• C. 4099 EPUB Proposta di legge presentata il 17 ottobre 2016

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Atto a cui si riferisce:
C.4099 Concessione di amnistia e indulto


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4099


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MARAZZITI, CICCHITTO, BARADELLO, BRUNO BOSSIO, CAPELLI, FAUTTILLI, GIGLI, SANTERINI, LACQUANITI
Concessione di amnistia e indulto
Presentata il 17 ottobre 2016


      

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Onorevoli Colleghi! — Le condizioni di vita in carcere in Italia sono purtroppo ancora in troppi casi degradanti. I diritti fondamentali sono purtroppo spesso negati ai detenuti, anche per quanto riguarda la salute. Nel 2008 fu approvata un'importante riforma della sanità penitenziaria che trasferiva le competenze della medicina penitenziaria dal Ministero della giustizia al Ministero della salute e, dunque, al Servizio sanitario nazionale. Discende direttamente da uno dei princìpi fondamentali della nostra Carta costituzionale – quello dell'uguaglianza, sancito dall'articolo 3 – l'assunto alla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 30 maggio 2008, ovvero che i detenuti e gli internati hanno gli stessi diritti del cittadino libero nei campi della prevenzione, della diagnosi e della cura. Tuttavia, a otto anni dalla sua approvazione, permangono ancora criticità e molti problemi restano aperti e c'è chi parla di «riforma incompiuta». Mancano modelli organizzativi omogenei per la medicina penitenziaria tra i diversi territori, dovrebbe essere assicurata la stabilizzazione del personale medico e infermieristico laddove ci sono continui turnover, permangono lunghe liste di attesa per ricoveri, visite ed esami specialistici e i posti nei reparti detentivi degli ospedali sono insufficienti. Cure essenziali vengono messe a rischio dall'organizzazione penitenziaria e dalla carenza di personale sufficiente quando esse debbano essere garantite in strutture esterne, incluse le cure oncologiche.
      Una percentuale molto ridotta della popolazione carceraria, inoltre, ha accesso al lavoro. L'inattività e percorsi troppo spesso passivizzanti hanno effetti controproducenti rispetto al progetto di vita, alle condizioni di salute mentale e al percorso di riabilitazione.
      Una situazione, quella descritta, aggravata dal problema del sovraffollamento carcerario che nel nostro Paese è di natura strutturale.
      Questo è quanto hanno rilevato e scritto i giudici della Corte europea dei diritti umani (CEDU) di Strasburgo nella sentenza con la quale, nel maggio 2013, l'Italia è stata condannata per la seconda volta (una prima condanna era arrivata nel 2009) a causa delle inumane e degradanti condizioni carcerarie in cui si trovano i detenuti.
      La sentenza della CEDU afferma, altresì, che la privazione della libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o una misura di ultima istanza e dovrebbe pertanto essere prevista soltanto quando la gravità del reato renda qualsiasi altra sanzione o misura manifestamente inadeguata. L'ampliamento del parco penitenziario dovrebbe essere piuttosto una misura eccezionale in quanto, in generale, non è adatta a offrire una soluzione duratura al problema del sovraffollamento.
      Dopo la pronuncia della CEDU varie disposizioni normative e amministrative sono state adottate sia per migliorare la qualità della vita negli istituti penitenziari che al fine di ridurre la popolazione carceraria, anche nella prospettiva di rimettere in circolazione risorse ed energie.
      È assolutamente impensabile che il doveroso esercizio della pretesa punitiva e l'interesse dello Stato a soddisfare integralmente la medesima possano giustificare la lesione dei diritti inviolabili della persona oltre la soglia naturalmente sottesa alla legittima privazione della libertà personale e all'espiazione della pena.
      La dignità contiene l'essenza della condizione umana, la sua immutabilità, ma anche il suo realizzarsi in una continua evoluzione, il doversi confrontare con sempre nuove possibilità di offesa ed esigenze di tutela. È in questa direzione che gli Stati generali sul sistema carcerario e l'esecuzione della pena, promossi dal Ministero della giustizia, hanno individuato un vasto campo di provvedimenti operativi da mettere in campo all'interno delle modalità di esecuzione della pena, ma che ancora attendono una traduzione nella pratica carceraria. L'esecuzione esterna della pena e percorsi anticipati di reinserimento sociale fanno parte dei percorsi individuati dagli esperti che hanno contribuito ai lavori degli Stati generali. È in questa direzione, con pensiero innovativo, che anche un disegno di amnistia può trovare giustificazione, se opportunamente mirato, non come elemento di incertezza sulle pene ma come «patto» per un reinserimento anticipato del detenuto nella società, accompagnato da misure concrete di reinserimento sociale e di collaborazione della società civile.
      Il contesto penitenziario ha diverse caratterizzazioni che ne fanno un ambiente particolare, nel quale le limitazioni imposte dallo stato detentivo, aggravate dalla condizione dovuta al sovraffollamento, possono produrre effetti devastanti sulla personalità delle persone detenute, facilitando spesso stati di regressione e di deresponsabilizzazione. È un contesto nel quale il rischio di violazione dei diritti umani è più che probabile, in quanto dietro la più o meno esplicita necessità di tutelare legittimi interessi di sicurezza e difesa sociale possono attecchire forme concrete di violazione dei diritti.
      Dunque, le parole guida di un discorso etico nel settore penitenziario diventano dignità e responsabilità: entrambe queste parole fanno riferimento alla persona umana.
      È importante sottolineare come il tema dello spazio della pena rimandi anche a un concetto di spazio fisico, da intendere non solo nel senso restrittivo di luogo in cui viene eseguita la pena ma, in senso più ampio, quale spazio di vivibilità della detenzione.
      Nonostante le oggettive difficoltà per superare l'emergenza è necessario porre alla base della propria azione la centralità e i diritti della persona, rimodulando, ove occorra, anche gli aspetti organizzativi per addivenire, in tal modo, a un miglioramento delle condizioni della vita detentiva capovolgendo l'ottica e passando, di conseguenza, dal controllo e dalla costrizione al rafforzamento della responsabilità delle singole persone detenute.
      Di conseguenza, la responsabilizzazione diviene un percorso necessario, fatto di progetti e di obiettivi da raggiungere, con lo scopo ultimo di imprimere nel detenuto una forte motivazione al cambiamento.
      Il sovraffollamento degli istituti penitenziari contribuisce non solo a creare una situazione di vera e propria «legalità sospesa», ma esso finisce per essere, altresì, un ostacolo alla realizzazione dello stesso dettato costituzionale, laddove all'articolo 27, terzo comma, dispone che: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».
      La funzione rieducativa, volta a cogliere l'occasione della condanna penale per perseguire una nuova socializzazione e il recupero del condannato, costituisce anche la ratio giustificatrice delle pene sostitutive (articolo 53 della legge n. 689 del 1981) e delle misure alternative alla detenzione (articoli 47-54 della legge n. 354 del 1975); queste ultime possono evitare al detenuto la permanenza in stabilimenti carcerari (affidamento in prova, detenzione domiciliare) o ridurre la durata della permanenza in carcere (semilibertà, liberazione anticipata per riduzione di pena), come descritto dalla citata legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà», e dal successivo regolamento di esecuzione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000.
      Anche se il sistema penitenziario italiano è ancora sovraffollato, il numero di detenuti è in diminuzione di circa 11.500 unità negli ultimi 18 mesi e in molte strutture carcerarie i detenuti sono ora autorizzati a trascorrere una parte significativa della giornata fuori dalle loro celle. Da rilevare a questo proposito che le risorse così risparmiate possono essere destinate, in parte, ai percorsi di riabilitazione affinché si giunga all'affermazione concreta e reale di una visione del carcere non solo punitiva ma rieducativa: è il cosiddetto carcere aperto in cui si offre al detenuto l'opportunità di compiere lavori socialmente utili, di studiare, di lavorare, di fare formazione professionale e di svolgere attività ricreative e sportive; l'obiettivo è permettere di impegnarsi in qualcosa in modo da rendere istruttivo e propositivo il periodo di detenzione, in vista del futuro ritorno nella società reale.
      Nell'ambito di una riflessione su un tipo di giustizia non «vendicativa», bensì «riparativa», finalizzata non solo all'effettivo reinserimento nella realtà esterna al carcere del condannato ma ancor più alla ricostruzione della sua persona, assume un rilievo centrale il tema del perdono. Perdono inteso come accompagnamento nel percorso di espiazione della colpa. Lo spunto, a questo proposito, è certamente l'invito alla «misericordia» di Papa Francesco, pensiero portante del Giubileo che si è aperto l'8 dicembre 2015. Un concetto, quello del perdono, ribadito più volte dal Santo Padre che nei suoi interventi sul tema della giustizia ha giustamente chiarito come il rendere giustizia alla vittima sia altra cosa dal giustiziare l'aggressore. Sarebbe, infatti, un errore identificare la riparazione solo con il castigo, confondere la giustizia con la vendetta, perché questo contribuirebbe solo ad accrescere la violenza, pur se istituzionalizzata.
      Il perdono, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è uno sgravio di responsabilità ma, al contrario, come accennato, richiama alla responsabilità. La vittima e la comunità hanno la responsabilità di riaccogliere il reo e il reo ha la responsabilità di riparare in qualche modo la vittima e la comunità. Il risultato è un rovesciamento dell'ostilità in reciprocità. Il perdono è parte costitutiva del percorso di responsabilità.
      È ovvio, ma è bene ribadirlo, che tutto quanto esposto ha come premessa, inevitabilmente, il principio della certezza della pena e che non si dimentichi che dietro ogni condannato e detenuto c'è una parte offesa che merita certamente rispetto e giustizia per quanto sofferto.
      L'amnistia – e ugualmente l'indulto – non inficiano, infatti, la certezza delle sentenze o il processo penale. La certezza della pena è un elemento di sicurezza per la società. Ma c'è un percorso di riconciliazione, attraverso l'amnistia e l'indulto, dell'intera società con chi ha sbagliato – con reati lievi e comunque non di allarme sociale – che produce maggiore sicurezza collettiva e minimizza gli effetti indesiderati di un'esecuzione della pena troppo concentrata sul sistema carcerario.
      Si precisa, infine, che l'amnistia – come atto di clemenza – rientra nel novero dei provvedimenti eccezionali, concesso in presenza di condizioni precise e mirate.
      In questo contesto e in ottemperanza al dettato costituzionale che affida al Parlamento un potere clemenziale, la presente proposta di legge concede l'amnistia per tutti i reati commessi entro il 1° gennaio 2016 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena detentiva, ferme restando alcune esclusioni per i reati connotati da maggiore pericolosità sociale (mafia, crimine organizzato, stupro e violenze sessuali di varia natura) nonché per quelli contro la persona (sfruttamento della prostituzione) o a danno dello Stato.
      Analoghe esclusioni sono previste per l'indulto che è concesso nella misura di tre anni per le pene detentive e di euro 10.000 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive.
      Si tratta di misure di natura eccezionale che proprio in quanto tali devono, in ogni caso, precedere o essere affiancate a un intervento normativo ad hoc che vada a incidere in maniera strutturale sul sistema penale sostanziale e processuale nonché sull'ordinamento penitenziario, con l'obiettivo di rendere il carcere l’extrema ratio e la sanzione penale residuale – riservata solo ai fatti più gravi – rispetto al favor libertatis, principio cardine rispetto al quale vanno lette le norme costituzionali e di fonte primaria.
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PROPOSTA DI LEGGE
Capo I
Art. 1
(Amnistia).

      1. È concessa amnistia per tutti i reati commessi entro il 1° gennaio 2016 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla suddetta pena detentiva. Non si applicano le esclusioni di cui al quinto comma dell'articolo 151 del codice penale.
      2. L'amnistia di cui al comma 1 non si applica ai seguenti reati:

          a) i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli, 416-bis (associazioni di tipo mafioso anche straniere), 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601 (tratta di persone) 602 (acquisto e alienazione di schiavi) e 630 (sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione) del codice penale;

          b) i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;

          c) i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;

          d) i delitti previsti dall'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;

          e) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 285 (devastazione, saccheggio e strage) del codice penale;

          f) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 422 (strage) del codice penale;

          g) i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 600-quater.1 (pornografia virtuale), 600-quinquies (iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 600-octies (impiego di minori nell'accattonaggio) e 603-bis (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro) del codice penale;

          h) i delitti di cui agli articoli 648-bis (riciclaggio), 648-ter (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e 648-ter.1 (autoriciclaggio) del codice penale;

          i) i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

          l) il delitto, consumato o tentato, di cui agli articoli 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale;

          m) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 612-bis (atti persecutori) del codice penale;

          n) delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi) del codice penale;

          o) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 575 (omicidio) del codice penale;

          p) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 628, terzo comma (rapina aggravata), e 629, secondo comma (estorsione aggravata), del codice penale;

          q) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico;

          r) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 416 del codice penale, se realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dal libro secondo, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice;

          s) il delitto, consumato o tentato, di cui all'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

          t) i delitti di cui agli articoli 314, primo comma (peculato), e 317 (concussione) del codice penale;

          u) il delitto per il quale ricorra taluna delle circostanze aggravanti di cui:

          1) all'articolo 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15;

          2) all'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203;

          3) all'articolo 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

      3. L'amnistia non si applica qualora l'interessato dichiari di non volerne usufruire.

Art. 2
(Computo della pena per l'applicazione dell'amnistia).

      1. Ai fini del computo della pena per l'applicazione dell'amnistia di cui all'articolo 1:

          a) si ha riguardo alla pena stabilita per ciascun reato consumato o tentato;

          b) non si tiene conto dell'aumento di pena derivante dalla continuazione e dalla recidiva, anche se per quest'ultima la legge stabilisce una pena di specie diversa;

          c) si tiene conto dell'aumento di pena derivante dalle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o dalle circostanze ad effetto speciale. Si tiene conto delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 61, numero 7), del codice penale. Non si tiene conto delle altre circostanze aggravanti;

          d) si tiene conto della circostanza attenuante di cui all'articolo 98 del codice penale nonché, nei reati contro il patrimonio, delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62, numeri 4) e 6), del codice penale. Quando le predette circostanze attenuanti concorrono con circostanze aggravanti di qualsiasi specie, si tiene conto soltanto delle prime.

Capo II
Art. 3
(Indulto).

      1. È concesso indulto per tutti i reati commessi entro il 1° gennaio 2016, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a euro 10.000 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive. Non si applicano le esclusioni di cui al quinto comma dell'articolo 151 del codice penale.
      2. L'indulto non si applica alle pene per i delitti di cui al comma 2 dell'articolo 1.
      3. L'indulto non si applica nei casi già rientranti nell'ambito di applicazione della legge 31 luglio 2006, n. 241.

Art. 4
(Revoca dell'indulto).

      1. Il beneficio dell'indulto è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.