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Atto a cui si riferisce:
C.4297 Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina del lavoro accessorio


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4297


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
RIZZETTO, GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, TAGLIALATELA, TOTARO
Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina del lavoro accessorio
Presentata il 15 febbraio 2017


      

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Onorevoli Colleghi! – Il profondo intervento di riforma del mercato del lavoro realizzato tra il 2014 e il 2015, dapprima con l'approvazione della legge delega al Governo e, successivamente, mediante l'adozione di ben cinque decreti delegati, comunemente noto sotto il nome di jobs act, sta evidenziando nella sua applicazione alcune pesanti criticità.
      Una di queste è certamente rappresentata dalla nuova disciplina dei cosiddetti voucher, i buoni lavoro nati per regolare le prestazioni lavorative occasionali altrimenti destinate a rimanere nel mercato nero, a tutto svantaggio dei lavoratori.
      L'introduzione dei buoni lavoro si deve al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, adottato in attuazione della delega recata dalla legge Biagi; in origine i voucher erano essenzialmente diretti a disciplinare forme di lavoro occasionale e con prestazioni di breve durata in ambito domestico svolti tra privati, al fine di consentire la regolarizzazione e, di conseguenza, la tutela di personale domestico quali collaboratrici domestiche, badanti, babysitter, giardinieri et similia, tipicamente pagati, spesso con l'assenso del lavoratore, in nero, e per questo senza protezione assicurativa.
      Nel 2009, con il decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, si è prevista l'estensione dell'utilizzo dei buoni lavoro a una platea di soggetti più ampia, e nel 2012 la riforma Fornero ha disposto una prima liberalizzazione in termini di settori o ambiti professionali nei quali potevano essere impiegati.
      Questo percorso di «liberalizzazione» è poi proseguito anche con il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, che ha introdotto alcuni importanti cambiamenti: il primo è stato l'innalzamento del massimale annuo di reddito che ciascun soggetto può percepire mediante voucher da 5.000 a 7.000 euro, pur mantenendo la soglia dei 2.000 euro per il singolo datore di lavoro; il secondo è stato l'introduzione del divieto di utilizzo dei voucher negli appalti, e il terzo è consistito nell'introduzione dell'obbligo a carico del datore di lavoro di dichiarare in anticipo all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) sia il lavoratore che intende impiegare, sia il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione.
      L'aumento del limite di reddito, unitamente ad altre misure del jobs act che hanno ridotto altre forme di lavoro precario, ha determinato un massiccio aumento dell'uso dei voucher, il cui numero tra il 2014 e il 2016 è quasi raddoppiato.
      Anche in considerazione di questa tendenza, la CGIL ha proposto un referendum per abolire tale strumento, accusandolo di essere «di fatto uno strumento malato di sommersione e precarizzazione del lavoro», rispetto alla cui ammissibilità la Corte costituzionale si è pronunciata affermativamente lo scorso 11 gennaio, ritenendo che, attraverso gli interventi normativi succedutisi nel tempo «la originaria disciplina del lavoro accessorio, quale attività lavorativa di natura meramente occasionale, limitata, sotto il profilo soggettivo, a particolari categorie di prestatori, e, sotto il profilo oggettivo, a specifiche attività, ha modificato la sua funzione di strumento destinato, per le sue caratteristiche, a corrispondere ad esigenze marginali e residuali del mercato del lavoro». Questo si è tramutato, a giudizio della Consulta, nel rendere l'istituto «alternativo a tipologie regolate da altri istituti giuslavoristici e quindi non necessario».
      In merito alle considerazioni della Corte va ricordato, tuttavia, come, pur corrispondendo al vero il fatto che lo strumento dei buoni lavori sia stato snaturato rispetto alla sua concezione originaria, il quesito promosso dall'organizzazione sindacale ne propone l'abolizione tout court, mentre appare invece più opportuno uno sforzo normativo volto a ricondurlo al suo spirito originario, senza privare il mercato del lavoro di uno strumento che ha dimostrato di poter dare dei buoni risultati nel contrasto al lavoro nero.
      Occorre impedire l'abuso di questo strumento, riportandolo allo spirito e alla lettera delle norme adottate nel 2003, conciliando l'esigenza di contrastare il lavoro nero e lo sfruttamento dei soggetti più deboli nel mercato del lavoro con quella della lotta alla precarietà.
      Per questi motivi la presente proposta di legge interviene sulla disciplina vigente in materia di buoni lavoro, apportando alcune significative modificazioni con l'auspicio di mantenere la validità di uno strumento giuslavoristico che ha dimostrato la propria utilità ma contrastandone gli abusi.
      In particolare, si modificano, al fine di poter più efficacemente contrastare gli illeciti, i limiti reddituali finora vigenti, sostituendoli con un limite di giornate lavorative che possono essere svolte dai singoli beneficiari con riferimento ai diversi committenti; si introduce il divieto di utilizzare i buoni lavoro per le aziende con più di quindici dipendenti e per le organizzazioni sindacali; si introduce la previsione che gli importi dei singoli buoni siano variabili sulla base della retribuzione oraria fissata dal contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento e, in assenza, siano determinati in 7,50 euro per ora lavorativa prestata come salario minimo garantito; infine, nell'intento di potenziare i controlli sull'utilizzo dei voucher, si prevede che le comunicazioni telematiche alle quali sono tenuti i committenti imprenditori non agricoli o professionisti prima dell'inizio della prestazione di lavoro accessorio siano effettuate, oltre che all'Ispettorato nazionale del lavoro, anche all'INPS.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) la rubrica del capo VI è sostituita dalla seguente: «Prestazioni di tipo accessorio rese da particolari soggetti»;

          b) all'articolo 48:

              1) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:

          «1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, nel corso di un anno civile e con riferimento alla totalità dei committenti, a più di dieci giornate lavorative al mese. Nel rispetto del predetto limite, nei confronti dei committenti imprenditori e professionisti le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per non più di cinque giornate al mese.

          2. Prestazioni di lavoro accessorio possono essere altresì rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite complessivo di sette giornate per anno civile, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio»;

              2) dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti:

          «4-bis. Possono ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio le aziende che impiegano fino a quindici dipendenti; le aziende che impiegano più di quindici dipendenti possono ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio esclusivamente in favore di soggetti disoccupati o percettori di trattamenti pensionistici.

          4-ter. Le organizzazioni sindacali non possono ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio»;

          c) all'articolo 49:

              1) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:

          «1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i committenti imprenditori e professionisti acquistano esclusivamente attraverso modalità telematiche uno o più carnet di buoni orari, numerati progressivamente e datati, per prestazioni di lavoro accessorio. I committenti non imprenditori o professionisti possono acquistare i buoni orari anche presso le rivendite autorizzate.

          2. Per il valore nominale dei buoni orari di cui al comma 1 si fa riferimento alla retribuzione stabilita per prestazioni di natura analoga da parte dei rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro; in assenza di questi ultimi, il valore nominale è fissato in 7,50 euro per ogni ora lavorativa prestata. Nel settore agricolo il valore nominale del buono orario è pari all'importo della retribuzione oraria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo di lavoro stipulato dalle associazioni sindacali»;

              2) al comma 3, primo periodo, dopo le parole: «Ispettorato nazionale del lavoro» sono inserite le seguenti: «e all'INPS».