• Testo DDL 2586

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Atto a cui si riferisce:
S.2586 Norme per reprimere lo sfruttamento della prostituzione


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 2586
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del senatore GIOVANARDI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 NOVEMBRE 2016

Norme per reprimere lo sfruttamento della prostituzione

Onorevoli Senatori. -- Il presente disegno di legge ha lo scopo di contrastare efficacemente il fenomeno della prostituzione e della tratta di persone ai fini dello sfruttamento sessuale. Il fenomeno della prostituzione è dilagato negli anni novanta del secolo scorso con l'avanzare della globalizzazione, dell'erosione dei confini nazionali e della conseguente immigrazione di massa verso i Paesi economicamente sviluppati. In Italia le stime indicano una presenza di circa 100.000 persone che si prostituiscono sia sulle strade, che al chiuso. Di queste circa il 25 per cento sono minorenni. Stando ai dati dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nel mondo le persone sfruttate a fini sessuali o lavorativi sono 21 milioni, di cui 5,5 milioni minori d'età. Il 75 per cento delle vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale sono donne e ragazze minorenni. Questi pochi dati mostrano che il tema della tratta di esseri umani è dunque indissolubilmente legato allo sfruttamento sessuale. Inoltre lo sfruttamento sessuale è legato alla violenza di genere, essendo donne la quasi totalità delle persone che si prostituiscono ed essendo uomini i clienti. Numerosi studi hanno mostrato che le persone che si prostituiscono hanno avuto un'infanzia e adolescenza deprivate, in cui hanno subìto abusi, e che provengono da situazioni di povertà. I compratori di sesso, i clienti sfruttano questa situazione di marginalità sociale, così come lo fanno i trafficanti. Gli studi dimostrano, inoltre, che la prostituzione in sé è violenta. Nell'ambito di uno studio internazionale, il 47 per cento delle prostitute ha dichiarato di aver iniziato da minorenne. Inoltre lo studio ha dimostrato che le donne che si prostituiscono soffrono degli stessi disturbi psicologici dei veterani di guerra. Il 68 per cento delle prostitute in nove diversi Paesi ha riscontrato una diagnosi di disordine da stress post traumatico. La percentuale non cambia sia tra coloro che sono nelle case di prostituzione o sulle strade. Non cambia neanche tra i Paesi in cui la prostituzione è legalizzata o è proibita. Le donne costrette a prostituirsi sono soggetti vulnerabili, come riconosciuto dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, in quanto sono più soggette a traumi sessuali, fisici e psichici, alla dipendenza da stupefacenti e alcool, alla perdita di autostima così come a un tasso di mortalità superiore rispetto al resto della popolazione. Oltre agli aspetti riguardanti la persona, sono anche rilevanti quelli che riguardano l'ordine pubblico e il civico decoro per quanto concerne il fenomeno della prostituzione su strada. La Costituzione, agli articoli 2 e 3, esalta il valore della persona umana e dei suoi diritti inalienabili. L'Unione europea, nella Carta dei diritti fondamentali: impone il rispetto e la tutela della dignità umana come valore inviolabile (articolo 1); sancisce il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro (articolo 3); stabilisce che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti (articolo 4). La Convenzione dell'ONU adottata a New York il 21 marzo 1950 per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, resa esecutiva dalla legge 23 novembre 1966, n. 1173, sancisce che deve essere punito chiunque, per soddisfare le passioni altrui, procura, adesca o rapisce un'altra persona, anche se consenziente, al fine di avviarla alla prostituzione, o comunque sfrutta la prostituzione di un'altra persona, anche se consenziente (articolo 1). Nel preambolo si afferma che «la prostituzione e il male che l'accompagna, vale a dire la tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana e mettono in pericolo il benessere dell'individuo, della famiglia e della comunità». Sul punto anche le più recenti ricerche internazionali finanziate dalla Commissione europea per la prevenzione e la lotta contro la criminalità hanno messo in evidenza come la maggior parte dei clienti veda chi offre servizi sessuali come «diversa dalle altre donne», quelle normali, e ha dichiarato che non vorrebbe mai che una persona a loro cara, amica o parente fosse coinvolta. Quasi un terzo dei clienti ha riportato di aver assistito a situazioni di evidente sfruttamento o di aver incontrato minori, ma pochissimi hanno considerato l'ipotesi di fare una denuncia alle Forze dell'ordine, mentre un numero molto alto di clienti ha dimostrato di avere conoscenza del fenomeno della tratta che coinvolge le donne costrette a prostituirsi e alle quali richiedono prestazioni sessuali. È sempre più chiaro come la prostituzione e la tratta a scopo sessuale abbiano le loro radici profonde nella discriminazione e nella disparità tra donne e uomini, nella violenza fisica e psicologica fondata sul genere e come l'attenzione al contrasto del traffico di donne debba passare per l'eradicazione della perpetuazione di stereotipi sessisti, della femminilizzazione della povertà e della mancanza di opportunità professionali nei Paesi di origine. La cosiddetta legge Merlin (legge 20 febbraio 1958, n. 75), prevede la non punibilità di chi si prostituisce e i reati di sfruttamento e di favoreggiamento della prostituzione nonché il reato di induzione alla prostituzione. Come noto, il fenomeno sociale della prostituzione è oggi completamente cambiato rispetto al contesto sociale in cui si era inserita la legge n. 75 del 1958. Come già detto, oggi la prostituzione è legata prevalentemente alla tratta di esseri umani. In questa direzione la legislazione italiana ha introdotto strumenti per la tutela delle vittime del traffico a fine di sfruttamento sessuale (testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) e per la tutela dei minori vittime di sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale (articoli 600-bis, 600-ter e 600-quinquies del codice penale). Con la Convenzione di Istanbul del 2011, resa esecutiva dalla legge 27 giugno 2013, n. 77, è stato introdotto nel nostro ordinamento il primo strumento internazionale in grado di vincolare giuridicamente gli Stati alla tutela dei diritti delle donne, con l'obiettivo di dar vita finalmente a un quadro normativa completo capace di contrastare e di prevenire qualunque tipo di violenza contro le donne. Ciononostante mancano ancora ulteriori strumenti giuridici per contrastare efficacemente la prostituzione e il male che l'accompagna, in quanto la legislazione vigente non interviene a colpire con misure deterrenti e repressive su tutti gli attori che alimentano il meretricio. Infatti, pur agendo su lenoni e sodalizi criminosi nonché sui trafficanti di esseri umani, la nostra legislazione non riguarda il cliente che, con la sua domanda di prestazioni sessuali a pagamento, partecipa allo sfruttamento e alla violazione della dignità della persona ridotta a merce. Il citato decreto legislativo n. 24 del 2014 recepisce la direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime. Nella direttiva si definisce «la domanda (di prostituzione) come la fonte di tutte le forme di sfruttamento, correlata alla tratta di esseri umani». Si riconosce dunque la correità del cliente (colui che acquista i servizi sessuali) nella riduzione in schiavitù delle vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Con l'introduzione del reato di acquisto di servizi sessuali, prevista dal presente disegno di legge, si mira a eliminare la prostituzione in quanto essa incentiva la tratta di esseri umani e viola la dignità delle donne. Attraverso il dispositivo proposto si interviene direttamente sulla domanda, cioè sui clienti. Resta, naturalmente, esclusa la punibilità della persona che abbia esercitato la prostituzione, in quanto essa è riconosciuta come vittima sia degli sfruttatori e dei trafficanti, sia dei clienti. Questo modello legislativo, il cosiddetto modello nordico in quanto adottato nei Paesi del nord Europa (Svezia, Norvegia, Islanda e Irlanda del Nord), è raccomandato nella recente risoluzione del Parlamento europeo 2013/2103 (INI) su sfruttamento sessuale e prostituzione, e sulle loro conseguenze per la parità di genere, approvata il 26 febbraio 2014. Tale modello è stato recentemente adottato anche in Francia e sia l'Inghilterra che l'Irlanda stanno valutando la sua introduzione; altri Stati non europei, tra cui il Canada, da tempo si sono allineati per una legislazione sanzionatoria nei confronti degli acquirenti/compratori del corpo delle donne. Le rilevazioni empiriche hanno mostrato che siffatti modelli hanno portato a un drastico calo delle persone che si prostituiscono. Inoltre tali legislazioni hanno mostrato un forte effetto deterrente, per cui il fenomeno della prostituzione e la tratta di persone a esso correlata sono diminuiti, a fronte di un esiguo numero di denunce dei clienti. Al contrario, nei Paesi in cui la prostituzione è regolamentata, il numero di prostitute pro capite è maggiore rispetto agli altri Paesi. Numerosi studi internazionali dimostrano che la legalizzazione porta a un aumento della domanda e dunque a un aumento della prostituzione. Si è visto, infatti, che la legalizzazione è associata a una cultura in cui la prostituzione e la coercizione sessuale sono considerate normali, in cui il corpo delle donne viene mercificato. Gli studi dimostrano anche che un aumento della domanda di prostituzione comporta un aumento della tratta internazionale di donne e di minori stranieri. Inoltre, si è constatato che tale regolamentazione non ha portato alle entrate fiscali sperate: da un lato perché le persone non vogliono essere associate alla prostituzione, per cui non pagano le tasse, dall'altro perché, anche laddove è regolamentato, il fenomeno della prostituzione rimane in gran parte gestito dalla criminalità organizzata, la quale evade le tasse. Già alla fine del 2003 fu depositata presso la Camera dei deputati una prima proposta di legge d'iniziativa popolare, mai discussa, che mirava alla repressione della domanda, prevedendo la punibilità del cliente. In pochi mesi, da sola, l'associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da un prete diocesano di Rimini, don Oreste Benzi, raccolse ben 110.000 firme: don Benzi e l'associazione hanno avuto il merito di rivelare alla società e alle istituzioni l'orrore della prostituzione e lo stato di oppressione che si celava dietro ad essa, arrivando, in venticinque anni, a liberare più di 7.000 donne dalla schiavitù della prostituzione. La nuova fattispecie penale proposta, introducendo tra le condotte previste e punite dall'articolo 3 della citata legge n. 75 del 1958 quella di chi si avvale delle prestazioni sessuali offerte da soggetti che esercitano la prostituzione o le contratta, mira ad assicurare un'adeguata protezione al bene giuridico della dignità umana, diversamente sguarnito da una consona sanzione, e si propone di combattere efficacemente la tratta di esseri umani a fini di prostituzione e lo sfruttamento sessuale delle donne.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«È altresì punito con la multa da euro 2.500 a euro 10.000, salvo che la condotta non costituisca reato più grave, chiunque si avvalga delle prestazioni sessuali offerte da soggetti che esercitano la prostituzione o le contratti in luogo pubblico, ovvero nei luoghi e nelle forme vietati dalla legislazione vigente. In caso di reiterazione del reato, il fatto è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da euro 2.500 a euro 10.000. La pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita su richiesta del condannato con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un'attività non retribuita presso associazioni, enti e altri organismi iscritti al registro istituito ai sensi dell'articolo 52, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, convenzionati con l'ente locale, con la frequenza obbligatoria di un corso sociorieducativo. In caso di esito positivo dello svolgimento dei lavori di pubblica utilità, il giudice fissa un'udienza e dichiara estinto il reato; in mancanza di esito favorevole, su richiesta del pubblico ministero o d'ufficio, il giudice dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino della pena originaria. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta».