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Atto a cui si riferisce:
C.1587 Disposizioni per il sostegno delle donne vittime di violenza e per la promozione della soggettività femminile


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1587


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
BINETTI, DAMBRUOSO, GITTI, MAZZIOTTI DI CELSO, PIEPOLI, BALDUZZI, CAPUA, CARUSO, CESA, ANTIMO CESARO, CIMMINO, D'AGOSTINO, DE MITA, FAUTTILLI, FITZGERALD NISSOLI, GIGLI, LIBRANDI, MATARRESE, OLIARO, RABINO, ANDREA ROMANO, SBERNA, SCHIRÒ, SOTTANELLI, TINAGLI, VARGIU, VECCHIO, VEZZALI
Disposizioni per il sostegno delle donne vittime di violenza e per la promozione della soggettività femminile
Presentata il 16 settembre 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare momenti critici: si sono già verificate pesanti crisi economiche, unitamente a fasi di estrema incertezza politica che hanno dilaniato il Paese. Tutti concordano, però, nel dire che in passato una delle forze – anzi, forse la principale – su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore è stata la famiglia, un'istituzione coesa in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne.
      Oggi la violenza crescente al suo interno segnala che questa forza non è più così compatta e non è più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali; la crisi familiare, tuttavia, viene occultata e lo vediamo nei sempre più frequenti casi di femminicidio che purtroppo funestano le pagine dei nostri giornali.
      Negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, lo Stato italiano è stato fortemente redarguito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne; le osservazioni all'Italia di Rashida Manjoo, relatrice speciale dell'ONU per il contrasto della violenza sulle donne, sono pesanti: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale. Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di azione nazionale contro la violenza, ma non hanno però portato a una diminuzione di femmicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine». E successivamente ha aggiunto: «Le leggi per proteggere le vittime ci sarebbero. Non sono, però, sufficienti. Dipendenza economica, inchieste malfatte, un sistema di istituzioni e regole frammentato, lungaggine dei processi e inadeguata punizione dei colpevoli le rendono poco efficaci».
      Nell'agosto 2011 il Comitato per l'implementazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) e nel giugno 2012 la citata relatrice speciale dell'ONU hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni: ad oggi siamo ancora del tutto inottemperanti rispetto agli standard e agli impegni internazionali.
      Rappresentano cifre da brivido quelle del femminicidio in Italia (siamo ai primi posti nel mondo, calcolando che viene uccisa una donna ogni tre giorni): in otto anni sono state più di novecento le vittime nel nostro Paese, ma la cosa più grave è che il 70 per cento di quelle uccise nel 2012 aveva denunciato il proprio assassino per stalking, maltrattamenti o abusi.
      Quello che emerge e che fa più orrore, leggendo sia le statistiche che i casi di cronaca nera, è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce: di solito, infatti, i responsabili di questi reati (consumati nel 63 per cento dei casi tra le mura domestiche) sono coloro che dichiarano di «amare» le loro donne, cioè mariti lasciati e fidanzati traditi o che non accettano la fine di una storia. E tutto ciò
indipendentemente da alcune caratteristiche della donna, quali l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione.
      Nello specifico, sono 124 le donne uccise nel 2012, in leggero calo rispetto alle 129 del 2011. Ma ci troviamo davanti a un dato altrettanto preoccupante se si considerano i 47 tentati femminicidi e le 8 vittime, tra figli e altre persone: questo è quanto risulta dal rapporto sul femminicidio in Italia nel 2012 della Casa delle donne di Bologna, che dal 2005 raccoglie dati sul fenomeno sempre più allarmante e quindi meritevole di immediata attenzione da parte della politica.
      Le regioni del nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52 per cento) nonostante le donne vivano situazioni di maggiori autonomia e indipendenza: evidentemente sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione e forse per questo sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile.
      Il rapporto sottolinea l'unico dato positivo, ovvero una maggiore attenzione della stampa nella descrizione dei femminicidi, tralasciando – a volte – la solita etichetta di «omicidio passionale» che ingenera confusione e non descrive adeguatamente la situazione; finalmente, i giornalisti focalizzano la loro attenzione sui maltrattamenti e sulle denunce che hanno preceduto il delitto, escludendo il cosiddetto raptus. Il femminicidio, infatti, raramente è frutto di un accesso d'ira incontrollata, ma costituisce soltanto l'ultimo scalino di una lunga escalation.
      Se fino al 2011 in quasi il 90 per cento dei casi riportati dalla cronaca tale informazione non era reperibile, oggi si apprende frequentemente dai mezzi di informazione che il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subìto violenza da parte del partner o ex partner che poi l'ha uccisa: è questo un dato importante che dimostra come la consapevolezza dei media sul legame profondo tra violenza e femminicidio in questi anni è cresciuta e si è consolidata.
      Il femminicidio è sempre preceduto da altre forme di violenza sul corpo, sulla mente, sull'emotività e sugli affetti di una donna. Comincia con una forma di potere e di controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico o persecutorio contro le donne in quanto donne per mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) e pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punito dalla legge come reato o che sia accettato e considerato «normale» nella società di appartenenza.
      La prevenzione di questi delitti, necessaria e praticabile, richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna: dalla sua autonomia economica alla presenza o no di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza, invece, a subire passivamente le situazioni. La prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza, prima che si giunga a conseguenze irreparabili.
      La presente proposta di legge, composta da sette articoli, vuole costituire una risposta efficace alla gravità del fenomeno della violenza tout court, proponendo un approccio per così dire «multidisciplinare».
      L'articolo 1 prevede, sotto la spinta dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, di un codice di deontologia denominato «Codice dei media per la promozione della soggettività femminile», recante princìpi e prescrizioni volti a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni radiofonici, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile.
      Al fine di contrastare efficacemente il fenomeno degli atti persecutori e della violenza nei confronti delle donne, l'articolo 2 stabilisce la promozione, da parte delle prefetture-uffici territoriali del Governo, di protocolli d'intesa tra autorità giudiziaria, province, comuni, aziende sanitarie locali e ospedaliere, uffici scolastici provinciali, Forze di polizia, Ordini professionali e organizzazioni di volontariato che operano nel territorio.
      L'articolo 3 prevede che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca promuova l'educazione alla relazione, nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare e formare gli studenti, di prevenire la violenza nei confronti delle donne e di promuovere la soggettività femminile, sviluppando negli studenti maggiori autonomia e capacità di analisi, nonché promuovendo l'autodeterminazione personale.
      L'articolo 4 prevede la presenza, nelle aziende sanitarie locali e ospedaliere, di centri specializzati che assicurano assistenza integrata alle vittime di violenza, nonché l'intervento di personale sanitario adeguatamente formato per l'accoglienza, l'assistenza e la cura delle stesse. Il centro specializzato può predisporre piani di organizzazione annuale e di aggiornamento, nonché richiedere la collaborazione di professionalità esterne al servizio pubblico, aventi accertata professionalità nell'assistenza delle donne vittime di violenza.
      L'articolo 5, attraverso una modifica all'articolo 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) prevede misure di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale, di atti persecutori o di maltrattamenti, che prevedono l'allontanamento dal nucleo familiare quando ciò si rende necessario, anche attraverso il finanziamento dei centri specializzati, nonché misure di assistenza anche di tipo psicologico ai minori testimoni di violenze nei confronti di donne.
      Ulteriori tutele, quali il riconoscimento del diritto all'aspettativa e al congedo dal lavoro per le donne vittime di violenza (con garanzia del mantenimento del posto di lavoro, anche in caso di assenza prolungata dal lavoro oltre la normale convalescenza), il diritto all'assistenza psicologica gratuita a opera delle competenti strutture del Servizio sanitario nazionale, nonché il rispetto del diritto alla riservatezza delle donne vittime di violenza da parte di chiunque venga a conoscenza del fatto, sono garantite dall'articolo 6.
      L'articolo 7, infine, reca la copertura finanziaria.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Misure per la promozione della soggettività femminile).

      1. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di seguito denominata «Autorità», promuove l'adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, di un apposito codice di deontologia denominato «Codice dei media per la promozione della soggettività femminile», recante princìpi e prescrizioni volti a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni radiofonici, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile.
      2. Qualora, entro sei mesi dalla proposta dell'Autorità, il Codice di cui al comma 1 non sia adottato dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti esso è adottato in via sostitutiva dall'Autorità.
      3. Il Codice di cui al comma 1 è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale a cura dell'Autorità e acquista efficacia quindici giorni dopo la data della sua pubblicazione.

Art. 2.
(Campagne di sensibilizzazione, informazione e formazione).

      1. Al fine di contrastare efficacemente il fenomeno degli atti persecutori e della violenza nei confronti delle donne, le prefetture-uffici territoriali del Governo promuovono, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, protocolli d'intesa tra autorità giudiziaria, province, comuni, aziende sanitarie locali e ospedaliere, uffici scolastici provinciali, Forze di polizia, Ordini professionali e organizzazioni di volontariato che operano nel territorio.


      2. I protocolli di cui al comma 1 hanno come obiettivo:

          a) l'analisi e il monitoraggio del fenomeno degli atti persecutori e della violenza nei confronti delle donne;

          b) lo sviluppo di azioni finalizzate alla prevenzione e al contrasto del fenomeno di cui alla lettera a), attraverso percorsi educativi e informativi mirati;

          c) la formazione degli operatori del settore;

          d) la promozione dell'emersione del fenomeno, anche tramite iniziative volte a facilitare la raccolta delle denunce;

          e) l'assistenza e il sostegno alle vittime in tutte le fasi susseguenti al verificarsi di un episodio di violenza, anche attraverso vademecum operativi diretti agli operatori delle Forze di polizia, sanitari e scolastici.

      3. Le amministrazioni pubbliche, nell'ambito delle proprie competenze, promuovono iniziative, campagne e attività di sensibilizzazione, formazione e informazione volte alla prevenzione della violenza nei confronti delle donne e del femminicidio in ogni loro forma.
      4. Le amministrazioni pubbliche, nell'ambito della disciplina vigente in materia di formazione, promuovono iniziative e appositi interventi formativi per il contrasto della violenza, mirando alla valorizzazione della pari dignità sociale degli uomini e delle donne e alla promozione della soggettività femminile.

Art. 3.
(Educazione scolastica contro la violenza).

      1. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, promuove l'educazione alla relazione, nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare e formare gli studenti, di prevenire la violenza nei confronti

delle donne e di promuovere la soggettività femminile sviluppando negli studenti maggiori autonomia e capacità di analisi, nonché promuovendo l'autodeterminazione personale. L'educazione alla relazione è rivolta a favorire il rapporto con l'altro ed è fondata sulla cultura delle pari opportunità.
      2. Con regolamento adottato con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni per l'attuazione del comma 1.
Art. 4.
(Centri specializzati per l'assistenza delle vittime di violenza nei confronti delle donne).

      1. Le aziende ospedaliere e le aziende sanitarie locali assicurano l'attivazione di almeno un centro specializzato per i problemi correlati alla violenza nei confronti delle donne.
      2. Il centro specializzato di cui al comma 1, al fine di assicurare assistenza integrata alle vittime di violenza, garantisce l'intervento di personale sanitario adeguatamente formato per l'accoglienza, l'assistenza e la cura delle vittime.
      3. Il personale sanitario operante presso il centro specializzato di cui al comma 1 segue corsi di formazione appositamente organizzati.
      4. La formazione del personale di cui al comma 2 è realizzata, ai sensi di quanto previsto dal Ministro della salute con proprio decreto, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, mediante seminari organizzati da esperti specializzati nella prevenzione della violenza e nel sostegno alle vittime, provenienti dai consultori pubblici o dalle aziende sanitarie locali e ospedaliere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
      5. Il centro specializzato, ai sensi di quanto previsto dal decreto di cui al

comma 4, può predisporre piani di organizzazione annuale e di aggiornamento, nonché richiedere la collaborazione di professionalità esterne al servizio pubblico, aventi accertata professionalità nell'assistenza delle donne vittime di violenza.
Art. 5.
(Modifica all'articolo 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328, in materia di sostegno alle donne vittime di violenza).

      1. Dopo la lettera e) del comma 2 dell'articolo 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328, è inserita la seguente:

          «e-bis) misure di sostegno alle donne vittime di violenza sessuale, di atti persecutori o di maltrattamenti, che prevedono l'allontanamento dal nucleo familiare quando ciò si renda necessario, anche attraverso il finanziamento dei centri specializzati attivati dalle aziende sanitarie locali e dalle aziende ospedaliere ai sensi della legislazione vigente, nonché misure di assistenza anche di tipo psicologico ai minori testimoni di violenza nei confronti delle donne;».

Art. 6.
(Ulteriori tutele).

      1. Al fine di aiutare le donne vittime di violenza la presente legge prevede:

          a) il riconoscimento del diritto all'aspettativa e al congedo dal lavoro per le donne vittime di violenza, con garanzia del mantenimento del posto di lavoro, anche in caso di assenza prolungata dal lavoro oltre la normale convalescenza, nonché del diritto all'assistenza psicologica gratuita a opera delle competenti strutture del Servizio sanitario nazionale;

          b) il rispetto del diritto alla riservatezza delle donne vittime di violenza da parte di chiunque venga a conoscenza del fatto.

Art. 7.
(Copertura finanziaria).

      1. Agli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.