• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
C.6/00328    premesso che:     al punto I dell'ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo, in tema di immigrazione, sono indicati diversi argomenti, tra cui, alla luce dell'emergenza...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00328presentato daFEDRIGA Massimilianotesto diMercoledì 21 giugno 2017, seduta n. 818

   La Camera,
   premesso che:
    al punto I dell'ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo, in tema di immigrazione, sono indicati diversi argomenti, tra cui, alla luce dell'emergenza migratoria in atto, in particolare, il monitoraggio della rotta del Mediterraneo orientale nonché la verifica dell'attuazione della dichiarazione UE-Turchia e la valutazione dello stato di «avanzamento delle misure adottate per affrontare la via del Mediterraneo centrale, in particolare sulla base della dichiarazione di Malta, del quadro di partenariato e del piano d'azione di La Valletta;
    oltre a quanto sopra, vi sono all'ordine del giorno anche la questione della riforma del sistema comune europeo d'asilo (CEAS), tra cui la futura applicazione dei principi di responsabilità e solidarietà tra gli Stati membri, ed infine la valutazione degli strumenti azionati e degli investimenti finora attuati per affrontare le cause dell'emergenza migratoria in atto; tale riunione fa seguito a numerose altre precedenti, susseguitesi sia quest'anno che negli scorsi anni sullo stesso tema e con gli stessi argomenti, da ultimo il Consiglio europeo del 9 e 10 marzo 2017, a seguito del quale, allora, si apprendeva che «molte misure operative decise nella riunione informale tenutasi a Malta il 3 febbraio 2017 sono in fase di attuazione»;
    pochi giorni prima la Commissione, riferendo per la terza volta sui progressi compiuti nell'ambito del quadro di partenariato per la migrazione dello scorso anno e sulle prime misure adottate per attuare gli interventi lungo la rotta del Mediterraneo centrale in conformità della dichiarazione di Malta del 3 febbraio e della comunicazione congiunta del 25 gennaio, dichiarava che «Dall'istituzione del quadro di partenariato nel giugno 2016 sono stati conseguiti risultati importanti;
    nonostante quanto sopra, però nei fatti continuano a intensificarsi, per il mancato presidio dei confini comunitari, i flussi migratori irregolari verso l'Europa ed in particolare il nostro Paese, sia dai confini marittimi, ma anche attraverso le rotte terrestri, e conseguentemente è in aumento anche il numero dei decessi a seguito delle traversate nel Mediterraneo;
    ciò è confermato dagli ultimi dati ufficiali forniti dal Ministero dell'Interno: il numero degli immigrati sbarcati in Italia al 31 maggio 2017 è stato di 60.200, con un incremento del 25,72 per cento rispetto allo stesso periodo del precedente anno (47.883) mentre, ad esempio, dal consistente divario tra il numero degli arrivi di cittadini pakistani registrati al momento degli sbarchi (1.493) e quello delle domande di asilo presentate dagli stessi (4.463), si deduce chiaramente che la maggior parte è dunque arrivata via terra, probabilmente percorrendo la già nota rotta balcanica, dopo aver attraversato altri paesi europei, per giungere, infine, in Italia;
    nonostante l'articolo 7 del Regolamento UE 604/2013 disponga una gerarchia tra i criteri per la determinazione dello Stato competente all'esame di una richiesta di protezione internazionale, e che quello del paese di ingresso e/o soggiorno è al quarto posto, le richieste dell'Italia di riammissione attive in paesi terzi accolte sono state solo 646 al 15.05.2017 (in calo rispetto alle 1.449 nello stesso periodo dello scorso anno), mentre quelle dei Paesi terzi di riammissione passive in Italia accolte sono state di gran lunga superiori: 2.087 a maggio 2016 e 7.167 nello stesso periodo del 2017;
    nonostante il programma di ricollocazione adottato dall'Unione europea nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione del 3 maggio 2015 prevedesse la redistribuzione di circa 40 mila richiedenti protezione internazionale da Italia e Grecia in altri Stati membri dell'Unione entro il 26 settembre 2017, al 26 maggio 2017 risultano ricollocati dall'Italia solo 6.193 richiedenti protezione internazionale;
    le nazionalità dei richiedenti indicate nel piano di ricollocamento europeo non risultano, secondo i dati disponibili al 31 maggio 2017, tra quelle dichiarate al momento dello sbarco in Italia, dove ai primi posti tra i paesi di origine vi sono Nigeria, Bangladesh, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia;
    sebbene il concetto di un Sistema europeo comune di asilo (CEAS) sia stato introdotto per la prima volta dal Consiglio europeo di Tampere nel 1999, ad oggi, nonostante le diverse direttive adottate negli anni, lo stesso non si è ancora realizzato poiché permangono tra i diversi Stati membri differenze notevoli nel recepimento ed attuazione della normativa comunitaria, da cui discende, anche alla luce della continua emergenza migratoria in atto, il fallimento dell'Unione europea in merito alle politiche finora attuate, alla gestione dei confini esterni ma altresì per la sicurezza nella zona Schengen;
    ad esempio, nonostante la direttiva 2013/32/UE, all'articolo 37, paragrafo 1, consenta di designare a livello nazionale Paesi di origine sicuri ai fini dell'esame delle domande di protezione internazionale e di prevedere una procedura accelerata e/o di frontiera ai sensi dell'articolo 31, paragrafo 8, l'attuale normativa nazionale non ha ancora recepito gli articoli 36, 37 e 38 della direttiva in materia di designazione di paese di origine e terzo sicuro, a differenza di altri paesi europei;
    ugualmente in Italia non è stato recepito il disposto di cui all'articolo 8 della direttiva 2011/95/UE il quale prevede la possibilità di adottare disposizioni nazionali che prevedano, nell'ambito dell'esame delle domande di protezione internazionale, la valutazione del ricollocamento interno o dell'alternativa di fuga, cosiddetta IFA/IRA (Internal Flight or Relocation Alternative);
    la direttiva 2008/115/CE dispone l'obbligo di incisive politiche sia nazionali che comunitarie di contrasto all'immigrazione clandestina e di un effettivo rimpatrio benché gli accordi di riammissione stipulati a livello di Unione europea siano solo 17;
    sebbene la medesima direttiva ponga in capo anche agli Stati membri precisi obblighi per il rimpatrio e l'allontanamento dei cittadini di Paesi terzi in posizione irregolare e preveda il trattenimento degli stessi in appositi centri fino a diciotto mesi onde consentire l'identificazione e l'avvio delle procedure di espulsione per rendere effettivo il loro rimpatrio, la chiusura della maggior parte dei centri di identificazione ed espulsione (5 su 9), l'abbassamento del tempo massimo di trattenimento con la legge n. 161 del 2014 da diciotto mesi a novanta giorni, hanno, di fatto, vanificato le procedure di espulsione, esponendo non solo ad eventuali rilievi per infrazione della normativa comunitaria ma, soprattutto, a pericoli per la sicurezza interna, stante la presenza di migliaia di clandestini solo individuati tramite i rilievi dattiloscopici ma non identificati che attualmente circolano liberamente sul territorio italiano;
    è innegabile che la tratta clandestina di esseri umani sia un business immorale e pericoloso per la sicurezza nazionale e vada quindi scoraggiata e repressa in ogni modo, tuttavia è altrettanto notorio che i trafficanti di esseri umani che organizzano tali viaggi hanno compreso e sfruttano a loro vantaggio proprio la confusione legislativa sia comunitaria che dei singoli Stati e il disordine degli attuali sistemi d'asilo e di espulsione nazionali;
    il nostro Paese, avendo dei confini in maggior parte permeabili come quello marittimo, deve tutelarsi rispetto al pericolo che flussi incontrollati di migranti possano comprometterne la sicurezza nazionale, anche per i pericoli di matrice terroristica, dando attuazione alle norme del trattato di Schengen che ci impongono di chiudere la nostra frontiera esterna ai migranti economici;
    la relazione conclusiva dell'indagine conoscitiva sul ruolo delle Forze armate e delle organizzazioni non governative nella gestione dei flussi migratori, approvata il 16 maggio scorso dalla Commissione Difesa del Senato della Repubblica, ha evidenziato l'importanza e l'incisività del contributo che potrebbe fornire la Guardia costiera libica all'interno delle acque territoriali del proprio Paese, raccomandando di ricostituire il locale centro di coordinamento del soccorso marittimo;
    una questione contigua al controllo ed alla gestione dei flussi migratori è quella concernente le normative per la concessione della cittadinanza. Sotto questo profilo suscita particolare preoccupazione la determinazione dimostrata dal Governo e dalla sua maggioranza parlamentare a fare della nascita in territorio italiano il principale canale di acquisizione della cittadinanza, dal momento che in presenza di flussi migratori tanto consistenti tale scelta rappresenterebbe un obiettivo incentivo al loro ulteriore potenziamento, con prevedibili riflessi negativi anche sugli altri Stati membri dell'Unione, da tempo alle prese con i problemi di sicurezza posti dai jihadisti già in possesso della rispettiva cittadinanza;
    riguardo agli sviluppi del processo di integrazione nel campo della sicurezza e della difesa, permangono incertezze circa il percorso per pervenirvi ed il tipo di assetto finale al quale si pensa;
    suscitano tuttavia interesse ed apprensione il riarmo sostanziale intrapreso dalla Germania, che si accinge ad investire nelle capacità del proprio strumento militare ben 130 miliardi di euro nei prossimi 15 anni, mentre integra nelle strutture delle proprie Forze armate intere brigate fornite da altri Stati membri dell'Unione europea al di fuori di qualsiasi concertazione formale in ambito comunitario;
    è altresì oggetto di incertezza la prospettiva della deterrenza nucleare europea qualora l'integrazione nel campo della difesa divenga completa, dal momento che la sicurezza del Continente verrebbe a poggiare sulle capacità nucleari militari della Francia, unico Stato dell'Unione europea ad averne, una volta perfezionata l'uscita del Regno Unito;
    il moltiplicarsi degli attentati jihadisti in Europa rappresenta una sfida permanente alla sicurezza degli Stati dell'Unione che può essere efficacemente contrastata soltanto se in ambito europeo si perverrà ad una migliore condivisione delle informazioni sensibili e delle strategie concepite a livello nazionale per affrontare la minaccia;
    in questo contesto, appare essenziale conservare un rapporto con il Regno Unito nella sfera della sicurezza, anche al di là del canale offerto dall'Alleanza Atlantica, aprendo la strada altresì anche alla collaborazione ed alla condivisione delle informazioni con altri Stati esterni all'Unione che abbiano dato prova di competenza ed efficacia nella lotta al terrorismo jihadista, anche con proprie segnalazioni concernenti minacce immediate alla sicurezza dei Paesi membri dell'Unione europea;
    è quindi importante che il negoziato tra l'Unione europea ed il Regno Unito sia improntato alla massima comprensione reciproca, evitando di perseguire agende che siano condizionate da alcun tipo di velleità pedagogica o punitiva nei confronti del popolo britannico; sul piano delle relazioni esterne dell'Unione, risulta interesse del nostro Paese e di buona parte degli altri Stati membri che l'apparato sanzionatorio allestito nei confronti della Federazione russa venga al più presto rimosso; per quanto concerne l'occupazione e lo sviluppo, a dispetto di un certo ottimismo, la ripresa europea permane complessivamente fiacca, non uniforme ed incapace di generare adeguati incrementi dell'occupazione, particolarmente nel nostro Paese, circostanza che sconsiglia di abbandonare a breve termine le politiche di stimolazione monetaria attuate dalla BCE nell'Eurozona;
    le politiche perseguite dall'Unione europea per il rafforzamento del mercato unico in termini di libera circolazione di capitali e merci continuano a prevedere un maggiore ricorso al metodo bilaterale, che in nome della stimolazione della competizione rischia di estromettere dal mercato le imprese di più piccole dimensioni, esponendole all'aggressiva concorrenza di Paesi le cui regole di mercato sono molto meno stringenti delle nostre, a danno della qualità delle merci, dell'ambiente e della salute stessa dei consumatori;
    la direttiva 2006/123/CE del Parlamento e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno, recepita dall'Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e successive modificazioni, in particolare, solleva serie perplessità circa la sua applicazione in settori ritenuti di particolare importanza per l'economia italiana, quali le concessioni per il commercio sulle aree pubbliche e per il demanio marittimo;
    lo sviluppo del settore dei servizi deve essere perseguito in maniera equilibrata e sostenibile e comunque in modo tale da non pregiudicare la crescita e i livelli occupazionali esistenti nei paesi membri dell'Unione europea;
    con riguardo alla crescita economica e salariale, l'Italia continua a registrare un costo del lavoro ben al di sopra della media europea che, in combinato con la scorretta politica salariale di taluni Paesi membri (vero e proprio dumping salariale), di fatto pone tali Paesi nella condizione di sottrarre capacità produttiva ai partner europei e l'Italia nella fattispecie in condizioni di non competitività,

impegna il Governo:

1) a sostenere anche nell'ambito del Consiglio Europeo l'attuazione di una politica comune di contrasto dei flussi migratori e dei connessi rischi di proliferazione delle cellule terroristiche di matrice jihadista che agiscono nel nostro Continente, congelando l'adozione di qualsiasi misura che possa costituire incentivo a migrare verso l'Unione Europea, a partire dalle ipotesi di ampliamento delle modalità di acquisto della cittadinanza che privilegino il cosiddetto ius soli;

2) ad adoperarsi nell'ambito del Consiglio europeo per lo stabilimento di un efficace blocco navale al limite delle acque territoriali, con il compito di effettuare il respingimento dei barconi dei migranti verso le coste degli Stati di provenienza, nonché per l'adozione immediata di specifiche e idonee misure per contrastare anche l'ingresso irregolare via terra di immigrati dagli altri Stati europei confinanti;

3) a promuovere la creazione nei Paesi di partenza e di transito di appositi campi in cui convogliare i migranti al fine di realizzare sul posto anche la verifica dell'eventuale sussistenza dei criteri richiesti dai Paesi dell'Unione europea per essere ammessi alla concessione del diritto d'asilo e l'esame delle stesse domande di protezione internazionale, al fine di disincentivare le partenze degli immigrati;

4) a garantire l'adozione di idonee iniziative di carattere normativo al fine di conformare la legislazione nazionale alle disposizioni previste dalla direttiva 2013/32/UE in materia di designazione di paese di origine e terzo sicuro, anche al fine di accelerare le procedure di esame delle domande di protezione internazionale, e dall'articolo 8 della direttiva 2011/95/UE in materia di valutazione del ricollocamento interno o dell'alternativa di fuga, cosiddetta IFA/IRA (Internal Flight or Relocation Alternative);

5) ad impegnarsi in ambito europeo all'effettivo recepimento della direttiva 115/2008/CE, stipulando e rendendo operativi gli accordi bilaterali di riammissione con i Paesi di origine che risultano tra le nazionalità maggiormente rappresentate tra quelle dichiarate dai cittadini stranieri al momento del loro ingresso irregolare dai confini marittimi, terrestri e aerei, assicurando che la capienza effettiva dei centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sia tale da garantire il trattenimento di tutti i cittadini di Paesi terzi il cui ingresso o soggiorno sia irregolare presenti sul territorio nazionale ed aumentando il periodo di trattenimento nei centri di detenzione amministrativa fino a 18 mesi, in linea con l'articolo 15 paragrafi 5 e 6 della direttiva 2008/115;

6) ad esercitare le opportune iniziative per ottenere il sostegno del Consiglio europeo alla ricostituzione del Centro libico di coordinamento del soccorso marittimo, in modo tale da incrementare più rapidamente gli interventi di respingimento verso la costa dei migranti irregolari in partenza dalle coste della Libia effettuati all'interno delle acque territoriali di quel Paese;

7) ad esigere in sede europea chiarezza circa le effettive prospettive dell'integrazione comunitaria nel campo della Difesa, in particolare esigendo dalla Germania informazioni in merito all'ampiezza del proprio riarmo ed al contestuale assorbimento all'interno delle unità delle proprie Forze armate di unità fornite da altri Stati membri dell'Unione europea in particolare Repubblica Ceca e Romania;

8) a porre nell'ambito del Consiglio europeo anche il problema dell'eventuale deterrenza nucleare comunitaria, chiarendo in particolare se l'integrazione militare europea implichi una gestione in comune della Force de Frappe francese e se questa opzione significhi altresì la rinuncia alla garanzia nucleare ancora fornita dagli Stati Uniti, attraverso l'Alleanza Atlantica;

9) relativamente alla sicurezza interna all'Unione, con particolare riguardo alla lotta al terrorismo di matrice jihadista, a proporre nell'ambito del Consiglio europeo la creazione di un nuovo organismo composto dalle autorità nazionali preposte alla direzione delle agenzie di intelligence, incaricato di discutere con cadenza almeno semestrale le strategie da adottare per fronteggiare la minaccia e l'evoluzione di quest'ultima;

10) ad esercitare le opportune iniziative affinché il negoziato concernente la Brexit, appena avviato, non sia condizionato da alcuna velleità pedagogica o punitiva, ma rifletta invece la volontà di non interrompere i rapporti tra l'Unione europea ed il Regno Unito, dei quali è componente essenziale anche lo scambio di informazioni in materia di lotta al terrorismo di matrice jihadista;

11) a ribadire la necessità di adottare un approccio sistemico che favorisca l'apparato produttivo italiano, ed in particolare il comparto manifatturiero, permettendo di sostenere le eccellenze italiane, preservandole dall'aggressiva concorrenza di Paesi le cui regole di mercato sono molto meno stringenti delle nostre, a danno della qualità delle merci, della salute e dell'ambiente;

12) a proporre nelle sedi opportune le necessarie modifiche alla direttiva sui servizi, affinché venga salvaguardata la specificità dei settori citati nelle premesse per non pregiudicarne la crescita ed i livelli occupazionali;

13) ad assumere iniziative affinché il Consiglio europeo esprima apprezzamento per quanto la Banca centrale europea continua a fare attuando il suo Quantitative Easing, di cui è certamente prematuro prospettare la conclusione;

14) ad adoperarsi per reperire risorse da destinare alla riduzione stabile e permanente del costo del lavoro, indispensabile a fronteggiare la competizione intraeuropea, attraverso misure di detassazione ed al contempo di decontribuzione senza intaccare l'ammontare del futuro trattamento pensionistico e realizzando interventi di redistribuzione territoriale delle risorse in favore di quei territori maggiormente competitivi;

15) ad assumere iniziative per prevedere al fine della semplificazione del costo del lavoro sia in termini burocratici che fiscali, l'apposizione di una Tax Rate omnicomprensiva affinché l'impresa sappia immediatamente quale sia il costo del dipendente e non debba dedicare molte ore nelle procedure fiscali per effettuare i numerosi e diversificati versamenti allo Stato (contributi, erario, assicurazione, assistenza).
(6-00328) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».