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Atto a cui si riferisce:
C.3915 [Inasprimento delle procedure di rilascio del permesso di soggiorno] Abrogazione di norme in materia di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari e delega al Governo per il conseguente riordino della disciplina della protezione internazionale


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3915


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
GREGORIO FONTANA, RAVETTO
Abrogazione di norme in materia di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari e delega al Governo per il conseguente riordino della disciplina della protezione internazionale
Presentata il 21 giugno 2016


      

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Onorevoli Colleghi! — La protezione internazionale è disciplinata nell'ordinamento italiano attraverso tre istituti: il diritto d'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
      A differenza degli altri due, che trovano riscontro nella gran parte degli ordinamenti, il terzo costituisce nella sostanza una peculiarità italiana, che presenta diversi profili di problematicità, sia giuridici sia applicativi.
      Il diritto di asilo ha come fonte l'ordinamento internazionale (in particolare, la Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo status dei rifugiati, resa esecutiva dalla legge n. 722 del 1954) e la Costituzione (articolo 10). Esso riguarda esclusivamente i rifugiati politici. La durata del relativo permesso di soggiorno è di cinque anni, rinnovabili. Il suo riconoscimento comporta l'accesso a una serie di significativi benefìci, come l'alloggio, il rilascio del titolo di viaggio per rifugiati per potersi recare all'estero, il ricongiungimento con il familiare nonché la possibilità di fare richiesta di cittadinanza per naturalizzazione dopo soli cinque anni. Il suo riconoscimento avviene a seguito della valutazione da parte della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale competente per territorio.
      La protezione sussidiaria ha come fonte il diritto dell'Unione europea (decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, «Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»). Essa riguarda le persone che fuggono da situazioni di grave pericolo (ad esempio conflitti interni). La durata del relativo permesso di soggiorno è di tre anni. Il suo riconoscimento comporta l'accesso a una serie di significativi benefìci, molto simili a quelli riconosciuti al titolare del diritto di asilo (tranne il diritto di fare domanda di cittadinanza). Anche in questo caso, la domanda è sottoposta allo scrutinio della commissione territoriale.
      La protezione umanitaria non nasce né da obblighi internazionali né dalla necessità di dare adempimento a un principio costituzionale, ma è una scelta autonoma del legislatore ordinario. Fu introdotta dalla legge Turco-Napolitano (articolo 5, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; articolo 32 del decreto legislativo n. 25 del 2008). Essa prevede che la questura possa rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari tutte le volte in cui le commissioni territoriali, pur non ravvisando gli estremi per la protezione internazionale, rilevino «gravi motivi di carattere umanitario» a carico del richiedente asilo. Ha una durata media di un anno e consente solo l'accesso ai servizi essenziali (salute, formazione professionale e altro).
      L'articolo 5, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 recita: «Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione». Questo disposto va letto in combinazione con l'articolo 32 del decreto legislativo n. 25 del 2008 che recita:

          «1. Fatto salvo quanto previsto dagli articoli 23, 29 e 30 la Commissione territoriale adotta una delle seguenti decisioni:

              a) riconosce lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, secondo quanto previsto dagli articoli 11 e 17 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251;

              b) rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo decreto legislativo; rigetta la domanda per manifesta infondatezza nei casi di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettera a) (...).

      3. Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

      Stando ai dati diffusi dal Ministero dell'interno, dal 1° gennaio al 2 dicembre 2016, l'Italia ha riconosciuto una qualche protezione nel 40 per cento dei casi, di cui ben il 21 per cento, ovvero oltre la metà, nella forma di protezione umanitaria.
      Come si diceva in premessa, questo tipo di protezione rappresenta, per molti versi, una peculiarità italiana. L'unico Paese con il quale si può fare un confronto, per l'inquadramento di questo istituto nella disciplina generale della protezione internazionale, è la Germania.
      In Germania, qualora siano respinte sia la domanda di asilo sia la richiesta di protezione internazionale, l'Ufficio federale per l'immigrazione e i rifugiati verifica se sussistono divieti all'espulsione (Abschiebungsverbote) ai sensi dei commi 5 o 7 del § 60 del Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet – Aufenthaltsgesetz, la legge sul soggiorno, l'occupazione e l'integrazione degli stranieri, di seguito «AufenthG». Il divieto si applica quando vi siano seri e concreti pericoli che minaccino lo straniero richiedente nel Paese in cui deve essere espulso. Un ulteriore divieto può essere applicato ai sensi del § 60, comma 7, dell’AufenthG in caso di una

malattia in corso che peggiorerebbe notevolmente con il ritorno nel Paese d'origine. Bisogna in ogni caso tenere conto dei pericoli connessi all'abbandono del territorio federale. Lo straniero che benefìci del divieto di espulsione riceve un permesso di soggiorno per almeno un anno (§ 26, comma 3, dell’AufenthG). Il permesso, in base al § 25, comma 3, dell’AufenthG, non è concesso se è possibile e ragionevole l'espatrio in un altro Stato, lo straniero viola ripetutamente o gravemente i corrispondenti obblighi di cooperazione o vi sono motivi per supporre: che egli abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità; che abbia commesso un reato di notevole importanza; che si sia reso colpevole di azioni contrarie agli obiettivi e ai princìpi delle Nazioni Unite, oppure che rappresenti un pericolo per la comunità o un rischio per la sicurezza della Repubblica federale.
      Come si vede, si tratta di una disciplina molto restrittiva, che pone al primo posto la sicurezza nazionale.
      Secondo i dati del «Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2016» di Caritas, Anci e altri, tale tipo di protezione verrebbe accordata nel nostro Paese molto raramente (nell'8 per cento dei casi nel 2014 e nel 2,5 per cento dei casi nel 2015).
      Ci sono buone ragioni per ritenere necessaria l'abrogazione di questo tipo di protezione in Italia.
      Essa, come detto, rappresenta il tipo di protezione che riguarda la maggior parte dei richiedenti protezione presenti nel nostro territorio ed è fonte di un aggravamento della situazione degli immigrati in Italia. Tale disposizione, infatti, fu emanata in un periodo nel quale – inizi degli anni novanta – i numeri dei migranti diretti verso il territorio italiano non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelli attuali. Oggi, a differenza di allora, c'è l'assoluta necessità di limitare il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ai casi strettamente previsti dal nostro diritto costituzionale e dalla normativa europea e internazionale. Questa razionalizzazione giuridica rappresenta anche un atto dovuto nei confronti dei migranti richiedenti asilo, ai quali va data certezza sul loro status nel territorio italiano, per quel che riguarda, in particolare, il riconoscimento o no del diritto alla protezione internazionale. La norma in oggetto, in pratica, fa sì che migliaia di migranti richiedenti asilo, indipendentemente dal fatto che abbiano o no i requisiti per accedere alla protezione internazionale, permangano a lungo in un limbo, a metà strada tra la protezione e l'espulsione, senza avere una reale certezza circa il loro futuro. Ciò non può che avere conseguenze negative sull'efficacia e sull'efficienza del sistema italiano di protezione internazionale. Del resto, la collocazione di questo tipo di protezione nel sistema italiano di protezione internazionale in una posizione del tutto accessoria risulta in maniera inequivocabile da una rapida considerazione del modo in cui il legislatore dispone le sue modalità attuative. Infatti, in base al combinato disposto dell'articolo 5, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e dell'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo n. 25 del 2008, la commissione territoriale quando decide di non accordare alcuna forma di protezione internazionale, ma ritiene che vi possano essere motivi di carattere umanitario, trasmette gli atti al questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno umanitario. In altri termini, si tratta di un atto del tutto discrezionale ed è, infatti, il questore che decide. Questo significa che la commissione ha escluso che vi siano elementi tali da far scattare un obbligo di protezione di natura costituzionale, poiché nell'assolvimento di un tale obbligo non vi potrebbe essere alcuna discrezionalità. In altre parole, quando sono in gioco i diritti fondamentali, la decisione spetta al giudice, non al Governo. Il deferimento dell'istanza al questore è indice del fatto che la commissione non ha riscontrato elementi tali da far scattare l'obbligo protettivo dello Stato. Esiste, è vero, una sentenza della Suprema Corte di cassazione che sembrerebbe andare in senso contrario rispetto a quanto sopra affermato e a dare alla «protezione umanitaria» una funzione di «chiusura» nel sistema italiano di protezione internazionale (Cassazione civile, sezioni unite, sentenza n. 19393 del 9 settembre 2009). Tuttavia, l'interpretazione di quella sentenza è controversa, anche alla luce della successiva giurisprudenza di merito. A quest'ultimo riguardo, citiamo a titolo esemplificativo una recente pronuncia del Tribunale di Milano, secondo cui la «protezione umanitaria» esula dall'ambito degli istituti imposti dal diritto interno e non è nemmeno imposta dall'articolo 10 della Costituzione. A sostegno di quest'ultima interpretazione è di recente intervenuto anche l'autorevole giudizio del presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo, dottor Guido Raimondi, il quale, nel corso di un'audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, istituita presso la Camera dei deputati nella XVII legislatura, ha ricordato come la protezione umanitaria non sia «imposta dalla giurisprudenza» della Corte europea dei diritti dell'uomo.
      L'abrogazione della disciplina della cosiddetta protezione umanitaria, dunque, non determina un vulnus nel sistema italiano di protezione dei diritti fondamentali ed è necessaria, in quanto comporta l'eliminazione di disposizioni ridondanti e inutili, fonti di confusioni e di ingiustizie.
      La presente proposta di legge si compone di tre articoli.
      L'articolo 1 prevede la modifica del comma 6 dell'articolo 5 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 25 del 2008.
      L'articolo 2 reca una delega al Governo per l'armonizzazione della normativa primaria e secondaria in materia di riconoscimento della protezione internazionale, in coerenza con le modificazioni di cui all'articolo 1.
      L'articolo 3, infine, contiene una norma transitoria destinata a evitare incertezze in merito all'eventuale applicazione retroattiva della novella legislativa. Si precisa, pertanto, che restano validi fino alla scadenza prevista i permessi di soggiorno per motivi umanitari rilasciati dal questore alla data di entrata in vigore della legge.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Abrogazioni).

      1. Al comma 6 dell'articolo 5 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, le parole da: «, salvo che ricorrano seri motivi» fino alla fine del comma sono soppresse.
      2. Il comma 3 dell'articolo 32 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, è abrogato.

Art. 2.
(Delega al Governo).

      1. Il Governo è delegato adottare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l'armonizzazione della normativa primaria e secondaria in materia di riconoscimento della protezione internazionale, in coerenza con le abrogazioni disposte ai sensi dell'articolo 1 e in conformità col seguente principio e criterio direttivo: prevedere l'eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Art. 3.
(Norma transitoria).

      1. Restano validi, fino alla scadenza prevista, i permessi di soggiorno per motivi umanitari rilasciati dal questore alla data di entrata in vigore della presente legge.