Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
Atto a cui si riferisce:
S.4/07141 MARINELLO - Ai Ministri dell'interno e della giustizia - Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
la Calcestruzzi Belice srl di Montevago, ai confini tra le province di Agrigento...
Atto Senato
Interrogazione a risposta scritta 4-07141 presentata da GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO
giovedì 9 marzo 2017, seduta n.781
MARINELLO - Ai Ministri dell'interno e della giustizia - Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
la Calcestruzzi Belice srl di Montevago, ai confini tra le province di Agrigento e Trapani, è stata confiscata nel 2010 all'imprenditore di Partanna (Trapani) Rosario Cascio, condannato per associazione mafiosa. Attivo nel settore del cemento e degli inerti, Cascio aveva conquistato una tale posizione di monopolio da riuscire ad entrare in numerosi cantieri di opere pubbliche della Sicilia occidentale, lucrando svariati miliardi di lire. Le sue imprese, secondo i giudici delle misure di prevenzione e secondo i rapporti investigativi antimafia, sono state a disposizione della mafia;
la Calcestruzzi Belice srl, che faceva parte dei beni sottratti all'imprenditore nel 2010, è gestita dall'Agenzia nazionale per i beni confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata. Lo scorso 29 dicembre, il Tribunale di Sciacca ne ha dichiarato il fallimento accogliendo l'istanza presentata dall'Eni Spa, creditrice per circa 30.000 euro;
l'istanza di fallimento, decisa dal Tribunale di Sciacca, è stata adottata dal giudice unicamente sulla base di alcune forniture non pagate all'Eni per una cifra irrisoria di "ben" 30.000 euro. Agli 11 operai dell'azienda sono già state inviate le lettere di licenziamento. A detta dell'interrogante, la decisione relativa al fallimento è stata adottata in modo superficiale, avventato e, soprattutto, attraverso deduzioni contra legem per i motivi di seguito elencati;
considerato che, per quanto risulta:
quando la Calcestruzzi Belice srl era ancora gestita dei suoi proprietari, tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, aveva richiesto alcune forniture di carburanti all'Eni, del costo complessivo di 41.447,17 euro;
prima che la società potesse estinguere il debito scaturente dalle forniture, fu sottoposta a sequestro preventivo, in data 23 febbraio 2009 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo e successivamente a sequestro di prevenzione, in data 23 dicembre 2009, dal Tribunale di Agrigento;
l'amministratore giudiziario, appreso del debito nei confronti dell'Eni, chiese ed ottenne dal creditore un piano di rientro, mediante rate mensili, che, dopo il primo versamento di 9.000 euro, corrispondente all'acconto ed alla prima quota del piano, venne sospeso per i motivi che di seguito si riportano;
la Calcestruzzi Belice srl sospese i pagamenti previsti a seguito dell'entrata in vigore di una nuova normativa prevista dalla legge di stabilità 2013 (art. 1, commi 194 e seguenti, della legge n. 228 del 2012), recante specifiche disposizioni in merito alla tutela dei terzi creditori su beni confiscati. Per effetto di tale normativa il credito rivendicato da Eni SpA, essendo sorto in epoca antecedente al sequestro del compendio aziendale, diventò non più opponibile all'amministrazione giudiziaria, in difetto del preventivo riconoscimento della buona fede del creditore. In ragione di queste nuove disposizioni, l'amministratore giudiziario della Calcestruzzi Belice srl, per ottemperare alla normativa, fu appunto costretto a sospendere i versamenti previsti dal piano di rientro;
una volta intervenuta la confisca definitiva dei beni societari, in data 12 febbraio 2016, l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ha emesso il previsto "avviso ai creditori", dando il termine di 180 giorni dalla confisca definitiva ai soggetti che vantavano dei crediti anteriori al sequestro nei confronti delle diverse società confiscate al gruppo Cascio;
la società Eni, con apposita istanza al Tribunale di Agrigento, depositata in data 15 giugno 2016, ha chiesto il riconoscimento del credito vantato grazie al contratto di fornitura di prodotti petroliferi, sottoscritto con la società Calcestruzzi Belice srl;
a tal riguardo, la legge n. 228 del 2012 individua le categorie di soggetti legittimati a far valere i propri diritti sui beni confiscati, disciplinando sia i presupposti perché sia riconosciuto il diritto di credito sia le modalità di soddisfacimento dei creditori. In particolare, i creditori ipotecari, i creditori pignoranti e gli intervenuti nella procedura esecutiva potranno far valere le proprie ragioni a condizione che l'iscrizione ipotecaria, la trascrizione del pignoramento o l'intervento nel processo esecutivo siano avvenuti prima della trascrizione del sequestro di prevenzione sugli stessi beni;
nelle more della decisione del Tribunale di Agrigento, a detta dell'interrogante, si ha motivo di ritenere che, alla prossima udienza, l'istanza di ammissione al credito da parte di Eni non possa trovare accoglimento. Infatti, il credito richiesto ha natura chirografaria e non rientra tra i crediti assistiti dalle garanzie di cui alla legge n. 228 del 2012, in quanto carente dei requisiti necessari perché il giudice possa valutare la buona fede;
si evince con chiarezza come la Calcestruzzi Belice abbia sospeso i pagamenti nei confronti di Eni solo ed esclusivamente in ottemperanza della normativa introdotta con la legge di stabilità per il 2013 e non a causa dell'incapacità di adempiere ai contratti sottoscritti; non a caso, l'azienda, nonostante il momento non felice delle attività edilizie, non presentava problemi che ne potessero compromettere gli equilibri;
considerato, inoltre, che a quanto risulta:
in attesa delle valutazioni del Tribunale di Agrigento, Eni SpA ha parallelamente presentato, per la stessa pretesa creditoria, un'istanza di fallimento della Calcestruzzi Belice srl al Tribunale fallimentare di Sciacca, territorialmente competente;
la società confiscata, benché costretta a sospendere ogni pagamento sino alla pronuncia del Tribunale di Agrigento in ordine al riconoscimento della buona fede del creditore Eni SpA, ha visto il Tribunale di Sciacca, con sentenza n. 9/2016, depositata in data 17 ottobre 2016, dichiarare il suo fallimento;
l'Agenzia nazionale, nell'immediatezza del deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, ha autorizzato la Calcestruzzi Belice srl (nota. prot. n. 45962/2016 del 2 novembre 2016) a proporre reclamo avverso la sentenza presso la Corte di appello di Palermo;
il 2 febbraio 2017 la Corte d'appello di Palermo ha rinviato la decisione sul fallimento della Calcestruzzi Belice al 14 aprile. Un rinvio che, a detta dell'interrogante, pesa unicamente sulla testa incolpevole dei lavoratori che nel frattempo sono stati licenziati senza rinvio;
per effetto della dichiarazione di chiusura del fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca (e, nel caso di specie, l'intero compendio aziendale della Calcestruzzi Belice srl) sono stati esclusi dalla massa attiva fallimentare, ai sensi dell'art. 63 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (codice antimafia);
tali determinazioni ed il relativo provvedimento di confisca dell'intero compendio aziendale comportano l'inevitabile conseguenza che i beni, tutti riconducibili all'erario dello Stato, sono sottratti alla libera circolazione e rientrano nell'alveo di gestione dell'Agenzia nazionale, che dovrà disporne la destinazione, ai sensi dell'art. 48 del decreto legislativo n. 159 del 2011. La soddisfazione dei creditori della società fallita dovrà avvenire nelle forme e con i limiti imposti dagli artt. 52 e seguenti;
l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, dopo la chiusura del fallimento, ha cercato di addivenire ad una soluzione col distretto minerario di Caltanissetta, che aveva già avviato il procedimento di decadenza dai titoli autorizzati per l'estrazione di materiali calcarei intestati alla fallita Calcestruzzi Belice srl, per evitare che le autorizzazioni rilasciate per la coltivazione e l'estrazione di materiale lapideo decadessero;
il rinvio disposto dalla Corte di appello di Palermo al 14 aprile 2017 va unicamente a discapito dei lavoratori dell'azienda dichiarata fallita, che hanno perso il loro impiego. Un periodo di inattività di così lunga durata delle estrazioni e della vendita del materiale potrebbe determinare la perdita del pacchetto clienti che, a causa della persistente temporanea inattività, potrebbero rivolgersi a terzi;
in relazione alla situazione di stallo determinatasi, l'Agenzia nazionale, in attesa del pronunciamento della Corte di appello, ha individuato una soluzione possibile di transito volta a salvaguardare la prosecuzione delle attività aziendali e ha disposto, con nota prot. uscita n. 7289 del 10 febbraio 2017, una momentanea destinazione del compendio aziendale della fallita Calcestruzzi Belice srl, ai sensi dell'art. 48 del decreto legislativo n. 159 del 2011, ad altra società della stessa confisca Cascio, la Inerti srl, che ha lo stesso oggetto sociale della fallita; la Inerti srl ha già predisposto la documentazione richiesta dal distretto minerario per subentrare nei titoli autorizzativi all'estrazione della Calcestruzzi Belice srl e potrà proseguire le attività della società fallita sino alla decisione della Corte di appello e, comunque, sino alla destinazione definitiva del compendio aziendale della fallita. In tal modo, oltre ad evitare la procedura di decadenza dei titoli autorizzati all'estrazione, gli ex dipendenti della Calcestruzzi Belice potrebbero essere assunti gradualmente dalla Inerti srl;
la Inerti srl, subentrando nei titoli autorizzativi, anche se temporaneamente, riattiverà il ciclo di produzione della società fallita, riassorbendo, ancor prima del riavvio dell'attività estrattiva, da 2 a 3 dipendenti per la vendita del materiale presente sul piazzale;
valutato, infine, che, per quanto risulta all'interrogante:
le caratteristiche di questo fallimento sono singolari: tutto il debito per il quale la magistratura ha stabilito che l'azienda potesse fallire ammonta a 30.000 euro, debito che la Calcestruzzi, prima del sequestro, aveva nei confronti dell'Eni, la quale si è sottoposta a verifica dei crediti. Il credito è molto modesto per mandare "a gambe all'aria" una struttura come quella della Calcestruzzi Belice, azienda sana con un volume d'affari superiore al 1.200.000 euro all'anno;
il giudice che ha disposto il fallimento, a detta dell'interrogante, ha agito con superficialità e negligenza; un giudice dovrebbe valutare i casi concreti, analizzando la corretta applicazione della normativa vigente; in questo caso, un'azienda ha dovuto subire un fallimento per aver dovuto rispettare la legge. La normativa del 2012 imponeva all'azienda di non pagare il debito in attesa della procedura; delle due l'una: o il giudice che ha disposto il fallimento ignorava l'esistenza della normativa esistente o ha deliberatamente ignorato una rilevante parte di normativa applicabile al caso concreto. Ad avviso dell'interrogante, in entrambi i casi vi sarebbero i presupposti per identificare un'azione del giudice lacunosa, aggravata, quantomeno, dalla colpa grave, se non dal dolo;
la situazione ha assunto dei contorni paradossali, nel momento in cui, per cercare di rimediare ad una sentenza dalle conseguenze pesantissime per la collettività, da un lato è intervenuto il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo metropolita di Agrigento, resosi disponibile a pagare il debito dei 30.000 euro della Calcestruzzi Belice; dall'altro, è stata l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ad avanzare proposte giuridiche concrete per evitare la chiusura dell'attività, il licenziamento dei dipendenti e colmare la lacunosa attività della magistratura, che rinvia le udienze senza tener conto delle esigenze reali del Paese e di onesti lavoratori;
per concludere, l'interrogante non riesce a comprendere come sia possibile che l'Eni abbia chiesto il fallimento di questa azienda per avere soddisfazione di un credito di 30.000 euro. Non si comprende il motivo per il quale una società a partecipazione dello Stato avrebbe chiesto ed ottenuto il fallimento di una società la cui attività era produttiva di ricchezza per la collettività, per 30.000 euro, senza tenere in alcun conto né il devastante valore simbolico né il devastante valore occupazionale di una simile scelta. Fino a che la confisca di un'azienda capace di stare nel mercato si trasformerà in disoccupazione e fallimento, lo Stato non chiuderà mai la partita contro la mafia,
si chiede di sapere:
se il Ministro della giustizia non ritenga di avviare un'attività ispettiva, per valutare il grado di negligenza dell'operato del giudice che ha emanato la sentenza di fallimento, e rilevare se sussistano i presupposti per promuovere una procedura disciplinare nei confronti dello stesso;
se i Ministri in indirizzo non ritengano doveroso sostenere l'attività dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con maggior forza e vigore, al fine di trovare una soluzione transitoria al problema e salvaguardare il territorio siciliano dalle gravi ripercussioni di una sentenza secondo l'interrogante dai contorni molto discutibili;
se non ritengano necessario dotare l'Agenzia nazionale di nuovi e più incisivi poteri, per evitare altre situazioni analoghe, prevedendo in tal senso che siano disposte ulteriori prerogative dell'Agenzia nel nuovo codice antimafia in discussione al Senato (AS 2134) e adoperandosi per quanto di competenza affinché il medesimo provvedimento possa essere approvato in tempi rapidi.
(4-07141)