• C. 1769 EPUB Proposta di legge presentata il 6 novembre 2013

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Atto a cui si riferisce:
C.1769 Modifiche al codice civile e al codice penale in materia di responsabilità in ambito medico e sanitario e altre disposizioni concernenti la sicurezza delle cure e il risarcimento dei danni da parte delle strutture sanitarie pubbliche
approvato con il nuovo titolo
"Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario"


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1769


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MIOTTO, LENZI, AMATO, BELLANOVA, BENI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, IORI, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI
Modifiche al codice civile e al codice penale in materia di responsabilità in ambito medico e sanitario e altre disposizioni concernenti la sicurezza delle cure e il risarcimento dei danni da parte delle strutture sanitarie pubbliche
Presentata il 6 novembre 2013


      

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Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge, nel perseguire l'obiettivo di garantire il diritto alla tutela della salute degli individui e della collettività, interviene sulla materia della sicurezza delle cure attraverso la sistematica previsione di misure e procedure idonee ad assicurare il miglioramento continuo degli standard di sicurezza delle strutture sanitarie e delle attività mediche e sanitarie e una ridefinizione degli attuali profili penali e civili della responsabilità dei professionisti e delle strutture sanitarie.
      Lo sviluppo incessante delle conoscenze e delle competenze che coinvolge tutte le professioni sanitarie, il massiccio ingresso nella pratica clinico-assistenziale di sofisticate tecnologie di diagnosi e di cura, la molteplicità delle relazioni intra e interprofessionali, il limite delle risorse definite e il ruolo sempre più attivo dei cittadini nel richiedere accessibilità, efficacia e sicurezza, hanno incrementato in modo esponenziale, da una parte, la complessità delle organizzazioni sanitarie e, dall'altra, le attese sugli esiti delle cure, talora fondate su una presunta infallibilità della medicina.
      La complessità tecnico-organizzativa tende a definire sistemi di erogazione di prestazioni mediche e sanitarie che producono al loro interno condizioni favorenti il manifestarsi di eventi indesiderati.
      Le azioni rivolte alla sicurezza delle cure in un'ottica di prevenzione del rischio devono, innanzitutto, far emergere e correggere questi cosiddetti «errori latenti», quelli cioè che insistono nell'area organizzativo-gestionale dei processi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.
      Una vasta e consolidata letteratura attribuisce a tali fattori latenti circa l'80 per cento degli eventi avversi manifesti; il fattore umano è spesso l'ultimo anello di una catena di difetti del sistema e agisce come effettore dell'evento indesiderato, per cui si può solo virtualmente tendere a un'organizzazione di servizi o ad attività mediche e sanitarie libere da errori o a rischio zero.
      In altre parole, l'esito indesiderato di un intervento medico o sanitario è da considerare una potenziale parte costitutiva dell'intervento stesso, che va prevenuta, corretta nei suoi determinanti strutturali e umani e gestita in tutte le sue eventuali manifestazioni, al fine di rendere più sicure e affidabili le strutture sanitarie e le attività professionali.
      L'attenzione va dunque fortemente indirizzata, oltre che sugli operatori, sull'organizzazione dei servizi e, in particolare, sulla loro capacità di orientare le azioni di miglioramento non attraverso la «caccia e punizione dei colpevoli», ma partendo dagli errori per migliorare la sicurezza delle strutture sanitarie e delle attività umane.
      Le caratteristiche prevalenti di «errori di sistema» attribuibili alla grande maggioranza degli eventi avversi in sanità pongono una questione centrale a tutti coloro che portano la responsabilità gestionale, cioè quella di riprogettare strutture e organizzazioni più sicure sulla base degli errori evitati (near miss) e di quelli non evitati, ma evitabili, con o senza danni ai pazienti.
      Queste attività sono tipicamente bottom-up, fondate, cioè, su una forte responsabilizzazione e partecipazione dei professionisti, testimoni e attori dei fenomeni che necessitano di risposte pronte, adeguate ed efficaci sul rimodellamento dell'organizzazione e sulle stesse correzioni formative delle basse performance professionali.
      Un'efficace azione di prevenzione e di gestione del rischio non può prescindere da una conoscenza dei determinanti del fenomeno; in letteratura sono note le caratteristiche epidemiologiche, la tassonomia, gli strumenti di indagine, le procedure di valutazione e di misura e, infine, alcuni interventi efficaci.
      Queste conoscenze definiscono un nuovo sottosistema cognitivo che deve entrare a pieno titolo nel core curriculum formativo dei futuri medici e di tutti i futuri professionisti della salute e nei programmi di formazione continua in medicina (ECM) dei professionisti in attività.
      Il timore di un contenzioso medico-legale incoraggia tra i professionisti pratiche difensive caratterizzate dall'abuso di procedure inutili (e magari dannose) e dall'elusione di quelle efficaci ma gravate da rischi ritenuti insopportabili.
      L'obiettivo di un risarcimento incoraggia, invece, un complesso universo di veri o presunti aventi diritto (pazienti o loro familiari, studi legali e peritali) a intraprendere azioni risarcitorie a fronte di qualunque evento o esito delle cure non previsto.
      Le istituzioni sanitarie hanno, fino a pochi anni fa, completamente delegato alle compagnie assicurative o ai Broker laddove, presenti, la gestione dei contenziosi rinunciando di fatto a ogni ruolo in materia, con le drammatiche conseguenze di dover ancor oggi, in molte situazioni, esercitare «in difesa» il ruolo di contraente di polizze sempre meno garantiste e più impegnative per i bilanci.
      Queste condizioni gravano la spesa sanitaria, pubblica o privata, di costi diretti e indiretti in discreta parte evitabili, allargano le aree di inappropriatezza e di inefficacia degli interventi sanitari e, infine, erodono l'indispensabile rapporto fiduciario tra cittadini, professionisti e istituzioni sanitarie.
      Negli ultimi anni, nonostante rappresentazioni mediatiche ingenerose, è fortemente cresciuta l'attenzione delle strutture sanitarie e degli stessi professionisti verso la cultura e la pratica della sicurezza delle cure sostanzialmente fondata su:

          1) l'identificazione dei punti deboli del sistema organizzativo o delle inadeguatezze nei meccanismi di prevenzione, attraverso una mappatura del rischio in modo che il sistema di gestione possa intervenire con correttivi prima che un incidente si verifichi. Un ruolo fondamentale è esercitato dalle attività HTA (Health Technology Assessment) non solo in relazione all'appropriatezza di utilizzo, ma anche alle procedure di sicurezza preliminari al loro utilizzo;

          2) l'analisi mediante tecniche di audit o di peer rewiev dei reclami, degli infortuni, delle segnalazioni spontanee degli operatori e del contenzioso per un'identificazione ex post delle aree di maggiore criticità in quanto fonti potenziali di reiterazioni di eventi avversi o di quasi errori (near miss). Le attività legate alla segnalazione volontaria degli errori, degli stessi eventi avversi e all’audit clinico sulla sicurezza devono essere del tutto volontarie e confidenziali. Tali strumenti, in quanto funzionali all'interesse generale degli individui e della collettività, devono essere utilizzati solo dai professionisti, con l'impossibilità quindi di un loro utilizzo sia per l'adozione di provvedimenti «punitivi», sia per un loro uso in corso di giudizio, ferme restando le responsabilità di ognuno in tutti gli ambiti e per quanto altrimenti oggetto di denuncia;

          3) la raccolta e l'analisi tempestiva della segnalazione di un incidente occorso in ambito sanitario che, se effettuate e ottenute nell'immediatezza del suo accadimento, consentono la più adeguata gestione della crisi, non solo dei rapporti interni (operatore-paziente-familiari, operatore-operatore, operatore od operatori-direzione aziendale), ma anche di quelli esterni (mass media-altri soggetti). Tale tempestività permette, inoltre, di gestire nel migliore dei modi la raccolta di informazioni tecniche e di dati circostanziali che potranno rivelarsi «strategici» nell'eventualità di un contenzioso. Appartiene a questa sfera di azioni preventive la sistematica segnalazione e raccolta di ogni forma di violenza, verbale o fisica, minacciata o attuata nei confronti dei professionisti e degli operatori, anche al fine di adeguare le misure volte a garantire la loro sicurezza;

          4) la gestione tempestiva ed equa dei sinistri, possibilmente in ambito extragiudiziale, quando sia individuata una responsabilità a carico della struttura o dei professionisti, che vanno sempre coinvolti, e con l'attiva partecipazione dei servizi legali e assicurativi e di medicina legale aziendali e delle strutture;

          5) la sistematica attività di diffusione, adattamento e incremento delle raccomandazioni relative alle migliori pratiche fondate sulle evidenze scientifiche, fermo restando che si cura il malato e non la malattia;

          6) gli interventi formativi proattivi sui professionisti e sulle équipe multiprofessionali, idonei a promuovere la cultura della sicurezza delle attività mediche e sanitarie e adattati agli specifici contesti operativi e alle specifiche competenze professionali attraverso un obbligo di acquisire, nel dossier formativo, almeno 20 crediti formativi ECM in un triennio su materie relative alla sicurezza delle cure;

          7) la richiamata necessità di configurare queste attività all'interno di una visione sistematica e sistemica del fenomeno impone alle strutture sanitarie l'esigenza di costituire unità strutturate di prevenzione e di gestione del rischio clinico o, meglio, di promozione, valutazione e gestione della sicurezza delle cure.

I profili di responsabilità del medico e dell'esercente una professione sanitaria.

      Prima di addentrarsi nei vari profili della responsabilità professionale del medico

e dell'esercente una professione sanitaria è di sicuro rilievo richiamarla nei suoi profili etico-deontologici, così come proposta da Mauro Barni. Per il medico: «(...) Non è un buon segno che la espressione responsabilità professionale del medico sia, nel comune linguaggio degli addetti ai lavori, ritenuta una mera variante semantica di colpa professionale, sinonimo cioè di malpractice (...) La responsabilità è e resta in effetti una categoria pregiuridica e metadeontologica; rappresentando l'essenza stessa della professionalità e della potestà di curare (...) stando al significato etimologico del termine responsabilità vuol dire dovere di farsi carico, scientemente e coscientemente, delle proprie azioni; è condizione quindi consustanziata e connaturata all'agire, che precede l'azione, la orienta, la segue, e presuppone su chi la attua l'esserne sempre moralmente oltre che razionalmente partecipe (...)».
      La responsabilità, quale essenza stessa della professionalità e della potestà di curare, è il pilastro fondante dell'autonomia del medico nelle scelte diagnostiche e terapeutiche che, fatti salvi altri diritti e doveri costituzionali e, in primis, l'autodeterminazione del paziente (consenso informato), è stata più volte richiamata dalla Suprema Corte di Cassazione come tratto incomprimibile dell'attività medica rispetto al legislatore e ribadita in giudizi di merito o di legittimità.
      L'autonomia nelle scelte diagnostico-terapeutiche e tecnico-professionali e l'attribuzione delle connesse responsabilità concorrono, dunque, a definire quella posizione di garanzia che lo Stato riconosce ai medici e, alla luce delle profonde modifiche legislative degli ultimi anni, ai professionisti sanitari nell'ambito delle specifiche competenze definite dai percorsi formativi, dai profili professionali e dalle funzioni attribuite e svolte.
      Vale la pena ricordare come nei codici deontologici il tema della sicurezza abbia già da anni il suo forte rilievo:

          1) codice medico (dicembre 2006), articolo 14: «Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e contribuisce all'adeguamento dell'organizzazione sanitaria, alla prevenzione e gestione del rischio clinico anche attraverso la rilevazione, segnalazione e valutazione degli errori al fine del miglioramento della qualità delle cure. Il medico a tal fine deve utilizzare tutti gli strumenti disponibili per comprendere le cause di un evento avverso e mettere in atto i necessari comportamenti per evitarne la ripetizione»;

          2) codice degli infermieri (dicembre 2009), articolo 29: «L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell'imparare dall'errore. Concorre alle iniziative per la gestione del rischio clinico».

      Negli ultimi anni si è fatto strada nella riflessione giuridica, e più chiaramente in alcune pronunce delle Supreme Corti, l'orientamento di qualificare in modo particolare le attività mediche esercitate in presenza di oggettive esigenze diagnostico-terapeutiche come intrinsecamente finalizzate alla tutela della salute dell'individuo e nell'interesse della collettività; una sorta di autolegittimazione che trova i suoi limiti solo nel rispetto di altri doveri e diritti costituzionalmente sanciti e protetti.
      Occorre partire da questi profili, profondamente radicati nel nostro ordinamento e nella deontologia professionale, per promuovere una riforma organica relativa ai criteri di accertamento della responsabilità del medico e degli esercenti una professione sanitaria, in ambito penale e civile e in ogni altro ambito, stante l'evoluzione giuridico-normativa, tecnico-professionale e organizzativo-gestionale che sempre più frequentemente li vede parte nei contenziosi.
      Al legislatore non deve altresì sfuggire l'esigenza di armonizzare la materia della responsabilità medica e sanitaria all'ordinamento europeo, in ragione della vigente libera circolazione dei professionisti e dei pazienti.

I profili di responsabilità penale e civile dell'esercente la professione medica o sanitaria.

      I costi diretti e indiretti del contenzioso medico e sanitario sono divenuti eccessivamente gravosi per la collettività perché esso ha sconfinato dal mero piano del risarcimento del danno, avendo ricadute onerose sia sul piano della medicina difensiva che dilata le aree di inappropriatezza, sia sul piano assicurativo le cui polizze, per un verso, hanno costi altissimi per professionisti e per aziende ormai sempre più costretti a rinunciarvi e, per un altro, sono sempre meno gestite dalle compagnie italiane o estere, restie a investire in questo settore.
      Solo due Paesi in Europa, e tra questi l'Italia, hanno conservato la responsabilità anche in sede penale per il medico e l'operatore sanitario che con la loro condotta colposa hanno causalmente concorso a determinare l'evento colposo, perché in tutti gli altri Paesi dell'Unione europea l'illecito professionale e l'evento indesiderato sono confinati in ambito civile proprio in ragione della peculiarità della materia.
      Stride, dunque, che nel nostro ordinamento penale il professionista medico o sanitario, chiamato a operare nella quotidianità con attività altamente rischiose per definizione, possa essere chiamato a rispondere penalmente di omicidio o di lesioni personali, quando colposamente la sua prestazione possa essere stata causalmente determinante nell'insorgenza dell'evento indesiderato.
      Il decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012 (cosiddetto «decreto Balduzzi»), dopo un lunghissimo vuoto legislativo ha operato un primo intervento introducendo una sorta di «esimente speciale» nella responsabilità penale medica e sanitaria, circoscrivendola alle ipotesi di colpa grave e di dolo, che si sta rilevando inidonea allo scopo, almeno a giudicare dal primo vaglio ricevuto dai giudici di merito e di legittimità e dai profili di incostituzionalità sollevati dal tribunale di Milano.
      La normativa richiamata ha poi dimostrato il suo limite con riferimento anche alla responsabilità civile, suscitando un vivace dibattito circa la portata interpretativa della nuova previsione che richiama l'articolo 2043 del codice civile e che, tuttavia, lascia fuori le strutture sanitarie sulle quali grava la maggior parte delle prestazioni che, inoltre, sono quelle più a rischio.
      La tesi del contratto sociale che permea il diritto vivente ha inoltre pesanti ricadute dirette sul riparto degli oneri probatori che la preferenza accordata dal richiamato decreto-legge allo schema della responsabilità aquiliana ha posto in crisi, determinando gravi divergenze di sistema, destinate a comporsi o chiarirsi solo con il tempo, anche a danno degli individui e dell'esigenza di tutela del loro interesse eventualmente leso da prestazioni mediche e sanitarie.
      In realtà, su questa materia non servono interventi settoriali o correzioni di parti, ma è necessario riequilibrare per via legislativa l'intero sistema della responsabilità del medico e dell'esercente una professione sanitaria, anche integrando i codici vigenti con specifiche disposizioni, ferma restando la tutela del diritto dei cittadini all'esercizio dell'azione penale e civile a fronte della presunzione di un danno subìto:

          1) in ambito penale, con la previsione, che riserva profili problematici, di una fattispecie specifica che circoscriva, definendola, l'area dei comportamenti colposi aventi rilievo penale in caso di morte o di lesioni personali;

          2) in ambito civile, con l'introduzione di una disciplina che, integrando con una fattispecie specifica la previsione più generale contenuta nell'articolo 2236 del codice civile, delimiti la colpa in ambito medico e sanitario al solo novero di quella grave come in essa definita e riequilibri la posizione delle parti, specie con riferimento all'onere probatorio.

      In tale contesto, alle strutture, al medico e al professionista sanitario competerà

l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, in modo da non esporre il paziente a un rischio irragionevole e inescusabile per la sua salute, restando a carico del medesimo la prova dell'inadempimento dal quale è derivato il danno lamentato.
      Entro questo limite la responsabilità che grava sulla struttura e sui suoi operatori dovrà quindi essere una responsabilità per rischio oggettivamente evitabile che non può significare una responsabilità oggettiva, come quella nella quale è scivolato il sistema.
      È dunque logico circoscrivere la responsabilità nel solo ambito della colpa grave, opportunamente definita e nei limiti delle previsioni generali dell'articolo 2236 del codice civile e del nuovo articolo 2236-bis, rivolto non solo all'operatore, ma anche alla struttura sanitaria che suo tramite ha erogato la prestazione. Non sussiste ragione per diversificare i modelli della responsabilità dell'una rispetto a quella dell'altro, considerato il vigente sistema sociale dell'erogazione delle prestazioni sanitarie essenziali.
      La limitazione della responsabilità alla sola colpa grave, tale in ragione non dell'entità del danno ma dello scostamento dal comportamento atteso, serve in sostanza a graduare unitariamente lo scarto tra il modello ideale astratto e il comportamento concreto tenuto dal soggetto, in modo da rendere accettabile anche per costui l'idea di rispondere solo per violazioni irragionevoli e inescusabili di tale modello ideale.
      Alla luce dei dati relativi al tempo medio che intercorre tra il fatto presunto lesivo e la sua conoscenza, intesa come consapevole presa di coscienza delle conseguenze dannose sul fisico o sulla psiche, è opportuno accelerare il risarcimento prevedendo la decadenza dell'azione da esercitare nel tempo massimo di due anni.
      L'esperienza ha peraltro dimostrato che le azioni di risarcimento sono quasi tutte esercitate entro i primi cinque anni dal fatto presunto lesivo.
      Rimane fermo che se il danno è derivato da fatti considerati dalla legge come reato continuerà ad applicarsi il disposto del terzo comma dell'articolo 2947 del codice civile.

Responsabilità civile per danni occorsi in strutture sanitarie. Azione di rivalsa.

      Sulla base delle considerazioni precedenti va, dunque, previsto che la responsabilità civile verso terzi per danni a persone occorsi nell'erogazione delle prestazioni in una struttura sanitaria pubblica o privata è a carico della struttura stessa.
      La responsabilità civile riguarda tutte le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza (LEA) erogate dalle strutture sanitarie pubbliche o private convenzionate con i servizi sanitari regionali, svolte sia in regime di ricovero, che ambulatoriale o domiciliare, comprese le attività libero-professionali intramoenia. Analoga previsione riguarda le strutture sanitarie e socio-sanitarie che operano in regime autonomo.
      È fatto quindi obbligo alle strutture sanitarie pubbliche o private di dotarsi di una copertura assicurativa per responsabilità civile verso terzi (RCT) e per responsabilità civile verso prestatori d'opera (RCO), per qualsiasi danno causalmente occorso nella struttura.
      Le regioni e le province autonome possono istituire un apposito fondo di garanzia per la RCT e per la RCO delle loro aziende sanitarie.
      La istituzione del fondo sostituisce o integra l'obbligo delle regioni e delle province autonome di dotarsi di polizze assicurative, previsto dalla contrattazione collettiva, e in sede di prima attuazione va prevista una soglia minima pari all'1,5 per cento della spesa relativa al personale dipendente e in regime di convenzione nazionale. L'istituzione del fondo non comporta quindi nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
      L'istituzione del fondo, da parte delle regioni e delle province autonome, è inoltre causa di risoluzione automatica, alla prima scadenza, dei contratti di assicurazione in essere.
      Il massimale minimo per singolo sinistro è fissato dalle regioni e dalle province

autonome e sembra opportuno in sede di prima attuazione individuare una soglia minima pari a 2 milioni di euro.
      Queste tipologie di risarcimento diretto sono esposte al giudizio di legittimità della Corte dei conti che, rilevando la sussistenza di una colpa grave, può imporre alle aziende sanitarie la rivalsa sui professionisti.
      Va, dunque, meglio configurata questa materia sotto il profilo legislativo correggendo quella sostanziale anomalia che espone le risorse proprie delle aziende sanitarie destinate ai risarcimenti, ancorché sostitutive in riduzione di quelle destinate a premi assicurativi, alla valutazione di danno erariale o a misure di esecuzione forzata, per cui va previsto che il fondo non è assoggettabile a esecuzione forzata né a valutazioni di danno erariale nell'ambito dei massimali definiti.
      L'azione risarcitoria può solo essere rivolta alla struttura garantendo che il sanitario, la cui condotta attiva od omissiva rileva nel giudizio, pur non essendo direttamente chiamato in causa, possa intervenire in ogni fase e grado del giudizio previa idonea comunicazione della parte ricorrente su disposizione del giudice.
      Rispetto all'azione di rivalsa della struttura verso i professionisti è previsto che questa può essere esercitata solamente o nei limiti del nuovo articolo 2236-bis del codice civile quando, cioè, il danno risarcito sia conseguenza dell'inosservanza delle buone pratiche o delle regole dell'arte ovvero se il fatto lesivo è conseguenza di suo dolo o colpa grave.
      L'ammontare della rivalsa è individuato in ragione percentuale della retribuzione percepita per un numero definito di anni (tre), al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, che andrebbe a costituire il danno patrimoniale che il professionista è obbligato a coprire con l'assicurazione e, in ogni caso, a corrispondere per una quota pari a un quinto della retribuzione o reddito professionale annuo percepito, al netto delle ritenute fiscali e previdenziali.
      Al fine di garantire efficacia all'azione di rivalsa, ciascun medico o esercente una professione sanitaria operante, a qualunque titolo, nell'ambito delle strutture sanitarie pubbliche o private deve provvedere alla stipula, con oneri a proprio carico, di un'idonea polizza assicurativa commisurata al proprio rischio.

Le assicurazioni e l'obbligo assicurativo.

      Si riportano di seguito alcuni dati che derivano da più fonti, alcune terze, altre di parte, alcune ufficiali, altre ufficiose in materia di sinistrosità medica e sanitaria e di mercato assicurativo.
      Dal rapporto dell'Associazione nazionale per le imprese assicurative (ANIA) del 2 luglio 2013 sui sinistri nell'area medica e sanitaria emerge che:

          1) cala il numero delle denunce contro i medici e le strutture sanitarie. Dai 33.700 sinistri registrati nel 2010 si è passati ai 31.400 del 2011; poco meno del 7 per cento ma molto significativo se si pensa che dal 1994 il numero di questo tipo di sinistri è cresciuto di oltre il 200 per cento;

          2) è diminuito sia il numero delle denunce contro i singoli professionisti (11.782 nel 2011 contro 12.329 dell'anno precedente), sia quelle contro le aziende sanitarie (19.627 contro 21.353 del 2010). La stima del numero di sinistri denunciati alle imprese di assicurazione italiane nel 2011 ha sfiorato i 31.500 casi, di cui quasi i due terzi relativi a polizze stipulate dalle strutture sanitarie. Il numero dei sinistri ha registrato una riduzione del 6,7 per cento rispetto al 2010, proseguendo la tendenza già avviata nell'anno precedente, quando erano diminuiti dell'1,0 per cento; malgrado la contrazione, questo numero rimane tra i più elevati dell'ultimo decennio. A diminuire maggiormente sono stati i sinistri relativi alle strutture sanitarie (–8,1 per cento), probabilmente come effetto della crescente attenzione posta dalle stesse nell'analisi e nel monitoraggio dei rischi sanitari, al fine di prevenire o di limitare i risarcimenti dovuti a malpractice sanitaria;

          3) se si esaminano le generazioni più mature (dal 1994 al 2001), mediamente i due terzi dei sinistri denunciati alle imprese di assicurazione, per il totale della RC medica, vengono chiusi senza seguito. In particolare, tale percentuale è più elevata per i sinistri relativi alle strutture sanitarie (mediamente pari, nel periodo, al 72 per cento), anche se occorre segnalare che parte di questi sono poi risarciti direttamente dalle strutture stesse in quanto ricadono sotto la franchigia contrattuale. Per i sinistri relativi alla RC professionale mediamente il 60 per cento dei sinistri denunciati non dà seguito a un risarcimento. Le percentuali relative ai sinistri liquidati (numeri e importi) sono relativamente basse per le generazioni più recenti di sinistri in quanto è generalmente incerta sia l'effettiva responsabilità dell'assicurato sia l'entità del danno. Le percentuali crescono al crescere dell'anzianità della generazione dei sinistri attestandosi a valori superiori al 90 per cento per quelli di oltre dieci anni;

          4) a causa della complessità della valutazione delle menomazioni fisiche e della frequente insufficienza di informazioni disponibili subito dopo il verificarsi dell'incidente, la valutazione del sinistro da parte delle imprese di assicurazione è in molti casi sottostimata;

          5) la stima dei premi incassati dalle imprese di assicurazione italiane per l'esercizio 2011 è pari a circa 525 milioni di euro, di cui il 57 per cento relativo a polizze stipulate dalle strutture sanitarie e il restante 43 per cento relativo a polizze stipulate dai professionisti sanitari. La statistica non comprende i premi raccolti dalle imprese europee operanti in Italia in regime di libertà di prestazione di servizi, alcune delle quali particolarmente attive nel settore; una ragionevole previsione e di poco inferiore a quella italiana, portando il monte premi dell'intero settore a circa un miliardo di euro. Rispetto all'anno precedente i premi sono incrementati del 5,5 per cento vi ha contribuito essenzialmente l'aumento di oltre otto punti percentuali registrato dal volume premi relativi alle polizze dei professionisti. Pur se in misura più contenuta ( 3,6 per cento rispetto al 2010) risultano in aumento anche i premi relativi alle strutture sanitarie. Il tasso annuo di crescita dei premi complessivi nel periodo 2001-2011 si attesta al 7,3 per cento (rispettivamente 5,5 per cento per le strutture sanitarie e 10,3 per cento per i professionisti);

          6) il costo dei risarcimenti in forte crescita, congiuntamente a un numero elevato di denunce che le imprese di assicurazione registrano di anno in anno, determinano risultati estremamente negativi per i conti tecnici del settore e, quindi, valori particolarmente elevati del rapporto tra sinistri e premi. Anche in questo caso, per una corretta valutazione dell'andamento del business assicurativo oggetto di questa analisi, occorre osservare lo sviluppo del rapporto tra sinistri e premi nei diversi anni. Al 31 dicembre 2011 il rapporto medio per le varie generazioni si attesta al 175 per cento. Relativamente alla generazione più recente si nota che il rapporto si attesta al 147 per cento. Per quanto riguarda l'evoluzione del rapporto tra sinistri e premi man mano che la percentuale dei sinistri liquidati aumenta e che le informazioni sui sinistri diventano più consolidate, si notano tre distinti fenomeni:

              6.1) per le generazioni di sinistri protocollati dal 1994 al 2004, il rapporto sinistri a premi valutato al 31 dicembre 2011 assume valori particolarmente elevati (dal 174 per cento della generazione 2004 a oltre il 310 per cento per le generazioni 1997 e 1998);

              6.2) dalla generazione 2005 a quella 2008 il rapporto tra sinistri e premi tende a essere più contenuto, pur restando su livelli di evidente diseconomicità;

              6.3) negli ultimi tre anni disponibili (dal 2009 al 2011) il rapporto tra sinistri e premi, pur non raggiungendo le punte estreme degli anni dal 1994 al 2004, ha mostrato valori comunque in peggioramento rispetto agli anni dal 2005 al 2008;

          7) l'evoluzione dei costi medi varia man mano che la percentuale di sinistri liquidati aumenta e quindi man mano che le informazioni diventano più consolidate. A ciò si aggiunga l'incertezza nella quantificazione del danno legata alla frequente evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali in materia di entità del danno da risarcire. Ad esempio, per i sinistri protocollati nel 1994, dopo otto anni di sviluppo (ossia nel 2002), le imprese di assicurazione avevano stimato mediamente di pagare circa 16.400 euro, mentre a distanza di dieci anni la valutazione era raddoppiata e aveva raggiunto quello che sembra essere oggi il costo medio «ultimo» dei sinistri di quella generazione (quasi 30.000 euro). Tale andamento si osserva (talvolta con tempi più rapidi) per tutte le generazioni di sinistri: ad esempio per l'anno di protocollazione 2004 il costo medio dei sinistri è raddoppiato in soli quattro anni, passando da 22.700 euro nell'anno di denuncia a oltre 43.000 euro nel 2009.
      Dal rapporto della regione Lombardia «AON sulla mappatura del rischio nel SSR», con dati riferiti al periodo 1999-2012 (quattordici anni) relativi alle 15 aziende sanitarie locali (ASL), alle 29 aziende ospedaliere (AO) e alle 6 fondazioni si sottolinea che:

          1) a fronte di circa 723 milioni di euro al netto delle franchigie versati come premi assicurativi, sono stati liquidati risarcimenti per 498 milioni di euro, restando ancora aperti il 32 per cento dei sinistri avvenuti nelle AO e il 21 per cento di quelle avvenuti nelle ASL;

          2) l'importo medio liquidato per sinistri nelle AO è pari a circa 44.000 euro e per quelli nelle ASL pari a circa 24.500 euro;

          3) il 48 per cento delle richieste di risarcimento del danno è avanzato nel primo anno di accadimento, il 24 per cento nell'anno successivo e il 93 per cento complessivo nei primi cinque anni;

          4) le richieste di risarcimento per danni nelle strutture risultano complessivamente stabili con circa 2.200 all'anno (indice di sinistrosità pari al 14,9 per cento), con prevalenza di accadimenti nel pronto soccorso (14,9 per cento), seguito da ortopedia (14 per cento), chirurgia generale (9,7 per cento) e ostetricia-ginecologia (8,6 per cento), più staccata è la medicina interna (4 per cento);

          5) i procedimenti penali avanzati si attestano, stabili negli ultimi anni, a circa 115-120 all'anno;

          6) le stime riferite al 2013 indicherebbero un promettente calo della sinistrosità del 18,3 per cento.

      I dati riferiti dalla regione Lombardia sembrerebbero confermati da stime ufficiose relative alle segnalazioni di sinistri segnalate da circa 18 regioni e province autonome:

          1) l'indice di sinistrosità nazionale (inteso come denunce di sinistri per 10.000 ricoveri ospedalieri) è pari a circa il 13 (14 per le regioni del nord, 16 per le regioni del centro e 9 per le Regioni del Sud);

          2) l'indice di sinistrosità nazionale riferito alle sole denunce per lesioni personali o decessi (esclusi danni a cose e danni patrimoniali) è pari a 4,8;

          3) il costo medio per i sinistri liquidati nell'anno 2012 è pari a 39.590 euro;

          4) interessante è il dato medio nazionale relativo ai giorni (medi) necessari per la chiusura di una pratica di sinistro, che è pari a 402 giorni (il valore dell'indicatore sale fino a 667 giorni per alcune regioni del sud e si riduce fino a 114 giorni per alcune regioni del nord);

          5) il dato nazionale relativo ai giorni che mediamente intercorrono tra il verificarsi dell'evento presunto dannoso e la denuncia di sinistro è pari a 755 giorni (fino a 1.100 giorni per alcune regioni del sud).

      In questo difficile contesto di matrice giuridica e di mercato che le imprese di assicurazione denunciano come ostativo al

loro impegno, tenuto conto che si è previsto un obbligo a contrarre assicurazioni, che si può prevedere un obbligo ad assicurare ma che non è consentito obbligare all'entità dei premi, si sta avvitando una spirale di costi e di incertezze assicurative che oggi sta letteralmente strangolando settori di attività libero-professionale gravati da elevati rischi di risarcimenti e cioè i settori di ostetricia-ginecologia, di ortopedia, di chirurgia generale.
      Dopo poco più di otto mesi dalla conversione in legge del citato decreto-legge Balduzzi erano stati rinviati i termini dell'obbligatorietà della polizza assicurativa per le professioni sanitarie al 13 agosto 2014, un provvedimento che ha lasciato impregiudicata la sostanza vera del problema ovvero come cambiare le condizioni per consentire un accesso equo e sostenibile alle coperture assicurative.
      Alcune soluzioni stanno all'interno dell'evocata riforma del nostro sistema giuridico in materia di responsabilità penale e civile, compresa la revisione delle competenze dei consulenti tecnici d'ufficio (CTU), altre in una sistematica ed efficace attività di prevenzione e di gestione del rischio e dei sinistri, altre, invece, sono del tutto peculiari al settore che sconta, però, una forte asimmetria tra un'offerta forte e organizzata (le imprese di assicurazione) e una domanda più debole e disorganizzata (strutture sanitarie e professionisti sanitari).
      Non sorprende dunque che, al di là del cambio di legislatura e Governo, non siano stati rispettati i termini temporali (30 giugno 2013) per emanare il decreto del Presidente della Repubblica di cui al comma 2 dell'articolo 3 del decreto Balduzzi e, in particolare non siano stati previsti:

          a) l'istituzione del fondo per garantire un'idonea copertura assicurativa delle categorie professionali ad alto rischio;

          b) i requisiti minimi e uniformi delle polizze di assicurazione con specifico riguardo alle modalità di recesso, al massimale di copertura, alle clausole di copertura pregressa e postuma, nonché alle eventuali franchigie e scoperto;

          c) la definizione delle tabelle di riferimento per il risarcimento del danno biologico di cui agli articoli 138 e 149 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, tenuto conto che nel nostro Paese la media dei risarcimenti a parità di danno biologico è la più alta in Europa.

Nomina dei CTU.

      Nelle cause di responsabilità professionale medica e sanitaria va annullata la nomina dei CTU che, salvo autorizzazione del presidente del tribunale, non siano scelti negli albi individuati dal comma 5 del citato articolo 3 del decreto Balduzzi.
      L'articolo 61 del codice di procedura civile va integrato prevedendo che nelle cause di responsabilità sanitaria implicanti attività specialistiche la competenza tecnica del consulente medico-legale è necessariamente integrata da quella di uno o più consulenti tecnici specialisti nella disciplina interessata.
      Parimenti, l'articolo 73 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, va integrato prevedendo che il pubblico ministero, nei procedimenti di responsabilità sanitaria implicanti attività specialistiche, quando nomina un consulente medico-legale è tenuto, a pena di nullità, alla contemporanea nomina di uno o più consulenti tecnici specialisti nella disciplina su cui verte l'indagine.

Azioni disciplinari incidenti sul rapporto di lavoro.

      In un intento di completezza del sistema, deve anche essere coinvolta la valutazione delle azioni disciplinari che oggi vengono promosse sulla sola presunzione di una responsabilità in caso di evento indesiderato.
      A tale scopo, nell'ambito delle specifiche aree negoziali e dei relativi accordi contrattuali nazionali dovranno essere definite

le misure incidenti sul rapporto di lavoro limitatamente alle circostanze di accertamento di colpa grave, fatto salvo quanto già espressamente previsto dalle leggi vigenti e dalle stesse sentenze passate in giudicato.
      Analogamente va affidata alla disciplina contrattuale la regolamentazione delle azioni incidenti sul rapporto di lavoro in caso di responsabilità in via di definizione giudiziale o extragiudiziale, ferme restando le garanzie di una valutazione terza e in tempi definiti dei profili tecnici dell'eventuale azione colposa, di misure sospensive commisurate e limitate ai tempi della valutazione e di eventuali diversi provvedimenti cautelari o compensativi coerenti con la tipologia delle competenze in possesso dei destinatari di tali provvedimenti. La presente proposta di legge riproduce analogo disegno di legge presentato al Senato della Repubblica dal senatore Amedeo Bianco e altri confirmatari (atto Senato n. 1134).
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Sicurezza delle cure).

      1. La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla tutela della salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività.
      2. La sicurezza delle cure si realizza mediante l'insieme di attività organizzative, formative, educative, relazionali, gestionali, valutative e di sviluppo continuo delle competenze tecniche e non tecniche degli operatori finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni mediche e sanitarie.

Art. 2.
(Istituzione dell'unità di prevenzione e gestione del rischio clinico e osservatori per il monitoraggio dei contenziosi).

      1. Al fine di garantire che le organizzazioni sanitarie e gli esercenti una professione sanitaria svolgano in condizioni di sicurezza le attività sanitarie e ogni altra attività connessa all'erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, le regioni e le province autonome di Trento di Bolzano, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nell'ambito delle proprie competenze, assumono provvedimenti finalizzati a individuare in ogni azienda sanitaria, presidio o ente e servizi sanitari regionali e della province autonome, una struttura o funzione di prevenzione e di gestione del rischio clinico con il compito di:

          a) individuare, in collaborazione con gli organi di prevenzione interni indicati dalle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, le situazioni e le prestazioni sanitarie potenzialmente

rischiose, anche sotto il profilo dell'organizzazione del lavoro, indicando le soluzioni da adottare per il loro superamento;

          b) operare in maniera integrata con tutti i soggetti coinvolti nella sicurezza dei pazienti e con i professionisti sanitari al fine di ridurre gli eventi avversi, anche attraverso sistemi di segnalazione anonima di errori di eventuali rischi di errori e attività di revisione tra pari sulla sicurezza delle cure, e con l'assicuratore ogni volta che si verifica un fatto che comporti l'attivazione della copertura assicurativa;

          c) operare quale organo di consulenza in materia assicurativa, di analisi del rischio e di adozione di presìdi o procedure per il suo superamento a vantaggio delle strutture sanitarie e di coloro che, nel loro ambito, sono dotati di poteri decisionali;

          d) redigere rapporti annuali sulle attività di gestione del rischio clinico svolte da inviare agli osservatori regionali, di cui al comma 4;

          e) programmare e predisporre affinché ciascun professionista sanitario svolga in ciascun triennio attività di educazione continua in medicina (ECM) sul tema della sicurezza delle cure per un equivalente di almeno 20 crediti formativi.

      2. Le disposizioni del comma 1, lettera e), si applicano anche ai liberi professionisti.
      3. Gli atti eventualmente prodotti nel corso delle attività di cui al comma 1, lettera b), non inseriti nella cartella clinica, hanno carattere confidenziale e sono indisponibili e inutilizzabili in un eventuale giudizio.
      4. Al fine di migliorare le pratiche di valutazione dei contenziosi le regioni istituiscono osservatori regionali dei contenziosi e degli errori nelle pratiche sanitarie, che prevedono l'adeguata rappresentanza delle associazioni dei pazienti. Presso gli osservatori convergono le segnalazioni relative a violenze, verbali o fisiche, minacciate o attuate nei confronti degli operatori

sanitari. Gli osservatori, oltre ai flussi informativi relativi ai contenziosi, agli errori e agli eventuali rischi di errori, producono rapporti annuali al Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità (SIMES) sullo stato delle attività di prevenzione e di gestione del rischio clinico e dei contenziosi.
      5. La mancata individuazione o l'insufficiente attivazione delle strutture e delle funzioni di cui al comma 1 costituiscono elementi di valutazione negativa per il responsabile gestionale delle strutture sanitarie pubbliche e requisito indispensabile per l'autorizzazione e l'accreditamento delle strutture private.
Art. 3.
(Attività mediche e sanitarie).

      1. Le attività mediche e sanitarie di carattere preventivo, diagnostico, terapeutico e riabilitativo sono dirette alla tutela della salute degli individui e della collettività e di tale obiettivo esse sono garanti.
      2. Le attività di cui al comma 1 sono assicurate secondo i princìpi di autonomia e responsabilità dei medici e degli esercenti la professione sanitaria nell'ambito delle proprie competenze definite dai percorsi formativi, dagli specifici profili professionali e dalle funzioni assegnate e svolte secondo le buone pratiche e le regole dell'arte fondate sullo stato delle conoscenze acquisite e delle migliori evidenze scientifiche disponibili.
      3. Fatti salvi altri diritti o doveri costituzionalmente protetti, le norme generali e le discipline derivate connesse alle esigenze organizzative e gestionali dei servizi sanitari e socio-sanitari prevedono il rispetto dei princìpi di cui ai commi 1 e 2.

Art. 4.
(Responsabilità penale dell'esercente la professione medica o sanitaria).

      1. Le prestazioni mediche e sanitarie erogate per oggettive e documentate finalità

preventive, diagnostiche, terapeutiche o riabilitative eseguite nel rispetto delle buone pratiche e delle regole dell'arte da esercenti la professione medica o sanitaria o da altri professionisti legalmente autorizzati allo scopo non costituiscono offese all'integrità psico-fisica.
      2. Dopo l'articolo 590-bis del codice penale è inserito il seguente:
      «Art. 590-ter. – (Morte o lesioni come conseguenze di condotta colposa in ambito medico e sanitario). – L'esercente la professione medica o sanitaria che in presenza di esigenze preventive, diagnostiche, terapeutiche o riabilitative, avendo eseguito od omesso un trattamento, cagioni la morte o una lesione personale del paziente è punibile solo in caso di colpa o di dolo.
      Ai fini del primo comma, la colpa sussiste quando l'azione o l'omissione dell'esercente la professione medica o sanitaria, inosservante delle buone pratiche e delle regole dell'arte, crei un rischio irragionevole e inescusabile per la salute del paziente, concretizzatosi nell'evento dannoso».
Art. 5.
(Responsabilità civile dell'esercente la professione medica o sanitaria).

      1. Dopo l'articolo 2236 del codice civile è inserito il seguente:
      «Art. 2236-bis. – (Responsabilità dell'esercente la professione medica o sanitaria. – Le attività mediche e sanitarie di carattere preventivo, diagnostico, terapeutico o riabilitativo sono attività particolarmente rischiose. Quando dallo svolgimento di tali attività derivi causalmente un danno al paziente, l'esercente la professione medica o sanitaria che le ha rese è tenuto al risarcimento se il fatto lesivo è conseguenza di colpa grave o di dolo.
      Costituiscono colpa grave:

          a) l'errore determinato da inescusabile negligenza dell'operatore;

          b) l'imprudente inosservanza delle regole dell'arte, dei regolamenti e delle leggi dalla quale sia derivato un rischio irragionevole e inescusabile per la salute psico-fisica del paziente, rimasta menomata;

          c) l'esecuzione di atti preventivi, diagnostici, terapeutici o riabilitativi caratterizzati da grande imperizia e dai quali sia derivata una lesione al paziente.

      L'azione di risarcimento del danno alla salute causato nell'erogazione di prestazioni mediche e sanitarie deve essere esercitata, a pena di decadenza, entro due anni dalla data di consapevole presa di coscienza del fatto le cui conseguenze hanno comportato un danno psico-fisico al paziente.
      Quando le prestazioni sono rese da un esercente la professione medica o sanitaria operante in una struttura pubblica o privata l'azione di risarcimento deve essere esercitata esclusivamente nei confronti della struttura stessa».

Art. 6.
(Responsabilità civile per danni occorsi in strutture sanitarie).

      1. La responsabilità civile per danni a persone occorsi nell'erogazione delle prestazioni, in un'azienda sanitaria, ente o presidio del Servizio sanitario nazionale (SSN) o un'altra struttura pubblica o privata autorizzata a erogare prestazioni sanitarie, operante in regime autonomo o di convenzione con il SSN, è a carico della struttura stessa.
      2. Per le strutture sanitarie pubbliche, la responsabilità civile riguarda tutte le prestazioni erogate in regime di ricovero, ambulatoriali, domiciliari o libero-professionali intramoenia ricomprese nei livelli essenziali di assistenza di cui all'allegato 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale

n. 33 dell'8 febbraio 2002, e successive modificazioni, fatta salva una diversa normativa regionale vigente all'epoca della prestazione.
Art. 7.
(Intervento dell'esercente la professione medica o sanitaria nel giudizio).

      1. L'esercente la professione medica o sanitaria la cui condotta rileva nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria pubblica o privata non può essere chiamato in causa, fermo restando che può intervenire in ogni fase e grado del procedimento ai sensi dell'articolo 105 del codice di procedura civile.
      2. Al fine di consentire l'intervento dell'esercente la professione medica o sanitaria, il giudice investito dalla causa deve ordinare a chi ha promosso l'azione di darne comunicazione prima della data fissata per l'udienza.
      3. La decisione pronunciata nel giudizio promosso contro la struttura sanitaria pubblica o privata non fa stato nel giudizio di rivalsa se l'esercente la professione medica o sanitaria non è stato informato della causa in modo da potervi intervenire volontariamente.
      4. La decisione in giudizio non fa mai stato nel procedimento disciplinare.

Art. 8.
(Azione di rivalsa e sua misura).

      1. L'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione medica o sanitaria a qualunque titolo operante in una struttura pubblica o privata può essere esercitata entro un anno dal risarcimento avvenuto sulla base di un titolo giudiziale divenuto inoppugnabile o di un titolo stragiudiziale stipulato con il soggetto danneggiato e nella misura massima pari a tre annualità della retribuzione o del reddito professionale, al netto delle trattenute fiscali

e previdenziali, percepito al tempo in cui è stata proposta l'azione di risarcimento.
      2. L'esecuzione della rivalsa, effettuata mediante trattenute sulla retribuzione, non può comportare il pagamento per rate mensili in misura superiore al quinto della retribuzione al netto delle trattenute fiscali e previdenziali.
      3. La transazione non è opponibile all'esercente la professione medica o sanitaria nel giudizio di rivalsa e nel giudizio disciplinare.
Art. 9.
(Assicurazione per garantire l'azione di rivalsa).

      1. Al fine di garantire l'efficacia all'azione di rivalsa di cui all'articolo 8 della presente legge, ciascun esercente la professione medica o sanitaria operante a qualunque titolo in presìdi sanitari pubblici, nelle aziende sanitarie del SSN o in strutture sanitarie private deve provvedere alla stipulazione con oneri a proprio carico, di un'idonea polizza di assicurazione, avente i requisiti di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.

Art. 10.
(Tutela obbligatoria per la responsabilità civile delle strutture sanitarie).

      1. Senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, è fatto obbligo, a ciascuna azienda sanitaria, ente o presidio del SSN, a ciascuna struttura o ente privato operante in regime di convenzione con il SSN e a ciascuna struttura privata che, a qualunque titolo, rende prestazioni sanitarie o socio-sanitarie, di prevedere una tutela obbligatoria per la responsabilità civile verso terzi (RCT) e per la

responsabilità civile verso prestatori d'opera (RCO) con le seguenti modalità:

          a) copertura assicurativa per RCT e per la RCO;

          b) fondo di garanzia, su base regionale o provinciale per le province autonome di Trento e di Bolzano per la RCT e per la RCO destinato al personale di tutte o di parte delle aziende sanitarie, enti o presìdi ubicati sul territorio di competenza, sostitutivo o integrativo delle polizze assicurative, destinando a tale fine direttamente le risorse finanziarie necessarie. Le polizze assicurative sostituite cessano alla scadenza e, comunque, non oltre due anni dall'istituzione del fondo di garanzia. Il fondo di garanzia non è assoggettabile a misure di esecuzione forzata, né può essere oggetto di valutazione di danno erariale fino a concorrenza del massimale definito.

      2. In sede di prima attuazione della presente legge, il fondo di garanzia di cui al comma 1, lettera b), non può essere inferiore, per ciascun anno, allo 1,5 per cento della spesa relativa al personale dipendente e a rapporto convenzionale. Il massimale per le garanzie di cui al citato comma 1 è fissato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano con cadenza biennale e in sede di prima attuazione della presente legge, non può essere inferiore a 2.000.000 di euro per singolo sinistro.
      3. La stipulazione e la vigenza della polizza assicurativa sono condizioni per l'autorizzazione, l'accreditamento o la convenzione di enti o strutture privati.
      4. L'assicuratore non può opporre al terzo eccezioni di carattere contrattuale, tranne che si tratti di mancato versamento del premio; in tale ipotesi si applicano le disposizioni dell'articolo 1901 del codice civile.

Art. 11.
(Contenuto della copertura assicurativa delle strutture sanitarie).

      1. Oggetto della copertura assicurativa e del fondo di garanzia di all'articolo 10,

comma 1, è il risarcimento del danno che, per effetto di inadempimento o di altro comportamento, di natura colposa, è derivato a terzi.
      2. La copertura assicurativa comprende, altresì, il risarcimento del danno o l'indennizzo che spetta allo Stato, all'ente territoriale di riferimento, all'azienda, ente o struttura privata, limitatamente al rapporto di accreditamento o di convenzione, per fatto colposo che determina un pregiudizio di natura patrimoniale.
      3. La copertura assicurativa per la RCO vale per i soggetti che, a qualunque titolo, svolgono attività lavorativa presso aziende, enti o strutture per i quali sia prevista l'iscrizione obbligatoria all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), indipendentemente dal fatto che la stessa sia stata effettivamente svolta. Sono espressamente compresi nella medesima copertura assicurativa i soggetti che, a titolo precario e senza corrispettivo, frequentano, anche occasionalmente, i citati ambiti a meri fini di apprendimento o di formazione.
      4. Ai fini della presente legge, i beneficiari della copertura assicurativa per la RCO sono terzi tra loro e verso il soggetto giuridico di appartenenza.
      5. La copertura assicurativa per la RCT e per la RCO è obbligatoriamente estesa alla responsabilità personale del singolo operatore presso i soggetti di cui all'articolo 6, comma 1.
Art. 12.
(Azione disciplinare).

      1. Nell'ambito delle specifiche aree negoziali e negli accordi nazionali sono definite le misure incidenti sul rapporto di lavoro, fatto salvo quanto già espressamente previsto dalle disposizioni vigenti. È altresì affidata alla disciplina contrattuale la regolamentazione delle azioni incidenti sul rapporto di lavoro in caso di responsabilità in pendenza di azione giudiziale o extragiudiziale.

Art. 13.
(Nomina dei consulenti tecnici d'ufficio).

      1. In tutte le cause di responsabilità professionale medica e sanitaria, la nomina dei consulenti tecnici d'ufficio (CTU) ai sensi dell'articolo 61 del codice di procedura civile deve essere effettuata attingendo agli albi dei CTU, aggiornati ai sensi del comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
      2. È possibile il conferimento dell'incarico a un CTU iscritto all'albo dei CTU di un'altra regione o provincia autonoma. Per il conferimento di incarichi a persone non iscritte all'albo il giudice, qualora non vi sia accordo tra le parti, deve chiedere l'autorizzazione al presidente del tribunale competente indicando i motivi della scelta. Il presidente, se ritiene fondati i motivi, provvede con ordinanza.
      3. Qualora la vertenza riguardi una materia specialistica, salvo non sia disposto dal giudice, ciascuna parte ha diritto di chiedere con apposita istanza che la nomina del CTU avvenga tra gli iscritti agli albi regionali o provinciali dei CTU con specifica competenza nella disciplina oggetto del contenzioso, salvaguardando la presenza di una competenza medico-legale.
      4. In caso di controversie sulla sussistenza dei requisiti di cui al comma 3, ovvero su quale sia la disciplina specialistica oggetto del giudizio, decide il giudice con ordinanza.
      5. Dopo l'articolo 73 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è inserito il seguente:
      «Art. 73-bis. – (Collegio peritale nei procedimenti per morte o per lesioni come conseguenza di condotta colposa in ambito medico e sanitario). – Nei procedimenti per morte o per lesioni come conseguenza di condotta colposa in ambito medico e sanitario, ai sensi dell'articolo 590-ter del

codice penale, il giudice, a pena di nullità, affida con ordinanza motivata l'espletamento della perizia a un collegio composto da uno specialista in medicina legale e da uno o più specialisti nelle singole materie oggetto del procedimento, da scegliere tra gli iscritti negli albi di CTU, aggiornati ai sensi del comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189».