Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA
Atto a cui si riferisce:
S.6/00202 in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles nei giorni 20 e 21 ottobre prossimi venturi;
premesso che:
nella riunione i Capi di Stato e di Governo...
Atto Senato
Risoluzione in Assemblea 6-00202 presentata da ORNELLA BERTOROTTA
mercoledì 12 ottobre 2016, seduta n.698
Il Senato,
in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles nei giorni 20 e 21 ottobre prossimi venturi;
premesso che:
nella riunione i Capi di Stato e di Governo discuteranno su tre temi all'ordine del giorno: migrazione, questioni commerciali e relazioni con la Russia;
i flussi migratori sono ormai un tema ricorrente negli incontri del Consiglio europeo, ma è il caso di dirlo: sull'emergenza migratoria l'Unione europea ha discusso molto e fatto operativamente molto poco;
lo scorso 3 ottobre si è celebrata la Prima Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione, nell'anniversario di quel 3 ottobre di tre anni fa in cui nel Canale di Sicilia si consumò il più grave naufragio di migranti costato la vita a 386 persone. Cosa è cambiato da quel giorno? Poco o nulla se si pensa che proprio mentre si tenevano le cerimonie istituzionali in ricordo di quella tragedia, sull'isola di Lampedusa venivano tratti in salvo 6.000 migranti in 25 operazioni di soccorso contemporanee per evitare l'affondamento di ben 39 barconi fatiscenti in balia del mare, da cui sono stati recuperati 9 cadaveri;
secondo i dati diffusi dall'Alto Commissariato della Nazioni Unite per i rifugiati dal 2013 si contano 11400 morti nel Mediterraneo e solo quest'anno sono 3498 le persone che hanno perso la vita durante le traversate, di cui 600 bambini;
l'adozione dell'Agenda europea sulla migrazione da parte della Commissione europea nel maggio 2015 ha solo in minima parte arginato la crisi umanitaria in atto e per nulla incisiva è stata la scelta di ricollocare 160.000 richiedenti asilo dai Paesi maggiormente sottoposti alla pressione migratoria verso quelli con maggiori disponibilità o meno coinvolti dai flussi;
ad oggi la politica di ricollocazione in Europa è risultata fallimentare: secondo le cifre fornite dalla stessa Commissione dall'ottobre 2015 alla fine di settembre da Italia e Grecia sono state ricollocate in tutto 5651 persone, appena il 3,5 per cento del totale di 160.000 sopra richiamato;
la missione navale militare Eunavformed, nata sotto lo slogan "mai più morti in mare", risulta essere insufficiente: le morti nel Mediterraneo purtroppo sono ancora quotidiane, gli interventi delle navi militari schierate a protezione delle frontiere costiere europee non fanno altro che salvare i migranti in mare e portarli sulle coste per lo più siciliane;
se l'obiettivo è quindi quello del salvataggio dei migranti ci si chiede perché continuare a utilizzare mezzi militari, ovvero non perseguire gli obiettivi dell'attuale missione militare navale tramite strumenti, mezzi e personale civile;
l'Unione europea sembra non essersi interessata del Mediterraneo e ha pensato solo a bloccare la rotta balcanica siglando con la Turchia un accordo scellerato che nel tentativo di definire la gestione dei flussi migratori tra l'Europa e i Paesi di vicinato, in realtà nella pratica sta generando rimpatri forzati, violazioni della Convenzione di Ginevra, la Carta europea dei diritti fondamentali;
l'annunciata riforma del Sistema di asilo europeo, il cosiddetto Dublino III, annunciata come una rivoluzione nel sistema di accoglienza dell'Unione europea ha tutti i presupposti per essere un flop: i pacchetti con le proposte di riforma sul sistema Dublino avanzati dalla Commissione europea sono di fatto una non riforma;
il principio fondamentale del sistema Dublino che era stato individuato unanimemente come la principale criticità resta, infatti, lo stesso: i richiedenti asilo devono presentare domanda d'asilo nel primo Paese di ingresso, salvo che non abbiano famiglia in un altro Paese;
le proposte di riforma vanno a migliorare solo alcuni aspetti di tipo procedurale, ma nessuno dei criteri per la determinazione dello Stato membro competente a trattare le richieste di asilo viene modificato, viene introdotto solo un meccanismo correttivo di allocazione dei migranti, che così come strutturato, rischia di avviarsi a un fallimento viste anche le difficoltà attuali ad applicare i meccanismi temporanei di ricollocazione: si vogliono governare gli spostamenti di masse di uomini e donne con una macchina burocratica sempre più complessa per non minare le basi della libera circolazione per i cittadini europei;
il sistema di asilo è "europeo" solo nel nome, di fatto rimane ad appannaggio degli Stati membri, soprattutto di quelli di arrivo e si sa che a subire la maggior pressione migratoria sono i paesi mediterranei. La riforma è solo apparente;
il peso dell'incapacità europea di gestire flussi migratori di portata epocale ricade poi sui territori e in particolare sui comuni, che spesso si trovano coinvolti in un corto circuito istituzionale, vengono a conoscenza di dover ospitare i migranti sul proprio territorio dalla stampa, devono far fronte poi alle ostilità dei concittadini all'arrivo di profughi e richiedenti asilo, farsi carico di politiche di integrazione e coinvolgimenti dei migranti ospitati nel vita sociale della città senza spesso adeguate risorse;
per questo risulta essere necessario lo stanziamento di fondi a livello europeo per sostenere gli enti locali nello sforzo dell'accoglienza secondaria ai migranti;
sebbene il referendum promosso dal Governo ungherese per opporsi al ricollocamento di 1300 migranti non abbia raggiunto il quorum necessario per la sua validità, dopo la Brexit è il sintomo palese della presenza di due visioni di Europa: quella dove a prevalere sono gli Stati membri dove ognuno negozia i propri interessi e quella della visione europea dell'interesse generale;
la prima sta prevalendo sulla seconda e determina un'incapacità di prendere decisioni per risolvere la crisi umanitaria che si consuma sulle sponde del Mediterraneo e lungo i confini dei Balcani dove proprio il presidente ungherese Orban ha fatto costruire 175 chilometri di barriera presidiata da 10.000 agenti;
l'Europa non è in grado di far fronte all'impatto sociale, economico e politico dei flussi migratori, è ferma, si divide e si frammenta in piccoli gruppi: la Gran Bretagna e la Brexit, i Paesi del Mediterraneo, il gruppo cosiddetto di Visegràd, gli scandinavi che sono la spia di malesseri latenti potenzialmente rovinosi;
l'inconsistenza del documento adottato nel vertice di Bratislava dello scorso 16 settembre ne è la dimostrazione, tanto che lo stesso presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker si è detto deluso dal risultato del primo vertice a 27 del post Brexit e ha chiesto uno scatto d'orgoglio in vista proprio del Consiglio europeo davanti alla plenaria del Parlamento europeo: "Nel vertice di Bratislava è stata adottata una roadmap, ma non risponde alle mie aspettative: è poco concreta, anche se è una buona piattaforma per andare avanti. L'ambizione è quella di salvare la Unione europea. Vorrei potessero mettersi d'accordo su risultati concreti: per avanzare non serve retorica, ma fatti", rivolgendosi agli Stati membri;
nella cosiddetta roadmap per il futuro dell'Europa i passaggi dedicati al tema dell'immigrazione sono quanto mai inconsistenti, si parla solamente di pieno sostegno ai paesi dei Balcani. E il Mediterraneo? Nessun accenno alla situazione dell'Africa e tanto meno della Libia, dove la guerra fra milizie, l'instabilità politica rendono il Paese nordafricano il bacino ideale per il traffico illegale di migranti;
nel caos politico libico sul territorio le realtà amministrative realmente funzionanti e legittimamente elette sono le municipalità che fanno fronte alle numerose esigenze della popolazione, gli amministratori locali libici fanno fronte alle carenze di infrastrutture e all'assenza di un governo nazionale;
considerato che:
il secondo punto all'ordine del giorno del Consiglio europeo riguarda le questioni commerciali per cui non si può non parlare di TTIP e CETA, i due trattati di libero scambio tra l'Unione europea e rispettivamente gli Stati Uniti e il Canada: il primo sembra ormai destinato allo stallo e al naufragio, mentre il secondo è nella fase conclusiva;
sulle sorti del TTIP pesano le elezioni statunitensi, è quanto mai irrealistico concluderlo sotto l'amministrazione Obama perché l'accordo dovrebbe concludersi entro il 19 gennaio quando terminerà il suo mandato presidenziale e sul tavolo dei negoziatori ci sono aspetti su cui Washington e Bruxelles sono lontane anni luce;
il TTIP non è una normativa nata da un processo democratico, bensì un accordo contrattuale scritto da funzionari non eletti e non rappresentativi;
il TTIP sembra ormai destinato a un binario morto tanto che Francia e Austria hanno avanzato la richiesta ufficiale di sospendere le trattative e modificare il nome del trattato per porre su diverse e nuove basi l'intesa tra Stati Uniti e Unione europea;
sembra essere anche intenzione dell'Unione europea congelare i negoziati e attendere con una pausa naturale l'insediamento del nuovo Presidente, anche perché nel quindicesimo round di negoziati sul TTIP, iniziato il 3 ottobre scorso a New York, non si compiranno progressi. Ad agosto il Ministro dell'economia tedesco, valutando che in 14 round di colloqui USA e Unione europea non si sono accordati su un singolo punto dei 27 capitoli in discussione, ha dichiarato che i negoziati sono falliti;
ci sono in ballo le elezioni in Germania e i fronti politici sono su due posizioni diverse perché la Cancelliera Angela Merkel spinge per un'accelerazione delle trattative mentre il suo vice, Sigmar Gabriel, esponente della SPD si è schierato a favore di uno stop dei negoziati, visto anche le numerose manifestazioni di piazza contro il trattato di libero scambio;
l'Italia, invece, continua a sostenere con forza l'approvazione del trattato transatlantico, dichiarandosi favorevole addirittura ad una procedura "EU only" esautorando gli Stati membri e i loro parlamenti nazionali. Questo è ammissibile per i trattati esclusivamente commerciali, ma il TTIP, incidendo pesantemente sui diritti fondamentali è da considerarsi un trattato misto. In realtà proprio l'Italia ha posizioni incompatibili con le clausole negoziate dagli americani, difendendo 42 eccellenze del made in Italy dall'assalto dei prodotti americani;
destino diverso sembra avere ad oggi il CETA, l'accordo di libero scambio tra UE e Canada che verrà ufficialmente concluso e sottoscritto il prossimo 27 ottobre, data che sarà preceduta da un Consiglio UE straordinario dei Ministri europei del commercio il prossimo 18 ottobre, dedicato alla questione;
come il TTIP, anche il CETA utilizza definizioni ampie di investimenti ed esproprio, consentendo alle aziende di portare in giudizio uno Stato se minaccia i loro futuri profitti attesi. Come il TTIP, anche il CETA imbriglia le politiche degli Stati nel nome del pubblico interesse e limita pesantemente l'intervento di un governo anche nei servizi pubblici;
a seguito della firma dovrà arrivare la ratifica del Parlamento europeo con cui il trattato potrà entrare provvisoriamente in vigore nell'attesa della ratifica da parte dei Parlamenti nazionali, ed è qui che potrebbero aprirsi scenari inediti con la possibile bocciatura da parte di uno degli Stati membri, con non chiare e determinate conseguenze giuridiche;
il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, in una lettera indirizzata al commissario Cecilia Malmström, ha espresso la decisione di tagliare fuori i Parlamenti nazionali dalla ratifica del CETA, dopo una? verifica politica e tecnica in Italia su questa posizione non specificando con chi si sia consultato a livello tecnico e politico per arrivare a tale decisione;
in ultimo i Capi di Stato e di Governo europei affronteranno la questione dei rapporti tra Unione europea e Russia. La questione centrale resta quella delle sanzioni comminate alla Federazione Russa a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina a cui è seguito come reazione un embargo russo sui prodotti agroalimentari, con pesanti ripercussioni sulle esportazioni italiane già stimate in oltre 1,5 miliardi di euro, senza escludere il fatto che la Russia si sta rivolgendo ad altri mercati in primis Cina e Turchia;
l'ambasciatore della Federazione Russa in Italia Sergey Razov ha recentemente dichiarato, durante il seminario italo-russo a Bolzano organizzato da Associazione Conoscere Eurasia: " a causa delle sanzioni l'Italia sta perdendo quote di mercato importanti nell'export verso la Russia: se fino allo scorso anno era saldamente il nostro (l'Italia), il quarto Paese fornitore ora è il quinto, scavalcato proprio dagli Stati Uniti: questo giusto per far capire a chi giovano le sanzioni. Anche quest'anno le cifre dell'interscambio italo-russo non sono affatto soddisfacenti. Dopo il -36,2 per cento del 2015, i primi 5 mesi registrano infatti un'ulteriore perdita degli scambi, a -48,8 per cento. Dato che fa scendere la Russia dall'ottavo al tredicesimo posto tra i Paesi fornitori dell'Italia";
il regime delle sanzioni rischia di pregiudicare ancora di più i dati sull'occupazione in Italia: gli analisti del WIFO (Austrian institute of economic research) stimano infatti che l'Italia nel 2015 abbia perso ben 80.000 posti di lavoro per effetto delle sanzioni e 0,1 per cento di PIL e che, nel medio periodo, l'Italia potrebbe perdere fino a 215.000 posti di lavoro e 7 miliardi di PIL (0,44 per cento);
il ministro degli esteri Paolo Gentiloni, in una recente intervista all'agenzia russa Tass, ha asserito di non essere favorevole alla proroga automatica delle sanzioni, che sono solo uno strumento persuasivo per il raggiungimento di un obiettivo comune, che è quello della pace in Ucraina;
non bisogna, inoltre, tralasciare un altro aspetto fondamentale dei rapporti tra Unione europea e Federazione Russa, che è quello della lotta contro il terrorismo internazionale;
il progressivo isolamento economico, politico e diplomatico tra la Russia e i Paesi dell'Unione europea e delle altre forze occidentali indebolisce il fronte comune che la comunità internazionale deve invece costituire al fine di intraprendere le necessarie azioni di contrasto ai fenomeni terroristici;
nell'ottica di allargare la cooperazione extra Unione, il quadro risulta particolarmente grave se si considera che, ad esempio, non risulta allo stato esistente alcuna forma di coinvolgimento e/o cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea con quelli russi, collaborazione che, come più sopra accennato, appare indispensabile soprattutto per prevenire nuovi attentati da parte di gruppi jihadisti,
impegna, quindi, il Governo:
ad adoperarsi affinché la revisione del sistema europeo di asilo costituisca un'effettiva riforma con la cancellazione del principio dello Stato di primo approdo e sia parte di una strategia europea più ampia di politiche comuni sull'immigrazione, volta anche a creare canali legali e protetti che permettano ai migranti e richiedenti asilo di raggiungere l'Unione europea, istituendo anche strutture sicure, gestite in ottemperanza dei diritti umani e del diritto internazionale, nei Paesi di transito;
a richiedere la piena attuazione da parte di tutti gli Stati membri delle quote di ridistribuzione dei migranti al fine di ottenere una più equa ripartizione del peso della crisi migratoria avanzando al contempo la richiesta di introdurre forme di sanzioni per quegli Stati membri che rifiutano le quote e negano la solidarietà attraverso la significativa riduzione dei fondi europei per la coesione e i diversi fondi strutturali;
a favorire un sistema di accoglienza diffuso dei migranti che veda coinvolti gli enti locali che possano essere sostenuti nelle politiche di accoglienza da appositi fondi e sovvenzioni europee al fine di compensazione;
a sostenere nelle opportune sedi europee ogni azione volta alla sospensione della missione Eunavformed al fine di avviare una nuova missione con i medesimi obiettivi di soccorso dei migranti in mare attraverso l'uso di mezzi e personale civile;
a impegnare la diplomazia europea all'ascolto delle istanze non solo del governo libico riconosciuto a livello internazionale, ma anche delle realtà municipali e territorialmente riconosciute in Libia;
ad attivarsi affinché sia sospeso l'accordo siglato tra la Turchia e l'Unione europea in relazione ai migranti e contestualmente a sospendere sia gli aiuti economici da esso previsti sia il processo di liberalizzazione dei visti ivi definito, sino a quando la Turchia non rispetterà pienamente e integralmente i diritti umani sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
ad adottare un nuovo e diverso approccio alla politica commerciale europea rivedendo le posizioni sul TTIP e chiedendo alla pari di quanto avanzato da Francia e Austria una sospensione definitiva dei negoziati;
a garantire in occasione della ratifica del CETA da parte del Parlamento italiano un ampio e approfondito dibattito politico e a migliorare la trasparenza delle informazioni relative ai contenuti dei trattati di libero scambio nei quali l'Italia è coinvolta;
ad attivarsi nelle competenti sedi internazionali affinché possano gettarsi le basi per la creazione di una sempre più stretta ed efficace collaborazione e cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea e di quelli non aderenti all'Unione, ivi compresa la Federazione Russa, in funzione di prevenzione e contrasto a fenomeni terroristici;
a promuovere, infine, e sostenere iniziative finalizzate alla revoca del reiterato regime di sanzioni alla Russia per evitare che vengano colpiti ancora più duramente gli interessi nazionali.
(6-00202)
BERTOROTTA, LUCIDI, PETROCELLI, GAETTI, AIROLA, BLUNDO, BOTTICI, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAPPELLETTI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, COTTI, CRIMI, DONNO, ENDRIZZI, FATTORI, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, MANGILI, MARTELLI, MARTON, MONTEVECCHI, MORONESE, MORRA, NUGNES, PAGLINI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, TAVERNA.