• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00205 premesso che: il prossimo Consiglio europeo del 20 e del 21 ottobre avrà, con ogni probabilità, carattere interlocutorio. Gli argomenti posti, infatti, all'ordine del giorno hanno tempi di...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00205 presentata da LUCIO BARANI
mercoledì 12 ottobre 2016, seduta n.698

Il Senato,
premesso che:
il prossimo Consiglio europeo del 20 e del 21 ottobre avrà, con ogni probabilità, carattere interlocutorio. Gli argomenti posti, infatti, all'ordine del giorno hanno tempi di maturazione diversi. Mentre per quanto riguarda il fenomeno della migrazione si dovrà fare il punto sugli ultimi sviluppi e sui progressi (pochi) compiuti, per definire gli orientamenti necessari in un contesto generale segnato dal mancato rispetto degli accordi precedentemente sottoscritti; sulle questioni commerciali e sulla posizione da prendere nei confronti della Russia lo stato dell'arte è ancora ai primi passi;
per quanto riguarda il fenomeno migratorio è bene pretendere il rispetto delle decisioni assunte per quanto riguarda le quote che ciascun Paese dovrebbe assorbire. Impegni in larga misura disattesi dai principali partner europei. Sarà necessario anche ribadire che, di fronte ad un problema che ha ormai assunto una rilevanza storica, "alzare muri" non è la migliore delle risposte possibili. Questa rinnovata forma di autarchia, che nel caso di Brexit assume una forma particolarmente odiosa, si scarica essenzialmente sui Paesi di frontiera (Italia, Grecia e Turchia), rendendo di fatto impraticabile ogni possibile soluzione;
È bene pertanto ribadire la distinzione tra "rifugiati politici", rispetto ai quali esistono regole internazionali che non possono essere disattese, e migranti per motivi economici, il cui eventuale accoglimento non può prescindere da esigenze di carattere più complessive, legate al contesto economico e sociale di ciascun Paese. E' necessario pertanto che la responsabilità della gestione di un fenomeno così complesso non sia scaricata interamente sul primo Paese di arrivo, ma che la scelta del rimpatrio forzato avvenga sotto l'egida dei colori europei. In attesa di contenere il flusso migratorio con azioni di carattere economico e finanziario che spingano i Paesi d'emigrazione ad una collaborazione attiva, che regolarizzi la stessa dimensione dei relativi flussi, la politica del "Migration compact" è la risposta più giusta, ma rimane una prospettiva di medio periodo. Nel frattempo è assolutamente indispensabile incidere sui flussi in entrate, onde evitare di innescare pericolose tensioni sociali. Una sorta di "guerra tra poveri" destinata ad incidere profondamente sugli assetti politici di ciascun Paese;
il nesso con gli altri punti posti all'ordine del giorno è forse meno evidente, ma non per questo incoerente. Il fenomeno migratorio è, infatti, strettamente connesso al tema della globalizzazione. E quest'ultimo argomento fa da sfondo sia allo stato dei rapporti commerciali sia alle prospettive delle relazioni internazionali con la Russia. Non si dimentichi infatti che la fase della globalizzazione aveva come caratteristica la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. In un mondo reso sempre più piccolo dai progressi della tecnologia, soprattutto nel campo dei trasporti e della conoscenza, la crescente mobilità delle persone altro non è stato che la conseguenza di un simile processo;
l'elemento da considerare è che quel fenomeno, così complesso, mostra oggi segnali profondi di inversione di tendenza che non riguardano solo l'economia, ma le stesse relazioni politiche. Nei prossimi mesi, i principali Paesi occidentali saranno chiamati alle urne per eleggere i propri rappresentanti. E non è un caso se negli Stati Uniti - il Paese che vanta i maggiori vantaggi dall'innesco di quel processo - le tendenze isolazionistiche costituiscano una sirena che affascina entrambi i candidati. Lo stesso può dirsi della Francia o della Germania, Paesi in cui le forze antagoniste - termine da preferire al più semplice "populismo" - minacciano un equilibrio politico da tempo consolidato. Mentre l'Inghilterra, il Paese più cosmopolita dal punto di vista dell'attività finanziaria, ha compiuto la scelta del "leave", introducendo un elemento di forte divaricazione nei più complessivi equilibri europei;
il fenomeno non ha una caratterizzazione esclusivamente politica. Da un punto di vista economico, la crisi è evidente negli andamenti degli scambi commerciali, così come nel grande contenzioso che caratterizza le principali società multinazionali: Volkswagen, Apple, Deutsche Bank e via dicendo. Il clima di cooperazione degli anni precedenti sembra aver ceduto il passo alla necessità, da parte dei singoli Stati, di recuperare in pieno la propria sovranità in difesa dei propri interessi, ricorrendo a misure dirette che incidono direttamente sui livelli di concorrenza, a vantaggio esclusivo delle proprie aziende domestiche;
sul fronte dei rapporti commerciali la crisi non è da meno, seppure velata dal tecnicismo che domina la materia. La crescita del commercio internazionale, negli anni passati, è stato uno dei principali motori dello sviluppo complessivo. Ha infatti consentito una divisione internazionale del lavoro senza precedenti. E quindi un guadagno di produttività che ha comportato per tutti i protagonisti vantaggi relativi, anche se in modo asimmetrico. Nella geografia del Mondo, il vantaggio maggiore è andato ai Paesi del Sud-est asiatico - Cina in testa - in cui alla forte crescita economica si è accompagnato il formarsi di una classe media a ritmo accelerato, ma nei Paesi più avanzati i "losers", ossia i perdenti del processo di globalizzazione, hanno visto aumentare le loro schiere fino a determinare fenomeni di impoverimento in vasti strati della classe media, alimentando la forza dei "movimenti antagonisti";
queste fratture si colgono nei dati relativi alla dinamica delle esportazioni mondiali. A partire dagli inizi degli anni '90, la crescita delle esportazioni mondiali è stata costante. Poi è intervenuta la crisi della Lehman Brothers, che rappresenta il vero spartiacque. Fatto 100 il 2001, nel 2008 l'indice si era portato a 260,7. Nei sette anni successivi, a seguito di piccole montagne russe, i valori accertati (2015) sono stati pari a 264,7. Impressionante il caso che si è registrato in quest'ultimo anno, con una caduta di quasi il 13 per cento, episodio che, stando alle valutazioni del WTO, sembra destinato a ripetersi per l'anno in corso, al punto che nelle previsioni, per la prima volta dal 2001, si sconta un'inversione netta di tendenza: nei prossimi anni il commercio internazionale crescerà meno del PIL mondiale. Quello che era una volta un traino per l'intera economia globalizzata sembra essersi trasformato in un semplice vagone, sostenuto dalla crescita della domanda interna delle principali aree del Mondo;
il riflesso di questi fenomeni si coglie nello stallo che si è determinato negli accordi internazionali. Il CETA - l'accordo commerciale tra Europa e Canada - si è trasformato in un "accordo misto". Non basterà più la formula della "UE - only", ma a seguito delle pressioni di Francia e Germania, dovrà essere ratificato dalle assemblee dei Parlamenti nazionali;
strada ancora più in salita per quanto riguarda il TTIP: l'accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti e l'Unione europea, che coinvolge anche il Giappone, ma non la Cina. Voluto da Barack Obama, nel corso del tempo, ha incontrato difficoltà crescenti tra le due sponde dell'Atlantico. E la trattativa è divenuta sempre più difficile, anche a causa dell'azione svolta da movimenti politici che temono la distruzione di posti di lavoro, ovvero ipotesi di colonizzazione da parte del più forte partner occidentale. In questa disputa, venata da forti connotazioni ideologiche, gli stessi candidati alla presidenza americana mostrano una crescente titubanza, sebbene il TTP - Trans-Pacific partnership - ossia l'accordo tra gli Stati Uniti ed 11 Paesi del Pacifico sia stato sottoscritto;
sulle relazioni internazionali, in altri termini, si riflette la crisi del processo di globalizzazione, con i singoli Stati che sembrano sempre più impotenti nel gestire una fase complessa, mentre crescono le spinte isolazionistiche sia per quanto riguarda i movimenti commerciali che la gestione del flusso dei migranti;
in un quadro internazionale così incerto va collocato anche il tema dei rapporti tra l'UE e la Russia, dopo le note vicende che hanno portato alle sanzioni per i fatti dell'Ucraina, senza considerare le vicende siriane e la dura contrapposizione, sostanzialmente assente l'Europa, tra Stati Uniti a proposito del regime di Assad che impedisce una lotta più decisa contro le milizie dell'ISIS;
basterebbero questi cenni per motivare una riflessione più approfondita su rapporti che devono evolvere, in un quadro internazionale sempre più incerto, con il Mediterraneo divenuto l'epicentro di una guerra senza quartiere, tra la UE e la Russia. Nel vuoto di potere che si è prodotto dal declassamento di questa zona dal punto di vista strategico da parte degli Stati Uniti è necessario considerare l'Europa nella sua unità. Ricercare cioè un rapporto con la Russia che, pur nel quadro di relazioni trasparenti e rispettose dei canoni della democrazia occidentale, cerchi tuttavia di realizzare le intese possibili, per evitare che ai confini dell'Europa possa consolidarsi una forza eversiva in grado di determinare fratture dagli esiti imprevedibili;
l'Italia è doppiamente interessata. Innanzitutto perché é un Paese molto esposto alle turbolenze del Medio Oriente - basti pensare al tema dell'immigrazione o del terrorismo di matrice islamica -, ma per la difesa dei suoi legittimi interessi economici e commerciali. Non si può sottovalutare il fatto che rispetto al 2014 - anno in cui furono decretate le sanzioni europee - l'interscambio commerciale con la Russia ha subito una diminuzione del 19,1 per cento, con una perdita che può essere valutata in circa 6 miliardi di euro;
la perdita di questo mercato ha riguardato gran parte del "made in" concentrandosi, particolarmente, sull'agro-alimentare, con una penalizzazione che ha riguardato l'intero Paese, ma prevalentemente il Mezzogiorno d'Italia, il tutto mentre la domanda estera, che nel 2012 e 2013 aveva esercitato un ruolo traente, che attenuava i morsi dell'austerity, a partire dal 2014 ha subito una netta inversione di tendenza, costringendo la politica economica italiana a far conto più sulla domanda interna che non sul sostegno delle esportazioni, il che, in un Paese compresso dal debito pubblico, è stato un esercizio quanto mai difficile, a causa dei vincoli posti all'espansione della domanda pubblica;
tutto ciò premesso, impegna il Governo:
1) a sviluppare, nel dibattito europeo, i temi contenuti in premessa, nella ricerca della più larga convergenza possibile;
2) consapevoli, tuttavia, che, nelle relazioni internazionali, elemento essenziale è la forza intrinseca del singolo interlocutore, ad accelerare, in Italia, la strada delle riforme, per accrescere quell'autorevolezza che è condizione essenziale per una partecipazione attiva.
(6-00205)
BARANI, MAZZONI, AMORUSO, AURICCHIO, COMPAGNONE, CONTI, D'ANNA, FALANGA, GAMBARO, IURLARO, LANGELLA, Eva LONGO, MILO, PAGNONCELLI, PICCINELLI, RUVOLO, SCAVONE, VERDINI.