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Atto a cui si riferisce:
S.1/00682 premesso che: è notorio come, negli ultimi anni (almeno 6), il legislatore con molteplici interventi, abbia disposto e reiterato la sospensione della contrattazione collettiva, la qual...



Atto Senato

Mozione 1-00682 presentata da LUCIO BARANI
martedì 8 novembre 2016, seduta n.716

BARANI, MAZZONI, AMORUSO, AURICCHIO, COMPAGNONE, CONTI, D'ANNA, FALANGA, GAMBARO, IURLARO, LANGELLA, Eva LONGO, MILO, PAGNONCELLI, PICCINELLI, RUVOLO, SCAVONE, VERDINI - Il Senato,

premesso che:

è notorio come, negli ultimi anni (almeno 6), il legislatore con molteplici interventi, abbia disposto e reiterato la sospensione della contrattazione collettiva, la qual cosa ha comportato come conseguenza che le sigle sindacali più rappresentative non potessero sedersi al tavolo delle trattative per contrattare e ottenere nel comparto pubblico l'adeguamento delle retribuzioni e degli altri istituti contrattuali;

la Corte costituzionale, con sentenza n. 178 del 2015, ha dichiarato incostituzionale "a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nei termini indicati in motivazione, del regime di sospensione della contrattazione collettiva", poiché le norme impugnate, di fatto, disponevano il blocco dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego per il triennio 2010-2012, con possibilità di proroga fino al 2014, "congelando" il trattamento economico percepito dai dipendenti;

nelle more del giudizio pendente innanzi alla Consulta, il legislatore, con l'art. 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), ha disposto la sospensione delle procedure negoziali, per la parte economica, fino al 31 dicembre 2015 e il "congelamento" dell'indennità di vacanza contrattuale fino al 2018;

nelle motivazioni di detta sentenza, si dà rilievo alla notevole importanza che riveste il contratto per il pubblico impiego: esso riguarda sia l'aspetto economico (nelle sue componenti sia fondamentali che accessorie) che i diritti e gli obblighi pertinenti al rapporto di lavoro, nonché materie relative alle relazioni sindacali;

eccetto il limitato ambito di intervento del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche", la contrattazione collettiva nazionale e quella integrativa di comparto regolamentano, quasi in toto, il rapporto sinallagmatico esistente tra il datore di lavoro pubblico ed i dipendenti contrattualizzati. Il contratto collettivo nazionale di lavoro e, di conseguenza, il contratto collettivo nazionale integrativo hanno, dal 2009, una durata triennale; in precedenza, la durata era di 4 anni, suddivisa, per la parte economica, in 2 bienni;

in passato, il trattamento economico del pubblico impiego godeva di incrementi, correlati al tasso di inflazione programmata;

anche se appare di minore importanza, l'aspetto giuridico della contrattazione collettiva involge effetti rilevanti per i lavoratori: dall'ordinamento professionale alla determinazione dei requisiti per la progressione in carriera; dalle procedure di raffreddamento alla rappresentanza sindacale; dalla composizione delle delegazioni di parte pubblica e di parte sindacale per la contrattazione collettiva ai diritti sindacali (modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative, permessi e determinazione delle prerogative sindacali), dagli emolumenti accessori (legati allo svolgimento di determinate attività) alle procedure di mobilità volontaria o coatta;

è evidente che il blocco, per oltre un quinquennio, ha irragionevolmente limitato quelle libertà che proprio nella libertà di contrattazione hanno la loro espressione caratteristica;

le libertà e la rappresentanza sindacali, e tra esse la contrattazione collettiva, non godono di tutela soltanto sulla base dell'art. 39 della Costituzione, ma trovano copertura giuridica sovranazionale che, insieme e in modo complementare, orientano le decisioni sia della Consulta che delle Corti europee. Tra queste: la Convenzione OIL n. 87 (firmata a San Francisco il 17 giugno 1948), la n. 98 (firmata a Ginevra l'8 giugno 1949), la n. 151 (firmata a Ginevra il 27 giugno 1978), tutte ratificate e rese esecutive con leggi nazionali. In ambito europeo, l'art. 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), rubricato "Libertà di riunione e di associazione", sancisce il diritto "di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi". In tale dizione, secondo una ormai consolidata interpretazione estensiva, la Corte europea dei diritti dell'uomo individua la correlazione tra libertà sindacale e contrattazione collettiva. Non da meno è la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che, a seguito delle modifiche al trattato sull'Unione europea, introdotte dal Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, che ha conferito lo stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6, comma 1), all'art 12 attribuisce ad ogni individuo il diritto alla libertà di riunione pacifica in campo politico, sindacale e civico, con la possibilità di fondare sindacati o di aderirvi per la difesa dei propri interessi;

ancor di più, l'art. 26 sancisce il diritto (dei lavoratori e dei datori di lavoro o delle rispettive organizzazioni) di negoziare e di concludere contratti collettivi;

la Corte costituzionale, ai fini della decisione, non ha ritenuto rilevante solo l'aspetto economico della contrattazione, ma la contrattazione in quanto tale, sotto le sue varie sfaccettature;

certamente l'aspetto economico non è l'unico che coinvolge le parti, ma sicuramente di grande rilevanza, tanto da essere quello più diffusamente percepito dai lavoratori;

ma la Corte si spinge oltre, evidenziando che il blocco pluriennale della dinamica salariale non è di per sé illegittimo: esso richiede il bilanciamento tra la pretesa dei lavoratori pubblici all'aumento delle retribuzioni e le esigenze di bilancio e di programmazione economica in relazione alla grave crisi economica internazionale e alla previsione del pareggio di bilancio e di risanamento economico imposto dall'art. 81 della Costituzione;

il giudice delle leggi, da quel che si deduce dalla parte motiva della sentenza, avrebbe, probabilmente, dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del blocco dei contratti anche in relazione all'art. 39 della Costituzione, se non fosse intervenuta, nelle more del giudizio, la legge n. 190 del 2014. Ciò perché quest'ultima ha disposto non solo la sospensione delle procedure negoziali fino al 31 dicembre 2015, ma anche il congelamento dell'aggiornamento dell'indennità di vacanza contrattuale, quale possibilità prevista dalla legge di stabilità per il 2015 per il triennio 2015-2017, fino al 2018. In altre parole, il blocco della contrattazione collettiva, anche se con orizzonte temporale a medio termine (5-6 anni), non è in quanto tale illegittimo, ma, come sottolineato dalla Consulta, è innegabile che tali periodi debbano essere comunque definiti e non possano essere protratti senza limite di tempo;

la Consulta sostiene ancora che "Il reiterato protrarsi della sospensione delle procedure di contrattazione economica altera la dinamica negoziale in un settore che al contratto collettivo assegna un ruolo centrale". Da qui l'illegittimità costituzionale della sequenza di norme che dal 2010 ha bloccato la contrattazione nazionale collettiva riguardante il lavoro pubblico, violando l'articolo 39, comma 1, della Costituzione e, dunque, le prerogative sindacali;

in forza della sentenza della Corte costituzionale, il Governo ha l'obbligo, quindi, di riaprire al più presto i tavoli negoziali;

infatti la Consulta ha fatto salvi gli effetti pregressi dei vari blocchi succedutisi nel tempo, perché ha ritenuto coerenti con la pluriennalità dei bilanci pubblici una durata a sua volta pluriennale di una misura di contenimento della spesa pubblica, espressamente adottata per fare fronte a una situazione di emergenza finanziaria; il legislatore, dunque, ben poteva disporre un blocco della contrattazione prolungato, nell'ambito di un disegno sostanzialmente unitario di risanamento finanziario. Le proroghe alla durata iniziale di 3 anni del blocco, secondo la sentenza, sono da considerare costituzionalmente legittime, in quanto funzionali a rafforzare nel tempo manovre di risparmio;

tuttavia, secondo la Consulta, "se i periodi di sospensione delle procedure negoziali e contrattuali non possono essere ancorati al rigido termine di un anno, individuato dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione a misure diverse e a un diverso contesto di emergenza (sentenza n. 245 del 1997, ordinanza n. 299 del 1999), è parimenti innegabile che tali periodi debbano essere comunque definiti e non possano essere protratti ad libitum";

la sentenza, in sostanza, censura "il carattere ormai sistematico" del blocco della contrattazione, che è sconfinato "in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale (art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti normativi e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48 del dlgs n. 165 del 2001), ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all'interno di una coerente programmazione finanziaria (art. 81, primo comma, Cost.)". Sicché "il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall'art. 39 Cost., proprio per questo, non è più tollerabile";

la sentenza rileva che è stata l'entrata in vigore delle disposizioni della legge di stabilità per il 2015 a tendere "a rendere strutturali" i blocchi contrattuali introdotti "per effetto del dpr n. 122 del 2013 e della legge n. 147 del 2013", come dimostrato "dall'art. 1, comma 255, della legge n. 190 del 2014, che, fino al 2018, cristallizza l'ammontare dell'indennità di vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013";

ecco, dunque, perché la Consulta ha ritenuto di far valere l'incostituzionalità della reiterazione del blocco della contrattazione (derivante anche dalla violazione di una fitta elencazione di norme e accordi internazionali) solo per il futuro e non per il passato;

considerato che

la sentenza dà espressamente atto che "sarà compito del legislatore dare nuovo impulso all'ordinaria dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato";

le recenti emergenze sul fronte della sicurezza interna del Paese, e anche la minaccia terroristica sempre incombente obbligano al potenziamento delle azioni di prevenzione attraverso tutte le forze di polizia;

le recentissime emergenze dovute alle scosse sismiche che hanno interessato il Centro Italia e che hanno posto problemi di protezione civile con il coinvolgimento di forze di polizia e vigili del fuoco mostrano come sia necessaria l'ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015,

impegna il Governo:

1) a riaprire nei modi più appropriati il tavolo di contrattazione per il rinnovo dei contratti pubblici;

2) specificamente, a mettere in campo tutte le opportune iniziative affinché siano rinnovati i contratti dei soggetti appartenenti alle forze di polizia, alle forze armate e ai vigili del fuoco, predisponendo all'uopo le necessarie risorse economiche.

(1-00682)