• Testo MOZIONE

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.1/01465    premesso che:     5.022 persone sono morte in mare nel 2016 provando a raggiungere l'Europa, un triste record che non può non interrogare le coscienze, a cui si...



Atto Camera

Mozione 1-01465presentato daPALAZZOTTO Erasmotesto diLunedì 16 gennaio 2017, seduta n. 724

   La Camera,
   premesso che:
    5.022 persone sono morte in mare nel 2016 provando a raggiungere l'Europa, un triste record che non può non interrogare le coscienze, a cui si aggiungono le sorti di migliaia di persone, principalmente siriani, iracheni, afghani in fuga dai loro Paesi funestati da decenni di guerre e terrorismo, che l'Unione europea ha deciso deliberatamente di tenere lontani dai propri Paesi concludendo l'accordo con la Turchia. Molti altri, come testimoniano le drammatiche immagini che provengono dai Paesi dell'Est Europa in queste settimane, risultano bloccati a migliaia sotto il gelo in quella che un tempo era la «rotta balcanica»;
    sebbene questo accordo abbia pressoché azzerato l'arrivo di persone che approdavano sulle coste greche e dalla Turchia attraverso la rotta balcanica, il 2016 ha fatto registrare il maggior numero di arrivi via mare di sempre con 181.405 persone sbarcate sulle nostre coste, con un incremento del 18 per cento rispetto all'anno precedente. Tuttavia, secondo i dati Unhcr, tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2016 sono sbarcate in Europa 361.578 persone, ovvero il 64 per cento in meno rispetto al 2015, anno record in cui si registrarono in Europa circa un milione di arrivi;
    è evidente che per un continente di 500 milioni di abitanti in cui è concentrata buona parte della ricchezza globale, gestire e assorbire una pressione migratoria di queste dimensioni non può rappresentare un problema, a meno che non si mettano in atto politiche che tendono quanto più a limitare il fenomeno anziché governarlo;
    guardando all'evoluzione del fenomeno migratorio, negli ultimi anni è cambiata considerevolmente la natura stessa del fenomeno: oggi la quasi totalità dei migranti che raggiungono l'Unione europea sono potenziali soggetti con diritto ad una protezione internazionale. Data quindi la natura delle cause che determinano il flusso migratorio tutto lascia presupporre che il fenomeno attuale non sia un dato transitorio, ma si debba considerare come strutturale e che quindi ci interesserà almeno per un altro decennio;
    purtroppo, al fenomeno migratorio e alle sue evoluzioni sono state fornite risposte e quindi messi a disposizione strumenti che sono risultati del tutto inadeguati, spesso obsoleti ed improntati ad una visione difensiva ed emergenziale;
    la principale risposta fornita al fenomeno, avvenuta dopo la spinta emotiva della strage avvenuta al largo di Pozzallo il 18 aprile 2015 che causò più di 800 vittime, si è avuto attraverso il cosiddetto «approccio Hotspot», contenuto all'interno della Agenda europea sulle migrazioni, che tra l'altro non è mai stata trasposta in nessun atto normativo e con i meccanismi di « relocation» e « resettlement»;
    gli hotspot violano i diritti umani, comprimono il diritto a richiedere l'asilo politico e in generale il loro meccanismo è finalizzato a negare la protezione internazionale attraverso la loro principale funzione: separare i «migranti economici» dai potenziali richiedenti asilo, fondando quindi un provvedimento di respingimento esclusivamente sulla base del Paese di provenienza;
    l'approccio hotspot sarebbe quindi, una volta completate le procedure di identificazione e separazione dei migranti, finalizzato alla « relocation». E qui non si può che constatare il fallimento della strategia in tutta la sua interezza. I dati disponibili al 30 dicembre 2016 indicano che complessivamente dall'Italia sono stati ricollocati in altri paesi europei 2.654 richiedenti asilo (su un totale di 39.600) e 6.212 dalla Grecia al 6 dicembre (su un totale 66.400). L'obiettivo delle 160 mila persone rilocate che dovrebbe essere raggiunto entro settembre 2017 resta una chimera, prefigurandosi un fallimento epocale di tutta la strategia;
    in ultimo, nei mesi scorsi la Commissione europea ha presentato un serie di proposte per riformare il sistema europeo comune di asilo nelle linee indicate nell'Agenda europea per la migrazione e nella comunicazione del 6 aprile 2016. In particolare, la Commissione ha presentato il 4 maggio 2016 un primo pacchetto di proposte – riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), mentre il 13 luglio ha presentato diverse proposte legislative – sostituzione della direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisca una procedura comune UE per la protezione internazionale, sostituzione della direttiva qualifiche esistente con un nuovo regolamento, infine una riforma della direttiva sulle condizioni di accoglienza;
    attraverso le sopraindicate proposte la Commissione europea tenta di rimediare all'evidente fallimento del «sistema Dublino» mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei «criteri di Dublino», introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce esattamente gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all'interno dell'area degli Stati membri. Praticamente si introducono tutta una serie di nuovi complicati meccanismi burocratici mantenendo in piedi il «sistema Dublino»: inefficace, costoso e che produce irregolarità;
    a parte qualche positiva modifica dei termini procedurali, in generale non si possono ritenere queste proposte idonee a garantire gli obiettivi dichiarati dalla Commissione, ovvero l'individuazione rapida dello Stato membro competente e, pertanto, l'accesso rapido del richiedente alla procedura di asilo, una ripartizione più equa delle responsabilità tra Stati membri, la lotta ad abusi e movimenti secondari, rafforzare le garanzie per i richiedenti asilo e bisognosi di protezione internazionale, godere dello stesso livello di protezione, incentivare l'integrazione, garantire infine standard di accoglienza dignitosi;
    in particolare, l'armonizzazione della lista dei Paesi sicuri sarebbe una negazione del diritto di asilo e rivela in tutta la sua drammaticità l'approccio dell'Europa sul fenomeno delle migrazioni. Introdurre il concetto di «sicurezza» nell'esaminare le richieste di asilo è un grave rischio, poiché nessun Paese può essere considerato «sicuro». Adottando una simile lista, l'Unione europea e i suoi Stati membri istituzionalizzerebbero a livello europeo una pratica attraverso la quale i Paesi membri possono rifiutare di ottemperare pienamente alle proprie responsabilità verso i richiedenti asilo, in violazione ai loro obblighi internazionali;
    finora, 13 dei 28 Stati membri hanno una lista nazionale di «Paesi sicuri», ma le liste sono tutt'altro che omogenee. La proposta della Commissione mira a porre rimedio a queste disparità. I sette Paesi che la proposta considera «sicuri» sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia. La Finlandia, ad esempio, considera «sicuri» Paesi come l'Afghanistan, l'Iraq e la Somalia: in questi Paesi il migrante non rischia discriminazioni, persecuzioni, limitazioni o negazioni dei diritti fondamentali. Ciò è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un'assurdità;
    con la Turchia, che si considererebbe «Paese sicuro», si è già stretto un accordo che viola gravemente il diritto europeo e tradisce i fondamenti democratici e ispirati alla tradizionale tutela dei diritti umani nell'Unione europea e in Italia. Quanto sta emergendo dall'applicazione concreta di questo accordo è che in cambio di denaro si esternalizzano le frontiere dell'Unione europea chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani, sulla repressione delle libertà fondamentali, nonché sulla forte repressione anti-curda che il Governo turco sta mettendo in piedi negli ultimi mesi, addirittura dimenticando le gravi responsabilità di quest'ultimo nel supporto a Daesh;
    lo stesso approccio è usato dalla Commissione europea per adottare la lista comune di «Paesi terzi sicuri» per consentire che i richiedenti asilo siano rimandati indietro nei paesi per i quali sono transitati prima del loro arrivo nella Unione europea, e dove essi dovrebbero «legalmente» depositare le loro richieste di asilo;
    nei fatti quindi, con le nuove proposte, con la giustificazione di razionalizzare e armonizzare il sistema di asilo europeo, l'Unione europea darebbe legittimità istituzionale a un abuso sul diritto di asilo allo scopo di controllare i flussi migratori;
    il quadro emergente dalle proposte presentate e dagli atti approvati dalle istituzioni europee nell'ultimo anno è desolante. Ricollocazioni, reinsediamenti, liste di Paesi di origine sicuri e Paesi terzi sicuri, rimpatri, hotspot, accordo con la Turchia, respingimenti, rappresentano il palese fallimento del Sistema europeo comune di asilo e manifestano tutta l'incapacità dell'Unione europea a far fronte ad un numero elevato ma certo non insostenibile di arrivi, come si vuole spesso rappresentare in maniera drammatica;
    questo fallimento deriva da molteplici fattori, uno dei quali è certamente rappresentato dall'ostinazione con cui gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione europea continuano a voler disciplinare – in maniera sempre più burocratica e complessa, quindi terribilmente macchinosa e costosa – gli spostamenti di persone in un territorio che si vuole al tempo stesso privo di controlli alle frontiere interne;
    occorrerebbe prendere atto del mutamento dei contesti globali e del fatto che molte persone scappano da guerre, carestie, effetti dei cambiamenti climatici, eventi che molto spesso l'occidente e quindi anche l'Unione europea ha spesso creato o quantomeno aggravato anche con la sola inerzia;
    bisognerebbe quindi individuare soluzioni più snelle e realistiche, meno burocratiche, che prevedano, fra le altre cose, che chi ha ottenuto una protezione (europea) in un Paese possa poi liberamente cercare lavoro in un altro, con i giusti «contrappesi» per evitare che ciò si trasformi in un peso insostenibile per quelle aree dell'Unione europea maggiormente prescelte per l'insediamento;
    sul piano nazionale la volontà in ultimo espressa dal Governo di utilizzare gli strumenti di controllo ed allontanamento degli stranieri irregolari per quindi, come si legge nella circolare del Capo della polizia del 30 dicembre 2016, favorire «l'azione di prevenzione e contrasto nell'attuale contesto di crisi a fronte di una crescente pressione migratoria e di uno scenario internazionale connotato da instabilità e minacce», sarebbe una scelta miope e con effetti controproducenti e dannosi se non si giunga ad una modifica nella normativa che già produce irregolarità negli ingressi e nei soggiorni;
    la priorità di oggi è modificare il Testo unico sull'immigrazione del 1998, riformato in peggio dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, e quindi porre mano ai meccanismi di regolarizzazione degli stranieri, valorizzando i legami lavorativi, familiari e sociali già esistenti che quelle persone hanno magari costruito in tanti anni, promuovendo politiche di integrazione finalizzate ad una regolarizzazione permanente a fronte della dimostrazione di chiari indici di integrazione;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, quindi, non può non apparire totalmente irrazionale l'annunciato intento del Governo di potenziare la rete dei Cie in Italia, considerata l'inefficacia del sistema di identificazione ed espulsione, a fronte del sacrificio dei diritti umani che si è sempre consumato nelle strutture governative atte proprio a tale funzione, ovvero di identificazione ed espulsione;
    appare quindi sbagliata la strategia che sembra si voglia intraprendere degli accordi bilaterali di riammissione, così come proporre nuove norme che andrebbero a riformare in senso restrittivo le norme sull'asilo, a partire dall'ipotesi di eliminare il doppio grado di giurisdizione o peggio istituire sezioni specializzate nei tribunali, dove in un contesto culturale ove buona parte della magistratura e dell'avvocatura sono ancora poco consapevoli dell'importanza e della complessità anche giuridica della materia, si tradurrebbe in concreto, al di là delle intenzioni, in una sorta di uffici-ghetto, carenti di sufficienti risorse materiali e professionali;
    andrebbe quindi smantellata l'attuale struttura di accoglienza per richiedenti asilo, organizzata sul carattere dell'emergenza permanente a vantaggio di una efficiente struttura dell'accoglienza organizzata in maniera diffusa, decentrata, libera dai meccanismi di accumulazione del profitto che hanno portato a corruzione e malaffare e condizioni di vita insopportabili per un Paese civile, ma soprattutto a favore di una accoglienza funzionante allo scopo ultimo: l'integrazione delle persone;
    in ultimo per comprendere il fallimento delle attuali politiche che hanno comportato un ingente costo di vite umane nonché di fondi spesi in questi anni, basti pensare che con soli 2,5 milioni di euro il progetto Mediterranean Hope ha portato in Italia, in sicurezza, sottraendoli alle mani dei trafficanti, mille profughi dalle zone confinanti con quelle di conflitto, garantendo loro, inoltre, un'accoglienza dignitosa. Come emblema dell'irrazionalità delle politiche in atto, si pensi che con i soli 6 miliardi di euro promessi alla Turchia per l'implementazione del Joint Action Plan del marzo 2016, si sarebbe potuto fare altrettanto con 2,4 milioni di persone,

impegna il Governo:

1) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati», attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani;
2) a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a non sostenere la proposta di riforma della Commissione europea, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di veder riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa;
3) ad assumere iniziative per concedere con effetto immediato permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentano la libera circolazione negli Stati dell'Unione europea e quindi avviare l'iter per la predisposizione di una normativa dell'Unione con la quale disciplinare il riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale tra gli Stati membri e a promuovere nelle competenti sedi europee, la regolarizzazione di tutti i migranti ancora senza documenti presenti in Europa;
4) a vigilare sul rispetto del divieto di espulsioni collettive previsto dai protocolli addizionali alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, assumendo iniziative volte all'adozione di opportuni atti regolamentari e all'introduzione di procedure di monitoraggio indipendenti;
5) a promuovere il principio di un'accoglienza dignitosa e dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa, a cominciare da quelli presenti sul territorio italiano;
6) ad assumere iniziative per scongiurare qualsiasi ipotesi di consolidamento di quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano l'illegittimo sistema dei centri di identificazione ed espulsione, veri e propri luoghi di detenzione amministrativa;
7) ad assumere iniziative per implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
8) a promuovere una politica che dica «basta» ai respingimenti verso i Paesi di origine e di transito e garantisca a tutti i migranti l'accesso a una piena e chiara informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale;
9) a proporre la revisione dell'accordo tra Unione europea e Turchia sulla gestione dei rifugiati, nonché a proporre l'immediata sospensione degli accordi – come i processi di Rabat e di Khartoum – con i Governi che non rispettano i diritti umani e le libertà.
(1-01465) «Palazzotto, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».