• C. 4135-2014-3108-3120-3268-3364-A-bis EPUB CIPRINI Tiziana, Relatore di minoranza

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Atto a cui si riferisce:
C.4135 [Ddl lavoro autonomo] Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato


Frontespizio Relazione
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4135-2014-3108-3120-3268-3364-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
4135
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 3 novembre 2016 (v. stampato Senato n. 2233)
presentato dal ministro del lavoro e delle politiche sociali
(POLETTI)
Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 3 novembre 2016
E
PROPOSTE DI LEGGE
2014
d'iniziativa dei deputati
MOSCA, ASCANI, SALTAMARTINI, TINAGLI, BONAFÈ, MORASSUT
Disposizioni per la promozione di forme flessibili e semplificate di telelavoro
Presentata il 29 gennaio 2014
3108
d'iniziativa dei deputati
CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, LOMBARDI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, RUOCCO
Disposizioni per la tutela e la valorizzazione dell'attività professionale dei lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, titolari di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, degli artigiani e dei commercianti, nonché norme in materia di tutela della maternità e di assistenza dei familiari disabili
Presentata il 7 maggio 2015
3120
d'iniziativa dei deputati
CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, LOMBARDI, DALL'OSSO, CHIMIENTI
Disposizioni concernenti la flessibilità dell'orario di lavoro, la cessione delle ferie per fini di solidarietà e l'istituzione della banca delle ore
Presentata il 15 maggio 2015
3268
d'iniziativa dei deputati
MUCCI, PRODANI, RIZZETTO
Modifica all'articolo 67 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le lavoratrici autonome
Presentata il 31 luglio 2015
3364
d'iniziativa dei deputati
GRIBAUDO, PARIS, ROTTA, ROSTELLATO, ARLOTTI, BARGERO, BINI, PAOLA BRAGANTINI, CAMANI, CAPOZZOLO, CASATI, CHAOUKI, CIMBRO, COMINELLI, CRIVELLARI, DI SALVO, D'INCECCO, D'OTTAVIO, CINZIA MARIA FONTANA, FREGOLENT, GHIZZONI, GIACOBBE, GIULIANI, GIULIETTI, GNECCHI, GIUSEPPE GUERINI, INCERTI, LACQUANITI, LODOLINI, PATRIZIA MAESTRI, MARANTELLI, MARCHI, MARTELLA, MARZANO, MINNUCCI, MORETTO, NARDUOLO, PATRIARCA, PIAZZONI, GIUDITTA PINI, RIBAUDO, GIOVANNA SANNA, SCUVERA, SIMONI, VALERIA VALENTE, VICO, ZOGGIA
Disposizioni per la tutela e la promozione del lavoro autonomo
Presentata il 14 ottobre 2015
(Relatrice di minoranza: CIPRINI)


      

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Onorevoli Colleghi! — Finalmente dopo essere stato più volte sollecitato e pungolato dal M5S sul tema degli autonomi, lo ricordo, abbiamo presentato una proposta di legge n. 3108, a mia prima firma nel maggio 2015 e la risoluzione n. 7-00590 in Commissione lavoro nel febbraio 2015, votata in Commissione nel dicembre del 2015, dopo una serie di vicissitudini, è arrivato alla Camera, questo sassolino nello stagno, da parte del tramontato Governo.
      Il provvedimento in titolo interviene sulla disciplina del lavoro autonomo e delle nuove forme di organizzazione della prestazione lavorativa nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato cosiddetto smart working.
      Esso si compone di due insiemi di norme, volte, da un lato, ad introdurre un sistema di interventi teso ad assicurare un rafforzamento delle tutele sul piano economico e sociale per i lavoratori autonomi e, dall'altro, a sviluppare, all'interno dei rapporti di lavoro subordinato, modalità flessibili di esecuzione delle prestazioni lavorative, allo scopo di promuovere la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
      Il M5S ritiene, tuttavia, che la costruzione di un sistema di diritti e di tutele per il lavoratore autonomo, e, in particolare, per i professionisti che non risultano iscritti ad alcun Ordine, non possa prescindere da ulteriori correttivi che il provvedimento in itinere dovrebbe seriamente valutare.
      In qualità di relatrice di minoranza, mi soffermerò su taluni aspetti, che appaiono critici o che necessitano di disposizioni integrative.
      Una prima criticità è proprio l'ambito di applicazione di questo disegno di legge.
      Scorretto parlare dello Statuto dei lavoratori autonomi, si tratta infatti di una versione molto, ma molto light, perché non riguarda tutti i 3 milioni e 300 mila lavoratori autonomi (lavoratori in proprio, senza dipendenti), ma solo una parte di essi.
      L'ambito applicativo delle disposizioni contenute nel medesimo Capo I, si riferisce ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile. In tali rapporti, secondo la disciplina codicistica, il lavoratore si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Dunque rientrano nel campo di applicazione del provvedimento i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile, ossia anche i contratti di agenzia, rischiando di compromettere la relativa autonomia regolatoria, nonché penalizzando una tipologia contrattuale che presenta peculiarità e prassi commerciali specifiche. Sarebbe indubbiamente più opportuno fare salvi gli accordi economici di riferimento (AEC) attraverso un'apposita norma di salvaguardia, per questa fattispecie contrattuale.
      Sono, infatti, esclusi i piccoli imprenditori, i coltivatori diretti, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, come a dire che le piccole imprese individuali, come una piccola attività estetica, debbano continuare ad avere diritti pari a zero e trovare come unica soluzione quella di evadere.
      Inoltre, l'applicazione di importanti norme vede come destinatari i professionisti iscritti agli ordini o collegi escludendo quella ampia platea di professionisti disciplinati dalla legge n. 4 del 2013 ovvero iscritti alla Gestione separata INPS e fortemente presenti in Italia.
      Come sottolineato dall'associazione R.E.TE. Imprese Italia, il fenomeno della piccola impresa, nella sua evoluzione recente, tende ad avvicinarsi al lavoro autonomo di «seconda generazione». Il lavoro prevalentemente personale costituisce un elemento comune tra lavoratore e piccolo imprenditore. Certamente l'attuale intervento sul lavoro autonomo avrebbe potuto rappresentare l'occasione per intervenire con provvedimenti ad hoc anche sulla disciplina delle tutele degli artigiani che al pari dei lavoratori autonomi di più hanno sofferto e soffrono la crisi e rappresentano la vera spina dorsale e risorsa essenziale del tessuto imprenditoriale italiano.
      Così è nella proposta di legge del M5S n. 3108, con la quale abbiamo proposto all'attenzione del Parlamento misure e tutele per gli autonomi ma estese anche all'artigiano e al piccolo commerciante: esclusione dagli studi di settore e sospensione dal pagamento dei contributi previdenziali per gli autonomi ma estesa anche agli artigiani, abolizione del minimo imponibile dovuto dagli artigiani a favore della Gestione speciale INPS, sospensione dei versamenti dei tributi in caso di grave malattia e degenza per gli autonomi ma estesa anche alla categoria degli artigiani.
      L'articolo 2 invece estende l'applicazione alle transazioni commerciali dei lavoratori autonomi delle disposizioni recate dal decreto legislativo n. 231 del 2002, di attuazione della direttiva 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. L'estensione si applica tanto alle transazioni con imprese, quanto alle transazioni con pubbliche amministrazioni o tra lavoratori autonomi.
      La norma, dalla rubrica accattivante «Tutela del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali», è sicuramente positiva ma non affronta né tantomeno risolve il vero punto dolente che riguarda e interessa i lavoratori autonomi: la certezza di avere strumenti e percorsi efficaci di recupero del credito maturato anche rivolgendosi alla competente Autorità giudiziaria in tempi certi o ragionevoli e quello delle tempistiche di pagamento.
      Il problema risiede purtroppo nell'inefficacia dell'applicazione delle disposizioni contenute nel sopra citato decreto legislativo: pur prevedendo che tutte le fatture dovrebbero essere saldate a trenta giorni, e che i termini di pagamento più lunghi debbano essere concordati tra le parti e mai eccedere i sessanta, in realtà la cronaca ci ha raccontato i ritardi mostruosi – soprattutto delle pubbliche amministrazioni – nei confronti dei creditori siano essi lavoratori autonomi o imprese.
      E anche nei rapporti tra imprese, spesso una piccola impresa (ora anche un lavoratore autonomo) non può che adattarsi alle lungaggini del committente più potente, perché andare in giudizio comporta non solo spese legali e ulteriori attese, ma spesso può anche minare il rapporto di fiducia e comportare la fine della collaborazione (con una penalizzazione, a conti fatti, della piccola impresa e dunque dell'autonomo).
      È vero: l'articolo 14 del disegno di legge ha previsto che anche le scritture contabili degli autonomi potranno costituire prova ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo per il credito maturato.
      Ma ciò non basta!
      Invece quali strumenti si danno in mano ai lavoratori autonomi per tutelare le loro paghe? Nessuno!
      Anzi in questo disegno di legge si dice di farsi un'assicurazione privata per i mancati pagamenti. Assurdo! Invece che metterli nella condizione di essere pagati e di recuperare il credito, gli si dice di farsi un'assicurazione privata che poi gliela deducete! Qualcuno potrebbe interpretare la predetta disposizione come l'ennesimo «regalo» alle compagnie assicuratrici.
      Al riguardo riteniamo invece che lo Stato dovrebbe – tramite una giustizia efficiente – approntare efficaci strumenti di recupero del credito a favore del lavoratore autonomo anziché incentivare (tramite la deducibilità dell'onere dell'assicurazione) forme di assicurazione contro il rischio del mancato pagamento delle prestazioni lavorative dovute.
      Questi problemi rischiano di persistere e di riprodursi tali e quali, pur applicando la normativa sulle transazioni commerciali anche ai lavoratori autonomi.
      La norma rischia di rimanere sulla carta e dunque inefficace poiché non risolverebbe il problema del lavoratore autonomo di recuperare il credito in tempi certi, del rispetto della tempistica nel pagamento di quanto dovuto (soprattutto, ma non solo, da parte delle pubbliche amministrazioni) e di adeguati strumenti di recupero del credito maturato nel caso di mancato pagamento da parte del committente.
      Bisogna fare in modo che lo Stato e le Pubbliche amministrazioni paghino nei tempi e nei termini stabiliti.
      In realtà non c'è nessun intervento a tutela dei compensi dell'autonomo ovvero del pagamento del dovuto entro termini certi da parte della Pubblica amministrazione.
      Ma in verità già sappiamo che questa legge n. 231 del 2002 sui ritardi nei pagamenti non è servita un granché e che i ritardi accumulati sono mostruosi. Figurarsi come potranno fare i lavoratori autonomi a farsi rispettare!
      L'articolo 3 reca ulteriori misure per tutelare i lavoratori autonomi nei confronti di comportamenti scorretti dei committenti.
      Riteniamo positivo che il legislatore intraprenda iniziative volte a reprimere condotte abusive in grado di costruire gravi squilibri contrattuali, fino a forme di vero e proprio sfruttamento.
      Tuttavia è sempre più forte l'esigenza di individuare per tutti gli autonomi parametri standard minimi a tutela non solo del compenso ad essi spettante ma anche della qualità della prestazione resa.
      Per questi motivi, il M5S ha presentato in Commissione l'emendamento per introdurre l'individuazione di parametri standard minimi, concernenti la natura, il contenuto e le caratteristiche delle prestazioni svolte dal lavoratore autonomo professionista sia nei confronti della committenza privata, sia nei confronti della pubblica amministrazione.
      Al riguardo, noi riteniamo doveroso sottolineare che l'articolo 36 della Costituzione tutela tutti i lavoratori, che, indipendentemente dal settore di appartenenza, possono far valere il diritto a ricevere un compenso che sia correlato alla qualità e alla quantità del lavoro. Nel testo in esame sarebbe quindi opportuno introdurre l'individuazione di parametri standard minimi per le prestazioni rese dai lavoratori autonomi a garanzia dell'adeguatezza del compenso corrisposto al lavoratore ma anche a garanzia della qualità della prestazione professionale resa alla Pubblica amministrazione.
      Un ulteriore aspetto di criticità del provvedimento in titolo è rappresentato dalle disposizioni contenute negli articoli 5, 6 e 10 aggiunti al Senato, caratterizzati da elementi di vaghezza, che si esauriscono nell'indicare l'oggetto della delega, senza circoscrivere la discrezionalità del Governo nell'esercizio della delega, senza individuare i ministeri competenti e i principi e i criteri direttivi a cui l'esecutivo debba attenersi.
      L'articolo 5, reca, infatti, una delega troppo generica e ampia al Governo in materia di rimessione di atti pubblici alle professioni ordinistiche, secondo i seguenti principi e criteri direttivi: individuazione degli atti da rimettere alle professioni ordinistiche, e riconoscimento del ruolo sussidiario delle professioni ordinistiche, demandando agli iscritti l'assolvimento di compiti e funzioni finalizzati alla deflazione del contenzioso giudiziario e ad introdurre semplificazioni in materia di certificazione dell'adeguatezza dei fabbricati alle norme di sicurezza ed energetiche, anche attraverso l'istituzione del fascicolo del fabbricato.
      Tale norma rappresenta un «arretramento» delle funzioni statali e delle pubbliche amministrazioni: il disegno evidente è quello di smantellare la Pubblica amministrazione invece di rafforzare e rendere efficiente la macchina statale – anche con un serio decentramento amministrativo – devolvendo funzioni e compiti propri di una amministrazione ai liberi professionisti che verrebbero «caricati» di oneri senza alcun onore ovvero contropartita tanto è vero che dall'attuazione della predetta norma «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni competenti provvedono ai relativi adempimenti mediante le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente».
      Dunque nessuna contropartita per i professionisti, ma solo una «resa» delle funzioni amministrative da parte dello Stato ai privati.
      Come se non bastasse tale rimessione di atti pubblici avviene solo a favore delle professioni ordinistiche: l'esclusione delle professioni associative, di cui alla legge n. 4 del 2013, dalla predetta «devoluzione pubblicistica», appare come un atto chiaramente neo–corporativo, di tipo protezionistico.
      Abbiamo proposto in Commissione la soppressione dell'intero articolo 5: è stata soppressa solo la lettera b), con cui viene abrogata la previsione relativa al riconoscimento del ruolo sussidiario delle professioni ordinistiche, in merito all'assolvimento di compiti e funzioni finalizzati alla deflazione del contenzioso giudiziario e all'introduzione di semplificazioni in materia di certificazione dell'adeguatezza dei fabbricati alle norme di sicurezza ed energetiche, in particolare attraverso il fascicolo del fabbricato, strumento ripetutamente bocciato dalla giurisprudenza, sia a causa «degli oneri economici, imposti indistintamente a tutti i proprietari, anche di modeste condizioni economiche, [...] poiché avrebbe posto a loro carico un obbligo di comunicazione al Comune di molte informazioni già in possesso di questi e di altre non connesse allo scopo del provvedimento e di difficile acquisizione» (Corte Cost. n. 315 del 2003), sia per l'inutilità del fascicolo di fabbricato, che non sostituisce il controllo relativo alla sicurezza, connessa a crolli di interi edifici, che la Pubblica amministrazione deve svolgere per tempo. Si sarebbe trattato di uno strumento illegittimo ai sensi degli articolo 3 e 97 della Costituzione, configurandosi come nuova tassa occulta, a carico dei proprietari di immobili. Per gli edifici «in condominio» si può considerare il Documento di Valutazione rischi (DVR) quale strumento molto più efficiente e meno oneroso rispetto al fascicolo di fabbricato.
      L'articolo 6 reca una delega al Governo finalizzata al rafforzamento delle prestazioni di sicurezza e di protezione sociale dei professionisti iscritti a ordini e a collegi, anche in questo caso, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il decreto delegato dovrà consentire agli enti di previdenza di diritto privato, anche in forma associata, ove autorizzati dagli organi di vigilanza, di attivare, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e socio-sanitario, anche altre prestazioni sociali, finanziate da apposita contribuzione, con particolare riferimento agli iscritti che hanno subito una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla loro volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie.
      Si rileva, anche nel caso di specie, un atteggiamento neo – corporativo, ossia a sostegno delle sole categorie professionali, organizzate in ordine e collegi, continuando ad escludere le altre professioni previste dalla legge n. 4 del 2013 e i professionisti iscritti alla Gestione separata, a discapito della tutela collettiva del settore in questione. Sarebbe opportuno e inderogabile estendere la sicurezza e la protezione sociale a tutti i professionisti, indipendentemente dall'appartenenza ai citati ordini come abbiamo proposto con un nostro emendamento: a tal scopo è finalizzato il nostro emendamento volto a estendere tali prestazioni sociali anche agli autonomi iscritti alla Gestione separata INPS ovvero disciplinati dalla legge n. 4 del 2013.
      Basti pensare che il totale dei professionisti associati presenti in Italia è circa di 3 milioni e mezzo di lavoratori. Essi producono un PIL in termini percentuali tra il 4 ed il 7 per cento e rappresentano il 14 per cento degli occupati italiani: grave escluderli da tali previsioni.
      Ad essi era indirizzato il nostro emendamento volto a ridurre per i primi tre anni di attività l'aliquota contributiva nella misura del 50 per cento e dunque ad incentivare l'ingresso e l'avvio delle nuove partite IVA.
      Esprimiamo soddisfazione per aver reso strutturale, attraverso l'introduzione dell'articolo 6-bis, la DIS - COLL, consentendo anche ai ricercatori e agli assegnisti di potervi accedere.
      L'articolo 7 reca una serie di disposizioni di carattere fiscale e sociale.
      In particolare, il comma 3 riconosce, a decorrere dal 1 gennaio 2017, il diritto ad un trattamento economico per congedo parentale, per un periodo massimo di sei mesi entri i primi tre anni di vita del bambino, alle lavoratrici e ai lavoratori iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, tenuti al versamento della contribuzione maggiorata. I trattamenti economici eventualmente fruiti in altra gestione o cassa previdenziale non possono complessivamente superare il limite di sei mesi.
      Al riguardo, abbiamo presentato un emendamento – senza successo – per consentire a entrambi i genitori, iscritti alla gestione separata INPS di poter fruire dei congedi parentali volontari, con un massimo di 6 mesi a genitore, cumulandoli sino a 11 mesi, al pari di quanto previsto per i dipendenti.
      Ma non solo: sarebbe più utile consentire la scelta tra fruire il congedo parentale e usufruire dello stesso trattamento economico per sostenere i costi, documentati, relativi ai servizi di cura del bambino affinché fosse effettivamente garantita anche alla donna lavoratrice autonoma la libera scelta di continuare a lavorare ovvero «restare a casa» legittimamente con il figlio.
      Il comma 5 dispone la corresponsione del trattamento economico, a prescindere dal requisito contributivo delle tre mensilità nei dodici mesi precedenti l'inizio del periodo indennizzabile, per i periodi entro il primo anno di vita del bambino anche alle lavoratrici e ai lavoratori che abbiano titolo all'indennità di maternità o paternità. In questo caso, l'indennità è pari al 30 per cento del reddito di riferimento per la corresponsione dell'indennità di maternità. Sulla base del comma 6, le disposizioni in esame si applicano anche in caso di adozione o affidamento preadottivo.
      In relazione al calcolo dell'indennità di maternità, sarebbe opportuno – come peraltro segnalato in sede di audizioni – garantire un minimo dignitoso, anche nelle situazioni in cui la professionista abbia avuto un reddito molto basso.
      Il comma 8 concerne la disciplina dell'indennità di malattia per gli iscritti alla Gestione separata INPS e non iscritti ad altra forma pensionistica obbligatoria né titolari di trattamento pensionistico, attualmente riconosciuta, ai sensi del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001, per i casi di degenza ospedaliera.
      In particolare, la disposizione prevede l'equiparazione alla degenza ospedaliera dei periodi di malattia, certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche, o di gravi patologie cronico-degenerative o che comunque comportino una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento.
      Il suddetto comma recepisce, di fatto, quanto richiesto con la risoluzione del M5S del febbraio 2015 concernente l'equiparazione della misura dell'indennità di malattia alla misura dell'indennità di degenza ospedaliera nei casi di malattie che prevedono terapie invasive (quali chemioterapia, radioterapia e altro) poi trasfusa nella disposizione contenuta nell'articolo 10 della nostra proposta di legge n. 3108, a mia prima firma, e di questo me ne compiaccio.
      Tuttavia, è necessario ampliare la definizione di «malattia grave», includendo ogni condizione di salute grave, conseguente a trattamenti terapeutici, che obblighi l'interessato a sospendere, in misura totale o parziale, l'attività lavorativa per un periodo di tempo superiore a 60 giorni consecutivi. La disposizione in commento dovrebbe fare riferimento a tutti i casi di malattia grave certificata che comporti sia un'inabilità temporanea del 100 per cento, sia un'inabilità permanente dell'integrità fisica pari ad almeno il 50 per cento.
      Stupisce inoltre il mancato accoglimento in Commissione del nostro emendamento che avrebbe introdotto la previsione secondo cui la misura minima di contributi necessari per godere dell'indennità di malattia non debba essere quella maturata negli ultimi 12 mesi prima della malattia (come accade oggi), bensì negli ultimi 36 mesi nonché la copertura figurativa del medesimo periodo di malattia: misure che avrebbero veramente contribuito alla tutela effettiva e piena della lavoratrice autonoma in caso di malattie improvvise o che si ripresentano a distanza di tempo così lasciando – ancora una volta – disatteso anche la nostra proposta presentata nella risoluzione in Commissione n. 7-00590 di ampliamento del periodo di tutela in caso di malattia.
      L'articolo 8 introduce modifiche al regime di deducibilità delle spese di formazione nonché disposizioni per favorire l'accesso alla formazione permanente.
      La disposizione vigente consente la deduzione per le spese di partecipazione a «convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale», incluse quelle di viaggio e soggiorno, nella misura del 50 per cento del loro ammontare. L'articolo in esame dispone, invece, l'integrale deducibilità, fino a un massimo di 10.000 euro, delle spese di iscrizione a master e corsi di formazione o aggiornamento professionale, convegni e congressi, nonché l'integrale deduzione, entro il limite annuo di 5.000 euro, delle spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, ricerca e sostegno all'autoimprenditorialità, formazione e riqualificazione professionale, nonché quella degli oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornite da forme assicurative o di solidarietà.
      La norma in commento appare condivisibile, sebbene non si comprenda il limite di 10 mila e 5 mila euro entro il quale ottenere la suddetta deducibilità.
      Particolare è la disposizione che prevede altresì la deducibilità degli «oneri sostenuti per la garanzia contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative o di solidarietà». Qualcuno potrebbe interpretare la predetta disposizione come l'ennesimo «regalo» alle assicurazioni.
      Inutilmente in Commissione il M5S ha proposto l'emendamento per rendere deducibili anche le spese per iscrizione e attestazione, ai sensi della legge n. 4 del 2013 nonché le spese di viaggio e soggiorno per la partecipazione a master o corsi di aggiornamento e formazione.
      Il successivo articolo 9 reca disposizioni volte a favorire l'accesso dei lavoratori autonomi alle informazioni sul mercato e ai servizi di politica attiva del lavoro.
      La norma è interessante ma con una grossa criticità e un punto di domanda.
      Finora i lavoratori autonomi hanno sempre dovuto adoperarsi autonomamente nella «ricerca» del lavoro. Tutt'al più qualche professionista ha potuto forse far riferimento al suo Ordine professionale (benché siano davvero pochi quelli che negli ultimi anni si sono seriamente posti il problema degli sbocchi professionali dei propri iscritti).
      Ora il disegno di legge in esame prevede che gli autonomi debbano poter avere «diritto di accesso alle informazioni sul mercato» e soprattutto fruire di «servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e ricollocazione».
      Il che vuol dire, si legge nel testo della norma in commento, che «i centri per l'impiego e gli organismi accreditati si dotano, in ogni sede aperta al pubblico, di uno sportello dedicato al lavoro autonomo», abilitato a raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo, fornire le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che ne facciano richiesta, sia relativamente alle procedure per l'avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni, sia per l'accesso a commesse ed appalti pubblici, nonché in relazione alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali».
      Il problema è che i Centri per l'impiego sono oggi totalmente inadeguati a fornire servizi di qualità all'utenza: hanno poco personale, nella maggior parte dei casi poco preparato, hanno subito un contraccolpo fortissimo con il caos della soppressione delle Province, con il risultato che la loro già scarsa dotazione economica è stata ulteriormente rivista al ribasso, o quantomeno congelata.
      Con turn-over bloccato e dotazione di strumenti tecnologici pressoché inesistente, i Centri per l'impiego già fanno fatica a non soccombere e a far fronte all'ordinaria amministrazione. Per aprire degli sportelli per lavoratori autonomi bisognerebbe necessariamente mettere a disposizione un budget adeguato, assumere personale specializzato. Bisogna avere (e pagare) personale preparato che conosca il territorio nel quale opera quel determinato professionista, il tipo di clientela che potrebbe richiedere i servizi offerti da quel professionista, il «target» (cioè a quali clienti potrà rivolgersi quel lavoratore autonomo) di ciascun professionista: ad esempio il «target» di clientela che richiede un avvocato è senz'altro diverso da quello di un ingegnere o architetto o addirittura di un veterinario o un informatico.
      Dunque, la norma è astrattamente condivisibile ma con una scarsa prospettiva realistica tanto più che a tali adempimenti «si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane, strumentali, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente». E quindi in maniera limitata.
      L'articolo 10 delega il Governo al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori applicabili agli studi professionali.
      La disposizione in commento potrebbe rappresentare un passo importante, alla luce della complessità relativa alla formulazione e alle difficoltà di attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, che attualmente non prevede alcuna adattabilità alle singole realtà produttive. È necessario che la delega prevista dalla norma venga attuata, anche al fine di adeguare la normativa vigente in materia di salute e sicurezza nella direzione di una maggiore attenzione alle categorie professionali, diversificando in tal modo, l'applicazione delle regole rispetto a quelle applicabili al sistema della grande impresa, più rigide e senza per questo indebolire il sistema sanzionatorio.
      L'articolo 11 dispone, al comma 1, l'obbligo per le amministrazioni pubbliche, in qualità di stazioni appaltanti, di promuovere la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici o ai bandi per l'assegnazione di incarichi personali di consulenza o ricerca, favorendo l'accesso alle informazioni e la loro partecipazione alle procedure di aggiudicazione, senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica, come previsto dal comma 5.
      In particolare il comma 2 equipara i lavoratori autonomi del provvedimento in esame alle piccole e medie imprese ai fini dell'accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali europei. Rispetto alla disciplina vigente, recata dal comma 821 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, che viene contestualmente abrogato, si prevede un'estensione della disciplina ai lavoratori autonomi e si elimina il riferimento al periodo di programmazione 2014/2020 dei fondi europei.
      Essa rappresenterebbe il punto di approdo dell'impegno richiesto dal M5S con la risoluzione approvata in Commissione con la quale espressamente abbiamo proposto interventi volti a consentire anche ai lavoratori autonomi l'accesso alle risorse e agli strumenti previsti dai Fondi strutturali europei, e, in particolare, dal Fondo sociale europeo e dal Fondo europeo di sviluppo regionale per garantire l'accesso alla formazione e all'aggiornamento professionale.
      Tale disposizione è meritevole di apprezzamento. In questo senso viene implementata al comma 3, la previsione originaria consentendo ai liberi professionisti di aderire a contratti di rete, a consorziarsi e a costituire associazioni temporanee professionali, rendendo tali professionisti soggetti economici più solidi e interdisciplinari, in grado di competere sul mercato europeo. La predetta partecipazione in rete dovrebbe comunque essere prevista anche per lo svolgimento di attività economiche diverse, non solo per la partecipazione a bandi e gare d'appalto.
      L'articolo 12, modificando l'articolo 64, comma 2, del decreto legislativo n. 51 del 2001, elimina l'obbligo di astensione dall'attività lavorativa per potere usufruire dell'indennità di maternità nel periodo di congedo obbligatorio.
      La norma è senz'altro apprezzabile e rispondente all'interesse delle lavoratrici autonome che nei periodi di astensione obbligatoria non possono emettere fattura pena la perdita dell'indennità di maternità e in particolare dei lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS anche se la norma avrebbe dovuto essere integrata riconoscendo la contribuzione figurativa come ebbe a richiedere il M5S nella originaria risoluzione in Commissione e con l'emendamento presentato in Commissione ma puntualmente respinto nonostante vi fosse indicata la copertura finanziaria.
      L'articolo 13 introduce ulteriori misure per la tutela della maternità, della malattia e dell'infortunio.
      Attualmente il lavoratore autonomo è privo di tutele efficaci.
      Il comma 3 dell'articolo in commento inserisce un elemento di garanzia, prevedendo che «in caso di malattia e infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell'attività professionale per una durata superiore ai 60 giorni, il versamento degli oneri previdenziali e dei premi assicurativi è sospeso per l'intera durata della malattia e dell'infortunio fino ad un massimo di due anni».
      Tale sospensione non esenta tuttavia il lavoratore autonomo dal pagamento del debito previdenziale maturato durante il periodo di sospensione, da restituire con tempistiche diluite e cioè «in rate mensili nell'arco di un periodo pari a tre volte quello di sospensione».
      La norma, pur apprezzabile, soddisfa solo in piccola parte quanto il M5S ha chiesto con la risoluzione in Commissione del febbraio 2015 e gli emendamenti proposti in Commissione cercando di spingere il Governo e il Parlamento ad adottare tutte le iniziative normative utili a prevedere meccanismi di tutela in caso di malattia del lavoratore autonomo iscritto alla Gestione separata INPS prevedendo non solo la sospensione degli obblighi contributivi (com'è previsto nell'attuale disegno di legge) ma anche di quelli fiscali, nonché l'esclusione dagli studi di settore a carico dei medesimi autonomi, compresi gli artigiani e commercianti iscritti alla Gestione speciale INPS, in tutti i casi di patologia grave o le cui cure rendano impossibile la continuazione dell'attività.
      La norma non prende in alcuna considerazione la possibilità di sospendere, in caso di malattia grave o infortunio, anche il versamento dei tributi nonché la sospensione degli studi di settore ovvero dei futuri indici di affidabilità fiscale come abbiamo cercato di emendare in Commissione.
      Il comma in parola non contiene inoltre la specifica previsione del divieto di applicare maggiorazioni per interessi legali o di mora in caso di rateizzazione e restituzione delle somme oggetto della sospensione.
      Infatti anche se, per effetto del recente decreto-legge n. 193 del 2016, convertito dalla legge n. 225 del 2016 (cosiddetto «decreto fiscale»), si prevede la soppressione degli studi di settore in sostituzione dei quali saranno introdotti, dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2017, – con un escamotage semantico – i cosiddetti indici sintetici di affidabilità fiscale, cui saranno collegati livelli di premialità per i contribuenti più affidabili, permane il vulnus dell'assoggettamento del lavoratore autonomo ai predetti studi di settore o agli analoghi indici di affidabilità.
      Sempre sul fronte fiscale, nemmeno il nostro emendamento volto a escludere dall'Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) i lavoratori autonomi unitamente ad una drastica riduzione degli adempimenti fiscali a loro carico, ha trovato accoglimento in Commissione.
      Dunque, siamo ancora lontani da un'effettiva tutela del lavoratore autonomo nonché da un effettivo alleggerimento della pressione tributaria e degli adempimenti burocratici che gravavo sul lavoro autonomo, come dimostra anche il sopra citato decreto-legge n. 193 del 2016 che ha aggravato di ben nuovi otto adempimenti a carico dei professionisti la loro vita lavorativa.
      «Curiosa» e paradossale è, tuttavia, la formulazione dell'articolo 13 del disegno di legge in esame laddove si prevede che «la gravidanza, la malattia e l'infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non comportano l'estinzione del rapporto di lavoro, la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente».
      In sostanza, si riconosce giustamente al lavoratore autonomo il diritto alla sospensione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore a 150 giorni con il committente in caso di gravidanza, malattia ed infortunio del lavoratore autonomo ma subito dopo si dice «fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente».
      Dunque il committente a suo insindacabile ed arbitrario giudizio potrà ritenere (come accade facilmente) che quella sospensione fa venir meno il suo interesse e dunque «risolvere» cioè sciogliere, a suo piacimento, il rapporto di lavoro con l'autonomo.
      Di fatto, tale formulazione annulla ciò che viene «concesso» prima. Tale infelice formulazione rappresenta un vero e proprio paradosso.
      Per questi motivi all'articolo 13, comma 1, del disegno di legge il M5S ha chiesto la soppressione delle seguenti parole: «fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente» eppure senza alcun successo.
      Per quanto riguarda l'articolo 14, la novella normativa estende ai lavoratori autonomi il principio di idoneità degli estratti autentici delle scritture contabili come prova scritta ai fini dell'ammissibilità del procedimento giurisdizionale sommario di ingiunzione, attualmente riconosciuto solo in favore delle imprese.
      Salutiamo con favore l'approvazione della proposta emendativa relativa all'istituzione del Tavolo tecnico (articolo 14-bis), come richiesto dal M5S e ci trova ovviamente favorevoli.
      Il Capo II, reca disposizioni riguardanti il lavoro agile.
      Il lavoro agile, o smart working, non rappresenta una nuova tipologia contrattuale ma una particolare modalità di svolgimento della prestazione di lavoro basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici e delle possibilità tecnologiche esistenti, nonché dall'assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali.
      In particolare, l'articolo 15, al comma 1, indica che le disposizioni del provvedimento promuovono il lavoro agile quale strumento per incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La disposizione chiarisce che il lavoro agile rappresenta una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, e con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici.
      La norma precisa, inoltre, che la prestazione lavorativa è eseguita, in parte, all'interno dei locali aziendali e, in parte, all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
      L'introduzione della normativa sul «lavoro agile» nel contesto della normativa del lavoro autonomo non appare convincente.
      In primis, a nostro avviso, il ricorso, i casi, le forme e le modalità di introduzione del lavoro agile all'interno dell'azienda dovrebbero essere stabilite nell'ambito della cornice di una contrattazione collettiva, in maniera tale da escludere anche il dubbio della concretizzazione di una nuova categoria di contratto di lavoro.
      La scelta del contratto individuale per stabilire il lavoro agile è senz'altro penalizzante per il lavoratore che si trova in una posizione di debolezza contrattuale.
      La mera negoziazione individuale, in assenza di una cornice ben definita dalla contrattazione collettiva, potrebbero avere conseguenze penalizzanti per il lavoratore – notoriamente parte debole nel rapporto di lavoro – ed in particolar modo per alcuni lavoratori, quali, ad esempio, i disabili, a causa del vantaggio realizzato delle imprese, dal lavoro a domicilio svolto dai disabili, finalizzato ad evitare di adeguare l'ambiente di lavoro, disattendendo le norme relative all'obbligo di inclusione dei lavoratori e delle lavoratrici con disabilità.
      Inoltre, aspetto grave, è lasciata all'accordo individuale l'individuazione delle condotte che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari e non è previsto un obbligo di formazione.
      Evidenti le differenze rispetto al telelavoro: quest'ultimo, disciplinato nel 2004 da un accordo interconfederale che recepisce l'Accordo-quadro europeo sul Telelavoro stipulato a Bruxelles il 16 luglio 2002 tra UNICE/UEAPME, CEEP e CES. Caratterizzato dallo svolgimento dell'attività lavorativa al di fuori dei locali dell'impresa con’ una scelta totalmente volontaria del datore di lavoro e del lavoratore interessati, il telelavoratore fruisce dei medesimi diritti, garantiti dalla legislazione e dal contratto collettivo applicato, previsti per un lavoratore comparabile che svolge attività nei locali dell'impresa, è previsto l'obbligo per il datore di lavoro di rispettare il diritto alla riservatezza del telelavoratore, l'obbligo in capo al datore di lavoro di provvedere alla compensazione o copertura dei costi direttamente derivanti dal lavoro, in particolare quelli relativi alla comunicazione, e responsabilità del datore di lavoro della tutela della salute e della sicurezza professionale del telelavoratore, conformemente alla legislazione nazionale (decreto legislativo n. 81 del 2008) con carichi di lavoro e livelli di prestazione equivalenti a quelli dei lavoratori comparabili che svolgono attività nei locali dell'impresa.
      Ma non solo all'articolo 16 del disegno di legge in tema di accordo relativo alla modalità di lavoro agile non vi è nessun riferimento alla volontarietà di tale accordo tra datore di lavoro e dipendente, tanto che la richiesta da parte del datore di organizzare la prestazione lavorativa in modalità agile potrebbe ritenersi anche «vincolante» per il lavoratore.
      Sarebbe stato opportuno prevedere l'inserimento della volontarietà quale condizione per l'accesso al lavoro agile nonché la clausola di salvezza secondo la quale il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa in modalità agile non può mai configurare un motivo o una causa di risoluzione del rapporto di lavoro (come proposto con i nostri emendamenti).
      Inoltre l'organizzazione delle modalità di lavoro agile può avvenire anche – secondo la lettera della norma – «con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro» ovvero «entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva».
      Tale formulazione presenta criticità in tema di conformità della norma alla Costituzione e alla normativa in tema di orario di lavoro.
      A tal fine si evidenzia che l'organizzazione del lavoro in modalità agile è suscettibile di incidere sull'orario di lavoro e sulla conseguente prestazione lavorativa.
      La collocazione oraria deve considerarsi sempre oggetto di specifica pattuizione nel contratto di lavoro, pena la non riconducibilità di questo alla fattispecie tipica del contratto di lavoro subordinato.
      Prevedere una forma di organizzazione della prestazione lavorativa con modalità agile «con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro» rischia, di fatto, di non rientrare nella fattispecie tipica del contratto di lavoro subordinato prevista dall'articolo 2094 del codice civile e, dunque, rischia di incidere su uno dei requisiti della prestazione lavorativa subordinata che è la predeterminazione dell'orario di lavoro, poiché la distribuzione della prestazione nell'arco della giornata e della settimana deve considerarsi, di regola, sempre oggetto di pattuizione specifica, implicita o esplicita, nel contratto corrispondente al tipo legale di cui all'articolo 2094 del codice civile e cioè del contratto di lavoro subordinato a cui è ricondotta la prestazione di lavoro in modalità agile.
      Di qui deriva che anche il mutuo e libero consenso delle parti è elemento imprescindibile per attuare il lavoro agile e per determinare la quantità della prestazione lavorativa: eppure nel testo del disegno di legge non si evince la «volontarietà» di tale scelta né la determinazione dell'orario della prestazione in modalità agile.
      La locuzione – a parere dello scrivente – infelice, introdotta nel passaggio al Senato, secondo cui il lavoro agile può avvenire anche «con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro», consente al datore di lavoro – nei fatti – di variare a suo arbitrio e senza alcuna preventiva concertazione l'orario di lavoro quasi pretendendo così la completa e totale disponibilità del lavoratore e dunque con l'effetto di creare un limite incerto con riferimento al quantum della prestazione lavorativa giornaliera. Anche il lavoro straordinario rischierebbe di «sparire» e non si comprenderebbe il limite oltre il quale «scatterebbe» lo straordinario.
      Per questi motivi in Commissione abbiamo richiesto la soppressione di tale inciso.
      Anche per tali motivi la determinazione precisa della distribuzione dell'orario di lavoro quale modalità della prestazione oggetto del contratto (che nel lavoro agile viene lasciato alle parti del contratto individuale di lavoro), rappresenta un vulnus ad una delle forme di protezione degli interessi del lavoratore – parte debole che si reputa maggiormente esposta a possibili abusi – affinché vi sia certezza di ciò che è dovuto e di ciò che si può pretendere dal lavoratore.
      Ma la determinazione e collocazione dell'orario di lavoro ha riflessi non solo sull'inquadramento del contratto agile nell'ambito del contratto di lavoro subordinato previsto dall'articolo 2094 del codice civile ma anche sulle fondamenta della tutela della salute del lavoratore poiché la protezione del diritto alla salute (definito dalla nostra Costituzione come «fondamentale») non può essere anteposta al «diritto» del datore di lavoro di scegliere la collocazione temporale della prestazione lavorativa.
      Lo smart working implica una serie di potenziali rischi per la salute del lavoratore che sembrano sottovalutati nel disegno di legge: rischi di sovraccarico cognitivo ed emotivo (sindrome di burn out), isolamento ed emarginazione del lavoratore, debolezza «sindacale» dello stesso dovuta alla lontananza dal luogo di lavoro e dall'impossibilità di interagire con i colleghi.
      In tale direzione vanno gli emendamenti presentati in tema di formazione e prevenzione dei rischi, l'individuazione di fasce di disponibilità massima, ovvero dei periodi durante i quali il lavoratore agile s'impegna ad essere reperibile, la predisposizione, di percorsi di sostegno e formazione per evitare il determinarsi dei suddetti rischi nonché per tutelare l'equilibrio psico-fisico del dipendente.
      Ma la protezione della salute non è l'unico valore che entra in gioco, in quanto va considerata anche la tutela del tempo libero del lavoratore.
      La Corte costituzionale con la sentenza n. 210 del 1992 – in un caso concernente la possibilità di apporre le clausole elastiche nel part time nella vigenza dell'articolo 5 della legge n. 863 del 1984 – evidenzia dei principi costituzionali importanti sul lavoro subordinato affermando che «sarebbe certamente lesivo della libertà del lavoratore che da un contratto di lavoro subordinato potesse derivare un suo assoggettamento ad un potere di chiamata esercitabile, non già entro coordinate temporali contrattualmente predeterminate o oggettivamente predeterminabili, ma ad libitum, con soppressione quindi, di qualunque spazio di libera disponibilità del proprio tempo di vita, compreso quello non impegnato dall'attività lavorativa».
      Insomma la Corte afferma che il contratto di lavoro subordinato non può prevedere l'assoggettamento ad un potere datoriale illimitato di chiamata, perché ciò comporterebbe la soppressione, per il lavoratore, di qualunque spazio di libera disponibilità del proprio tempo di vita.
      La necessità di rispettare il diritto del lavoratore a disporre del suo tempo di vita anche nel rapporto di lavoro standard (cioè a tempo pieno) è stato affermato anche dalla pronuncia della Cassazione n. 12962 del 2008, secondo la quale «il tempo libero ha una sua specifica importanza stante il rilievo sociale che assume lo svolgimento (...) di attività sportive, ricreative, culturali, sociali, politiche, scolastiche, ecc., o anche di un secondo lavoro, nel caso in cui non sia prevista una clausola di esclusiva».
      Ma non basta.
      Il lavoratore agile secondo il disegno di legge verrebbe anche «condizionato» al raggiungimento di determinati «obiettivi» (analoghi al co.co.pro. o al lavoratore autonomo) così – di fatto – trasformando un lavoratore subordinato in un lavoratore autonomo sotto il profilo dell'orario di lavoro (senza vincoli di orario) e sotto il profilo dell'organizzazione (dovrebbe organizzarsi da sé il lavoro).
      Il lavoratore agile si troverebbe in una «zona grigia», metà subordinato e metà autonomo, con l'effetto di perdere le garanzie tipiche del subordinato (sia in tema di limite di orario determinato massimo anche per «staccare la spina dal lavoro» e sia in tema di garanzie di sicurezza del luogo di lavoro poiché non avrebbe una postazione fissa presso l'azienda del datore di lavoro ma una sede scelta da lui ma sempre entro i limiti di «criteri di ragionevolezza»).
      La domanda che pongo è la seguente: cosa succede se il lavoratore subordinato non raggiunge o non rispetta l'obiettivo concordato?
      Il mancato conseguimento dell'obiettivo potrebbe anche incidere sull'esatta e diligente esecuzione della prestazione lavorativa e dunque aprire le porte ad una contestazione disciplinare per «inesatto adempimento della prestazione lavorativa» e dunque anche ad un più facile licenziamento per «scarso rendimento» dovuto al mancato conseguimento dell'obiettivo concordato.
      In verità, i bocconiani che hanno ideato questo testo di legge, hanno in mente una nuova frontiera di lavoro autonomo, che rischia di «rottamare» anche il normale lavoro dipendente. Infatti, se si guarda in controluce questo testo di legge, si capisce subito quale è il legame tra il Capo I, che riguarda la tutela del lavoro autonomo, e il capo II, che riguarda il lavoro agile, o smart working, nell'ambito del lavoro subordinato.
      Il legame è la GIG economy, termine sdoganato da Hillary Clinton, nel suo programma economico, e che fa riferimento a un modello economico sempre più diffuso, dove non esistono più le postazioni lavorative con un posto fisso e a tempo indeterminato, ma si lavora on demand, cioè solo quando c'è richiesta di prodotti o servizi. Domanda e offerta vengono gestite on line, attraverso piattaforme e app dedicate, come per Uber, come per Foodora. Nella Gig economy i lavoratori sono tutti in proprio, guarda caso, e svolgono attività temporanee.
      Ecco quindi che il lavoro dipendente diventa ostacolo ai fini dell'impresa 4.0, in cui sono le esigenze fluttuanti di un mercato on demand, a richiesta di consumo, a dettare i nuovi tempi del lavoro.
      In questa prospettiva, ci sarà allora sempre meno lavoro dipendente, con le relative tutele, e sempre più lavoro autonomo, in balia del libero mercato senza regole, delle leggi del capitale che precarizzano le esistenze, richiedendo massima flessibilità e capacità di adattamento.
      Ecco che il lavoro agile, se non ben definito e normato, rischia di sfociare nella bioeconomia, cioè quando l'economia si prende la vita e il tempo familiare viene colonizzato dal tempo di lavoro. È quella che gli esperti chiamano domestication: ti promettono di emanciparti, perché lavori da casa, ma profanano i tuoi spazi privati, perché in base alle leggi del capitale, della competitività rischiano di sparire i giorni dedicati al riposo, per fare concorrenza 24 ore su 24, grazie anche ai sistemi intrusivi di controllo sui dipendenti che lavorano da casa. E con il Jobs Act e il controllo a distanza sui lavoratori, vi siete già portati avanti lungo questo percorso.
      Dal 1° gennaio 2017 è entrato in vigore in Francia il diritto alla disconnessione. La norma, che fa parte del pacchetto di leggi sul lavoro, la cosiddetta Loi Travail, obbliga le aziende con più di 50 dipendenti a negoziare con i lavoratori il diritto a non rispondere a mail e telefonate al di fuori degli orari di lavoro.
      Un primo passo per porre un argine a quella che Fumagalli chiama la «bioeconomia», quando, cioè, l'economia si prende anche la vita e il tempo libero viene invaso e colonizzato dal tempo di lavoro.
      È il sogno, inconfessato e inconfessabile, del neoliberismo turbo-capitalista quello di abbattere le barriere tra spazio di lavoro e spazio di vita privata, non già per conciliarli, ma per profanarli secondo le logiche della produzione flessibile e della concorrenza «h 24».
      Un tempo il capitale si fermava davanti ai cancelli della fabbrica; ora, per mezzo dei nuovi strumenti come smartphone e tablet, ti promettono di emanciparti perché puoi lavorare da casa, ma se l'uso di tali strumenti non viene adeguatamente gestito, ti ritrovi a dover rispondere alle e-mail e a lavorare agli orari più impensati.
      Per questi motivi il M5S in Commissione ha proposto la soppressione dell'inciso «con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro» poiché male si adatta allo schema del rapporto di lavoro subordinato ed appare lesivo dei diritti del lavoratore in tema di orario di lavoro e di esigibilità della prestazione lavorativa e del quantum di prestazione lavorativa con l'introduzione di fasce di reperibilità entro le quali il lavoratore può essere contattato ed è tenuto a «rispondere», l'introduzione di una nuova disciplina dei controlli a distanza con la previsione del divieto di apparecchiature o dispositivi per finalità di controllo dell'attività dei lavoratori e del divieto di utilizzo delle informazioni non strettamente connesse alla prestazione lavorativa, comunque generate dagli strumenti tecnologici in possesso del lavoratore, senza il consenso del lavoratore stesso, né la loro utilizzabilità a fini disciplinari.
      È evidente che in assenza di tali correttivi il disegno di legge appare apertamente «sbilanciato» a favore del potere datoriale e delle imprese e tradisce la tanto sbandierata finalità di voler conciliare con lo smart working la vita lavorativa e la vita familiare del dipendente: esso diventerebbe lo strumento per aggirare le rigidità (meglio, le tutele) previste per il telelavoro: formazione, sicurezza dell'ambiente di lavoro, riduzione dei costi per le missioni o trasferte del dipendente, aumento della produttività a fronte di minori garanzie e tutele anche personale del lavoratore in tema di controllo dati e personale.
      E così i numerosi emendamenti presentati in Commissione dal M5S hanno come scopo la previsione di una serie di misure a favore della protezione del lavoratore contro il sovraccarico cognitivo determinato dal sovraccarico di lavoro (sindrome da burn out) cui facilmente può andare incontro il lavoratore in modalità agile: diritto alla disconnessione, la protezione dei dati e della riservatezza del lavoratore.
      Infine appare paradossale l'articolo 20, comma 3, del disegno di legge, che condiziona la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ed in particolare contro gli infortuni in itinere alla circostanza che «la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza».
      La formula «risponda a criteri di ragionevolezza» subordina la scelta del luogo di lavoro del lavoratore alla necessità dello stesso di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative a «criteri di ragionevolezza».
      Ciò vuol dire che se la scelta del luogo di lavoro da parte del lavoratore agile non risponde a tali indeterminati e vaghi e dunque, discrezionali ed arbitrari (perché non determinati da nessuno) «criteri di ragionevolezza», lo stesso non potrebbe godere della copertura per l'eventuale infortunio in itinere che lo stesso può subire nello spostarsi da un luogo all'altro di lavoro.
      L'INAIL potrebbe ritenere in base a «criteri di ragionevolezza» quel luogo di lavoro scelto dal lavoratore agile non rispondente a «criteri di ragionevolezza» e dunque negare la copertura per un eventuale infortunio in itinere che subisce quel lavoratore mentre si sposta da un posto di lavoro all'altro.
      Insomma la formula «risponda a criteri di ragionevolezza» è una trappola che potrebbe ridursi in una garanzia in meno e in un rischio in più per il lavoratore agile, poiché indebolisce – di fatto – le misure per la sicurezza sul luogo di lavoro a carico del datore di lavoro poiché il dipendente potrà «liberamente» scegliere il posto di lavoro, salvo non vedersi poi riconosciuto l'infortunio sul lavoro, in itinere poiché tale scelta non risponde a criteri di ragionevolezza.
      Per questi motivi all'articolo 20, al comma 3, il M5S ha proposto la soppressione delle parole «e risponda a criteri di ragionevolezza», ma senza successo.
      In conclusione il disegno di legge in esame, alla luce delle considerazioni esposte, apporta solo timidi cambiamenti alla disciplina vigente e poteva rappresentare l'occasione per una vera riforma e uno Statuto del lavoro autonomo.
      Appare contraddittorio anche l'atteggiamento del Governo che se da una parte vorrebbe – almeno secondo le intenzioni proclamate – contribuire al rafforzamento degli autonomi dall'altra colpisce il mondo degli autonomi.
      È noto che il decreto-legge n. 193 del 2016, convertito dalla legge n. 225 del 2016 recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili», con l'articolo 4, allo scopo presunto di introdurre nuove misure per il recupero dell'evasione, ha introdotto due nuovi adempimenti da effettuare telematicamente ogni tre mesi:

          la comunicazione analitica dei dati delle fatture emesse e ricevute;

          la comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA.

      Tali adempimenti, lungi dal contrastare l'evasione, si risolvono nell'ennesimo adempimento burocratico e lacciuolo che rende sempre più difficile e aggravano l'attività del lavoratore autonomo.
      A regime ci saranno addirittura otto nuove comunicazioni fiscali a carico dei professionisti e titolari di partita IVA: quattro per i dati delle fatture emesse e ricevute e quattro per i dati delle liquidazioni.
      Il decreto fiscale – tra gli otto adempimenti nuovi che introduce – prevede che i professionisti a partita IVA – come ha spiegato Luigi Pessina, presidente dell'associazione nazionale consulenti tributari e membro del direttivo CoLAP – a ogni liquidazione periodica dovranno trasmettere in modalità telematica all'Agenzia delle entrate i dati riferiti a tutte le fatture emesse e ricevute nel periodo considerato e utilizzate per la liquidazione dell'imposta. Si passa così da una comunicazione annuale a «n» comunicazioni periodiche, gravando il contribuente imprenditore o professionista di ulteriori e ingiustificati oneri derivanti dall'adempimento; inoltre, in caso di omessa, infedele o incompleta comunicazione il decreto n. 193 introduce nuovi sanzioni che vanno da 5 mila a 50 mila euro.
      Si tratterebbe di una nuova tassa occulta: se una comunicazione, può avere un costo variabile dai 50 ai 70 euro se la moltiplichiamo per 4 volte l'anno o per 12 possono diventare più di 200 euro e fino a quasi 1.000 euro l'anno contro i 50 dell'anno precedente; costi che molti professionisti con partita IVA non possono più permettersi di sostenere.
      Ancora una volta si va a penalizzare il professionista con pesanti e costosi adempimenti burocratici sanzionati anche aspramente ed in modo sproporzionato anziché pensare ad una maggiore efficienza dell'Agenzia delle entrate.
      La pressione tributaria rimane medio-elevata e gli adempimenti burocratici non facilitano l'accesso alla professione: eppure il M5S aveva proposto emendamenti volti ad attuare una sburocratizzazione e una semplificazione dell'attività proponendo anche la semplificazione dei cosiddetti codici ATECO e la suddivisione della Gestione separata INPS in due sezioni, A e B: l'una riservata ai lavoratori autonomi con partita Iva esclusiva e l'altra ai collaboratori iscritti alla Gestione separata.
      Gli autonomi si trovano in una situazione economica che non migliora, anzi: secondo i dati dell'ultimo rapporto Adepp, l'associazione delle casse di previdenza professionali, negli ultimi dieci anni (2005-2015) il reddito dei professionisti è diminuito del 18 per cento. E per gli iscritti alla gestione separata, in due casi su tre con meno di 35 anni, il netto annuo medio è di 8.335 euro, pari a 694 euro al mese.
      Insomma, per il popolo delle partite IVA il 2017 rischia di non portare le novità annunciate. Parliamo di una fetta del mercato del lavoro italiano che va da 1,3 a 3,5 milioni di persone a seconda che si considerino solo i liberi professionisti, i professionisti

iscritti agli ordini o anche i piccoli artigiani. Il quinto Stato, come lo ha chiamato qualcuno. Quello, composto soprattutto da giovani, che forse ha pagato di più il conto della recessione del 2008. Un mondo liquido che negli anni della crisi è cresciuto, salvo avere una battuta d'arresto con l'introduzione della decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato. Ma, ridotti i bonus, gli autonomi hanno ricominciato a crescere. Tra quelli che aprono la partita IVA in mancanza di contratti diversi, quelli che hanno perso un lavoro e si reinventano un'attività, e quelli che invece hanno scelto di essere autonomi.
      Nel complesso, il disegno di legge in esame è la «montagna che ha partorito il topolino».
      Auspichiamo, tuttavia, che i nostri emendamenti ripresentati in questa sede siano approvati.

Tiziana CIPRINI,
Relatrice di minoranza.