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Atto a cui si riferisce:
C.1/00413 premesso che: il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è stato definito come il più grande accordo commerciale del mondo. È un accordo...



Atto Camera

Mozione 1-00413presentato daMIGLIORE Gennarotesto diVenerdì 28 marzo 2014, seduta n. 200

La Camera,
premesso che:
il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è stato definito come il più grande accordo commerciale del mondo. È un accordo commerciale internazionale in fase di negoziato tra l'Europa e gli Stati Uniti progettato per incoraggiare la crescita e la creazione di posti di lavoro. Ha l'obiettivo di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l'acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti;
secondo dati diffusi dalla Commissione europea l'accordo potrebbe far aumentare l'economia europea di 120 miliardi di euro, l'economia americana di 90 miliardi di euro e l'economia del resto del mondo di 100 miliardi di euro;
dalle poche informazioni reperibili sull'accordo si evince che esso interverrà in favore di una riduzione delle barriere tariffarie (tasse doganali), ad oggi già basse tra i due continenti (media livello del 4 per cento). Tuttavia la maggior parte dei guadagni derivanti dal TTIP scaturiranno dalla riduzione delle cosiddette barriere non tariffarie: l'insieme delle regole e degli standard che vengono imposti sui prodotti in termini di salute, condizioni di lavoro e altro che, anche grazie alle grandi battaglie contro la carne agli ormoni, il pollo lavato col cloro, gli ftalati nei giocattoli, i residui di pesticidi nel cibo, gli organismi geneticamente modificati e così via, tengono lontani dal nostro mercato prodotti non sicuri e tossici;
queste regole, garanti di sicurezza e primato europeo da difendere, sono state definitive dalla Commissione come «generatrici di problemi», viste dunque come «irritanti commerciali» (trade irritants). I suddetti standard risultanti molto spesso più alti in Europa rispetto agli Stati Uniti, dove invece, complice il mancato accoglimento di trattati in materia di ambiente e lavoro, svariate procedure proibite nell'Unione sono invece permesse;
c’è dunque il forte rischio che un trattato di questo genere, ricercando un'armonizzazione delle normative e dunque un abbattimento delle regolamentazioni tra le due aree porti ad appiattire i più rigidi regolamenti europei ai livelli di quelli statunitensi;
il trattato viene considerato una via d'uscita dalla crisi: secondo le rosee previsioni diffuse dal commissario del commercio Karel De Gucht infatti saranno creati 2 milioni di posti di lavoro in Europa, 119 miliardi di euro l'anno di Pil per l'Europa e 130 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, cioè 545 euro in più l'anno per ogni famiglia di quattro persone nell'Unione, e 901 dollari negli Stati Uniti;
tutto questo, tuttavia, si otterrebbe solo entro il 2027, nella migliore delle ipotesi, ed al prezzo di una totale deregulation. Le famiglie europee potrebbero, ad esempio, risparmiare acquistando più pollo a buon mercato esportato dagli Usa, ma non sappiamo quanti dei loro membri perderebbero il lavoro per la chiusura degli allevamenti europei di migliore qualità. Quello stesso pollo poi, se di qualità peggiore rispetto a quanto previsto attualmente dai regolamenti europei, potrebbe farli ammalare e pesare di più sui servizi sanitari pubblici;
per quanto riguarda il nostro paese invece il Ministero per lo sviluppo economico ha commissionato a Prometeia spa una prima valutazione d'impatto mirata all'Italia: dai primi dati emerge che i primi benefici delle liberalizzazioni si manifesterebbero non prima di 3 anni dall'entrata in vigore dell'accordo nella misura di un modesto 0,5 per cento di Pil in uno scenario ottimistico. Oltre ad essere modesti, gli introiti derivanti dall'accordo rischiano di favorire soltanto un numero ristretto di soggetti, ovvero quelle imprese italiane che davvero esportano, molto spesso esternalizzando parti dell'impresa fuori dal territorio italiano;
secondo i dati forniti dall'organizzazione mondiale del Commercio le imprese italiane che esportano risultano 210 mila, ma sono le prime dieci che detengono il 72 per cento delle esportazioni nazionali. Secondo l'Ice, in tutto nel 2012 le esportazioni di beni e servizi dell'Italia sono cresciute in volume del 2,3 per cento, leggermente al di sotto del commercio mondiale. La loro incidenza sul Pil ha sfiorato il 30 per cento in virtù dell’austerity e della crisi dei consumi che hanno depresso il prodotto interno;
l'Italia è riuscita a guadagnare spazi di mercato internazionale contenendo i propri prezzi, senza generare domanda interna né nuova occupazione. Anzi: lo ha fatto spostando all'estero processi o attività dove costavano meno il lavoro o le tecnologie. Il nostro Paese ha acquistato, insomma, quote di mercato estero, perdendo lavoratori-consumatori nel mercato interno. L'aumento di export tricolore non si tradurrà, quindi, automaticamente, in buona produzione o occupazione per il Paese. Per la produzione di beni infatti, secondo il pensiero prevalente tra imprese e istituzioni coinvolte nel trattato, non è obbligatorio che il Made in Italy, stante la normativa vigente, sia tutto italiano per ingredienti, pezzi di filiera, componenti, tantomeno lavoratori;
infine, nel caso più ottimistico delineato da Prometeia sugli effetti dell'accordo, soccomberebbero comunque il legname e la carta, poi la chimica farmaceutica e di consumo: la più penalizzata con 30 milioni di euro di perdite previste. Altri 10 milioni si perderebbero tra prodotti intermedi chimici, altri intermedi e agricoltura, e molte piccole e medie aziende potrebbero non sopravvivere allo shock;
secondo le indiscrezioni emerse e riportate dalle agenzie di stampa molte delle dispute più delicate dei negoziati a porte chiuse riguardano il cibo e l'agricoltura. Elemento di ostacolo per le imprese statunitensi, ma anche per tante corporation dell'Unione europea, sono gli standard dei prodotti alimentari, presentati non come una difesa del diritto alla salute per i consumatori, ma come un indebito ostacolo al commercio. Qualità, residui chimici, impatto sulla salute, sicurezza: un reticolo di regole che bandisce una serie di alimenti e prodotti malsani proveniente dagli Stati – quali ad esempio la carne americana trattata con ormoni della crescita e il pollame disinfettato con acqua clorata – e costringe anche le nostre imprese ad essere più scrupolose di quanto vorrebbero;
molti contadini e consumatori sono preoccupati per un alleggerimento degli standard ambientali e sul trattamento degli animali che regolano, ad esempio, le condizioni di vita negli allevamenti in batteria e per quelli utilizzati per la produzione industriale di carne. Al momento è possibile in Europa incoraggiare i contadini ad allevare gli animali in buone condizioni e a produrre per il mercato locale. Ma se il trattato di libero scambio andasse avanti saremo soggetti alle regole del mercato globale e, naturalmente, al mercato globale non interessa la protezione degli animali e dell'ambiente;
altre problematiche per il settore riguardano il mancato riconoscimento delle indicazioni di origine (IIGG) ed il fenomeno dell’«Italian sounding». Ambedue tematiche prioritarie per l'Italia. Per quanto riguarda le IIGG, sono stati fatti passi avanti nella bozza di testo del mandato negoziale ma resta da verificare attraverso quali modalità avverrà il riconoscimento e come saranno tutelati i prodotti italiani, che costituiscono la quota più elevata delle IIGG europee registrate;
si prevede che servizi finanziari e investimenti saranno un grosso capitolo del negoziato, il cui punto focale sarà l'Isds (Investor-state dispute settlement, cioè un tribunale sovranazionale cui le imprese potranno appellarsi per proteggere i propri investimenti). L'Isds permetterebbe alle imprese di far condannare quei Paesi che approvassero leggi dannose per i propri investimenti presenti e futuri. Oggi esse sono costrette a presentarsi ai tribunali nazionali, e sottostare alle regole di ciascun paese, e in Europa, in alcuni casi, alla Corte europea di giustizia;
ci sarebbe quindi la volontà di creare un organismo che, come il Dispute Settlement Body della Wto per il commercio, giudichi tenendo in conto le sole leggi e contratti relativi agli investimenti;
emblematico il caso del Quebec che nel maggio 2013 avendo vietato l'estrazione di gas e petrolio dal fracking, cioè dalla polverizzazione per esplosione del sottosuolo, pericolosa per l'uomo e l'ambiente, è stato portato di fronte al tribunale arbitrale del Nafta della industrie Usa del settore, a causa della perdita di potenziale guadagno derivante dalla decisione. Se negli accordi tra Usa e Canada fosse stato introdotto un Isds, questo gli avrebbe dato sicuramente ragione perché gli interessi generali non avrebbero avuto alcun peso;
per portare un ulteriore esempio, se il Governo italiano dovesse approvare la legge d'iniziativa popolare del Forum italiano dei movimenti per l'acqua, riconoscendo finalmente l'esito del voto referendario del 2011, ad accordo vigente potrebbe trovarsi sanzionato per aver impedito, con la ripubblicizzazione del servizio idrico, futuri profitti alle multinazionali del settore;
gli Stati Uniti, come evidenziato anche nel parere della CES, non hanno ratificato diverse convenzioni ILO e Onu in materia di diritti del lavoro, diritti umani e ambiente. La mancata ratifica di dette convenzioni rende negli Stati Uniti il costo del lavoro più basso e il comportamento delle imprese nazionali più disinvolto e competitivo, in termini puramente economici, anche se più irresponsabile. La ratifica e la piena attuazione delle norme fondamentali del lavoro dell'OIL dovrebbe rappresentare una delle condizioni fondamentali dell'accordo, tuttavia i negoziati sembrano andare nella direzione opposta;
a sorvegliare gli impatti ambientali e sociali del Ttip, secondo quanto assicurato dalla Commissione, ci sarà un apposito capitolo dedicato allo sviluppo sostenibile che metterà in piedi un meccanismo di monitoraggio specifico, partecipato da sindacati e società civile d'ambo le regioni, come nei più recenti accordi di liberalizzazione siglati dall'Unione europea. Tuttavia tale meccanismo di garanzia si è già verificato inefficace soprattutto nel caso dell'accordo tra Unione europea e Korea;
per quanto riguarda la liberalizzazione dei servizi si ipotizza di escludere dalla trattativa solo quelli per i quali non esiste offerta privata. Di conseguenza l'acqua, la sanità, l'istruzione e cioè il complesso dei beni comuni e del welfare rischiano di essere completamente privatizzati e snaturati;
l'accordo dovrebbe inoltre obbligare l'apertura o la liberalizzazione degli appalti pubblici a livello sub nazionale, compreso il livello comunale. I governi locali rischiano di conseguenza di non essere in grado di utilizzare il criterio sociale e ambientale per garantire l'uso del denaro pubblico a sostegno dello sviluppo economico locale sostenibile. In questo contesto la riforma dei quadri politici esistenti dovrebbe, in particolare, tener conto della convenzione OIL n. 94 relativa agli appalti pubblici e agli accordi collettivi. Tuttavia da quanto emerge dai negoziati in corso la direzione presa dall'accordo pare essere in assoluto contrasto con tali raccomandazioni;
lo stesso diritto alla salute potrebbe essere in parte compromesso per causa dell'accordo. Infatti l’European trade union confederation (ETUC), l’American federation of labor and congress of industrial organizations (AFL-CIO) e l’International trade union confederation (ICTU) hanno già espresso le loro preoccupazioni rispetto al fatto che l'accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti USA-UE (TTIP/TAFTA) impatteranno pesantemente sui sistemi sanitari nazionali e aumenteranno i costi a carico dei pazienti. I sindacati internazionali hanno anche paventato la riproduzione dei meccanismi previsti nell'accordo Us-Korea (KORUS), che ha blindato le indicazioni dei produttori rispetto al prezzo finale di farmaci e dispositivi medici. Grazie a questa procedura i produttori possono fare causa alle autorità sanitarie pubbliche e chiedere di essere rimborsati se a loro avviso i prezzi negoziati di farmaci e dispositivi sono troppo bassi. Tutto questo senza alcun riguardo per la sostenibilità dei sistemi sanitari stessi, o del diritto alla salute dei cittadini;
una stretta sulla tutela dei brevetti, e sul loro mutuo riconoscimento tra le parti del trattato, è uno degli obiettivi più condivisi tra le due parti. Dai semi, ai farmaci generici, alla ricerca scientifica, molte flessibilità attuali sono sotto attacco, anche quando producono avanzamento culturale e tutela della vita umana, come nel caso dei farmaci. Per ciò che riguarda i diritti d'autore ad esempio, le grandi imprese spingono per mantenere lo stesso livello di protezione sia negli Stati Uniti che nell'Unione europea; cioè un'armonizzazione dall'alto, che si traduce in maggiori restrizioni per il grande pubblico. In riferimento ai diritti per il conseguimento dei vegetali, il settore farmaceutico ha fatto pressioni per «livelli più elevati» di protezione;
dal punto di vista della privacy emerge un altro motivo di preoccupazione: i giganti della rete, secondo le indiscrezioni emerse, cercherebbero di indebolire le normative europee di protezione dei dati personali per ridurli al livello quasi inesistente degli Stati Uniti, autorizzando in questo modo un accesso incontrastato alla privacy dei cittadini da parte delle imprese private;
gli accordi internazionali costituiscono una categoria di atti giuridici nell'Unione europea (UE). Essi sono conclusi dall'Unione europea che agisce da sola o con gli Stati membri secondo le disposizioni previste dai trattati istitutivi. Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, l'Unione europea (UE) ha acquisito personalità giuridica. Essa è quindi un soggetto di diritto internazionale in grado di negoziare e di concludere accordi internazionali a nome proprio. Gli accordi internazionali hanno effetti giuridici nel diritto interno dell'Unione europea e degli Stati membri. Inoltre, i trattati istitutivi dell'Unione europea definiscono le modalità secondo le quali l'Unione europea può concludere gli accordi internazionali;
gli accordi internazionali sono il risultato di un accordo di volontà tra l'Unione europea da una parte, e un Paese terzo o un'organizzazione terza dall'altra. Tali accordi fissano i diritti e gli obblighi per le istituzioni europee e gli Stati membri. Essi sono integrati nell'ordinamento giuridico europeo nella data della loro entrata in vigore o in quella prevista;
giuridicamente, gli accordi internazionali sono atti convenzionali di diritto derivato, essi devono quindi essere conformi ai trattati istitutivi dell'Unione europea. Essi hanno tuttavia un valore superiore agli atti di diritto derivato detti «unilaterali», ovvero adottati unilateralmente dalle istituzioni europee (regolamenti, direttive, decisioni e altro),

impegna il Governo:

a richiedere alla Commissione europea il pieno accesso ai documenti negoziali per i Parlamenti nazionali, data l'incidenza prevista del loro contenuto sulle normative nazionali in essere anche in ambito non strettamente commerciale;
a istituire un meccanismo efficace di trasparenza e di consultazione in itinere del Parlamento, delle parti sociali e della società civile sui negoziati commerciali in corso a livello bilaterale, plurilaterale e multilaterale;
a realizzare dei processi di valutazione d'impatto indipendenti delle trattative in corso sull'ambito nazionale, con meccanismi di partecipazione multistakeholder alla loro costruzione e diffusione;
a promuovere in sede europea un'azione contro la proliferazione di accordi commerciali di nuova generazione, che travalicano gli ambiti di stretta competenza commerciale e limitano la capacità normativa nazionale in ambiti di competenza non comunitaria;
a chiedere l'esclusione permanente dagli ambiti d'azione dei trattati di liberalizzazione commerciale di principi costituzionali nazionali e comunitari come il principio di precauzione, nonché di beni comuni come acqua, cibo ed energia, di servizi pubblici essenziali, in primo luogo quello idrico, di servizi sociali e sanitari e di diritti come il lavoro.
(1-00413) «Migliore, Scotto, Marcon, Fava, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».