• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.7/01134    premesso che:     per le dimensioni epidemiologiche e per l'impatto socio-economico l'ictus rappresenta uno dei più importanti problemi sanitari nei paesi industrializzati....



Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-01134presentato daMARAZZITI Mariotesto diMercoledì 2 novembre 2016, seduta n. 700

   La XII Commissione,
   premesso che:
    per le dimensioni epidemiologiche e per l'impatto socio-economico l'ictus rappresenta uno dei più importanti problemi sanitari nei paesi industrializzati. In Italia, l'ictus cerebrale costituisce la prima causa di invalidità permanente, la seconda causa di demenza e la terza causa di morte (o la seconda, come riportano altre stime) dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, essendo responsabile del 10 per cento-12 per cento di tutti i decessi per anno;
    l'ictus cerebrale è una patologia fortemente età-correlata. Passando dalla quarta all'ottava decade di vita l'incidenza della malattia aumenta di circa 100 volte. Questo rapporto fa prevedere che il peso globale delle malattie cerebrovascolari è destinato ad aumentare nel tempo: l'Italia risente in maniera particolare di questa transizione demografica; infatti, attualmente, gli ultrasessantenni nel nostro Paese costituiscono ben il 25 per cento della popolazione totale, mentre gli ultressantacinquenni sono il 19 per cento (negli anziani di 85 anni e oltre, l'incidenza dell'ictus è fra il 20 per cento ed il 35 per cento);
    tuttavia, pur avendo una maggiore incidenza nell'età anziana, l'ictus può colpire anche i giovani e talora anche i bambini. La proporzione della patologia che si manifesta in soggetti di età inferiore ai 45 anni è pari a circa il 5,5 per cento di tutti gli ictus nei Paesi occidentali, mentre circa 10.000 casi, ogni anno, riguardano soggetti con età inferiore ai 54 anni, soggetti in età lavorativa quindi, per i quali l'impatto della malattia, in termini di riduzione dell'autosufficienza e di incidenza dei bisogni assistenziali, risulta particolarmente gravoso con conseguenze in ambito familiare e sociale estremamente rilevanti. Nel complesso, il costo medio annuo per ciascun paziente con disabilità grave (circa 400.000 nella sola Italia) a carico di famiglia e collettività – escludendo i costi a carico del servizio sanitario nazionale (SSN) (quantificati ad oggi in circa 3,5 miliardi di euro/anno) – è di circa 30.000 euro, per un totale di circa 13-14 miliardi di euro/anno. Questa cifra, che rappresenta il 78,8 per cento dei costi totali indotti dalla patologia, si riferisce sia alla riduzione di produttività relativa alla perdita di lavoro dei pazienti, che ai costi legati all'assistenza prestata dai familiari;
    una corretta strategia di prevenzione dell'ictus cerebrale rientra nell'ambito più generale della prevenzione e controllo delle patologie croniche nel loro complesso;
    l'Italia si è dotata del Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie (CCM) che è un organismo di coordinamento tra il Ministero della salute e le regioni per le attività di sorveglianza, prevenzione e risposta tempestiva alle emergenze;
    lo strumento fondamentale di pianificazione definito dal Ministero della salute è rappresentato dal piano nazionale della prevenzione (PNP). Il nuovo PNP 2014-2018, al fine di «ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbosità, mortalità e disabilità delle malattie non trasmissibili», tra cui sono comprese le malattie cerebrovascolari, promuove una strategia di promozione della salute e di sensibilizzazione della popolazione sui vantaggi collegati all'adozione di stili di vita sani in una visione che abbracci l'intero corso della vita;
    le strategie sull'individuo, invece, prevedono la prevenzione dei fattori di rischio comportamentali e intermedi, perseguita mediante la loro diagnosi precoce e la modificazione degli stili di vita. Le politiche che incidono sulla riduzione della mortalità e della morbosità delle malattie cerebrovascolari, intervenendo sui fattori di rischio modificabili, devono essere adottate fin dalla giovane età in modo da mantenere nel corso della vita un profilo di rischio favorevole;
    sulla prevenzione primaria, che resta l'arma più valida e importante per combattere questo tipo di patologie molto è stato fatto, tanto che alcune azioni come controllo della pressione sanguigna, della glicemia e del colesterolo, attività fisica e stili di vita salutari, stanno lentamente entrando nella quotidianità di tutti. A questo scopo l'Italia, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2007, si è dotata di un programma strategico «Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari», che promuove la salute come bene collettivo, attraverso la condivisione delle responsabilità fra i cittadini e la collettività. Il programma «Guadagnare Salute», infatti, si propone di intervenire sui quattro principali fattori di rischio modificabili delle malattie croniche (fumo, abuso di alcol, dieta scorretta e inattività fisica);
    esistono, tuttavia, altri fattori di rischio sui quali non esiste ancora piena consapevolezza tra i cittadini, mentre l'azione di informazione e prevenzione da parte del Servizio sanitario nazionale risulta ancora insufficiente, con particolare riferimento alla fibrillazione atriale (FA). E, sebbene i soggetti affetti da fibrillazione atriale abbiano un rischio ictus molto maggiore rispetto ai soggetti sani, le evidenze scientifiche a livello internazionale indicano, tuttavia, una sottovalutazione dei rischi legati alla patologia, che si traduce in gravi carenze sia sul piano diagnostico che terapeutico. Chi soffre di fibrillazione atriale, infatti, ha un rischio di ictus 4-5 volte maggiore, con esiti particolarmente gravi: per il 20 per cento dei pazienti l'ictus si rivela fatale, per il 60 per cento è causa di disabilità;
    il percorso terapeutico più idoneo per la profilassi dell'ictus correlato a fibrillazione atriale è definito da linee guida internazionali, europee e nazionali che individuano nella terapia anticoagulante quella più appropriata per i pazienti affetti da fibrillazione atriale. Infatti, nonostante l'ingresso dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) che offrono una migliore efficacia, sicurezza e comodità per la maggioranza dei pazienti affetti da fibrillazione atriale, permangono ancora molte criticità nella cura di un grande numero di pazienti che non riescono ad accedere alle terapie appropriate. Degno di nota, a tal proposito, è un progetto CCM 2014 dal titolo «Progetto FAI: la fibrillazione atriale in Italia. La medicina di iniziativa e il medico di medicina generale per garantire l'accesso a servizi e cure efficaci riducendo i costi per il SSN e i costi sociali legati all'elevato rischio di ictus cerebrale». Il progetto si poneva come obiettivo di valutare la frequenza di fibrillazione atriale, stimandone il relativo rischio cardioembolico e le relative necessità terapeutiche, attraverso la validazione di una metodologia di screening da proporre ai medici di medicina generale. Si calcola che la popolazione che presenta un bisogno clinico non soddisfatto corrisponde al 65 per cento del totale (dati del sistema epidemiologico regionale del Veneto), con forti disparità fra le diverse regioni. Nello specifico, più di mezzo milione di pazienti non riceve un trattamento adeguato a copertura del rischio d'ictus cerebrale. In totale, nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare: il 16,5 per cento non viene trattato; il 15,2 per cento viene trattato con Warfarin pur avendo INR (Rapporto internazionale normalizzato) instabile; il 37,5 per cento viene trattato con aspirina;
    alcune regioni, inoltre, hanno stabilito una quota massima di pazienti ai quali è somministrabile la terapia NA: alcune la hanno individuata nel 30 per cento dei nuovi pazienti, altre nel 20 per cento. Malgrado questo approccio restrittivo in quelle stesse regioni il numero dei pazienti in terapia non ha raggiunto nemmeno il 50 per cento del tetto previsto;
    è evidente, quindi, che esiste un oggettivo problema di informazione ed una difficoltà di accesso alle nuove terapie che passa anche attraverso difficoltà burocratiche, restrizioni per i soggetti che possono prescrivere la terapia e diffidenza;
    uno studio osservazionale, eseguito in 16 regioni italiane, ha evidenziato che sussiste un tempo eccessivamente lungo tra il momento in cui il paziente si rende conto che «c’è qualcosa che non va» e il momento in cui viene presa la decisione di recarsi in ospedale;
    il concetto di « time is brain» ha portato al centro della riflessione sull'ictus cerebrale il problema del tempo che intercorre tra l'esordio sintomatologico di un ictus acuto e l'effettivo accesso del paziente alla terapia, soprattutto per quanto riguarda la trombolisi farmacologica o la trombectomia meccanica. In diverse migliaia di casi, infatti, si potrebbero azzerare o ridurre drasticamente gli effetti invalidanti dell'ictus con delle cure adeguate prestate nelle primissime ore dalla comparsa dei sintomi. La somministrazione del trattamento trombolitico farmacologico entro le prime 4-5 ore dall'inizio dei sintomi consente, a circa un terzo delle persone colpite da ictus ischemico, di rientrare rapidamente nelle proprie abitazioni, completamente guarite, e ad un altro 50 per cento di tornare a casa in buone condizioni funzionali. Ma proprio in questa fase si presenta uno dei problemi del sistema sanitario nazionale rispetto alla patologia: in molte regioni italiane non esiste il codice ictus per il trasporto del paziente e quindi il personale del 118, pur riconoscendo i sintomi dell'ictus, è tenuto, in base ai protocolli vigenti, a portare il paziente al pronto soccorso più vicino, anche se non dotato di unità neurovascolare (stroke unit), aggiungendo quindi tempi morti a quelli che già si perdono nel riconoscimento dei sintomi;
    in Italia le unità neurovascolari, vale a dire i centri adeguatamente preparati per trattare gli ictus sono realtà a macchia di leopardo. Il Ministero della salute stima che dovrebbero esserne presenti oltre 300 (numero ottimale 350), mentre ne risultano operative meno di 170, concentrate principalmente nel Nord Italia. Si va dalle 42 della Lombardia alle 5 della regione Sicilia, passando per Napoli che non ne ha nessuna. Si pensi che nel Meridione si muore più di ictus cerebrale che di infarto del miocardio proprio perché le unità neurovascolari sono quasi assenti. Purtroppo, la mancanza di una buona copertura nazionale così come di una rete assistenziale integrata fa sì che l'ictus abbia conseguenze molto gravi non solo per il paziente ma anche per i suoi familiari. La carenza strutturale, soprattutto al centro-sud, rappresenta un vero problema sul quale intervenire. Perché, se da un lato, agendo precocemente si salvano i pazienti da gravi invalidità permanenti, dall'altro il sistema sanitario risparmia sui costi associati al post ictus. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 3 febbraio 2005, ha sancito l'accordo concernente le «Linee di indirizzo per la definizione del percorso assistenziale dei pazienti con ictus cerebrale». L'Accordo contiene tutti gli elementi di indirizzo basati su prove di efficacia, in termini di miglioramento degli esiti clinici e funzionali di un sistema organizzato di cura per l'ictus cerebrale. Un progetto del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie del 2008 dal titolo «Promozione dell'assistenza all'ictus cerebrale in Italia» aveva come obiettivo quello di favorire l'attuazione sistematica dell'accordo Stato-regioni del 3 febbraio 2005 attraverso il monitoraggio e l'audit delle esperienze regionali, individuando gli ostacoli alla implementazione e evidenziando gli strumenti organizzativi, gestionali e formativi per superarli. È stata monitorata la situazione organizzativa ed assistenziale dell'ictus cerebrale su tutto il territorio nazionale, sono stati esaminati i decreti e le delibere regionali sull'assistenza all'ictus elaborati dalle singole regioni nel corso degli anni ed è stata confrontata l'aderenza e la corrispondenza con gli elementi assistenziali definiti come prioritari nella «Conferenza Stato-regioni» di cui sopra. Anche per questo l'Italia ha fatto recentemente un enorme passo in avanti con il decreto del Ministro della salute n. 70 del 2 Aprile 2015 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 giugno 2015). Il testo del decreto declina benissimo sia gli standard ospedalieri per le varie patologie, sia l'organizzazione delle unità neurovascolari di primo e di secondo livello. Il decreto è scaturito dalla cosiddetta legge Balduzzi dopo una lunga disamina e una sostanziale approvazione da parte della Conferenza Stato-regioni. Le novità elencate corroborano sicuramente la causa dell'ictus, ma non hanno ancora la forza impositiva di una legge specificamente dedicata al fenomeno;
    in Italia, le persone che hanno avuto un ictus e sono sopravvissute, con esiti più o meno invalidanti, sono oggi circa 940.000, ma il fenomeno è in costante crescita, a causa dell'invecchiamento della popolazione. Per quanto riguarda il costo medio dell'assistenza, per i primi tre mesi dopo un ictus, si parla di circa 6.000 euro per ogni caso (la fonte è lo studio europeo Ec/Stroke Project). Negli ultimi anni si è passati da un tempo medio di riabilitazione in strutture ospedaliere di 6 mesi a circa 45 giorni, ribaltando così sulle famiglie i costi sociali ed economici del percorso post acuto. Una possibile soluzione potrebbe essere quella della teleriabilitazione domiciliare. Si veda, a tal proposito, la recente indagine di Agenas «Indagine conoscitiva sulla diffusione della tele-assistenza per la gestione del paziente nella riabilitazione post-ictus». Tuttavia, ad oggi, non è ancora prevista nei prontuari regionali la rimborsabilità di questa prestazione;
    in aggiunta alla trombolisi farmacologica, che per lungo tempo ha rappresentato il trattamento standard per lo stroke cerebrale, i risultati di diversi studi internazionali randomizzati (a titolo esemplificativo, Mr. Clean-Paesi Bassi e Swift Prime-USA/Europa) evidenziano un miglioramento degli outcome clinici nei pazienti trattati con un procedimento di trombectomia Meccanica o con associazione di trombolisi e trombectomia. I vantaggi di tale tecnica si riscontrano già a partire dalla finestra temporale di intervento che si colloca tra le 6 e le 8 ore dopo i primi sintomi clinici, rispetto alle 4,5 ore disponibili per la trombolisi, consentendo quindi un più ampio raggio d'azione. Tale caratteristica risulta fondamentale alla luce di quanto sottolineato al paragrafo precedente. La trombectomia meccanica, combinata o meno con la trombolisi, ha indiscutibilmente dimostrato la sua efficacia in termini di positivi cambiamenti neurologici nei pazienti selezionati tramite imaging e con ictus da occlusione prossimale, che rappresenta il 45 per cento del totale degli eventi. Mentre in tali casi, i più pericolosi, la sola trombolisi ha mostrato i suoi limiti, la trombectomia meccanica effettuata in centri specializzati permette di effettuare con successo la rimozione del coagulo di sangue in circa il 90 per cento dei casi, riducendo il rischio di recidive e disabilità. I risultati di questi studi sembrano dunque confermare un notevole miglioramento degli outcome di pazienti colpiti da ictus cerebrale: a riprova di ciò, le società scientifiche italiane ed europee hanno già riconosciuto questa tecnica e hanno già iniziato la revisione delle proprie linee guida per il trattamento dello stroke,

impegna il Governo:

   a incentivare la prevenzione e la diagnosi dell'ictus cerebrale e della fibrillazione atriale che può provocarlo, rendendo organici e fruibili tutti i dati scientifici, medici e statistici che riguardano questa condizione;
   ad assumere iniziative per prevedere facilitazioni per l'accesso ai farmaci che curano le predette patologie e agli strumenti utili alla loro prevenzione;
   ad assumere iniziative per sensibilizzare gli operatori sanitari in materia di prevenzione e di informazione sull'ictus cerebrale;
   a riconoscere la fibrillazione atriale come patologia altamente rischiosa e gravemente invalidante, predisponendo, nell'ambito del nuovo piano sanitario nazionale, alla voce «Patologie rilevanti-malattie cardiovascolari e cerebrovascolari», una sezione dedicata alla fibrillazione atriale e all'ictus cardioembolico, in cui sono esposti i progetti di prevenzione, cura e sensibilizzazione nel medio periodo;
   a promuovere l'opportuna conoscenza della fibrillazione atriale e delle carotidopatie, al fine di favorire la diminuzione dei casi individuali e ridurre le complicanze dell'aritmia e delle stenosi carotidee nel lungo periodo;
   ad assumere iniziative affinché l'Istituto superiore di sanità, d'intesa con le regioni e le aziende sanitarie locali, con tutti i centri di ricerca, medici e sanitari, con le associazioni e fondazioni specializzate sullo studio e l'analisi della fibrillazione atriale e delle stenosi carotidee a rischio, con le università e le unità operative complesse delle discipline interessate, nonché con le aziende produttrici di farmaci e con le aziende produttrici di dispositivi per il trattamento della fibrillazione atriale e la prevenzione dell'ictus, predisponga un rapporto annuale sull'ictus cerebrale ischemico, che tenga conto di ogni dato utile disponibile;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con le regioni, affinché siano inseriti nei piani sanitari regionali i temi della fibrillazione atriale e dell'ictus cardioembolico al fine di rendere disponibili, nel territorio nazionale, in modo equo e uniforme, le nuove opportunità terapeutiche previste per un corretto trattamento di tali patologie;
   a promuovere, in collaborazione con le regioni, percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali mirati e di carattere multidisciplinare pianificando e coordinando l'attività condivisa tra presìdi ospedalieri e centri per la gestione e la cura della fibrillazione atriale per indirizzare il paziente verso le scelte terapeutiche più idonee;
   a predispone un piano d'incentivazione per la produzione e la commercializzazione dei farmaci antiaritmici di ultima generazione e dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), predisponendo, altresì, un piano logistico per garantire la massima diffusione sul territorio nazionale dei medicinali di ultima generazione e assumendo iniziative per rimuovere il limite nella prescrizione dei nuovi anticoagulanti orali per molte categorie di medici, in particolare per i medici di medicina generale;
   a incoraggiare e sviluppare modalità migliori per erogare costantemente informazioni sull'ictus, ai professionisti e ai decisori pubblici, oltreché al pubblico generale, sensibilizzando l'opinione pubblica anche all'adozione di stili di vita salubri, al fine di prevenire e contrastare le malattie cardiovascolari;
   a promuovere, in collaborazione con le regioni, l'implementazione delle unità neurovascolari di I e di II livello, secondo quanto previsto dal decreto del Ministero della salute n. 70 del 2 aprile 2015;
   a promuovere, in collaborazione con le regioni, una ricognizione delle risorse umane disponibili necessarie e specifiche alla implementazione delle unità neurovascolari, e quindi di dirigenti medici specialisti in neurologia e specialisti in neuroradiologia, e ad assumere iniziative per implementarne la dotazione organica laddove questa sia carente;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con le regioni, per controllare annualmente il numero di pazienti eleggibili alla trombolisi che sono stati realmente trattati, con la finalità di raggiungere il 100 per cento entro 5 anni;
   ad incentivare le società scientifiche di settore a mettere a punto un piano per la formazione di professionisti competenti nei trattamenti di rivascolarizzazione endoarteriosa;
   ad assumere iniziative, in collaborazione con le regioni, per assicurare un numero di posti letto appropriato e implementare percorsi adeguati e tempestivi per la riabilitazione post-ictus;
   ad avviare iniziative per permettere una rapida diffusione della trombectomia meccanica su tutto il territorio nazionale e garantire maggiori opportunità terapeutiche a beneficio di tutti i pazienti.
(7-01134) «Marazziti, Gigli».