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Atto a cui si riferisce:
C.1/01497    premesso che:     il citomegalovirus (CMV) è un virus molto comune appartenente alla famiglia degli herpes virus come la varicella, l’herpes labiale o il virus della...



Atto Camera

Mozione 1-01497presentato daBINETTI Paolatesto diLunedì 6 febbraio 2017, seduta n. 736

   La Camera,
   premesso che:
    il citomegalovirus (CMV) è un virus molto comune appartenente alla famiglia degli herpes virus come la varicella, l’herpes labiale o il virus della mononucleosi. Nella grande maggioranza dei casi l'infezione è asintomatica, cioè chi la contrae non ha sintomi. In un 10 per cento dei casi si manifesta in modo simile all'influenza o alla mononucleosi. Negli adulti e nei bambini che contraggono l'infezione, i sintomi sono in genere lievi e generici, per esempio febbre, stanchezza, mal di gola, tanto che spesso non ci si accorge nemmeno della malattia. Chi si è già ammalato non è immune, quindi può nuovamente contrarre la malattia;
    il virus, però, può essere molto pericoloso se contratto in gravidanza, perché in questo caso può superare la placenta e può essere trasmesso al feto, con conseguenze che possono essere anche gravi. Il rischio di trasmissione varia a seconda che si tratti di una prima infezione, cioè se è la prima volta che la madre contrae la malattia, oppure di una re-infezione. Nel primo caso il rischio di trasmissione al bambino corrisponde a 3-4 casi ogni 10 gravidanze, mentre nel secondo caso la trasmissione è molto più rara e si verifica al massimo in 2 casi ogni 100 gravidanze. Per chi ha contratto l'infezione prima della gravidanza il rischio è molto basso e si stima che in Italia circa 8 donne adulte ogni 10 abbiano contratto la malattia prima della gravidanza;
    se la donna contrae per la prima volta il virus durante la gravidanza, c’è il rischio che anche il feto venga contagiato e in questo caso si parla di infezione congenita. Il rischio di trasmissione al feto varia dal 30 al 40 per cento, il che significa che su dieci bambini di madri che contraggono il citomegalovirus durante la gravidanza, 3 o 4 di loro lo contraggono a loro volta. Ma anche se il feto ha contratto il virus, non è detto che manifesti conseguenze a breve o a lungo termine. Di 10 bambini con citomegalovirus congenito solo 2 o 3 di loro avranno conseguenze;
    queste conseguenze però possono essere piuttosto serie. Possono riguardare il sistema nervoso centrale con malformazioni visibili anche in ecografia, oppure possono provocare ritardo mentale, sordità congenita, corio-retinite (una patologia della retina che provoca cecità): tutte condizioni non diagnosticabili in utero e delle quali ci si accorge solo dopo la nascita del bambino, a volte dopo mesi o anni;
    la probabilità che un bambino con citomegalovirus congenito manifesti una di queste disabilità è maggiore se già alla nascita aveva mostrato dei sintomi. Ma l'85-90 per cento dei neonati con infezione congenita è asintomatico e solo il 10-15 per cento circa di questi bambini mostra sintomi alla nascita, in particolare si tratta di problemi al fegato, alla milza, ai polmoni; oppure ci sono convulsioni, si nota un ritardo di crescita e altro;
    il virus quindi non passa sempre al bambino e, anche quando si trasmette, non è detto che abbia conseguenze. In definitiva, i problemi di salute si possono manifestare in media in 3-6 bambini ogni 100 in cui la madre contragga per la prima volta in gravidanza il citomegalovirus;
    per sapere se la madre ha contratto il citomegalovirus durante la gravidanza e questo si è trasmesso al bambino occorre fare un esame del sangue, che ricerca la presenza di anticorpi specifici (immunoglobuline) contro il virus. In particolare, si cercano due tipi di immunoglobuline: le IgM, che si formano quando c’è un'infezione acuta in corso e segnalano che la malattia è in atto; le IgG, le cosiddette immunoglobuline della «memoria» dell'infezione. Se queste ultime risultano positive, vuol dire che la malattia è stata contratta in passato e quindi l'organismo ha sviluppato i relativi anticorpi;
    per sapere con certezza quando la madre abbia contratto il citomegalovirus si può eseguire il cosiddetto test di avidità (o avidity test) che permette di sapere se l'infezione si è avuta nei tre mesi precedenti la gravidanza oppure ancora prima;
    se appare ancora piuttosto controversa l'opportunità di uno screening di routine a tutti i neonati, si va invece diffondendo in ambito clinico la convinzione che sia molto utile fare uno screening in fase pre-concezionale o entro le primissime settimane di gravidanza, per sapere se si è già avuta la malattia;
    purtroppo, a oggi non esiste una terapia di dimostrata efficacia, né per prevenire la trasmissione materno-fetale né per scongiurare eventuali danni al bambino. E la prevenzione resta la strada più sicura per tutelare le madri durante la gravidanza, soprattutto nelle primissime fasi. Per limitare il rischio di infezione, le precauzioni più importanti sono di natura igienica;
    il citomegalovirus si trasmette tramite la saliva o semplicemente per via aerea, oltre che attraverso i liquidi corporei, come sangue e urine. Per questo il contagio è piuttosto facile, soprattutto se si hanno altri figli o si lavora in un ambiente dove ci sono bambini, bersaglio privilegiato dell'infezione,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per facilitare la conoscenza dei rischi dell'infezione da citomegalovirus, in particolare tra medici di base, pediatri e ginecologi, attraverso una corretta e capillare informazione sulla patologia in questione, in modo da non sottovalutare i sintomi che spesso di presentano in forma molto lieve, ma non per questo meno insidiosa per il feto;
2) ad assumere iniziative per rafforzare la diffusione dei principi fondamentali della prevenzione improntati a una igiene corretta, in modo che si possano evitare o ridurre i danni che l'infezione da citomegalovirus può arrecare se contratta in gravidanza;
3) a stimolare lo studio e la ricerca del citomegalovirus per permettere una diagnosi precoce soprattutto nelle donne in gravidanza, e sviluppare strumenti sempre più efficaci per ridurre il rischio di trasmissione del citomegalovirus da madre a figlio;
4) ad assumere iniziative per favorire la prevenzione rendendo gratuito e obbligatorio lo screening per le donne in gravidanza al fine di ridurre i costi sociali di una diagnosi tardiva o di una cura inadeguata;
5) a garantire l'inserimento dei neonati positivi al citomegalovirus in programmi di controllo, che li accompagnino fino a quanto non abbiano maturato la negatività al virus (in media circa 10 anni);
6) ad assumere iniziative per predisporre presso l'Istituto superiore di sanità un registro nazionale dei casi di infezione da citomegalovirus, soprattutto di quelli che hanno contratto il virus durante la gravidanza o di quei bambini che sono risultati positivi al citomegalovirus alla nascita, affinché in un tempo congruo si possa sapere con precisione qual’è l'incidenza di casi di infezione da citomegalovirus in Italia.
(1-01497) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).