• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.6/00299    premesso che:     il progetto europeo sta soffrendo, oggi, una crisi senza precedenti e di ardua soluzione aggravato dal nuovo scenario globale mondiale determinatosi e...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00299presentato daMARCON Giuliotesto diMercoledì 8 marzo 2017, seduta n. 755

   La Camera,
   premesso che:
    il progetto europeo sta soffrendo, oggi, una crisi senza precedenti e di ardua soluzione aggravato dal nuovo scenario globale mondiale determinatosi e succeduto all'uscita della Gran Bretagna dall'Europa e alla vittoria presidenziale in America di Donald Trump e delle sue politiche pericolosamente curvate verso il populismo, connotate fortemente da protezionismo e nazionalismo e che mettono in discussione la stessa alleanza NATO costringendo l'Europa a dover scegliere nuove politiche di difesa in un quadro mondiale destabilizzato soprattutto dalla grave crisi mediorientale che alimenta tra l'altro l'incremento del fenomeno della migrazione;
    gli eventi degli ultimi anni – tra cui la crisi greca, la Brexit, la pressione migratoria sempre più forte alle frontiere dell'Unione europea, gli attacchi terroristici e, infine, l'instabilità politica che regna ai confini sud orientali dell'Unione europea – hanno ulteriormente acuito l'insufficienza delle politiche europee attuate sino ad oggi in risposta alla recessione economica e alla disoccupazione sempre più dilagante tanto da essere considerate inadeguate dai cittadini europei che, di conseguenza, mettono sempre più spesso in discussione il valore aggiunto della loro appartenenza all'Unione. Non a caso, davanti all'intensità e alla durata eccezionale della crisi economica cresce sempre più il consenso verso proposte populiste che fanno prevalere gli interessi nazionali sul bene comune. Oggi nell'imminenza del rinnovo dei Parlamenti e di importanti partner europei come la Francia, la Germania, l'Olanda e la stessa Italia, le spinte nazionaliste, populiste e contrarie all'euro possono portare ad una disgregazione dell'Europa e a colpire la stessa idea di Unione europea;
    oggi occorre una forte risposta dai Governi nazionali e dalle istituzioni dell'Unione europea che tenda a far accrescere il processo di integrazione europeo attraverso la costruzione di un'Europa dei popoli che proponga in campo economico politiche espansive necessarie alla crescita e all'occupazione, soprattutto giovanile e politiche comuni di sicurezza interna e di difesa;
    a fronte delle reali necessità dei cittadini dei Paesi europei le risposte della Commissione europea continuano ad essere improntate ad una asfissiante richiesta di austerità e di applicazione rigida delle regole di bilancio che appaiono ormai obsolete e che andrebbero, al più presto, profondamente cambiate;
    la Commissione europea ha prodotto un libro bianco che segna l'avvio del confronto sull'Europa a più velocità, concentrata su alcune aree specifiche che vanno dal «pilastro sociale» alla difesa comune, dal completamento dell'euro al futuro del bilancio dell'Unione. Il documento propone cinque scenari differenti che tuttavia non toccano gli argomenti che stanno più a cuore dei Paesi dell'unione monetaria: la mutualizzazione dei debiti pubblici, l'unione bancaria o la capacità di bilancio della zona euro. La commissione europea pur non effettuando volutamente una scelta fra le varie ipotesi, tuttavia fa emergere la propensione del presidente Juncker per un'ipotesi di un'Europa a centri concentrici ossia a due velocità allineandosi con le recenti dichiarazioni della Cancelliera Merkel;
    la Commissione europea ha il compito di proporre direttive che coordinino le politiche comuni europee che tuttavia hanno il grave limite di essere eccessivamente tecnocratiche, disancorate dalla società civile, troppo vaghe e dilazionate nel tempo, rimesse, come sono, ad una revisione dei Trattati da effettuare alla fine del percorso proposto e quindi all'attuazione, sempre dilazionata, della democrazia mentre l'esigenza forte che nasce dal seno delle popolazioni europee è di sentire le politiche dell'Unione europea incidere direttamente e profondamente nella via di tutti i cittadini a partire dal lavoro e dalle imprese, dalla sicurezza, dall'equità fiscale e contributiva, da un welfare equo;
    la Commissione europea nel pubblicare, nel gennaio 2017, le relazioni per Paese sulle analisi delle rispettive situazioni economiche ha inserito l'Italia tra i Paesi che presentano squilibri macroeconomici eccessivi e ha ribadito la necessità che l'Italia appronti una correzione dei conti dello 0,2 per cento del prodotto interno lordo pari a circa 3,4 miliardi di euro. E se dall'Italia non sarà presentata alcuna garanzia di aggiustamento del deficit strutturale, l'Unione europea non avrebbe altra scelta se non quella di aprire una procedura di infrazione per debito eccessivo, che costringerebbe l'Italia ad un pesante percorso di aggiustamento dei conti;
    crescita, debito, produttività riforme sono problemi dell'Italia ma non solo, in Europa, e non da oggi, che impongono un approccio di lungo termine. La via maestra è di chiedere con forza all'Europa un serio processo di revisione delle regole economiche e, nell'immediato, l'introduzione della regola che consideri gli investimenti al di fuori del patto di stabilità, puntando sul denominatore, la crescita, per generare un deciso aumento della produttività e garantendo così la discesa del debito;
    vi è, inoltrerà necessità di allineare l'Italia al resto dell'Europa che viaggia intorno all'aumento annuo del prodotto interno lordo dell'1,7 per cento (la Spagna cresce, per il secondo anno consecutivo, del 3,2 per cento), contro il nostro modesto 0,9; ha una disoccupazione in calo al 9,2 per cento contro il nostro consolidato 12 per cento e quasi il 40 per cento della disoccupazione giovanile;
    allo stato servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, che definisca le politiche tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti in settori strategici in grado di creare occupazione, sviluppo sostenibile e coesione sociale. Tali investimenti sono rilevanti in primo luogo per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del prodotto interno lordo e quindi un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia e l'Europa ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi di Europa 2020 in una varietà di campi sociali e ambientali;
    il fenomeno del disagio sociale sta crescendo in tutta Europa, gonfiando le fila dei vari populismi e in Italia sta crescendo paurosamente. I morsi della crisi e della recessione si fanno sentire con una disoccupazione ormai a livelli di guardia, con l'occupazione che se la si perde non la si ritrova, con i ripetuti tagli ai servizi in omaggio alla tenuta dei conti. Secondo i recenti dati Istat la povertà assoluta investe 4,6 milioni di italiani, non poco per il settimo Paese più ricco del pianeta. Sono numeri da brivido, mai così alti da dieci anni a questa parte. Il numero di giovani in povertà è triplicato nel corso della crisi nera giungendo alla cifra di un milione. Un minore su dieci vive, o è meglio dire sopravvive, nel disagio assoluto. Le famiglie numerose sono le più colpite, specie se di stranieri residenti, che sono 4 su 10 famiglie povere. Il Sud è il più colpito con 4 famiglie su 10 e precipita sempre più indietro rispetto al Nord che, tuttavia, vede anch'esso crescere dal 4,2 per cento al 5 per cento le famiglie povere. Il Censis inoltre stima in undici milioni gli italiani che rinunciano o rinviano le cure perché costose e non se le possono permettere;
    in particolare, per quanto riguarda l'Italia, la Commissione europea ha individuato alcuni fattori che contribuiscono alla sua scarsa competitività, ossia l'evasione fiscale, il mancato adempimento dei contratti, il livello ridotto di investimenti privati in ricerca e sviluppo, la mancanza di start-up innovative, la scarsa disponibilità di competenze, la mancanza di finanziamenti attraverso il capitale personale, la modesta crescita delle imprese e dell'internazionalizzazione, il cattivo funzionamento della pubblica amministrazione;
    una politica commerciale vincente, oltre che apportare un contributo significativo all'aumento della crescita sostenibile e alla creazione di posti di lavoro dovrebbe essere finalizzata a garantire i princìpi e i valori europei, a partire dalla democrazia e dai diritti umani, ma anche della visione dell'Unione europea in materia di ambiente, inclusi la salute e la tutela dei consumatori e il benessere animale, di diritti sociali, del lavoro e dello sviluppo;
    l'accordo di libero scambio e investimento fra il Canada e l'Unione europea mira alla più ampia liberalizzazione nella storia dei negoziati commerciali dell'Unione europea, e per questo motivo le implicazioni politiche ed economiche sui Paesi membri dell'Unione europea sono enormi;
    con il via libera al Ceta, la maggior parte delle multinazionali americane, già attive sul territorio canadese, potranno citare in giudizio nei tribunali internazionali privati le aziende europee, avvalendosi della clausola investment court system (Ics, il sistema giudiziario arbitrale per la difesa degli investimenti), inserito nel Ttip, che tanti Paesi dell'Unione europea stanno osteggiando. L'Europa, infatti, concederà al Canada e alle sue imprese con il Ceta condizioni di favore per l'accesso al nostro mercato comune, ma 42 mila grandi imprese americane hanno sedi sussidiarie in Canada e potranno, così, anch'esse usufruire di benefici commerciali diretti in Europa anche senza che si concordi con gli Usa un trattato di liberalizzazione commerciale apposito come il Ttip;
    quindi gli effetti del Ttip i cui negoziati, peraltro segreti, che sono stati oggetto, il 17 gennaio 2017, di una valutazione comune da parte della commissaria al commercio Cecilia Malmstrom e del rappresentante al commercio degli Stati Uniti, rischiano di rilevare tutta la loro drammaticità con l'entrata in vigore del Ceta e mentre Governi come la Francia chiedono ripetutamente lo stop per i negoziati, il Governo italiano dichiara che: «sarebbe in ogni caso estremamente difficile trovare una ragione che giustifichi l'interruzione delle trattative con il nostro principale partner economico e politico dopo appena due anni e mezzo di negoziato, quando per chiudere un accordo meno ambizioso con il Canada ce ne sono voluti ben 6. Ed è evidente che se ciò accadesse l'Europa non avrebbe più alcuna credibilità per condurre un qualsivoglia negoziato commerciale»;
    il Governo italiano, sulla base del piano d'azione presentato dalla commissione europea, ha approvato un pacchetto di misure volte a delineare la nuova strategia governativa sul tema della sicurezza interna e sul tema del contrasto al fenomeno migratorio. Sul primo punto la risposta è una risposta securitaria a un problema sociale proponendo un'idea di sicurezza che considera la marginalità sociale presente nello spazio pubblico come elemento deturpatore del «decoro», della «quiete pubblica» e finanche della «moralità» (citazioni del decreto). Un'idea, questa, vecchia e banalmente repressiva di sicurezza, alternativa e contrapposta ad una tradizione di sicurezza «democratica», partecipata, ispirata a logiche di prevenzione per la gestione del flusso migratorio. Sul secondo punto proponendo soluzioni che si articolano essenzialmente in quattro punti: semplificazione e accelerazione delle procedure di accoglienza dei richiedenti asilo attraverso la riduzione dei diritti e delle garanzie, trattenimento dei migranti in nuovi Centri di detenzione per l'identificazione e l'espulsione (Cie) per rendere effettivi e rapidi i rimpatri forzati, rinnovo degli incentivi già previsti per i comuni che accolgono i migranti e naturalmente una serie di accordi bilaterali con i Paesi di origine e transito dei migranti noti per i regimi dittatoriali e le sistematiche violazioni dei diritti umani;
    il Commissario Avramopoulos ha dichiarato che «garantire che i migranti irregolari siano rimpatriati rapidamente non solo allenterà la pressione sui sistemi di asilo degli Stati membri e permetterà di mantenere adeguate capacità di protezione per chi ne ha realmente bisogno, ma sarà anche e soprattutto un segnale forte per scoraggiare i pericolosi viaggi della speranza verso l'Unione europea» senza considerare il rischio reale che i rimpatri più veloci si trasformino in giudizi sommari e che non c’è nulla di umanitario nel voler «scoraggiare» chi vuole partire verso l'Europa per lasciarsi dietro guerra, fame, violenza e morte;
    la crescente instabilità di tutta l'area del sud mediterraneo meridionale e medio orientale seguita da un crescente numero di migranti che cercano di raggiungere l'Europa richiede di intensificare gli sforzi per definire una politica migratoria efficace, umanitaria e sicura che affronti con lungimiranza ed umanità il fenomeno storico dei flussi migratori abbandonando l'ottica emergenziale con cui sta attualmente operando ostinandosi a proporre politiche miopi ed inadeguate e soprattutto rinunciando alla facile formula della riduzione dei diritti e delle garanzie che risulta essere una risposta evidentemente inadeguata per sanare il sistema di accoglienza migratorio;
    il piano del Ministro Minniti, prevedendo solo 20.000 rimpatri a fronte di circa 500.000 immigrati irregolari, è solo un piano di facciata essendo del tutto inadeguato a fronteggiare il previsto consistente flusso di migranti e dimostra che l'Europa non ha ancora politicamente preso atto che il fenomeno della mobilità globale accompagna l'umanità da sempre ed è destinato a rimanere. Secondo stime comunitarie, attualmente sul territorio europeo i migranti irregolari da espellere sarebbero un milione;
    gli ultimi dati relativi ai livelli di rifugiati arrivati in Italia e in Grecia ridistribuiti in tutta Europa rimane drammaticamente basso, 13.546 sui 160.000 mila in via straordinaria tra il 2015 e il 2017 a causa della mancanza da parte di molti Paesi europei del rispetto degli impegni presi nel 2015 sui rispettivi ricollocamenti e a questo ritmo non sarà possibile ricollocare, entro settembre 2017 tutti i richiedenti asilo attualmente presenti nei due paesi. Solo 2 Paesi, Malta e la Finlandia, stanno rispettando in pieno gli impegni presi mentre l'Ungheria, l'Austria e la Polonia si sono addirittura rifiutati e i Paesi balcanici, Repubblica Ceca, Bulgaria, Croazia e Slovacchia lo stanno facendo in modo solo limitato;
    la situazione nei Balcani occidentali vede una recrudescenza di antichi conflitti e tensioni che l'Unione europea non è stata in grado di contrastare efficacemente, rispondendo con un processo di integrazione lento e molto frammentario. L'area è stata per secoli terreno di sanguinose guerre e conflitti, essendo costituita da paesi molto differenti tra loro in termini economici e politici: una diversità riscontratasi anche durante il processo di integrazione europea, che vede Paesi come la Croazia già membri dell'Unione europea e Paesi ancora alle fasi iniziali dei negoziati;
    il rischio è ora quello di una divisione sempre più netta tra i Paesi della zona che hanno già completato il loro ingresso nell'Unione europea, o sono prossimi a compierlo, e gli Stati che, invece, vedono allontanarsi inesorabilmente l'avvio dei negoziati, con una progressiva marginalizzazione e la creazione di quello che molti analisti configurano come un «nuovo ghetto»;
    particolare preoccupazione desta la situazione politica della Macedonia, cui si aggiungono l'annosa questione del mancato riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo da parte di alcuni Stati membri e non, nonché l'intensificarsi dei nazionalismi in tutta l'area, come dimostra la pessima accoglienza di cui ha goduto l'Alto rappresentante Federica Mogherini durante il suo discorso presso il Parlamento serbo. Si ricorda inoltre come il Presidente russo Vladimir Putin abbia recentemente dichiarato i Balcani occidentali parte della sua « sfera di influenza», utilizzando il rafforzarsi dei sentimenti nazionalisti e dei conflitti etnici per confermare la sua influenza sulla regione. Una situazione che negli ultimi anni ha, tra l'altro, comportato gravissimi danni alla gestione dei flussi migratori, ostacolati con violenza e durezza da parte delle autorità anche qualora si trattasse di rifugiati, con un vero e proprio blocco della cosiddetta « rotta balcanica»,

impegna il Governo:

1)  in riferimento all'occupazione, alla crescita e alla competitività;
   a) ad adoperarsi perché venga radicalmente modificata e ribaltata l'impostazione delle politiche economiche e fiscali europee fondate sulla svalutazione e sulla precarizzazione del lavoro, sulla riduzione della spesa e degli investimenti pubblici, sulle privatizzazioni; ad adoperarsi perché venga radicalmente corretta la costruzione dell'unione monetaria, subordinandola alla promozione di politiche comuni in campo fiscale, economico e sociale con il cambio dei trattati – incluso il Fiscal Compact – abbandonando le politiche di austerità e dei vincoli di bilancio a favore di politiche espansive, degli investimenti pubblici, del lavoro;
   b) ad adoperarsi affinché il processo unitario che ha caratterizzato, fino ad oggi, l'Unione europea sia corretto con la promozione di politiche fiscali, sociali ed economiche comuni – oltre il paradigma delle politiche neoliberiste e di austerità e di un'unione monetaria priva di un'unione delle politiche economiche e fiscali – evitando lo scenario di un'Europa «a due velocità» e puntando, invece, ad una maggiore integrazione politica attraverso un'interpretazione estensiva delle competenze dell'Unione o dei poteri delle sue istituzioni compatibilmente con i diversi percorsi di integrazione di tutti gli Stati membri senza l'obbligo immediato di una destinazione comune;
   c) a proporre un Green new deal continentale (ovverosia un piano europeo per l'occupazione) che stanzi almeno 1.000 miliardi di euro con risorse pubbliche di carattere aggiuntivo rispetto a quelle già stanziate durante il precedente semestre europeo al fine di rispondere alla domanda di occupazione di circa 5-6 milioni di persone, tra quelle (nell'Unione europea risultano essere 26,5 milioni i disoccupati) disoccupate o inoccupate in tutta Europa, promuovendo una revisione dell'attuale politica dell'austerità sostenendo l'utilizzo di eurobond per attuare un piano straordinario di investimenti pubblici in infrastrutture, green economy, agricoltura biologica e multifunzionale, riassetto idrogeologico dei territori, valorizzazione non speculativa del patrimonio immobiliare, demaniale e artistico, potenziamento dell'istruzione e della ricerca pubblica, messa in sicurezza degli edifici scolastici, asili nido, riqualificazione delle città, efficienza energetica degli immobili, innovazione tecnologica e agenda digitale, con particolare riguardo alle aree territoriali in maggiore difficoltà come il Mezzogiorno;
   d) a proporre al Consiglio, quale strategia dello sradicamento dei fattori strutturali dell'impoverimento e dell'esclusione sociale, di inserire nel cosiddetto «pilastro sociale» l'istituzione del reddito di cittadinanza europeo e di un regime di indennità minima di disoccupazione per l'area dell'euro come primo passo non solo per un concreto avvicinamento tra istituzioni e cittadini, ma soprattutto per arginare un fenomeno di così vasto degrado aggravato dal concomitante fenomeno dell'aumento della distanza, giunta a livelli siderali, tra poveri e ricchi e che non è stato ancora arginato con piani coerenti e incisivi di equa redistribuzione sociale del reddito, per ridurre tale inaccettabile diseguaglianza e disproporzione;
   e) ad implementare le iniziative e programmi a livello di Unione europea, nonché la loro attuazione a livello nazionale, al fine di rendere concreto l'obiettivo della Strategia Europa 2020 la quale prevede l'innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni, affinché tale fascia di popolazione abbia un lavoro entro la fine del decennio, garantendo al contempo un alto livello di protezione del lavoratore e dei suoi diritti;
   f) a concordare con gli organismi dell'Unione europea la rinegoziazione della cosiddetta « golden rule» vale a dire lo scorporo degli investimenti dal calcolo del vincolo di deficit del 3 per cento, consegnandola alla sovranità del Parlamento nazionale, non solo per i programmi co-finanziati dai fondi strutturali europei, ma per tutti gli investimenti degli enti territoriali, che consentano lo sviluppo di nuova e qualificata occupazione, in coerenza con i contenuti delle linee di politica industriale e della programmazione europea sui temi della ricerca, sviluppo e innovazione, verificando, nel contempo, che tali investimenti – da realizzarsi in parallelo anche negli altri Paesi dell'eurozona – siano finanziati su scala europea per consentire all'insieme dell'Unione di uscire dal ristagno economico attraverso un sensibile aumento della competitività a livello nazionale;
   g) a sostenere con forza insieme agli altri Paesi europei, con riferimento al Ttip, la sospensione del negoziato al fine dell'apertura di un processo democratico che permetta un'analisi puntuale ed una valutazione dei testi negoziali e che assicuri che le politiche adottate siano nel pubblico interesse; che coinvolga il Parlamento europeo e venga dibattuto nei Parlamenti nazionali e che includa le organizzazioni della società civile, i sindacati e i gruppi portatori dei diversi interessi (stakeholders);

2)  in riferimento al fenomeno migratorio;
   a) a promuovere una politica migratoria in grado di garantire il diritto alla protezione internazionale sancito dalle normative europee e dalla Convenzione di Ginevra;
   b) a promuovere una politica che dica «basta» respingimenti verso i Paesi di origine e di transito e garantisca a tutti i migranti l'accesso a una piena e chiara informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale;
   c) a promuovere l'apertura immediata di corridoi umanitari di accesso in Europa per garantire «canali di accesso legali e controllati» attraverso i Paesi di transito ai rifugiati che scappano da persecuzioni, guerra e conflitti per mettere fine alle stragi in mare e in terra, e quindi debellare il traffico di esseri umani, anche con visti e ammissioni umanitarie;
   d) a proporre una riforma più generale del diritto d'asilo finalizzata a rendere più strutturale il concetto di ricollocamento dei rifugiati, a proporre quindi un reale «diritto di asilo europeo», capace di superare il «regolamento di Dublino», che obbliga i migranti a richiedere asilo nel primo Paese comunitario che incontrano nel loro cammino. Un migrante dovrebbe avere il diritto di avere riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa;
   e) a concedere con effetto immediato permessi di soggiorno per motivi umanitari che consentano la libera circolazione negli Stati dell'Unione europea e quindi avviare l’iter per la predisposizione di una normativa dell'Unione con la quale disciplinare il riconoscimento reciproco delle decisioni di riconoscimento della protezione internazionale tra gli Stati membri e a chiedere, in sede di Consiglio europeo, la regolarizzazione di tutti i migranti ancora senza documenti presenti in Europa;
   f) a promuovere il principio un'accoglienza dignitosa, dunque la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti sparsi in Europa e a proporre un piano europeo straordinario per l'accoglienza dei profughi;
   g) ad implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
   h) a programmare interventi di cooperazione allo sviluppo locale sostenibile nelle zone più povere, a partire dal continente africano, dove lo spopolamento e la migrazione sono endemici, e ad assumere iniziative per non consentire alle multinazionali di usare per interessi privati i programmi europei di aiuto allo sviluppo;
   i) a sostenere un grande piano di investimenti pubblici diretti dell'Unione europea per l'economia di pace, per il lavoro dignitoso e per la riconversione ecologica del continente africano;
   l) a condizionare gli accordi dei Paesi europei con i Paesi di origine e di transito, come la Libia e il Sudan, allo smantellamento dei campi lager dei migranti e alla costituzione di nuovi centri di accoglienza sotto l'egida dell'Unhcr;

3)  in riferimento alla sicurezza esterna e alla difesa:
   a) a porre all'ordine del giorno del dibattito, sempre nell'ottica di raggiungere forme di integrazione più spinte, il tema della difesa complessiva dei nostri confini europei alla luce dei nuovi scenari mondiali apertisi con l'avvento della Presidenza Trump negli Usa e delle prime dichiarazioni relative alla riconsiderazione dell'alleanza atlantica, accanto alle nuove strategie e alle nuove dislocazioni delle alleanze tra gli Stati prodottesi in seguito agli sviluppi della complessa crisi sviluppatasi al di là dei confini orientali dell'Europa;
   b) a presentare iniziative urgenti per impedire la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh e proporre in sede di Consiglio europeo una moratoria sulla vendita di armi e un embargo ai Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   c) a proporre una iniziativa dell'Unione europea finalizzata ad interrompere i flussi di finanziamento a Daesh, prevedendo rigide sanzioni per gli Stati che finanziano direttamente o indirettamente il terrorismo o che facilitano, con legislazioni «opache», la raccolta di donazioni «private» destinate alle organizzazioni terroristiche;
   d) a suggerire l'adozione di atti vincolanti dell'Unione europea finalizzati a reprimere il commercio illegale che finanzia i gruppi terroristici, a cominciare da Daesh prevedendo sanzioni per gli Stati che permettono il contrabbando del petrolio e dei reperti archeologici trafugati;
   e) a proporre iniziative concrete per arginare il flusso dei foreign fighter, soprattutto facendo pressioni sulla Turchia, a partire dalla pretesa che al confine tra Turchia e Siria venga dislocato un controllo internazionale della frontiera sotto mandato ONU e che la Turchia cessi immediatamente ogni forma di ostilità nei confronti delle milizie curde dello YPG/YPJ e dello HPG che stanno combattendo contro Daesh in Siria e Iraq;
   f) a supportare le proposte volte a promuovere attività di intelligence tradizionali a discapito di una sorveglianza di massa, scarsamente efficace e costosa, non solo in termini di diritti civili, proponendo in sede di Consiglio europeo attività coordinate tra le agenzie di intelligence degli Stati europei e dirottando verso queste attività i fondi relativi alle ingenti spese per le campagne militari all'estero, costose e controproducenti;
   g) a sostenere con forza il dispiegamento di un grande piano europeo contenente misure per il dialogo interculturale e interreligioso contro l'emarginazione, e quindi per l'integrazione e contro l'odio, affinché si debellino le motivazioni e le radici che conducono alla radicalizzazione e al terrorismo;
   h) a promuovere, anche in considerazione della circostanza che l'Italia sarà membro non permanente del Consiglio di Sicurezza Onu nel 2017 e della centralità della crisi siriana che mette a rischio la sopravvivenza dell'Alleanza nord atlantica stessa, una iniziativa in sede di Consiglio europeo per rilanciare i negoziati di Ginevra per risolvere la crisi siriana, a cui devono essere invitati tutti gli attori a partire dalle forze politiche del Rojava – Federazione della Siria del Nord, su cui si sono espressi positivamente già Stati Uniti e Russia;
   i) a favorire la distensione dei rapporti tra gli Stati dell'area dei Balcani occidentali, garantendo un ruolo chiave dell'Unione europea nello scongiurare l'acuirsi dei conflitti politici ed etnici che tanto a lungo hanno insanguinato la regione;
   l) a richiedere con forza la creazione di un corridoio umanitario che attraversi l'intera rotta balcanica, garantendo a rifugiati e migranti un passaggio ed un arrivo sicuri nel territorio dell'Unione europea.
(6-00299) «Marcon, Palazzotto, Airaudo, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Placido».