare, il permanere dei criteri definiti dal «decreto cornice» – che consentono di operare in derivati nel più ampio ambito delle operazioni di ristrutturazione del debito – risulta opportuno provvedere ad un migliore coordinamento di detti criteri con le linee guida;
    in tale contesto, la pubblicazione del Rapporto sul debito pubblico 2014 ha costituito un primo importante passo avanti, fornendo una serie di informazioni sui derivati del Tesoro, con particolare riferimento alle operazioni effettuate nel predetto anno, all'indicazione delle finalità perseguite mediante l'utilizzo dei derivati e all'illustrazione della misura in cui esse sono state raggiunte;
    al riguardo, è da accogliere con favore l'impegno – assunto dal Governo in sede di audizione – ad innovare la reportistica e a rendere disponibile un set di informazioni più ampio e dettagliato, non solo a consuntivo, ma anche in fase di assunzione della decisione, cioè in occasione della discussione del documento di finanza pubblica (DEF); tale impegno può senz'altro essere considerato un risultato positivo di questa discussione pubblica, e specificamente degli spunti e delle sollecitazioni emerse grazie all'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Finanze, anche in considerazione del fatto che una maggiore trasparenza consente al Tesoro italiano di accedere più facilmente ai mercati e di aumentare la credibilità come emittente;
    occorrerebbe dunque introdurre modalità di informazione e di reporting con scadenze predeterminate, possibilmente coincidenti con le principali tappe della programmazione annuale di bilancio: a tale proposito si esprime apprezzamento per l'impegno assunto dal Ministero dell'economia e delle finanze nel corso dell'indagine, volto a rendere periodica la pubblicazione delle informazioni sui derivati; ciò avrebbe, tra l'altro, il fine di consentire la verifica che la politica dei rischi perseguita dal Tesoro sia rispondente alle linee guida in precedenza prefissate; un reporting in tal senso consentirebbe inoltre al Parlamento un monitoraggio sull'andamento della gestione del debito pubblico, che potrebbe costituire – tra l'altro – un valido supporto tecnico ai fini della valutazione delle principali misure legislative economico-finanziarie che il Parlamento stesso è chiamato ad adottare;
    va richiamata in questo contesto la nuova regola di contabilità pubblica, che renderà esplicita nel bilancio dello Stato la distinzione fra oneri per interessi e oneri dei contratti derivati;
    la reportistica necessaria dovrebbe consentire di valutare l'evoluzione del profilo di rischio dei derivati, riguardo sia ai flussi di pagamento attesi, sia alle poste di diretta imputazione sul debito; più in particolare, potrebbero essere forniti i seguenti elementi:
     – una sintesi delle principali informazioni sui contratti in essere, suddivise per tipologia di derivato e anno di scadenza (valori nozionali e di mercato), controparti e relativo merito di credito, presenza di clausole di chiusura anticipata e costo che avrebbero qualora tali clausole venissero esercitate;
     – per ciascuna tipologia di contratto, l'entità dei pagamenti netti impliciti a esso sottostanti e le associate probabilità, per ciascuno dei semestri successivi alla data di valutazione e fino alla data corrispondente alla scadenza del contratto con maggiore vita residua;
     – con riferimento a ciascuna swaption, la data di esercizio dell'opzione e il relativo valore di mercato;
    si condivide inoltre la necessità di fornire informazioni sugli effetti complessivi dei derivati, sia a consuntivo sia per l'intero arco previsionale; anche tale informazione potrebbe essere eventualmente fornita nell'ambito dei documenti di programmazione economico-finanziaria;
    occorrerebbe altresì conoscere l'effetto atteso dal flusso di cassa generato dai derivati, con l'indicazione della componente derivante da clausole di estinzione anticipata di cui si preveda l'esercizio; sarebbe poi opportuno conoscere l'effetto sul debito atteso dal previsto esercizio di altre clausole contrattuali (swaption) o da operazioni di rinegoziazione;
    tali elementi di trasparenza costituirebbero una base per il monitoraggio parlamentare dell'uso dei derivati e, di conseguenza, anche per una disclosure in favore dell'opinione pubblica;
    in aggiunta a tali proposte e tenuto conto – secondo quanto riferito nel corso delle audizioni – che il Tesoro già dispone di risorse eccellenti e riconosciute delle banche controparti, si ritiene utile rafforzare ulteriormente i requisiti di selezione degli operatori deputati all'acquisto e al successivo utilizzo dei derivati; tali soggetti, infatti, devono essere in grado di individuare la tipologia di derivati più confacente alle esigenze dell'ente acquirente, valutare i rischi connessi all'utilizzo di questo strumento, nonché definire un prezzo congruo dell'operazione finanziaria che si intende realizzare; nel corso dell'indagine è emerso con chiarezza che tutto ciò richiede adeguate infrastrutture tecnologiche e la disponibilità di personale esperto;
    si rileva quindi l'esigenza di assicurare una formazione adeguata delle strutture pubbliche aventi il compito di negoziare in derivati e si suggerisce un rafforzamento delle tecnostrutture deputate a questa linea di attività nell'ambito della gestione del debito pubblico, per di più in un contesto normativo regolamentare e finanziario sempre più complesso: in tale ambito, si ritiene inoltre utile sviluppare sistemi di controllo interno ed esterno (Corte dei Conti);
    sul punto, si segnala inoltre l'opportunità di prevedere adeguate disposizioni in materia di incompatibilità nell'esercizio delle funzioni amministrative connesse alla negoziazione in strumenti derivati, anche al fine di prevenire eventuali conflitti di interesse: in tal senso, alcuni auditi hanno suggerito di introdurre il divieto temporaneo, per i dirigenti coinvolti nelle predette negoziazioni, di assumere incarichi presso le controparti private al termine del proprio servizio nelle amministrazioni pubbliche;
    per motivazioni del tutto analoghe, è essenziale che anche gli operatori e gli intermediari finanziari privati adoperino la massima correttezza e trasparenza nei confronti della clientela; l'inadeguatezza di conoscenze e strumenti per la gestione delle relative esposizioni può infatti rendere inconsapevole l'assunzione di rischi, anche di notevole entità, mentre la prospettiva del raggiungimento di profitti di breve periodo può essere ingannevole e non consentire una corretta valutazione di eventuali impatti negativi che potrebbero materializzarsi in una prospettiva di lungo periodo; inoltre, gli intermediari che vendono prodotti opachi in modo non appropriato, mettono in pericolo la propria reputazione e corrono rischi legali;
    non si può ignorare che permane un quadro di estrema incertezza riguardo all'andamento sia della nostra economia, sia dei tassi di interesse sui nostri titoli di Stato: in tale contesto, ci si deve chiedere se basteranno le decisioni assunte dalla Banca centrale europea a mantenere bassi i tassi, anche di fronte a dati di crescita deludenti, oppure se essi torneranno ad alzarsi, e in tale caso di quanto;
    non ci si può permettere di sottovalutare l'eventualità che l'eurozona precipiti in una nuova crisi finanziaria: al riguardo l'andamento dei credit default swap (CDS) sul debito italiano – in un momento, come oggi, di relativa calma – dimostra che l'Italia continua ad essere considerata come potenziale «anello debole» in caso di crisi; accorre dunque chiedersi cosa accadrà alla scadenza del Quantitative Easing (QE), quando i mercati dovranno tornare a giudicare la sostenibilità del nostro debito pubblico in relazione alla salute e alle potenzialità della nostra economia, al netto delle condizioni favorevoli del QE;
    di fronte a questo quadro però, non sarebbe né utile, né responsabile, abbandonarsi a un approccio scandalistico: al contrario, seguendo l'appropriato approccio già adottato dalla Commissione Finanze in occasione della richiamata indagine conoscitiva, occorre innanzitutto realizzare una seria analisi e una fotografia accurata e nitida della situazione e, in secondo luogo, individuare possibili piste di lavoro per uscire dall'emergenza;
    è innanzitutto inaccettabile l'idea che il Parlamento sia stato per tanti anni tenuto all'oscuro della gestione di strumenti finanziari così delicati come i derivati, in quanto la loro complessità e le comprensibili ragioni di cautela non possono far sì che il Parlamento sia l'ultimo a sapere quando in gioco ci sono la tenuta dei conti pubblici, il denaro dei contribuenti e il livello di benessere e servizi pubblici che lasceremo in eredità alle future generazioni; sono da salutare come un positivo passo avanti le nuove regole di contabilità e il nuovo, annuale, Rapporto sul debito pubblico;
    se, da un lato, non possiamo dimenticare le competenze maturate in materia dal Ministero dell'economia e delle finanze, nella gestione sia del debito pubblico in generale sia in particolare di strumenti così complessi come i derivati, dall'altro non ci si può nemmeno cullare nell'illusione che tutto vada sempre per il meglio e che non possano, al contrario, verificarsi degli shock finanziari; ad esempio, è impari il confronto tra i «desk» delle maggiori banche (capaci di condurre analisi mark to market minuto per minuto) e un ufficio pubblico, per quanto preparato ed esperto; inoltre appaiono molto meno trasparenti le modalità, e ancor più elevate le criticità, nella gestione degli strumenti finanziari derivati da parte delle autonomie locali, che non per caso la più recente legislazione ha vietato,

impegnano il Governo:

   a presentare in Parlamento proposte normative finalizzate ad un reale e sostenibile abbattimento del debito pubblico;
   a garantire piena accountability, nei confronti del Parlamento e dell'opinione pubblica, circa le modalità di gestione del debito sovrano italiano, in particolare per ciò che riguarda le operazioni in derivati, assicurando la massima trasparenza e la più ampia conoscibilità, almeno in merito alle operazioni già concluse, nonché un quadro informativo completo, fatto di rapporti periodici, con l'obiettivo di offrire una valutazione d'insieme del profilo di rischio di tali operazioni, tenuto conto, al riguardo, che il Rapporto annuale sulla gestione del debito è un importante passo avanti in questa direzione, che risulta opportuno consolidare;
   ad avanzare in Parlamento una proposta di linee-guida dettagliate per la gestione dei derivati, che inoltre operi una netta distinzione tra operazioni finanziarie consentite (quelle di carattere essenzialmente «assicurativo» e di tutela) e tipologie di strumenti che non dovranno essere più essere sottoscritte dai soggetti pubblici (quelle a carattere «speculativo» o eccessivamente rischiose), anche al fine di rendere più efficace la risk policy sui derivati adottata dal Governo, attraverso la definizione di criteri oggettivi connessi alle esigenze degli equilibri di finanza pubblica, fermi restando i vincoli di legge già vigenti;
   ad avanzare in Parlamento una proposta di normativa-quadro relativa alla definizione di adeguate e fattibili procedure di valutazione e controllo su tali operazioni finanziarie, sia interno alle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze, sia esterno, da parte della Corte dei Conti;
   a presentare in Parlamento una proposta normativa per prevedere che le figure impegnate presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella gestione degli strumenti finanziari derivati, e nella complessiva gestione del debito pubblico nazionale, non possano, per un adeguato numero di anni successivo al cessare di questo loro impegno pubblico, trasferirsi presso le banche o le altre istituzioni private che siano state fino a quel momento loro controparti.
(8-00193) «Causi, Pelillo, Marchi».