Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE
Atto a cui si riferisce:
S.7/00301 a conclusione dell'esame, ai sensi dell'articolo 50 del Regolamento, dell'affare assegnato sulla Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni...
Atto Senato
Risoluzione in Commissione 7-00301 presentata da BRUNO MARTON
mercoledì 22 febbraio 2017, seduta n.029
Le Commissioni affari esteri e difesa riunite,
a conclusione dell'esame, ai sensi dell'articolo 50 del Regolamento, dell'affare assegnato sulla Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, adottata il 14 gennaio 2017 (Doc. CCL, n. 1),
premesso che:
l'articolo 2, comma 2, della legge 21 luglio 2016, n. 145 - Disposizioni concernenti la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali - prevede che "le deliberazioni in merito alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali sono trasmesse dal Governo alle Camere, che tempestivamente le discutono e, con appositi atti di indirizzo, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, autorizzano per ciascun anno la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, eventualmente definendo impegni per il Governo, ovvero ne negano l'autorizzazione";
con riferimento agli stanziamenti destinati alle missioni internazionali si segnala un trend in continuo aumento e la pressoché totale assenza di tentativi, di questo e dei precedenti Governi, di studiare metodi alternativi di risoluzione delle controversie internazionali che risultino più aderenti allo spirito dell'articolo 11 della Costituzione e più sostenibili dal punto di vista finanziario e in termini di risorse umane. Dalla relazione presentata dal Governo, si rileva un aumento delle spese militari del 7,3 per cento e una diminuzione sostanziale delle risorse impegnate nella cooperazione internazionale allo sviluppo, strumento che maggiormente tutelerebbe, invece, le necessità di carattere umanitario e di solidarietà delle popolazioni insistenti nei Paesi destabilizzati;
stante la longevità di talune missioni, risulta evidente l'impossibilità di determinare la durata effettiva delle stesse e quindi dell'impegno all'estero dei nostri militari. Ciò rende inefficace lo strumento delle missioni militari come modalità di risoluzione dei conflitti e come mezzo di stabilizzazione dei Paesi. e le operazioni militari indicate qui di seguito ne sono un esempio rappresentativo, pur se non esaustivo;
per quanto concerne le missioni in Afghanistan, la deliberazione del 14 gennaio, dispone un finanziamento di 174.391.943, per le forze di sicurezza di Kabul, fra cui la Polizia nazionale afghana. Quest'ultima da più di 5 anni figura nella "lista nera" stilata dal Segretariato generale dell'ONU, all'interno del rapporto sull'arruolamento di bambini-soldato, crimine condannato dal diritto internazionale. Inoltre il Rapporto 2015-16 di Amnesty International afferma che sono state segnalate violazioni, commesse dalla polizia locale afghana (ALP), fra cui intimidazioni, percosse, detenzioni illegali, uccisioni mirate e stupri di minori. A settembre del 2016, il New York Times ha riferito che "l'esercito statunitense aveva ignorato le denunce presentate dal suo personale, relative ad abusi sessuali su giovani ragazzi, compiuti nelle sue basi da comandanti dell'ALP". Inoltre il citato documento di Amnesty afferma che "l'Afghanistan ha continuato ad applicare la pena di morte, spesso al termine di processi iniqui". Tali elementi rendono emblematico il fallimento di 15 anni di presenza militare occidentale e della retorica della reintroduzione dei diritti umani;
per quanto riguarda la missione in Somalia, per cui è stato deliberato un finanziamento di 24.698.409per la proroga della partecipazione di personale militare, non possono non ravvisarsi delle criticità. La missione ha l'obiettivo di contribuire allo sviluppo e al rafforzamento delle forze di sicurezza somale con l'offerta di una formazione militare specifica, comprendente un'adeguata e specialistica formazione modulare per ufficiali e sottufficiali, nonché il sostegno alla formazione fornita dall'Uganda, per l'addestramento di duemila reclute somale. La missione ha addestrato molte centinaia di soldati somali. Tuttavia, secondo il citato Rapporto del Segretario generale dell'ONU del 5 giugno 2015 "Children and armed conflict", le Forze armate di Mogadiscio compaiono, come in passato, fra coloro che addestrano ed utilizzano i minori in combattimento, in evidente spregio del diritto internazionale. Il governo di Mogadiscio, anche secondo l'ultimo Rapporto annuale di Amnesty International, è ritenuto responsabile di gravi violazioni dei più elementari diritti umani.
Si ricorda che l'Italia ha siglato nel 2013 un Trattato di cooperazione militare con la Somalia finalizzato anche a rafforzare l'interscambio militare fra i due Paesi, nonostante la Somalia sia uno dei Paesi più poveri del mondo ed abbia bisogno di tutto meno che di armi. In questo contesto l'Italia dovrebbe subordinare ogni aiuto militare al rispetto dei diritti umani, in particolare stigmatizzando subito il fenomeno dei bambini soldato. Inoltre il governo di Mogadiscio, appoggiato oggi dalle forze europee, non presenta le caratteristiche di stabilità e consenso minimi, tali da essere ritenuto rappresentativo della popolazione somala, anche in relazione alla totale assenza di passaggi elettorali;
relativamente all'operazione militare europea nel Mediterraneo centromeridionale, denominata EUNAVFOR MED, per cui il Consiglio dei ministri ha autorizzato un finanziamento di 43.149.186, si ripropongono le medesime questioni che da anni, e in altre occasioni, si sono rilevate. Tale operazione si prefigge come obiettivo quello di contrastare l'attività criminosa dei "trafficanti di uomini". In particolare, tra le fasi previste, si statuiva la possibilità di avviare ispezioni, sequestri, arresti e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere utilizzate per la tratta di persone o il traffico di migranti, attraverso azioni sia per mare che per terra. Il programma, approvato dal Consiglio e dalla Commissione europea lo scorso maggio, prevedeva l'opportunità di distruggere le imbarcazioni degli scafisti nelle acque libiche, se non addirittura direttamente sul territorio libico. Queste attività di contrasto, che renderebbero concretamente utile tale operazione, non possono effettuarsi senza un preventivo accordo con lo Stato costiero, proprio perché necessitano di uno sconfinamento nelle acque libiche o l'approdo su terra. Ad oggi, tale accordo non si è potuto raggiungere a causa della mancanza in Libia di un governo stabile con cui si possa avviare un'attività congiunta di contrasto ai trafficanti di uomini, dunque l'operazione stessa può essere considerata di dubbia validità;
nell'area del Mediterraneo, la partecipazione italiana risulta assicurata, a vario titolo, da numerose operazioni. In particolare in Libia e nelle acque confinanti con questo Paese, siamo presenti: nella missione Ippocrate (con un contingente militare di 300 unità); nella missione UNSMIL; con la EUNAVFOR MED operazione SOPHIA (con 585 unità, 1 mezzo navale e 2 mezzi aerei); nella missione MARE SICURO (con 700 unità, 4 unità navali e 5 velivoli). Quest'ultima impegna le forze italiane nel mantenimento di un ambiente marittimo sicuro. Il Consiglio dei ministri ha autorizzato l'avvio di una nuova missione da parte della NATO, "Sea Guardian" che ricalca, da quanto indicato nel documento presentato alla Commissione, lo stesso obiettivo di sicurezza marittima, nelle coste adiacenti alla Libia. Tale nuova missione, aspetto di non poco conto, non avrebbe ancora una precisata base giuridica internazionale che la legittima. Dunque la "Sea Guardian", rischia di essere un doppione delle altre, con conseguente inutile e ulteriore dispendio di risorse umane e finanziarie. Inoltre, l'avvio di nuove e continue operazione vicino le coste libiche, potrebbero far ipotizzare forme di militarizzazione di questo Paese;
nella Deliberazione del Consiglio dei ministri, presentata alle Camere, viene confermato e aumentato, rispetto alla precedente proroga, il finanziamento (che ammonta a 300.723.249) degli interventi nazionali nelle missioni di contrasto a Daesh e al terrorismo internazionale nell'ambito delle operazioni legate alla Coalizione internazionale. Si rileva che nella lotta al terrorismo non sono stati previsti spostamenti di risorse finalizzati ad un'azione di sostegno alle popolazioni dei luoghi in cui i gruppi terroristici si radicano e raccolgono supporto. Tale assenza rileva poca lungimiranza e scarsa conoscenza della questione, giacché certi fenomeni antisociali come il terrorismo riescono a radicarsi e a trovare maggiormente terreno fertile, proprio dove c'è più povertà ed ingiustizia sociale;
per quanto riguarda le missioni NATO al confine con la Russia, in particolare la partecipazione italiana all'aumento della presenza NATO in Lettonia e in Bulgaria, si fa notare come il mutato contesto internazionale e l'elezione di un nuovo presidente americano con posizioni più dialoganti nei confronti della Russia, renderebbero necessaria una verifica sull'opportunità di prosecuzione di queste missioni
le Forze armate italiane sono attualmente impegnate in operazioni in tutte le principali aree di crisi del mondo, in contesti strategici diversi e con compiti ampiamente diversificati, ma volti, ufficialmente, al supporto e al mantenimento della pace e, dunque, alla tutela delle popolazioni insistenti nei territori d'intervento. Le missioni internazionali a cui l'Italia partecipa sono legittimate dall'autorizzazione giuridica, politica e in qualche modo anche morale, di organismi internazionali e dell'ONU in conformità a quanto sancito dai capitoli VI o VII della Carta delle Nazioni Unite. La Commissione difesa del Senato, il giorno 4 maggio 2016, nell'ambito di un'indagine conoscitiva riguardante le missioni internazionali e lo studio di un modello di "difesa alternativa", ha audito il dottor Gianni Rufini, direttore Italia dell'organizzazione non governativa "Amnesty International". Il dottor Rufini ha lamentato l'assenza - nei mandati internazionali di autorizzazione delle missioni internazionali, e di conseguenza nelle regole d'ingaggio e nei Piani operativi d'intervento dei singoli Paesi - di specifica tutela e protezione della popolazione civile insistente nelle aree di conflitto. La mancanza della citata previsione, infatti, comporta l'assenza di una copertura giuridica sia rispetto ad azioni orientate concretamente a perseguire i suddetti obiettivi di tutela, sia rispetto ad azioni mirate a censurare condotte che mettono a rischio l'incolumità dei civili;
impegna il Governo a:
revocare l'autorizzazione alla missione di supporto alle forze di Polizia afghane, giacché la presenza continuativa -per 15 anni delle forze armate italiane e degli altri Paesi aderenti- non ha comportato una sostanziale evoluzione nell'affermazione dei diritti umani e nella sicurezza di questo Paese;
revocare l'autorizzazione delle missioni NATO al confine con la Russia, in particolare la partecipazione italiana all'aumento della presenza NATO in Lettonia e in Bulgaria, in quanto il mutato scenario internazionale, determinato anche dalla nuova presidenza americana, rende inopportuna la loro prosecuzione;
revocare l'autorizzazione della missione EUTM Somalia (European Union Training mission Somalia) giacché, come testimoniato dai documenti di Amnesty International e dal Segretario generale dell'ONU, questo Paese recluta minori nei combattimenti, in violazione dei nostri principi costituzionali di tutela dell'infanzia, nonché del diritto internazionale;
revocare l'operazione EUNAVFOR MED con relativo finanziamento, in quanto non riscontrabili i presupposti per il perseguimento degli obiettivi originali;
revocare l'adesione dell'Italia alla nuova missione NATO "Sea Guardian" in quanto ricalca nella sostanza, gli stessi obiettivi delle altre operazioni in corso, in particolare "Mare sicuro", comportando così per il nostro Paese un ulteriore dispendio di risorse finanziarie ed umane, meglio impiegabili in progetti di sicurezza interna;
impiegare i finanziamenti destinati alla lotta contro Daesh anche per promuovere progetti di cooperazione tesi a sostenere la crescita economica e una cultura democratica delle popolazioni dei luoghi in cui maggiormente si radicano e trovano supporto i gruppi terroristici;
richiedere presso gli Organismi internazionali che, nei mandati delle missioni, siano inseriti esplicitamente obiettivi di protezione della popolazione civile insistenti nelle aree di conflitto, in modo da avere le necessarie coperture giuridiche per sanzionare le Forze armate che operano in contrapposizione ad essi, nonché esigere azioni volte a tutelare la vita dei civili;
ripensare gli obiettivi di politica estera e le proporzioni di spesa tra missioni militari e attività di cooperazione;
ridurre i finanziamenti alle missioni internazionali ed aumentare quelli in favore di interventi di cooperazione, che maggiormente assicurano processi di crescita e di sviluppo dei territori destabilizzati e consentono di far percepire la presenza italiana come un vero contributo al loro progresso e non come una nuova forma di colonizzazione;
valutare, anche con l'adozione di ulteriori atti aventi forza di legge, la riduzione dei fondi già appostati in favore delle missioni internazionali di pace, al fine di una loro parziale riallocazione in favore della Direzione dei Lavori e del Demanio (GENIODIFE) del Ministero della Difesa, in considerazione delle non più procrastinabili richieste di riassetto idrogeologico, e non solo, del territorio italiano;
rinegoziare i contributi che il nostro Paese conferisce alle varie organizzazioni internazionali (ONU, NATO, EU) finalizzate alla stabilizzazione e alla riappacificazione delle aree teatro di conflitto.
(7-00301)
MARTON, BERTOROTTA, SANTANGELO, PETROCELLI, LUCIDI