• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.7/01242    premesso che:     il tema delle privatizzazioni è al centro dell'agenda italiana da più di vent'anni vedendo progressivamente diminuire la presenza dello Stato dalla...



Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-01242presentato daSPESSOTTO Ariannatesto diVenerdì 7 aprile 2017, seduta n. 776

   Le Commissioni V e IX,
   premesso che:
    il tema delle privatizzazioni è al centro dell'agenda italiana da più di vent'anni vedendo progressivamente diminuire la presenza dello Stato dalla proprietà degli asset strategici e dei mezzi di produzione del Paese;
    le diverse privatizzazioni effettuate in Italia in questo lasso di tempo mostrano come l'affidarsi al mercato non è stato risolutivo per il miglioramento dei servizi ai cittadini, dimostrandosi un falso mito;
    per far si che sia accettabile la scelta di privatizzare le imprese pubbliche, questa deve creare dei benefici collettivi e di interesse generale superiori ai costi sociali e di perdita di competitività del Paese che tale scelta produce;
    per capire tali scelte di privatizzare gli asset italiani bisogna partire dal documento programmatico presentato al Parlamento dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Giuliano Amato nel 1992 che, come ricorda lo studio di Fabio Gobbo e Cesare Pozzi del 2008 «Privatizzazioni: economia di mercato e falsi miti», finalizza espressamente le privatizzazioni alla soluzione, di quattro questioni:
     a) procurarsi una fonte d'entrata ad hoc da destinare alla riduzione del debito pubblico;
     b) promuovere lo sviluppo dei mercati finanziari;
     c) aumentare la concorrenzialità dei mercati secondo quanto stabilito in sede europea;
     d) ridurre gli elevati livelli di inefficienza organizzativa che contraddistinguono le imprese pubbliche;
    in merito al primo obiettivo, appare quantomeno pleonastico ai firmatari del presente atto dover osservare come il privarsi di un mezzo produttivo per ripagare un debito, o meglio una minima parte di un debito, altro non sia che un privare le generazioni future di strumenti per poter ripagare la restante parte di debito. Strategia quantomeno bizzarra e sicuramente fallimentare;
    riguardo al secondo punto non si affronterà in questa sede questioni oramai scontate in merito al fallimento dei mercati finanziari e alla crisi finanziaria ed economica frutto di tali scelte;
    sul terzo punto appare sconcertante come un Paese che ha fondato la propria esistenza sulla «solidarietà economica e sociale» (confronta articolo 2 della Costituzione) possa appiattirsi a tal punto su un sistema «concorrenziale», abbandonando i suddetti nobili principi di solidarietà;
    la soluzione di adottare la strategia della privatizzazione per risolvere le inefficienze gestionali delle imprese pubbliche nasce da una serie di errate convinzioni e scarsa conoscenza delle materie economiche;
    il preconcetto che l'inefficienza gestionale delle imprese pubbliche sia da imputare a chi detiene la proprietà dell'impresa e, quindi, che la privatizzazione sia la soluzione per creare efficienza, come illustrato dallo studio sopracitato di Gobbo e Pozzi, «trova facile sponda nell'istintivo riferimento al “piccolo imprenditore privato”, il quale in una visione neoclassica, anch'essa mitizzata, riesce a massimizzare la produttività grazie al controllo diretto. Il problema sta nel fatto che questa idea, se anche fosse fondata per la piccola impresa, non lo è certamente per le grandi organizzazioni private che, a maggior ragione se esiste separazione tra proprietà e gestione, hanno a disposizione potenzialmente gli stessi strumenti di pianificazione e controllo delle istituzioni pubbliche». In più tali tesi si fondano sull'errata convinzione che «mercato» sia sinonimo di «concorrenza perfetta» (che tra le altre cose è una situazione puramente astratta), dimenticando che il mercato è condizionato da fenomeni come quelli di lock-in imprescindibilmente legati alle condizioni di partenza che generano situazioni diverse in casi e tempi diversi, tutto questo peggiorato da un'altissima asimmetria di informazione che disintegra totalmente qualsiasi «sovranità del consumatore»;
    non va tralasciato inoltre che gli obiettivi perseguiti dai «privati» non coincidono con quelli perseguiti dallo Stato. Le «imprese pubbliche» si muovono al fine di garantire dei servizi universali ai cittadini, a differenza dei «privati» che operano per mero scopo di lucro, anche al costo di tagliare servizi fondamentali. L'elemento che caratterizza maggiormente la distinzione tra «pubblico» e «privato» non è tanto la proprietà del capitale di rischio, ma la differente « mission» pubblica da quella privata. Solo lo Stato e quindi l'impresa pubblica può perseguire gli obiettivi di interesse della comunità su cui insiste il servizio e solo lo Stato può avere una visione a lungo periodo comprensiva dei benefici/costi di qualsivoglia natura, che ricadranno sulle generazioni successive;
    le varie privatizzazioni hanno dimostrato che gli imprenditori che si sono sostituiti allo Stato hanno solamente avuto interessi di breve periodo, puntando più sul profitto immediato, riducendo l'offerta, che sull'innovazione del servizio stesso, il tutto è alquanto ovvio in quanto si sono ritrovati a operare in regimi di oligopolio o di monopolio naturale, quindi non sono stati sottoposti ad alcuna spinta all'innovazione ed al miglioramento del servizio. Ad esempio, si può citare il ritardo tecnologico provocato dalla mancanza di investimenti nel comparto della telefonia una volta privatizzato. Ritardo tecnologico che ha generato la piaga del digital divide che insiste sul territorio nazionale e che provoca ulteriori rallentamenti in altri ambiti quali quello culturale, imprenditoriale e innovativo;
    tale strategia parassitaria si dirige in un'unica direzione, ovvero quella di innescare un processo di obsolescenza delle attività produttive, con il conseguente dover in futuro ridurre i servizi e il numero di lavoratori (nuova disoccupazione), finché la stessa non terminerà la sua agonia fallendo o chiedendo l'intervento salvifico di iniezione di capitale da parte dello Stato, che passa dall'essere l'elemento inefficiente ad essere l'elemento di salvezza, come è accaduto dopo la privatizzazione delle banche secondo la solita ed ingiusta formula che prevede «la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite»;
    il nostro Paese, anche in ambito ferroviario, si presenta con un rilevante gap tecnologico e infrastrutturale. Il ricorso al mercato non può orientare il sistema nella direzione ottimale per la comunità italiana, sia perché è economicamente impossibile in quanto il mercato non possiede tali proprietà salvifiche, sia perché è palese che solo lo Stato ha una posizione tale da poter individuare la mission da perseguire per il benessere collettivo e le risorse adeguate per perseguire tale mission;
    inoltre va sfatato anche il mito della non sostenibilità del sistema pubblico, in quanto se è vero che lo Stato, al fine di creare un sistema produttivo che soddisfi le esigenze dei cittadini in maniera universale, tenderebbe a offrire il servizio anche lì dove genererebbe solo costi, è pur vero che in una perfetta armonia compensativa con servizi in grado di generare potenziali profitti, tali profitti in luogo di diventare «profitti dei privati», compenserebbero i suddetti costi. È solo una questione organizzativa e di buona amministrazione delle risorse dello Stato e a riprova di ciò i privati sono ben lieti di appropriarsi dei mezzi di produzione statali per farne profitto (e non per riusarli per fornire il servizio a chi non ce l'ha, come farebbe lo Stato);
    il Governo dovrebbe varare lunedì 10 aprile il Documento di economia e finanza;
    da articoli di stampa si apprende l'intenzione di procedere con le operazioni di privatizzazione, ovvero la vendita della seconda tranche di Poste Italiane Spa e la privatizzazione di Ferrovie dello Stato, così come confermato anche da documenti che risulterebbero inviati a febbraio 2017 dal Governo a Bruxelles;
    Ferrovie dello Stato SpA è la principale società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete ferroviaria, di cui circa 1.000 ad alta velocità;
    le azioni di Ferrovie dello Stato italiane SpA appartengono interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze, a cui fanno capo le società operative nei diversi settori della filiera e altre società di servizio e di supporto al funzionamento del gruppo;
    le società controllate direttamente da FS SpA sono 14, tra cui le principali sono: Trenitalia, che gestisce le attività di trasporto passeggeri e di logistica; RFI, gestore dell'infrastruttura ferroviaria; FS Logistica, per la logistica ferroviaria del sistema nazionale delle merci; Busitalia Sita Nord, opera nel trasporto persone con autobus nel Centro-Nord; Italferr, che opera sul mercato italiano e internazionale dell'ingegneria dei trasporti ferroviari; Grandi stazioni (60 per cento la partecipazione di FS), gestisce il network delle 14 principali stazioni ferroviarie italiane; Centostazioni (60 per cento la partecipazione di FS), per la valorizzazione, riqualificazione e gestione di 103 immobili ferroviari sul territorio nazionale; Netinera Deutschland (51 per cento la partecipazione di FS), una capogruppo che controlla 7 società che governano circa 40 imprese nei Lander tedeschi che operano nel trasporto ferroviario, nel trasporto di passeggeri su strada, nella logistica, nella manutenzione e riparazione dei veicoli, nelle infrastrutture ferroviarie; Fercredit, società di servizi finanziari (factoring, leasing e credito al consumo); Ferservizi, il centro servizi integrato, che gestisce per la capogruppo e per le società del gruppo FS le attività di back office (acquisti, servizi immobiliari, servizi amministrativi, servizi informatici e tecnologici); FS sistemi urbani, per la valorizzazione del patrimonio del gruppo non funzionale all'esercizio ferroviario e lo svolgimento di servizi integrati urbani. A queste si aggiungono 61 società controllate indirettamente, la maggior parte delle quali all'estero;
    il Ministro dell'economia e delle finanze risulta aver convintamente sostenuto la scelta di procedere nell'immediato alle privatizzazioni al fine di: «abbattere il debito in modo da dare un segnale ai mercati e all'Europa e per rendere più efficienti le aziende»;
    suddetta urgenza risulta una novità assoluta, rispetto soprattutto a quanto affermato in un'intervista rilasciata il 27 gennaio 2017 dal dottor Pagani, responsabile della segreteria tecnica del Ministero dell'economia e delle finanze;
    il funzionario del Ministero ha infatti affermato che mentre per Poste «la tabella di marcia prevede l'operazione entro quest'anno, ovviamente mercati permettendo» mentre la tempistica dell'operazione Ferrovie sembra invece più aperta;
    l'inizio dell'operazione di privatizzazione di FS risultava quindi per il dottor Pagani soggetta al verificarsi di condizioni favorevoli del mercato e non alle volontà europee come invece affermato dal Ministro dell'economia e delle finanze. Il responsabile della segreteria tecnica avrebbe infatti affermato che «il nostro obiettivo è di poter realizzare anche questa privatizzazione al momento opportuno. Molto dipenderà dalle operazioni in cui è impegnato il gruppo, come l'acquisizione di grande successo che è stata realizzata all'estero nelle scorse settimane (la società ferroviaria britannica NEXT). Il management è impegnato in un percorso industriale ambizioso e importante e va scelto il momento migliore. È anzitutto una scelta industriale»;
    la variazione della tempistica in questa operazione di privatizzazione non risulta dunque chiara e lascia intravedere qualche dubbio sulla reale opportunità di procedere in tempi brevi con questa privatizzazione;
    il Ministro dell'economia e delle finanze si è definito «contrario ad una moratoria» perché nei documenti che risulterebbero inviati a febbraio a Bruxelles il Tesoro si è impegnato a procedere con Ferrovie e con la seconda tranche di Poste. La scelta della tempistica risulta dunque rispondere più al diktat europeo piuttosto che alla necessità di massimizzare i profitti ed eventualmente intraprendere il percorso di privatizzazione solo al verificarsi di condizioni favorevoli;
    oltre alle criticità relative alla tempistica, sorgono dubbi sulla modalità di privatizzazione che verrà scelta. Al 27 gennaio, data dell'intervista del dottor Pagani, non era infatti chiaro quale parte di FS cedere se la holding o l'alta velocità;
    anche in questo caso, come per Poste Italiane, si rischia di scorporare la società in una good company ed in una bad company, procedendo poi alla privatizzazione esclusivamente della prima vanificando in pochissimo tempo i gettiti provenienti dalla vendita e lasciando per sempre, invece, a carico dello Stato, i costi necessari al mantenimento dei servizi universali che ricadrebbero nella cosiddetta bad company;
    la possibile privatizzazione di FS non è un argomento nuovo e già nel 2015 era stata oggetto di un acceso dibattito tra l'allora presidente Messori e l'allora amministratore delegato Fs Michele Mario Elia. Il primo, con una lettera indirizzata al Ministro Padoan, si era dichiarato intenzionato a scorporare la rete ferroviaria, togliendola dall'ambito delle operazioni di privatizzazioni e a procedere con una privatizzazione ponderata e ragionata, accorpando i tanti pezzi del puzzle del gruppo e mettendoli in vendita, ovvero interessando alle operazioni gli immobili posseduti dalle Ferrovie e che oggi fanno parte delle attività di bilancio di tante società controllate, la rete elettrica e tutte le società possedute da Fs che erogano servizi a prezzi più alti di quelli di mercato. Questa visione, caldeggiata dal Ministro Delrio, risultava però antitetica a quella espressa da Elia e sostenuta dal Ministro Padoan propensi, invece, a procedere ad una privatizzazione che interessasse anche la rete ma che non toccasse le aziende controllate dal gruppo Fs;
    sarebbe dunque irresponsabile procedere nell'immediato a questa operazione di privatizzazione posto che dalla stessa maggioranza sono emerse divergenze che non risultano tutt'oggi essere state appianate;
    anche negli ultimi giorni infatti è stata evidenziata dagli esponenti del Governo e della maggioranza parlamentare l'inopportunità di privatizzare, sostenendo che questa scelta «rischia di trasformarsi in una svendita visto che il mercato non è pronto»;
    oltre alle obiezioni mosse dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, risultano significative quelle del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, il quale avrebbe affermato «che questa operazione – di privatizzazione di Poste e FS – proprio non va» e quelle dell'onorevole Fanucci che avrebbe sostenuto «un conto è immaginare di trasferire delle quote a Cassa depositi e prestiti, una transizione verso il mercato. Un altro conto è dismettere quote a valori più bassi della realtà.»;
    secondo le stime del Sole 24 Ore l'incasso per la cessione del 30 per cento di Poste, alla luce degli andamenti di borsa, dovrebbe attestarsi attorno a 2,4 miliardi e i proventi dell'operazione di privatizzazione di Ferrovie dello Stato dovrebbero attestarsi intorno a 3,5 miliardi. Le stime governative sembrano più ottimistiche in quanto dalle due operazioni, secondo il Ministro dell'economia, il valore degli incassi dovrebbe aggirarsi sugli 8,5 miliardi. Suddetta discrasia risulta inaccettabile;
    oltre agli aspetti meramente economici, una privatizzazione di Ferrovie dello Stato avrebbe delle inevitabili ricadute sul diritto alla mobilità dei cittadini, sulla sicurezza negli spostamenti e sul compito dello Stato di rispettare gli obblighi legati al servizio universale. Le logiche di mercato rischierebbero di ledere ulteriormente i servizi meno profittevoli quali il trasporto regionale e locale e rendere ancora più onerosi per lo Stato i necessari interventi di ammodernamento ed elettrificazione della rete esistente;
    da agenzie di stampa si apprende che oltre a Ferrovie dello Stato il Governo intende procedere alla vendita della seconda ed ultima tranche di Poste Italiane S.p.A.;
    dal 2015 Poste Italiane, che conta circa 143.000 dipendenti e fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento e assicurativi a oltre 32 milioni di clienti, è una società per azioni, in cui lo Stato italiano, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, è l'azionista di maggioranza, detenendo circa il 60 per cento del capitale sociale (35 per cento Cassa depositi e prestiti, 29,7 per cento Ministero dell'economia);
    i rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati nel dettaglio dal contratto di programma. Il contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa per il triennio 2015-2019 è stato stipulato il 15 dicembre 2015;
    sulla base del decreto legislativo n. 58 del 2011, sopra richiamato, Poste italiane spa risulta affidataria per quindici anni e quindi fino al 2026 del servizio universale postale, che comprende, ai sensi del disposto dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 261 del 1999, e successive modificazioni: « a) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi; b) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; c) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati»;
    il contributo pubblico versato a Poste spa per l'onere del servizio postale universale è pari a 262,4 milioni all'anno e viene erogato entro il 31 dicembre di ciascun anno di vigenza del contratto;
    a distanza di due anni dall'avvio del processo di privatizzazione, non sono ancora chiare le modalità operative attraverso le quali si provvederà alla vendita di quote della società di cui in parola. Restano, dunque, fondate le preoccupazioni, analoghe a quelle espresse per Ferrovie dello Stato, circa un possibile scorporo di Poste italiane spa con la creazione di una cosiddetta good company oggetto della privatizzazione e una cosiddetta bad company dedita al servizio universale postale a carico dello Stato;
    anche nel caso di Poste Italiane, la segreteria tecnica del Ministero ha affermato, contrariamente a quanto sembra intenzionato a fare l'attuale esecutivo, che la decisione di procedere alla vendita della seconda tranche è subordinata all'andamento del mercato al fine di conseguire il massimo risultato da questa operazione. Il dottor Pagani infatti ha affermato che «dopo aver quotato in Borsa Poste Italiane nel 2015, dismettendo il 35,5 per cento del capitale, e dopo aver ceduto un'altra quota pari al 30 per cento a Cassa depositi e prestiti lo scorso anno, resta l'obiettivo di vendere sul mercato la residua quota del 30 per cento, con le stesse modalità dell'Ipo e cioè con la cessione a investitori istituzionali e risparmiatori. La tabella di marcia prevede l'operazione entro quest'anno, ovviamente mercati permettendo»;
    il titolo di Poste continua ad essere scambiato a valori sotto il prezzo di collocamento del 2015, con una capitalizzazione inferiore a 8 miliardi di euro. Uno dei motivi che potrebbe spiegare questo trend, è la mancanza di un piano industriale a medio e lungo termine realistico nel comparto industriale, della logistica e del recapito che contenga elementi di novità e soprattutto un piano di investimenti credibile che a tendere produrrà ricchezza e quindi nuova occupazione;
    le operazioni di privatizzazione fino ad oggi messe in atto dal Governo non hanno corrisposto le aspettative di chi riteneva che tale strategia fosse la migliore per il ripianamento del debito pubblico e sono stati registrati risultati alquanto deludenti e assolutamente controproducenti in un'ottica di lungo periodo,

impegnano il Governo:

1) ad assumere iniziative di competenza per bloccare qualsiasi operazione di privatizzazione e vendita di asset strategici facenti parte del patrimonio pubblico;
2) ad intraprendere ogni utile iniziativa volta a scongiurare la privatizzazione di Ferrovie dello Stato e a non procedere alla vendita della seconda tranche di Poste Italiane Spa.
(7-01242) «Spessotto, Cariello, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, De Lorenzis, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Brugnerotto, Caso, Castelli, D'Incà, Sorial».