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Atto a cui si riferisce:
C.1/00298 premesso che: nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra particolari difficoltà, ed il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale...



Atto Camera

Mozione 1-00298presentato daMARCON Giuliotesto diLunedì 13 gennaio 2014, seduta n. 150

La Camera,
premesso che:
nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra particolari difficoltà, ed il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sviluppano movimenti xenofobi e antieuropei;
l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità;
è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media dell'eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
per questi motivi è stato un errore, nella scorsa legislatura, inserire in Costituzione con le modifiche all'articolo 81, il pareggio di bilancio come previsto dal cosiddetto «Fiscal compact»;
non si risolverà certo la crisi con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (vedi Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo, e l'austerità porterà quindi ad un calo del PIL maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/Pil;
diversi documenti dell'Unione europea testimoniano una transizione dei poteri dagli stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde di fatto solo ai poteri finanziari ed a ristretti gruppi sociali che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa;
tra il 1976 e il 2006 la quota dei salari (incluso il reddito, dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati Ocse), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
di tale processo si possono individuare sette tappe:
1) innanzitutto, l'articolo 123 del Trattato dell'Unione europea consolidato (1992-2007), il quale inibisce alla Banca centrale europea la funzione principale di ogni banca centrale ossia quella di creare il denaro necessario per coprire i disavanzi del bilancio statale, ripagare i debiti pubblici giunti a scadenza, finanziare la spesa sociale, promuovere l'occupazione. Se gli Stati europei della zona euro hanno bisogno di denaro debbono rivolgersi alle banche private pagando tassi d'interesse del 3-6 per cento mentre le banche pagano alla BCE un tasso dell'un per cento. Allo stesso tasso il servizio del debito dello Stato italiano potrebbe ridursi di circa 20 miliardi;
2) il Patto «Euro Plus» (25 marzo 2011), che impegna gli Stati aderenti (Eurozona e alcuni altri Stati) a realizzare i seguenti obiettivi: stimolare la competitività, stimolare l'occupazione; concorrere ulteriormente alla sostenibilità delle finanze pubbliche; rafforzare la stabilità finanziaria. L'articolato dei 4 obiettivi anticipava i contenuti delle Controriforme che sarebbero poi state introdotte dai Governi Berlusconi e Monti, in particolare per quanto concerne la previdenza e il mercato del lavoro. Il Patto suggeriva inoltre di eliminare i contratti nazionali di lavoro e di valutare anche la sostenibilità del sistema di assistenza sanitaria;
3) la lettera del Commissario all'economia, Olli Rehn, inviata al Ministro Tremonti il 4 novembre 2011, nella quale con un «questionario» in 39 punti si compendiavano le richieste particolareggiate della Commissione europea al Governo italiano. Le corrispondenze tra il dettato della CE e le riforme del Governo Monti sono impressionanti (allungamento età pensionabile; abolizione pensioni d'anzianità; spostamento dell'onere fiscale sui consumi e sulla proprietà immobiliare; riforma del mercato del lavoro, riduzione dei pubblici dipendenti);
4) il «Six-Pack» (5 regolamenti ed una direttiva), entrato in vigore il 13 dicembre 2011, contiene misure per rafforzare la sorveglianza economica e fiscale di tutti gli Stati membri: una versione rivista e corretta del Patto per la stabilità e la crescita della fine degli anni novanta. Prevede sanzioni praticamente automatiche (procedura di voto «rovesciata»: le sanzioni non vengono applicate solo se una maggioranza qualificata degli Stati membri vota contro) per i Paesi che non rispettano i limiti riguardanti il deficit di bilancio ed i piani da porre in opera, per ridurre, nell'arco di un ventennio, a non più del 60 per cento del PIL l'ammontare del debito. Più una serie di indicatori attestanti che i piani di rientro siano effettivamente in via di progressiva attuazione;
5) il 2 febbraio 2012 è stato firmato il Meccanismo europeo di stabilità (MES): una sorta di banca (capitale pari a 700 miliardi a regime, 500 per iniziare), atta a fornire – ponendo a ciò condizioni durissime – assistenza finanziaria agli Stati membri che presentino difficoltà di bilancio. L'Italia dovrà contribuire con 125,4 miliardi, da versare in 5 rate annuali. Il MES ha facoltà di chiedere prestiti alle banche private, per poi prestare denaro agli Stati che fanno domanda a un tasso che sarà inevitabilmente superiore a quello praticato dalle banche;
6) il 9 febbraio 2012 la Troìka (CE, BCE, e FMI) inviano al Governo greco un Memorandum d'intesa sulle politiche economiche da adottare quali condizioni per ricevere assistenza finanziaria. Un documento molto dettagliato che espropria il popolo greco della propria potestà politica ed economica, con misure eccezionalmente pesanti per i lavoratori ed i cittadini, e che limita «massicciamente» (l'espressione è di Jean-Claude Juncker, Presidente dell'Eurogruppo) la sovranità di quel Paese;
7) il 2 marzo 2012, viene invece firmato il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la «governance» nell'Unione economica e monetaria, il cosiddetto «Fiscal Compact», che entra in vigore il 1o gennaio 2013. Si stabilisce che il bilancio pubblico consolidato deve essere in pareggio o mostrare un sopravanzo. Le regole debbono essere recepite «in modo vincolante e durevole» nella legislazione dei contraenti, «preferibilmente a livello costituzionale». Si prescrive che se uno Stato contraente presenta un debito pubblico superiore al limite fissato (il 60 per cento del PIL), esso ha l'obbligo di ricondurlo entro tale limite al ritmo di un ventesimo l'anno in media. Per l'Italia una riduzione pari a circa 50 miliardi l'anno per 20 anni: una meta impossibile da raggiungere pena la distruzione delle possibilità di avere una vita decente per il 90 per cento dei componenti di una o due generazioni di cittadini italiani. La Commissione verifica, valuta, soppesa, decide ed eroga le misure punitive (vere e proprie pesantissime ammende);
tutte queste misure hanno accresciuto in misura notevole i poteri della Commissione europea, a paragone dei poteri sia del Parlamento europeo sia dei Parlamenti nazionali. Si è così instaurato un processo burocratico, nel corso del quale dei funzionari irresponsabili decidono di irrogare o meno sanzioni in base ad indicatori meccanicamente ed arbitrariamente stabiliti. Si confida poi alla Corte di giustizia europea nientemeno che il compito di regolare le vertenze tra gli Stati, laddove il suo compito dovrebbe limitarsi a sorvegliare il rispetto della legislazione dell'Unione europea;
queste misure e le politiche di austerità stanno distruggendo l'economia europea sottraendole domanda interna, stabilità dei conti, occupazione e speranza. La stabilità dei conti pubblici, in questa crisi che tanto assomiglia a quella degli anni Trenta, si nutre di crescita e l'austerità uccide sia la crescita che la stabilità;
sono inoltre scellerate ed ottuse le normative ordinarie italiane a cui la Costituzione rimanda (la cosiddetta «legge rinforzata»: la legge 24 dicembre 2012, n. 243), che declinano i concetti della sostenibilità del debito pubblico con formule matematiche rigide ed arbitrarie derivanti peraltro da regole europee che non hanno valenza di Trattato internazionale, perché approvate senza l'accordo di alcuni Stati membri come il Regno unito e la Repubblica ceca;
come ormai rileva anche il Fondo monetario internazionale, oggi sappiamo che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti. Una stretta violenta su entrata e spesa, che affonda le spese pubbliche d'investimento e comunque produttive, ha effetti depressivi sia sul breve che sul medio termine. È da considerare più efficace un percorso di stabilizzazione del debito più selettivo, stabile e controllato. Il Trattato di Lisbona non ha funzionato perché rimaneva l'asimmetria tra controllo della moneta e il vuoto delle politiche fiscali, bancarie e di bilancio comunitario;
tuttavia le Autorità europee stanno commettendo un nuovo errore. Esse appaiono persuase dall'idea che i Paesi periferici dell'Unione potrebbero risolvere i loro problemi attraverso le cosiddette «riforme strutturali». Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire quindi, una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l'estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l'unità europea. Le politiche deflattive attuate in Germania (tra il 2000 e il 2010 ha visto la mancata crescita dei salari nominali nell'ordine del 15 per cento, ossia inferiore rispetto alla crescita salariale media dell'eurozona) e altrove, per far accrescere l'avanzo commerciale hanno, di fatto, contribuito per anni, unitamente ad altri fattori, all'accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i Paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un'azione coordinata da parte di tutti i membri dell'Unione. Pensare che i soli Paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee;
occorre esser consapevoli che proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e, l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale, che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati e contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e che risollevi l'occupazione nelle periferie dell'Unione, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall'euro;
nel quadro istituzionale sopra descritto, le politiche di austerità promosse dai Paesi dell'Unione europea, inclusa l'Italia, hanno portato a una recessione che oggi ha dimostrato tutti i suoi effetti devastanti inducendo quegli stessi governi a invocare la crescita come rimedio alla crisi e al problema dell'aumento della disoccupazione;
ma le imprese aumentano la produzione, aumentando conseguentemente l'occupazione, solo se cresce la domanda o vi sono concreti elementi che indichino che essa crescerà;
i 25 milioni di disoccupati nell'Unione europea al 2013 comportano una riduzione del PIL potenziale dell'intera Unione dell'ordine del 5 per cento l'anno, corrispondente a circa 800 miliardi di euro, per l'Italia, si tratta di 80 miliardi di ricchezza reale che non viene creata. Inoltre la disoccupazione di lunga durata genera ulteriori costi derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comporta costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari, tensioni sociali potenzialmente esplosive;
il lavoro come diritto è solennemente sancito da tutte le Carte fondamentali nazionali e sovranazionali, incluso la nostra Costituzione che include tra i princìpi fondamentali non solo il riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro, ma anche la promozione effettiva da parte della Repubblica delle condizioni che rendano effettivo questo diritto (articolo 4);
è giunto il momento che il Governo italiano prenda l'iniziativa per sollecitare le istituzioni dell'Unione europea e gli altri Paesi membri dell'Unione affinché i trattati e il diritto dell'Unione vengano modificati nel senso di includere la lotta alla disoccupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione, più che il pareggio di bilancio;
a tal proposito merita ricordare che nelle versioni consolidate del Trattato sull'Unione europea (TUE) e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), l'espressione promuovere «un elevato livello di occupazione» ricorre pochissime volte. Inoltre, i testi rendono chiaro che essa non è un impegno dell'Unione, bensì dovrebbe essere l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione e le sue istituzioni (BCE in testa) hanno promosso;
di fronte alla vera e propria emergenza nazionale e europea rappresentata dalla disoccupazione, occorre una inversione di tendenza che abbandoni l'ideologia neo-liberale per contrastare i populismi crescenti, ponendo finalmente la piena, occupazione come obiettivo della politica dell'Unione e venga riconosciuto il principio che essa può essere perseguita efficacemente con politiche pubbliche;
tra i piani su cui si potrebbe procedere andrebbero collocati integrazioni e modifiche del TUE, nonché dello Statuto del Sistema europeo di Banche centrali (SEBC) e della BCE al fine di collocare la piena occupazione tra i fini preminenti dell'Unione europea e delle sue istituzioni finanziarie. Inoltre alla BCE andrebbe richiesto di includere tra i principi generali per le operazioni di credito a banche dell'eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare sicuramente promuovere l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente,

impegna il Governo:

a) a sostenere la radicale modifica del trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto «Fiscal compact», una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da una europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del Pil, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani; chiedere nell'immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del Patto di stabilità;
b) a proporre la realizzazione di una vera unione politica del continente in senso federale al fine di realizzare l'obiettivo degli Stati uniti d'Europa ed a sostenere il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo giungendo anche all'elezione diretta del Presidente della Commissione europea;
c) a prendere le opportune iniziative al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n. 243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, della cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, la cosiddetta «regola della spesa», le modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, la definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento;
d) a proporre che si garantisca, come è stato deciso in favore della Spagna, la possibilità di un rientro più morbido e dilazionato nel tempo del debito sovrano, in particolare appare irrealistico per l'Italia il rientro dal 2015 di oltre 15 miliardi all'anno attraverso dismissioni immobiliari;
e) a concordare con gli organismi dell'Unione europea l'applicazione della golden rule che escluda dalle regole di spesa, introdotte dal Patto di stabilità e crescita rivisto nel 2011, gli investimenti degli enti territoriali nei seguenti campi:
politiche pubbliche per la creazione di occupazione;
riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
messa in sicurezza degli edifici scolastici;
recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
f) a proporre di rafforzare gli impegni degli Stati membri per raggiungere rapidamente una quota di energia da fonti rinnovabili pari al 20 per cento del consumo finale di energia e definire un nuovo accordo che porti al superamento di tale quota entro il 2020, perché inadeguata alle esigenze energetiche dell'intera comunità, anche rispetto alla situazione di crisi e alla potenzialità di lavoro che gli investimenti in energia rinnovabile possono creare;
g) a proporre l'utilizzazione a livello europeo di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond, project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
h) a proporre la ridefinizione del ruolo della BCE come prestatrice di ultima istanza;
i) a proporre un programma europeo, una sorta di «social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali.
(1-00298) «Marcon, Paglia, Ricciatti, Migliore, Boccadutri, Lavagno, Melilla, Di Salvo, Pannarale».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)