• Testo DDL 2655

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Atto a cui si riferisce:
S.2655 Modifica all'articolo 30 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, in materia di esercizio dell'attività di medico chirurgo di medicina generale nell'ambito del servizio sanitario nazionale


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 2655
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori ANGIONI, ZANONI, DALLA ZUANNA, ASTORRE, COLLINA, ORRÙ e MANASSERO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 GENNAIO 2017

Modifica all'articolo 30 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n.368, in materia di esercizio dell'attività di medico chirurgo di medicina generale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale

Onorevoli Senatori. -- In Italia, dal 31 dicembre 1994, i laureati in medicina e chirurgia non possono più accedere direttamente alle graduatorie regionali per la medicina generale. L'attuale situazione si è venuta a creare a seguito dell'entrata in vigore delle direttive 86/457/CEE del Consiglio, del 15 settembre 1986, e 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, che hanno istituito in Europa l'obbligo di certificazione della formazione specifica in medicina generale per poter esercitare nei servizi sanitari nazionali e dettato regole unitarie per i titoli degli specialisti. Il provvedimento aveva lo scopo di facilitare la libera circolazione dei medici nel territorio dell'Unione europea e poneva come limite ultimo per l'adeguamento il 1° gennaio 1995.

Nel nostro Paese il recepimento di tali direttive (decreti legislativi n. 256 del 1991 e n. 368 del 1999) ha di fatto creato, rispetto all'esercizio della medicina generale, due gruppi di medici: medici laureati prima del 1994 non in possesso del titolo di formazione in medicina generale, che (per «diritto acquisito» definito all'articolo 36, paragrafo 2, della direttiva 93/16/CEE) hanno vista confermata la possibilità di ingresso alla graduatoria regionale con titolo equipollente, grazie al decreto del Ministro della sanità 15 dicembre 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 29 dicembre 1994 («decreto Costa»): in questo gruppo sono presenti casi di medici, che pur avendo già il titolo equipollente hanno avuto anche la possibilità di fare il corso specifico in medicina generale (che garantisce l'attribuzione di 7 punti nelle graduatorie regionali); medici laureati dopo il 1994 che accedono alle graduatorie regionali solo dopo un corso triennale di formazione. Tra questi sono compresi i medici iscritti all'università prima del 1991 (data dell'entrata in vigore del primo decreto di recepimento), i quali, oltre a essere oggetto di esclusione dalla graduatoria regionale in quanto privi del titolo di formazione, vengono anche penalizzati nell'accesso al corso di formazione in quanto, ormai, definiti, troppo «anziani».

L'assurda conseguenza di questa situazione, tuttavia, è che per «carenze del territorio» si utilizzano comunque medici «post 1994» senza titolo di formazione specifica; si utilizzano per ricoprire temporaneamente incarichi nell'ambito della medicina generale (si vedano le sostituzioni dei medici di base particolarmente nel periodo estivo), della continuità assistenziale (le trimestralità attribuite per coprire le decine di posti vacanti), del pronto soccorso (presso cui lavorano medici con il contratto della continuità assistenziale, reso possibile dalla trasformazione del «pronto soccorso» in «punto di primo soccorso»). Giova ricordare che queste attività rappresentano allo stato attuale, in particolare in tutto il Sud d'Italia, le uniche concrete possibilità di lavoro per i medici abilitati dopo il 1994, i quali, pur avendo conseguito una o più specializzazioni, si vedono di fatto esclusi dall'esercizio della professione nel loro settore specialistico per assenza di posti di lavoro. La condizione è ulteriormente aggravata dalla carenza di una formazione post-laurea in medicina generale proporzionale al numero totale degli abilitati alla professione e comunque congruente con il fisiologico ricambio generazionale della categoria -- si calcola che tra meno di cinque anni ci sarà il pensionamento di migliaia di medici, tra ospedalieri e medici di base. Appare pertanto iniqua e insostenibile un'organizzazione tenuta in piedi da alcune categorie privilegiate che viene definita attraverso una pseudo «programmazione» pubblica. Non è altrettanto ammissibile l'ipocrisia di un sistema che da un lato richiede, per esercitare la professione in ambiti territoriali predefiniti, il possesso del titolo specifico di formazione in medicina generale e dall'altro, adducendo «carenze del territorio» e «stati di emergenza», impiega indistintamente i medici in forme di occupazione sottopagate, precarie e sul filo dell'illegittimità. Infine la situazione è ulteriolmente aggravata da alcune norme contrattuali; la norma finale 5 dell'accordo collettivo nazionale considera criterio prioritario di valutazione nelle graduatorie aziendali «la giovane età al momento della laurea» dimenticando come per i colleghi in graduatoria regionale (che fanno lo stesso identico lavoro) vengano considerati prevalenti i titoli accademici e l'anzianità di servizio.

Da questo contesto si evince l'urgenza di una soluzione normativa o legislativa per chi, nel limbo da dieci anni, fu vittima allora di una ingiusta «dimenticanza» e oggi subisce una progressiva esclusione dal mondo del lavoro.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. Al comma 1 dell'articolo 30 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché i medici chirurghi iscritti al corso universitario in medicina e chirurgia prima del 31 dicembre 1991 e abilitati all'esercizio professionale dopo il 31 dicembre 1994. Agli stessi è riconosciuto il titolo di formazione equipollente in medicina generale, purché in possesso di un diploma di medico chirurgo specialista ai sensi dell'articolo 20 del presente decreto e di un’esperienza professionale di almeno sei mesi anche non continuativa nell'ambito della medicina generale o nell'ambito di ogni altra attività equipollente, ovvero una formazione certificata ai sensi dell'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e di un’esperienza professionale di almeno tre anni anche non continuativa nell'ambito della medicina generale o nell'ambito di ogni altra attività equipollente».