• Testo DDL 2860

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Atto a cui si riferisce:
S.2860 [Decreto mezzogiorno] Conversione in legge del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno
approvato con il nuovo titolo
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno"


Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 2860
DISEGNO DI LEGGE
presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri (GENTILONI SILVERI)
e dal Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno (DE VINCENTI)
di concerto con il Ministro dello sviluppo economico (CALENDA)
con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (DELRIO)
con il Ministro dell'economia e delle finanze (PADOAN)
con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (MARTINA)
con il Ministro dell'interno (MINNITI)
con il Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca (FEDELI)
con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione (MADIA)
con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali (POLETTI)
con il Ministro per gli affari regionali (COSTA)
con il Ministro della giustizia (ORLANDO)
e con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (GALLETTI)

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 20 GIUGNO 2017

Conversione in legge del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno

Onorevoli Senatori. -- Misure di sostegno alla nascita e alla crescita delle imprese nel Mezzogiorno, istituzione di zone economiche speciali, semplificazioni e procedure più rapide per agevolare i cittadini e le imprese. Sono questi i capisaldi del provvedimento d'urgenza, con l'obiettivo di dare un maggiore impulso allo sviluppo della cultura imprenditoriale e dell'innovazione nelle regioni del Mezzogiorno, quale parte integrante di un processo di impegno in itinere, già avviato con il precedente decreto Mezzogiorno.

In particolare, il provvedimento in questione introduce significative agevolazioni per sostenere le principali potenzialità dei territori e per sviluppare le capacità imprenditoriali dei giovani residenti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, di seguito regioni del Mezzogiorno.

Il provvedimento si suddivide in quattro capi (capo I, Misure di sostegno alla nascita e alla crescita delle imprese nel Mezzogiorno, capo II, Zone economiche speciali, capo III, Semplificazioni e capo IV, Ulteriori interventi a favore del Mezzogiorno e per la coesione territoriale) e si compone di 17 articoli, dei quali si illustra, di seguito, il contenuto.

Al capo I, l'articolo 1 attiva una nuova misura di incentivazione per i giovani del Mezzogiorno, per promuovere la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La misura, denominata «Resto al Sud» (comma 1), è uno strumento incentivante per dare concretezza alle idee dei giovani, incoraggiandoli a realizzare strategie imprenditoriali in grado di fronteggiare il problema dell'abbandono dei territori di origine e di rilanciare l'economia, ponendo così le basi per il radicamento di condizioni favorevoli allo sviluppo di una nuova cultura d'impresa.

Il comma 2 specifica che la misura è rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti, al momento della presentazione della domanda, nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, ovvero che trasferiscano la residenza nelle sopracitate regioni, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'esito positivo dell'istruttoria di cui al comma 5, e che mantengano nelle stesse regioni la residenza per tutta la durata del finanziamento. È requisito indispensabile non aver fruito di incentivi pubblici nazionali, rivolti all'autoimprenditorialità, nel triennio antecedente la domanda di finanziamento.

Il comma 3 individua, quale amministrazione titolare, la Presidenza del Consiglio dei ministri e, come soggetto gestore, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti -- Invitalia, che esaminerà le istanze pervenute, attraverso una piattaforma dedicata, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza, salvo i tempi necessari per un'unica richiesta di integrazione documentale durante la fase di istruttoria (commi 3 e 5).

Il comma 4 prevede che gli enti pubblici e le università, previa comunicazione al soggetto gestore, di cui al comma 3, possano fornire, a titolo gratuito, servizi di consulenza e assistenza ai soggetti di cui al comma 2, nelle varie fasi di sviluppo del progetto imprenditoriale. Le associazioni e gli enti del terzo settore di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 6 giugno 2016, n. 106, possono svolgere i medesimi servizi, di cui al periodo precedente, anche previo accreditamento presso il soggetto gestore. Inoltre, sempre in riferimento alle attività di cui sopra, le pubbliche amministrazioni prestano i servizi nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Le istanze di agevolazioni (comma 6) possono essere presentate, fino ad esaurimento delle risorse pari a 1,25 miliardi di euro del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) -- Programmazione 2014-2020 (comma 16), dai giovani destinatari della misura già costituiti o da costituire, in forma di impresa individuale o società, quest'ultima anche in forma cooperativa. Nel caso in cui i richiedenti non siano ancora costituiti nelle sopracitate forme giuridiche, gli stessi dovranno, entro sessanta giorni dalla data di comunicazione dell'esito positivo dell'istruttoria, costituirsi in impresa individuale o in società. Inoltre, ulteriore condizione è che le imprese e le società sono tenute a mantenere, per tutta la durata del finanziamento, la propria sede legale ed operativa nelle regioni individuate al comma 1 del presente articolo. I soggetti beneficiari della misura, parimenti, devono mantenere la residenza nelle regioni di cui al comma l per l'intera durata del finanziamento. Le società possono essere costituite anche da soci che non abbiano un'età compresa fra i 18 ed i 35 anni, a condizione che la loro presenza non sia maggiore di un terzo dei componenti e non presentino rapporti di parentela fino al quarto grado con nessuno degli altri soci. Questi sono, in ogni caso, esclusi dall'accesso ai finanziamenti (comma 12).

Qualora l'istanza, presentata dai richiedenti, abbia ricevuto un giudizio positivo, il comma 7 prevede l'erogazione di un finanziamento nella misura massima di 40.000 euro per singolo richiedente già costituito o da costituire in forma di impresa individuale o di società, fino ad un massimo di 200.000 euro, ai sensi e nei limiti del regolamento (UE) n. 1407/2013 sulla disciplina degli aiuti de minimis, per le domande presentate da più richiedenti che si costituiscono o sono già costituiti in società, ivi comprese le società cooperative.

I finanziamenti sono erogati per il 35 per cento a fondo perduto e per il 65 per cento sotto forma di prestito a tasso zero da rimborsare, complessivamente, in otto anni di cui i primi due di preammortamento (comma 8). Il comma 9 specifica che la quota del prestito a tasso zero beneficia sia di un contributo in conto interessi per tutta la durata del prestito, corrisposto dal soggetto gestore della misura agli istituti di credito, che di una garanzia per la restituzione dei finanziamenti concessi dagli istituti di credito da parte del soggetto gestore. A tal fine, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, è istituita una sezione specializzata presso il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese (PMI), a cui è trasferita una quota parte delle risorse, di cui al comma 16. Con il medesimo decreto, inoltre, sono definite le modalità di accesso alla predetta sezione specializzata del Fondo di garanzia.

Invitalia è autorizzata a stipulare una convenzione con l'Associazione bancaria italiana (ABI) per definire le condizioni dei mutui di cui al comma 8 (comma 14).

Il comma 13 stabilisce che l'erogazione dei finanziamenti di cui al comma 8 è condizionata alla costituzione, nelle forme e nei termini di cui al comma 6 e al conferimento in garanzia dei beni aziendali oggetto dell'investimento in favore del soggetto che eroga il finanziamento. I soggetti beneficiari sono tenuti ad impiegare il contributo a fondo perduto esclusivamente ai fini dell'attività di impresa. In caso di società di cui al comma 6, lettera b), le quote versate e le azioni sottoscritte dai beneficiari della misura non possono essere riscattate se non dopo la completa restituzione del finanziamento e, in ogni caso, non prima di cinque anni da quando sono state versate e sottoscritte (comma 13).

Il comma 10 dispone che possano essere finanziate le attività imprenditoriali relative a produzione di beni nei settori dell'artigianato o dell'industria ovvero relative alla fornitura di servizi. Sono escluse dal finanziamento le attività libero professionali e del commercio, ad eccezione della vendita di beni prodotti nell'attività di impresa. Inoltre, i finanziamenti non potranno essere utilizzati per le spese relative alla progettazione, alle consulenze ed all'erogazione degli emolumenti ai dipendenti delle imprese individuali e delle società, nonché agli organi di gestione e controllo delle società stesse. Le imprese e le società possono aderire al programma Garanzia Giovani per reclutare il personale dipendente (comma 11).

Con il decreto di cui ai commi 14 e 15, adottato dal Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalità di corresponsione della quota parte a fondo perduto e degli interessi, nonché i casi e le modalità per l'escussione della garanzia, i criteri di dettaglio per l'ammissibilità alla misura, le modalità di attuazione della stessa, nonché le modalità di accreditamento dei soggetti di cui al comma 4 e le modalità di controllo e monitoraggio della misura incentivante, prevedendo altresì le modalità di revoca del beneficio e di recupero delle somme.

Al finanziamento della misura si provvede, come si evince dal comma 16, per un importo complessivo fino a 1.250 milioni, con risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione programmazione 2014-2020, previa rimodulazione delle assegnazioni già disposte, con apposita delibera del Comitato internazionale della programmazione economica (CIPE), nonché eventuale riprogrammazione delle annualità del Fondo per lo sviluppo e la coesione, ai sensi dell'articolo 23, comma 3, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, da ripartire in importi annuali massimi, fino a: 36 milioni di euro per l'anno 2017; 280 milioni di euro per l'anno 2018; 462 milioni di euro per l'anno 2019; 308,5 milioni di euro per l'anno 2020; 92 milioni di euro per l'anno 2021; 22,5 milioni di euro per l'anno 2022; 18 milioni di euro per l'anno 2023; 14 milioni di euro per l'anno 2024; 17 milioni di euro per l'anno 2025.

Le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione -- programmazione 2014-2020 -- vengono assegnate dal CIPE con apposita delibera, individuando la ripartizione in annualità e gli importi da assegnare distintamente al contributo a fondo perduto di cui al comma 8.

Le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sono imputate alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni di cui al presente articolo e sono accreditate su un conto corrente infruttifero intestato a Invitalia, aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato e dedicato all'attuazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti.

L'articolo 2 mira a favorire il ricambio generazionale e lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura nelle regioni del Mezzogiorno. Nello specifico, al comma 1, al fine di estendere la misura «Resto al Sud» alle imprese agricole, si dispone la modifica dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, prevedendo la possibilità di concedere, solo alle imprese localizzate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, in alternativa ai mutui agevolati previsti dallo stesso articolo, un contributo a fondo perduto fino al 35 per cento della spesa ammissibile, nonché mutui agevolati a tasso zero di importo non superiore al 60 per cento della spesa ammissibile.

Il comma 2 individua le risorse per l'intervento previsto mediante una specifica destinazione di 50 milioni di euro del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) e la sua ripartizione annuale in quote di 5 milioni di euro nel 2017 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2020. Il comma precisa, inoltre, il capitolo di assegnazione delle risorse nel bilancio del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

Il comma 3, infine, dispone l'aggiunta del comma 2-bis all'articolo 2 della legge 28 ottobre 1999, n. 410, creando così le condizioni per erogare un novero più ampio di servizi a favore dei consorziati, anche di natura creditizia, garantendo, nel contempo, il rispetto della causa consortile e del sistema di controlli che il legislatore ha predisposto per i consorzi. In altri termini, l'ampliamento degli strumenti a disposizione esalterà positivamente la funzione dei consorzi senza snaturarne la finalità e la struttura mutualistica.

L'articolo 3 individua una nuova procedura sperimentale per la valorizzazione delle terre abbandonate o incolte e misure per la valorizzazione dei beni non utilizzati nelle regioni del Mezzogiorno, con l'obiettivo di rafforzare le opportunità occupazionali del Paese, favorire l'incremento di reddito dei giovani ed incentivare la riqualificazione di questi beni, avvalendosi di iniziative in grado di stimolare la cultura del riuso dei beni inutilizzati (comma 1).

Il comma 2 fornisce una definizione delle aree da considerare abbandonate o incolte; i comuni, entro tre mesi, dalla data di entrata in vigore del presente decreto, provvedono ad una ricognizione complessiva dei beni di cui sono titolari, il cui elenco è aggiornato con cadenza annuale, entro i limiti delle risorse umane, finanziarie, disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (comma 3). Il suddetto elenco è pubblicato sul sito istituzionale del comune (comma 4). I beni cosi individuati possono essere dati in concessione a soggetti che abbiano un'età compresa tra i 18 e i 40 anni, previa presentazione di un progetto di valorizzazione ed utilizzo del bene stesso. A tal fine, il comune pubblica sul proprio sito istituzionale uno o più bandi per l'assegnazione dei beni di cui al comma 3. Il termine indicato per la presentazione delle domande non può essere inferiore, per ciascun bando, a centoventi giorni dalla pubblicazione dello stesso, che avverrà periodicamente. I comuni introducono criteri di valutazione dei progetti che assicurino priorità a quelli che prevedono il riuso di immobili dismessi, con esclusione di consumo di ulteriore suolo non edificato, nonché elevati standard di qualità architettonica e paesaggistica. I giovani imprenditori devono presentare un'istanza e, nel caso in cui siano presentate più domande sullo stesso bene, i comuni procedono all'assegnazione, assicurando una imparziale valutazione dei progetti, in base alla normativa sull'evidenza pubblica, e redigono una graduatoria. I beni, di cui i comuni sono titolari, possono essere dati in concessione per un periodo non superiore a nove anni, rinnovabile una sola volta (comma 5).

Il comma 6 stabilisce che il comune, con atto di assegnazione da adottare non oltre sessanta giorni dall'approvazione della graduatoria, di cui al comma 5, consegna il bene al beneficiario, precisando i diritti e gli obblighi che conseguono all'assegnazione.

Nel caso di immobili privati, non oggetto quindi di ricognizione da parte dei comuni, ma definibili «abbandonati o incolti», ai sensi del comma 2, i soggetti di età compresa tra i 18 e 40 anni, alla presentazione della domanda, manifestano al comune l'interesse ad utilizzare i beni, presentando un progetto di valorizzazione e indicando, mediante apposito certificato redatto da un notaio: i dati identificativi del bene, sulla base delle risultanze dei registri immobiliari; i dati riguardanti coloro i quali abbiano eventualmente acquistato diritti sul bene in virtù di atti soggetti a trascrizione; i dati concernenti l'inesistenza, nell'ultimo ventennio, nei registri immobiliari, di trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli (comma 7).

Il comma 8 stabilisce che il comune, una volta valutato positivamente il progetto di valorizzazione del bene, di cui al comma precedente, ne cura la pubblicazione sull'apposita sezione del proprio sito istituzionale e, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o posta certificata, invia una comunicazione alla persona che, in base al certificato notarile, ovvero ad altra ulteriore idonea documentazione, risulti avere diritti sul bene.

La comunicazione fornisce notizie sul progetto presentato e sulle condizioni economiche determinate in sede di perizia, di cui al comma 14, e contiene in allegato una proposta irrevocabile di contratto di affitto, sottoscritta dal presentatore del progetto di valorizzazione.

Il comma 9 prevede che il comune, entro centottanta giorni dall'avvenuta comunicazione di cui al comma 8, qualora l'avente diritto sul bene abbia manifestato il proprio consenso, adotti gli atti di competenza idonei a consentire l'esecuzione del progetto per un periodo di durata corrispondente a quello del contratto di affitto.

Il comma 10 vieta al beneficiario, a pena di nullità degli atti posti in essere: la cessione a terzi in tutto o in parte del bene; la cessione a terzi dei diritti conseguiti dall'assegnazione del bene e qualunque forma di trasferimento a terzi del bene e dell'azienda organizzata per l'esecuzione delle attività in oggetto. Successivamente alla realizzazione delle condizioni, di cui ai commi 6 e 9, il comma 11 ammette la costituzione da parte dell'interessato di imprese familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile e di società agricole ed artigiane, in cui l'assegnatario abbia la maggioranza del capitale e il potere di amministrare la società con la connessa rappresentanza legale.

Il comma 12 prevede che il contratto di affitto venga trascritto nei registri immobiliari e costituisce atto interruttivo dell'eventuale usucapione.

Il comma 13 stabilisce che, nel caso in cui l'assegnazione o il progetto di cui al comma 7, abbiano ad oggetto l'esecuzione sui beni di attività terziarie di carattere non profit o artigianale, il comune adotta, entro centottanta giorni dall'assegnazione del bene, le connesse modificazioni in variante degli strumenti urbanistici. Nelle more dell'approvazione definitiva delle suddette modificazioni, gli atti di affitto possono essere ugualmente stipulati, la consegna effettuata e le attività di trasformazione iniziate.

Il comma 14 prevede che il beneficiario è tenuto a corrispondere al comune un canone d'uso indicizzato, definito dal comune sulla base di un'apposita perizia tecnica di stima del bene, il cui costo è a carico dello stesso beneficiario, a decorrere dal momento stesso dell'assegnazione. Nel caso in cui il comune non sia titolare del bene, oggetto di affitto, il canone è versato all'avente diritto e il costo della perizia tecnica è a carico del proponente.

I commi 15 e 16 prevedono che, al termine del periodo contrattuale, l'avente diritto che vuole trasferire il bene a titolo oneroso nei cinque anni successivi, deve notificare la proposta, con indicazione del prezzo, all'assegnatario, il quale ha diritto di prelazione. Tale diritto deve essere esercitato, con atto notificato nel termine di sessanta giorni, offrendo condizioni uguali a quelle comunicate.

In mancanza della notificazione da parte del proprietario del bene, colui che ha diritto di prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa. Ai rapporti instaurati tra privati, si applicano le disposizioni del codice civile in materia di affitto. La difformità dell'attività svolta rispetto al progetto di valorizzazione, costituisce causa di risoluzione del contratto di affitto, relativo ai beni privati, fermo restando il potere di revoca, da parte del comune, degli eventuali atti adottati. Spetta ai comuni l'invio alle regioni dell'elenco dei beni censiti ed assegnati, ai fini anche dell'inserimento nella Banca delle terre agricole di cui all'articolo 16 della legge 28 luglio 2016, n. 154.

Al comma 17 è prevista la possibilità che i proponenti dei progetti, di cui ai commi precedenti, per lo svolgimento di attività artigianali, commerciali e turistico-ricettive possono usufruire della misura incentivante denominata «Resto al Sud», di cui all'articolo 1 e, per le attività agricole, delle misure incentivanti di cui all'articolo 2.

Il capo II introduce l'istituzione di Zona economica speciale, di seguito ZES, al fine di favorire la crescita economica in alcune aree del Paese.

L'obiettivo è quello di introdurre condizioni economiche favorevoli, benefici fiscali e semplificazioni amministrative, che consentano lo sviluppo di imprese già insediate e che si insidieranno. Entrambe potranno beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e dell'attività di sviluppo d'impresa (articolo 4, comma 1).

La ZES deve essere istituita all'interno dei confini statali, in una zona geografica chiaramente delimitata e identificata. La ZES può essere composta anche da aree territoriali non direttamente adiacenti, purché abbiano un nesso economico funzionate e comprendano un'area portuale, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013. Per l'esercizio di attività economiche e imprenditoriali, le aziende insediate nella ZES possono usufruire di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa.

Il comma 3 dell'articolo 4 dispone che l'istituzione, le modalità, la durata ed i criteri di accesso sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Per quanto concerne le aree ammissibili, il comma 4, stabilisce che possono essere individuate dalle regioni meno sviluppate e in transizione, così come individuate dalla normativa europea, ammissibili alle deroghe previste dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, mentre il comma 5 prevede che le ZES siano istituite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se nominato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta della regione interessata. La proposta deve essere corredata da un piano di sviluppo strategico, nel rispetto delle modalità e dei criteri, di cui al comma 3.

Il comma 6, attribuisce alla regione il compito di formulare una proposta di istituzione della ZES, indicandone, nel dettaglio, le caratteristiche dell'area individuata. Il soggetto, per l'amministrazione dell'area ZES, è identificato in un comitato di indirizzo composto dal Presidente dell'Autorità portuale, che lo presiede, nonché da un rappresentante rispettivamente della regione, della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Le attività svolte dai membri del Comitato, di cui sopra, si intendono a titolo gratuito. Inoltre, il Segretario dell'Autorità portuale svolge le funzioni amministrative gestionali di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

Il soggetto per l'amministrazione della ZES, previsto dal comma 7, deve assicurare gli strumenti per garantire la piena operatività delle aziende presenti nelle zone speciali in questione; deve consentire l'utilizzo di servizi sia economici che tecnologici e, infine, deve consentire l'accesso alle prestazioni di servizi da parte di terzi, sempre nelle zone di cui al comma 2 del presente articolo. Il Segretario generale dell'Autorità portuale, previa autorizzazione del Comitato di indirizzo, può stipulare accordi o convenzioni quadro con banche e intermediari finanziari.

Il comma 8 prevede, infine, che le aziende già insediate e che si insedieranno nella ZES, dovranno operare nel rispetto degli obblighi derivanti dalla normativa nazionale ed europea, nonché delle prescrizioni adottate per il funzionamento della ZES.

L'articolo 5 affronta la tematica dei benefici fiscali e delle semplificazioni e, nello specifico, al comma 1, prevede le seguenti tipologie di agevolazioni per le nuove imprese e per quelle già esistenti nella ZES: procedure di semplificazione per l'accelerazione dei termini procedimentali ed adempimenti semplificati; accesso alle infrastrutture esistenti, previste nel piano di sviluppo strategico della ZES nel rispetto della normativa europea e delle norme vigenti in materia di sicurezza, nonché delle disposizioni vigenti in materia di semplificazione di cui agli articoli 18 e 20 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169.

Il comma 2 stabilisce che, in relazione agli investimenti effettuati nella ZES, il credito d'imposta di cui all'articolo 1, commi 98 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni acquisiti, entro il 31 dicembre 2020, nel limite massimo, per ciascun progetto d'investimento, di 50 milioni di euro.

Il comma 3 individua le condizioni per il riconoscimento delle agevolazioni di cui ai commi 1 e 2, disponendo che le imprese devono mantenere le attività nella ZES per almeno cinque anni successivi al completamento dell'investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti, e, inoltre, che le imprese stesse non devono essere in stato di liquidazione o di scioglimento.

Il comma 4 prevede che l'agevolazione di cui al comma 2 sia concessa nel rispetto di tutte le condizioni previste dal regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 e, in particolare, di quanto disposto dall'articolo 14; agli adempimenti di cui all'articolo 11 del citato regolamento provvede il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno.

Il comma 5 dispone che, per l'attuazione dell'articolo 4 e del presente articolo, siano destinate risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione -- programmazione 2014/2020, per gli importi annuali massimi di: 25 milioni di euro nel 2018; 31,25 milioni di euro nel 2019; 150,2 milioni di euro nel 2020. Tali importi sono imputati alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni di cui all'articolo 4, comma 4.

Il comma 6, infine, affida all'Agenzia per la coesione territoriale il monitoraggio degli interventi e degli incentivi concessi, da assicurare con cadenza almeno semestrale. L'Agenzia riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno sull'andamento delle attività e sull'efficacia delle misure di incentivazione concesse, avvalendosi di un apposito piano, che deve essere concordato con il soggetto per l'amministrazione, di cui all'articolo 4, comma 6, e corrispondere ai criteri stabiliti nel comma stesso.

Il capo III individua gli strumenti di semplificazione delle procedure in relazione alla valorizzazione dei territori che il provvedimento intende sostenere. A riguardo, l'articolo 6 è finalizzato a semplificare ed accelerare le procedure adottate per la realizzazione degli interventi previsti nell'ambito dei Patti per lo sviluppo.

Il comma 1 si propone di semplificare la procedura per il rimborso delle spese effettivamente sostenute, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 assegnate ai Patti per lo sviluppo, dalle amministrazioni titolari degli interventi.

Il rimborso delle spese è disposto; su richiesta presentata dall'amministrazione titolare degli interventi; alla Presidenza del Consiglio dei ministri -- Dipartimento per le politiche di coesione, che la inoltra al Ministero dell'economia e delle finanze -- Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. La procedura prevede il pagamento del 50 per cento del costo realizzato all'atto del ricevimento della richiesta stessa, corredata dell'autocertificazione del rappresentante legale dell'amministrazione richiedente, attestante il costo effettivo dell'intervento e la regolarità delle spese.

Il pagamento del restante 50 per cento del costo realizzato avviene entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, previa attestazione da parte dell'Agenzia per la coesione territoriale della coerenza dell'importo con i dati relativi all'avanzamento della spesa inseriti e validati nella Banca dati unitaria (BDU) degli interventi della politica regionale.

Il comma 2 persegue l'obiettivo di assicurare, nell'attuazione dei Patti per lo sviluppo, lo snellimento dei procedimenti di decisione sugli interventi contenuti nei patti stessi, prevedendo, da una parte, il ricorso alla conferenza di servizi simultanea, a cui partecipa, in base a quanto previsto dalla legge sul procedimento amministrativo, un unico rappresentante per ciascun livello di governo e, dall'altra, l'individuazione, per ciascun intervento finanziato, dell'Amministrazione che deve gestire la conferenza di servizi e assumere la decisione finale in ordine alla realizzazione dell'intervento stesso.

L'articolo 7 promuove l'attuazione di interventi di notevole complessità, inseriti nell'ambito di piani e programmi operativi finanziati a valere sulle risorse nazionali ed europee, attraverso l'implementazione di strategie territoriali integrate, anche ai sensi di quanto previsto dall'articolo 36 del regolamento (UE) n. 1303/2013, riguardante gli «Investimenti territoriali integrati». A tal fine, si prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, individua gli interventi per i quali si debba procedere alla stipula di appositi Contratti istituzionali di sviluppo (CIS), dando quindi attuazione a quanto previsto dall'articolo 1, comma 703, lettera g), della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

L'articolo 8 introduce, un'ipotesi di apertura della procedura di amministrazione straordinaria, anche in assenza dei requisiti dimensionali previsti dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 (500 addetti e debiti non inferiori ai 300 milioni di euro), ferma restando la sussistenza del presupposto dello stato di insolvenza.

La misura riguarda esclusivamente le società cessionarie di complessi aziendali facenti capo a società sottoposte ad amministrazione straordinaria e rientranti nel perimetro della cosiddetta legge Marzano (decreto-legge n. 347 del 2003), nei casi in cui le stesse si rendano gravemente inadempienti rispetto alle obbligazioni contrattualmente assunte all'atto della cessione, a norma dell'articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e, per l'effetto, siano destinatarie di azione di risoluzione del contratto di cessione ovvero di dichiarazione di avvalersi di clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di cessione da parte del commissario straordinario della società cedente, e che, nelle more dell'espletamento del relativo contenzioso, divengano insolventi.

Si precisa, al riguardo, che la normativa che regola le vendite nell'amministrazione straordinaria; prevede (articolo n. 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270) che l'acquirente debba obbligarsi, per almeno due anni dalla stipula, al rispetto degli impegni imprenditoriali ed occupazionali previsti nell'offerta d'acquisto.

A tal fine la scelta dell'acquirente è effettuata sulla base della valutazione dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali dallo stesso presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali. Il contratto sottoscritto con la procedura prevede, pertanto, l'obbligo di proseguire l'attività e mantenere l'occupazione sulla base di quanto previsto nel piano industriale.

Con riferimento alla salvaguardia dell'occupazione, si rileva che la procedura cedente e la società acquirente definiscono con le organizzazioni sindacali, nell'ambito dell'accordo previsto dall'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, le condizioni per il trasferimento anche parziale dei lavoratori sempre sulla base ed in coerenza con le previsioni del piano industriale presentato dall'acquirente. L'assunzione di detti obblighi da parte dell'acquirente costituisce, quindi, un presupposto indefettibile ai fini dell'aggiudicazione dei complessi aziendali facenti capo alle procedure di amministrazione straordinaria e costituisce elemento essenziale del sinallagma contrattuale tipico di tali vendite, considerato che le norme di riferimento consentono la vendita ad un valore che tenga conto del «badwill» dell'impresa, assumendo a riferimento non già i valori patrimoniali dell'attivo ceduto, ma il valore dell'azienda in funzionamento.

Il commissario esercita, dunque, una attività di vigilanza sul rispetto degli impegni contrattualmente assunti in merito non soltanto al pagamento del prezzo, ma anche al mantenimento dell'occupazione e alla realizzazione del piano industriale, di norma caratterizzato da investimenti produttivi, volto al risanamento economico dell'impresa.

Nei casi di grave inadempimento, il commissario aziona i rimedi previsti dall'ordinamento al fine di rientrare nel possesso del complesso aziendale. Si tratta tuttavia di un percorso che richiede tempi significativi e, potenzialmente, l'esperimento di tutti i gradi di giudizio.

Nelle more dei relativi procedimenti giudiziali, la società cessionaria può andare incontro ad una nuova insolvenza, e quindi alla prospettiva del fallimento, vanificando così l'esito della procedura conservativa esperita con la procedura di amministrazione straordinaria della società cedente e perseguito attraverso la ricollocazione sul mercato delle relative attività d'impresa, nonché gli esiti della stessa azione giudiziale volta alla risoluzione del contratto e al ripristino della situazione quo ante.

Pertanto, la ratio dell'intervento normativo che si propone, risiede nella necessità di consentire il perseguimento del tentativo conservativo, proprio della procedura di amministrazione straordinaria, nell'ipotesi in cui la società cessionaria, resasi inadempiente, divenga insolvente, nelle more del relativo contenzioso, e non possa accedere ad una nuova procedura per mancanza dei requisiti in precedenza posseduti. Ciò sia in riferimento al requisito dimensionale, per il caso in cui i dipendenti vengano resi oggetto di procedure di licenziamento collettivo, sia in riferimento al requisito dimensionale relativo all'indebitamento, considerato che le operazioni di acquisizione avvengono di norma per il tramite di una newco.

A tal fine, la norma estende la legittimazione attiva al commissario straordinario della società cedente.

L'articolo 9 presenta carattere di necessità e urgenza in quanto interviene su alcune disposizioni della disciplina nazionale in materia di classificazione dei rifiuti che presentano profili di criticità tali da compromettere l'intero funzionamento del sistema di gestione dei rifiuti a livello nazionale e, in particolare, nel Mezzogiorno d'Italia.

Il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha apportato, con l'articolo 13, comma 5, lettera b-bis), modificazioni al sistema di classificazione dei rifiuti all'epoca vigente, dettagliando in particolare le modalità di classificazione per i rifiuti con codici CER a specchio.

In particolare, tale modifica non appare giustificata da novità introdotte dalla normativa europea né, tantomeno, da esigenze degli operatori o degli enti preposti al controllo. La novella ha infatti introdotto nell'allegato D del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, una premessa che reca specifiche relative alla metodologia di classificazione dei rifiuti come pericolosi. Le disposizioni introdotte con il predetto articolo sono entrate in vigore poco prima del regolamento (UE) n. 1357/2014, che sostituisce l'allegato III della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive, nonché della decisione 2014/955/UE che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco europeo dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, entrambi entrati in vigore il 1º giugno 2015.

Inoltre, si evidenzia che, antecedentemente alle novità introdotte dal cosiddetto «decreto competitività», le norme vigenti già fornivano agli operatori del settore gli strumenti per procedere ad una adeguata classificazione dei rifiuti prodotti. Dalla lettura coordinata di quanto indicato all'articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006 ed agli allegati D ed I, parte IV, del medesimo decreto, appare chiaro che gli operatori, in qualità di produttori, devono attribuire al rifiuto prodotto il corrispondente codice CER, identificando preliminarmente la fonte che lo ha generato. Nel paragrafo «introduzione», contenuto nell'allegato D del citato decreto, sono elencati i vari passaggi che devono essere rispettati per addivenire alla corretta attribuzione del codice CER per ciascun rifiuto; nello stesso paragrafo, al comma 5, sono altresì richiamati gli specifici riferimenti per la classificazione dei rifiuti come pericolosi.

L'articolo 190 del decreto legislativo n. 152 del 2006 impone in generale ai soggetti produttori iniziali di rifiuti, ovvero anche ai soggetti detentori di rifiuti, di annotare nel registro di carico e scarico le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti prodotti entro tempistiche ben precise.

Dal quadro sintetico sopra evidenziato emerge pertanto che il quadro normativo nazionale, antecedente l'emanazione del cosiddetto «decreto competitività», risultava di per sé adeguato alle esigenze del sistema.

Dunque, l'articolo 13, comma 5, lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91, ha di fatto introdotto a far data dal 18 febbraio 2015 delle disposizioni non sottese da reali esigenze o lacune normative.

A titolo esemplificativo, il fatto che la classificazione dei rifiuti sia effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE della Commissione, del 3 maggio 2000, (punti 1 e 7 della premessa sulla classificazione introdotta dal decreto competitività), è un concetto che emerge già dalla lettura della norma nazionale e dagli ulteriori atti europei che non richiedono tra l'altro diretto recepimento.

Con l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1272/2008 sulla classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze chimiche, nonché del regolamento (UE) n. 1357/2014 sulle caratteristiche di pericolo dei rifiuti, nonché della decisione 2014/955/UE recante il nuovo elenco europeo dei rifiuti, è stato profondamente modificato il quadro giuridico del settore.

In particolare, con la decisione 2014/955/UE è stata modificata la decisione 2000/532/CE introducendo il nuovo elenco europeo dei rifiuti e con il regolamento (UE) n. 1357/2014 è stato sostituito l'allegato III alla direttiva quadro sui rifiuti rinnovando in modo sostanziale le regole per l'attribuzione delle caratteristiche di pericolo ai rifiuti. Tali provvedimenti sono immediatamente applicabili nel panorama normativo italiano.

Invece, le ulteriori disposizioni in tema di classificazione dei rifiuti (punti da 2 a 6 della citata premessa) introducono modalità applicative di fatto difficilmente attuabili a fronte di interpretazioni fortemente restrittive della norma.

In ragione delle perplessità sulla novella introdotta alla normativa nazionale manifestate da parte degli operatori del settore, degli enti di controllo, degli istituti tecnici, delle associazioni di categoria e delle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è attivato per emanare un decreto ministeriale per allineare l'allegato D del decreto legislativo n. 152 del 2006 alle predette modifiche normative intervenute in sede europea. Nello specifico, infatti, la premessa all'allegato D:

1) richiede di «a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso: la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l'analisi del rifiuto;»

Inoltre il successivo punto 6 afferma che: «Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso».

Al contrario, la decisione 955/2014/UE della Commissione, nel paragrafo «VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE», punto 2 «classificazione di un rifiuto come pericoloso», specifica che la classificazione di un rifiuto come pericoloso deve essere effettuata ricercando, non tutte le sostanze che possono conferire le caratteristiche di pericolosità al rifiuto, ma solo quelle pericolose «pertinenti».

Dalla lettura della premessa dell'allegato D sembrerebbe altresì che per individuare i composti presenti nel rifiuto si debba necessariamente procedere attraverso tutte e tre le fasi indicate (la scheda informativa del produttore; la conoscenza del processo chimico; il campionamento e l'analisi del rifiuto). Al contrario, la decisione della Commissione prevede che i campionamenti e le analisi del rifiuto non debbano essere necessariamente eseguite se il produttore dispone di sufficienti informazioni che gli consentono di classificare il rifiuto;

2) fa riferimento alle «frasi di rischio» specifiche dei componenti presenti nei rifiuti al fine di definire la modalità di classificazione dei rifiuti; di contro la decisione non fa più riferimento a tali «frasi di rischio», ma la metodologia ivi stabilita si basa esclusivamente sui «codici di classe e categorie di pericolo», nonché sui «codici di indicazione di pericolo».

Oltre ad essere in contrasto con la norma europea, la premessa dell'allegato D risulta di fatto inapplicabile nella pratica.

Infatti, una interpretazione restrittiva, relativamente ai composti da ricercare nei rifiuti, intesa come conoscenza «integrale» di ciò che è contenuto nel rifiuto e non di cosa è «ragionevole» ricercare nello stesso, comporta l'impossibilità di dimostrare e quindi di classificare il rifiuto come non pericoloso anche quando lo stesso non possiede alcuna delle caratteristiche di pericolo di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE.

La classificazione di tutti i rifiuti, per i quali non è nota la composizione «integrale», come pericolosi (rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti urbani), determinerebbe la paralisi dell'intero sistema di gestione dei rifiuti nazionale.

Tuttavia, il predetto schema di decreto ministeriale predisposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pur avendo acquisito il parere positivo dell'ISPRA, i concerti dei Ministeri interessati (salute e sviluppo economico), nonché il parere positivo della Conferenza unificata, è stato bloccato dal Consiglio di Stato che ha ritenuto che, essendo intervenuta una norma di rango primario sull'allegato D, del decreto legislativo n. 152 del 2006, lo stesso allegato non potesse più essere modificato con decreto ministeriale. Il Consiglio di Stato ha rilevato, inoltre, l'illegittimità della premessa dell'allegato D del decreto legislativo n. 152 del 2006, introdotta con il decreto-legge n. 91 del 2014, in quanto superata dall'intervenuta normativa europea. Il Consiglio di Stato, nel parere reso il 14 maggio 2015, ha così precisato: «Quanto, poi, al parere di quest'ultimo Istituto, si concorda con il suggerimento di eliminare il paragrafo "Classificazione dei rifiuti" non contenuto nella normativa europea, anche perché si tratterebbe di norme introdotte con il più volte citato decreto-legge n. 91 del 2014, che sono da ritenersi interamente abrogate dai recenti provvedimenti adottati in sede europea».

Vista l'impossibilità di procedere ad un riallineamento della norma nazionale con quella europea tramite decreto ministeriale, nelle more di una organica revisione della disciplina da effettuarsi mediante uno strumento normativo idoneo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato la circolare 28 settembre 2015 (n. protocollo RIN 1845), che ha fornito i chiarimenti necessari agli operatori del settore: «Preliminarmente, si ribadisce che dal 1º giugno 2015 il regolamento e la decisione trovano piena ed integrale applicazione nel nostro ordinamento giuridico e che, di conseguenza, a decorrere dalla medesima data, gli allegati D ed 1 del suddetto decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non risultano applicabili, laddove essi risultino in contrasto con le suddette disposizioni dell'Unione europea. In particolare per quanto concerne l'Allegato D al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si precisa che continuano ad applicarsi soltanto i punti 6 e 7 del paragrafo intitolato "Introduzione", in quanto costituiscono recepimento di una disposizione comunitaria introdotta con l'articolo 7, paragrafi 2 e 3 della direttiva 2008/98/CE, ancora vigente nel quadro normativo comunitario e non modificata dalle disposizioni in questione».

In conclusione, la disposizione in esame, elimina la classificazione dei rifiuti, cosi come introdotta dall'articolo 13, comma 5, lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, mantenendo solo la previsione che la classificazione è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER. La norma dispone altresì che a tale classificazione si applicano le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357 del 2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014.

Il capo IV prevede degli ulteriori interventi a favore del Mezzogiorno e per la coesione territoriale, attraverso la promozione di percorsi di coesione sociale, attivazione di programmi di legalità e sostegno all'occupazione, nonché contrasto della povertà educativa nelle comunità territoriali.

L'articolo 10 prevede che l'ANPAL, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, istituita ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, attivi programmi per la riqualificazione e la ricollocazione di lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendale o settoriale nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

Tali programmi andranno realizzati in raccordo con le regioni medesime, titolari della competenza in materia di politiche attive del lavoro, nonché con i fondi interprofessionali per la formazione continua, i quali potranno svolgere un ruolo nel finanziamento ed erogazione di programmi formativi finalizzati alla ricollocazione.

Per il finanziamento dell'operazione è previsto uno stanziamento di spesa a favore dell'ANPAL pari a 15 milioni di euro per l'anno 2017 e di 25 milioni di euro per l'anno 2018, da attuare mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato, nei medesimi anni, di quota dei corrispondenti importi delle disponibilità in conto residui del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Si rileva che, ai fini della compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189.

L'articolo 11 consente di attivare interventi rivolti a reti di scuole, intese come comunità educanti verticali, in convenzione con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l'infanzia, operanti nel territorio interessato.

Lo scopo è di progettare e attuare, nelle aree caratterizzate da un'accentuata povertà educativa minorile e dispersione scolastica e nelle aree ad elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata e non, degli interventi educativi biennali in favore dei minori, finalizzati al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce, della povertà educativa, nonché per la prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità.

Le scuole diventano così il centro pulsante delle comunità cittadine e il luogo dove è possibile contrastare con efficacia la povertà educativa minorile e la dispersione scolastica nelle predette aree, grazie alla sinergia attivabile con vari soggetti pubblici e privati operanti nelle aree interessate.

A tal fine, la disposizione prevede al comma 1 che, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia, adotti un decreto per individuare le aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata. Il comma 2, prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, entro trenta giorni dall'adozione del decreto di cui al comma 1, indica una procedura selettiva per la presentazione di progetti recanti la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, volti al contrasto del rischio di fallimento precoce e di povertà educativa e per prevenire situazioni di fragilità, rispetto alla capacità di attrazione della criminalità.

Il comma 3 indica i soggetti che possono partecipare alla procedura di cui al comma 2, ossia le reti di istituzioni scolastiche presenti nelle aree individuate con il decreto di cui al comma 1, che abbiano attivato, per la realizzazione degli interventi educativi di durata biennale, partenariati con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l'infanzia, operanti nel territorio interessato.

Il finanziamento della procedura è previsto dal comma 4 nell'ambito delle risorse del Programma operativo nazionale «Per la scuola -- competenze e ambienti per l'apprendimento», riferito al periodo di programmazione 2014/2020, di cui alla decisione della Commissione europea C(2014) 9952 del 17 dicembre 2014.

L'articolo 12 riafferma il criterio del costo standard per studente in corso che, gradualmente, si sta utilizzando nel sistema universitario statale per il riparto di una quota del fondo di finanziamento ordinario (FFO). La norma è necessaria ed urgente per dare esecuzione a quanto espressamente richiesto dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 104 dell'11 maggio 2017, che ha pronunciato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 8 e di una parte dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, in quanto non è stata adeguatamente esercitata la delega conferita al Governo dall'articolo 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, che attribuiva ad un decreto legislativo il compito di individuare gli indici da utilizzare per il calcolo del costo standard di formazione per studente in corso e la percentuale del FFO da distribuire tra le università in base al costo standard.

Appare utile preliminarmente ricordare che il sistema dei costi standard negli atenei è stato introdotto dall'articolo 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010, che aveva delegato al Governo la definizione della relativa disciplina specifica, ivi compresa la percentuale di risorse del fondo per il finanziamento ordinario da attribuire sulla base dei costi standard. La delega è stata esercitata con gli articoli 8 e 10 del decreto legislativo n. 49 del 2012, che ha trovato applicazione secondo le modalità indicate dal decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 893 del 9 dicembre 2014, nonché dai decreti ministeriali relativi alle linee generali d'indirizzo della programmazione triennale degli atenei (da ultimo, l'articolo 3 del decreto ministeriale 8 agosto 2016, n. 635), ai fini della ripartizione del FFO degli atenei per gli anni 2014, 2015 e 2016.

La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 104 del 2017, ha dichiarato l'incostituzionalità degli articoli 8 e 10, comma 1, del decreto legislativo n. 49 del 2012. Secondo quanto indicato dalla stessa Corte «tale declaratoria di illegittimità costituzionale, determinata esclusivamente da vizi dell'esercizio del potere legislativo delegato, non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe la responsabilità di assicurare, con modalità conformi alla Costituzione, la continuità e l'integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali, indispensabili per l'effettività dei princìpi e dei diritti consacrati negli articoli 33 e 34 della Costituzione».

L'articolo 5, comma 9, della legge n. 240 del 2010, prevedeva che disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 49 del 2012 fossero eventualmente adottate entro diciotto mesi. Essendo tale termine ormai decorso, si rende pertanto necessaria l'immediata adozione di una nuova norma primaria, al fine di assicurare quella continuità e integrale distribuzione dei finanziamenti agli atenei che costituiscono gli obiettivi indicati dalla Corte costituzionale.

Sia al fine di salvaguardare i finanziamenti già attribuiti alle università nel periodo 2014-2016 secondo il criterio del costo standard, sia al fine di procedere celermente con l'attribuzione del FFO 2017 e, non da ultimo, con l'obiettivo di introdurre alcuni miglioramenti alle modalità di calcolo del costo standard per studente di ogni ateneo, si rende necessario procedere nel senso indicato dalla Corte costituzionale attraverso una più puntuale definizione del costo standard direttamente con norma primaria.

La norma in esame ha i seguenti obiettivi:

-- disciplinare in modo coerente ed esaustivo la materia del costo standard delle università elevando a norma di rango primario i criteri contenuti nel citato decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 9 dicembre 2014 n. 893 e nell'articolo 3 del decreto del medesimo Ministro 8 agosto 2016, n. 635;

-- assicurare agli atenei, con riferimento agli anni 2014-2015-2016, il mantenimento delle assegnazioni ricevute a valere sul fondo per il finanziamento ordinario in applicazione, atteso anche che le università, sulla base di tali assegnazioni, hanno approvato i relativi bilanci, assunto obbligazioni, compreso il reclutamento del personale, nell'osservanza dei limiti alle facoltà assunzionali previsti dalla normativa che da tale assegnazione dipendono;

-- consentire una rapida e integrale assegnazione delle risorse per il 2017, mantenendo le stesse modalità di applicazione del costo standard dell'anno 2016;

-- perfezionare, a decorrere dal 2018, il modello di calcolo finora utilizzato con il citato decreto ministeriale n. 893 del 2014 introducendo ulteriori criteri e indirizzi con riferimento soprattutto ai fattori di natura perequativa del costo standard collegati ai fattori di contesto economico-territoriale e infrastrutturale.

La norma si compone di 8 commi.

Il comma 1 definisce il concetto e la finalità del costo standard degli atenei cosi come già indicati dall'articolo 5, comma 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Resta pertanto fermo che il costo standard è calcolato per ciascun ateneo con riferimento al numero degli studenti in corso e secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università. Resta ferma la finalità dei costi standard che, come nella legge n. 240 del 2010, è utilizzabile esclusivamente come criterio di riparto del fondo per il finanziamento ordinario degli atenei.

In particolare, si evidenzia che la finalità del costo standard è quella di superare il previgente criterio di riparto del fondo di finanziamento ordinario basato sul criterio del trasferimento storico, con un criterio equo e oggettivo, finalizzato a eliminare le ingiustificate disparità nella quota di finanziamento attribuita a ciascun ateneo e a consentire agli studenti di poter disporre di un adeguato livello di servizi in termini di docenza di riferimento e di servizi amministrativi, didattici e strumentali, riconducibile a criteri di efficienza nell'impiego delle risorse e a standard quantitativi omogenei a parità di area disciplinare.

Il comma 2, diversamente dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 49 del 2012, provvede a determinare con precisione i criteri di calcolo del costo standard, sulla base delle voci di costo già contenute, su indicazione delle Commissioni parlamentari, nel decreto legislativo n. 49 del 2012. Diversamente quindi dalla legge n. 240 del 2010, la disciplina effettiva del costo standard non viene delegata a un successivo decreto legislativo, ma è contenuta nel testo della stessa disposizione. A tale riguardo si fa presente quanto segue:

a) la principale voce di costo per la formazione degli studenti è quella del personale docente strutturato (professori di I e II fascia e ricercatori). In attuazione del decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19 (a norma dell'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240) è stato definito un sistema di accreditamento, quale condizione necessaria all'istituzione e all'attivazione delle sedi universitarie e dei corsi di studio. Sono stati definiti in tale ambito appositi requisiti della docenza necessaria a sostenere le attività di formazione dei corsi universitari in rapporto a numerosità di riferimento degli studenti iscritti, differenziate nelle classi delle aree medico-sanitaria, scientifico-tecnologica e umanistico-sociale al fine di tenere conto del diverso peso delle ore di didattica frontale e di laboratorio in ciascun credito formativo acquisito. Si intende, pertanto, fare riferimento ai medesimi standard al fine di definire le dotazioni della docenza strutturata in relazione agli studenti iscritti. Tuttavia, tenuto conto della presenza di costi fissi di docenza nelle classi di corso (principalmente degli atenei di piccole dimensioni) con numerosità bassa di iscritti, si prevede che con il decreto ministeriale relativo al modello di calcolo siano definiti numeri standard degli studenti che possono essere più bassi (minimo 60 per cento -- massimo 100 per cento) dei valori di riferimento utilizzati per l'accreditamento. A parità di dotazioni della docenza, il suo costo effettivo dipende dall'anzianità di servizio che è fortemente differenziata tra gli atenei, si prevede, pertanto, di parametrare il costo della dotazione standard della docenza al costo caratteristico di ciascun ateneo di un professore di prima fascia, considerato che i costi delle restanti qualifiche accademiche corrispondono al 70 per cento (per il professore di II fascia) e al 50 per cento (per il ricercatore) di tale importo;

b) oltre alla docenza strutturata, la formazione degli studenti è affidata in parte anche alla docenza a contratto. Viene a tal fine considerato uno standard pari al 30 per cento delle ore derivanti dall'impiego standard della docenza strutturata di cui alla lettera a);

c) il personale tecnico-amministrativo in servizio negli atenei è generalmente direttamente proporzionale alla docenza strutturata di cui alla lettera a); in ogni caso lo standard proposto esclude la possibilità di computare un numero di addetti ai servizi amministrativi superiore al numero dei docenti; sono altresì presi in considerazione, in aggiunta, un numero di figure di supporto tecnico parametrato a quelle eventualmente richieste in sede di accreditamento dei corsi di studio e un numero di collaboratori ed esperti linguistici pari a quelli in servizio presso l'ateneo;

d) i costi di funzionamento e gestione delle sedi universitarie possono, invece, essere determinati facendo riferimento a elaborazioni statistiche dei dati di bilancio degli atenei, tenendo conto delle oggettive diversità nei costi di funzionamento mediamente più elevati nei dipartimenti di area medica e area scientifica rispetto a quelli di area umanistico-sociale e della presenza di costi fissi di funzionamento delle strutture indipendentemente dalla numerosità degli studenti iscritti.

Oltre al calcolo del costo dei fattori di produzione che determinano l'ammontare dei costi standard di formazione, è necessario in ogni caso tenere conto di fattori legati al contesto economico territoriale e infrastrutturale che incidono in maniera differenziata sulla possibilità di alcuni atenei di determinazione delle tasse universitarie. A tal fine, con il comma 3 si prevede la possibilità di aggiungere al calcolo del costo standard un importo di natura perequativa finalizzato a tenere conto di queste differenze territoriali. In relazione a tale importo di natura perequativa, a parità di costo standard, due atenei potranno, pertanto, conseguire una diversa assegnazione della quota del fondo di finanziamento ordinario ripartita in base al costo standard che è proporzionale alla diversa intensità dell'intervento perequativo. Il comma 3 provvede a indicare sia il limite di tale importo perequativo, che non potrà essere superiore al 10 per cento del costo standard medio nazionale calcolato ai sensi del comma 2, sia i fattori (con il peso di ciascuno) che concorrono alla determinazione dell'importo perequativo.

In particolare, facendo riferimento all'applicazione che ha avuto finora il costo standard, si prevede che un massimo del 10 per cento dell'importo perequativo sia determinato facendo riferimento alla diversa capacità contributiva degli studenti calcolata in base ai redditi familiari medi che sono molto differenziati tra le ripartizioni territoriali del Paese.

I sopraindicati criteri sono del tutto coerenti con quelli che hanno trovato applicazione per gli atenei negli anni 2014, 2015 e 2016. Per tale motivo e anche al fine di rispettare quanto indicato dalla Corte costituzionale assicurando la continuità e l'integrale attribuzione del fondo di finanziamento ordinario agli atenei, il comma 4 provvede a confermare le assegnazioni già disposte per gli anni 2014, 2015 e 2016, a valere sul fondo di finanziamento ordinario.

Il comma 5, invece, tenuto conto della necessità di assicurare il tempestivo riparto dei finanziamenti nel corrente anno 2017, prevede che la quota del fondo di finanziamento ordinario ripartita in base al criterio del costo standard per studente è fissata con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca relativo ai criteri di riparto del fondo di finanziamento ordinario entro l'intervallo compreso tra il 19 per cento e il 22 per cento del relativo stanziamento, al netto degli interventi con vincolo di destinazione. Per il riparto del fondo si prevede, inoltre, che siano utilizzati gli stessi importi del costo standard e i dati sugli studenti utilizzati per il riparto del Fondo di finanziamento ordinario dell'anno 2016.

I commi 6, 7 e 8 provvedono invece ad individuare alcune novità nel disciplinare l'attuazione del costo standard per il futuro, a decorrere dall'anno 2018.

In particolare, il comma 6 rinvia a un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, esclusivamente, le sole scelte tecniche di dettaglio relative al modello di calcolo.

Considerato che il modello del costo standard è finalizzato unicamente a definire un criterio oggettivo del fondo di finanziamento ordinario degli atenei, indipendentemente da considerazioni sui fabbisogni standard di risorse, e che i criteri generali di calcolo nonché le connesse scelte sono contenute nella norma, si ritiene necessario avvalersi dell'apporto tecnico dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) nonché del parere della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) in relazione alle implicazioni del modello di calcolo sulla ripartizione di risorse tra gli atenei. Il modello di calcolo, che si baserà ancora sui criteri indicati al comma 2, sarà pertanto migliorativo rispetto a quello del citato decreto n. 893 del 2014, con l'introduzione di scelte di maggiore dettaglio finalizzate in particolare ad ampliare l'effetto della componente perequativa. Il comma 6, altresì, prevede che dal 2018 si aggiunga una ulteriore componente perequativa che tenga conto della diversa accessibilità di ogni università in funzione della rete dei trasporti e dei collegamenti. Tale importo inciderà fino ad un massimo del 10 per cento rispetto al costo medio nazionale stabilito in base agli indici di costo di cui al comma 2.

Il comma 7 prevede che il predetto decreto ministeriale possa essere aggiornato triennalmente con riferimento al valore specifico di alcuni parametri e all'aggiornamento di eventuali aspetti di dettaglio, sempre nel rispetto dei criteri e degli indici di costo indicati dalla legge. Lo stesso comma 7 provvede a fissare direttamente i limiti entro cui il modello del costo standard può essere utilizzato nella ripartizione del FFO. In particolare, si dispone che la percentuale già stabilita al comma 5 per il 2017 venga incrementata tra il 2 per cento e il 5 per cento all'anno dal 2018, in modo da sostituire gradualmente la quota di finanziamento determinata sulla base del trasferimento storico e fino ad un massimo del 70 per cento. Tale soglia percentuale è coerente, infatti, con quella stabilita dall'articolo 60, comma 01, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, per il riparto della cosiddetta quota premiale del FFO il cui massimo è pali al 30 per cento. In tal modo si prevede che a regime l'intera quota del FFO non vincolata nella destinazione sia ripartita sulla base del costo standard (peso 70 per cento) e della quota premiale (peso 30 per cento).

Il comma 8 provvede infine a individuare l'insieme degli studenti che verranno considerati a decorrere dal 2018 per l'applicazione del costo standard ai fini dell'attribuzione del FFO.

L'articolo 13 reca disposizioni volte ad attuare le misure che erano state previste dell'articolo 1, comma 6-undecies, del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º febbraio 2016, n. 13, garantendo che le somme oggetto di confisca siano destinate alle opere di risanamento ambientale.

La disciplina ora vigente prevede che, a seguito del trasferimento dei complessi aziendali del Gruppo Ilva, le somme eventualmente confiscate o comunque pervenute allo Stato in via definitiva all'esito di procedimenti penali nei confronti del titolare dell'impresa, ovvero dei soggetti che sulla stessa abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento anteriormente al suo commissariamento, siano destinate, per la quota eccedente la restituzione del prestito statale di cui al comma 6-bis del medesimo articolo di legge, al finanziamento di interventi per il risanamento e la bonifica ambientale e, in via subordinata, alla riqualificazione e riconversione produttiva dei siti contaminati, nei comuni di Taranto e di Statte. Ciò anche nel caso in cui i provvedimenti di confisca di cui sopra abbiano ad oggetto le obbligazioni emesse dall'amministrazione straordinaria dell'Ilva ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, ipotesi nella quale si prevede che il finanziamento statale di cui all'articolo 1, comma 6-bis, del decreto-legge n. 191 del 2015, è estinto mediante impiego delle risorse finanziarie rinvenienti dalla sottoscrizione delle predette obbligazioni.

La disposizione prevede, altresì, che il credito nei confronti dell'amministrazione straordinaria, derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni di cui sopra, sia estinto, fino a concorrenza dell'ammontare delle spese e dei costi sostenuti, a valere sul patrimonio destinato costituito dall'amministrazione straordinaria dell'Ilva ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 1 del 2015, per l'attuazione e la realizzazione di interventi di risanamento e bonifica ambientale, ivi compresi gli interventi già autorizzati, a valere sui finanziamenti statali di cui all'articolo 1, comma 6-bis del decreto-legge n. 191 del 2015. In tal modo viene chiarita la destinazione finale delle somme oggetto di sequestro nell'ambito dei procedimenti giudiziari pendenti. È evidente, infatti, che la disciplina del loro utilizzo in corso di sequestro aveva correttamente previsto, stante il carattere non definitivo del provvedimento, un obbligo di rimborso in favore del soggetto sottoscrittore delle obbligazioni di cui all'articolo 3, comma 1, del citato decreto-legge n. 1 del 2015: in caso di caducazione del sequestro, infatti, le obbligazioni sarebbero state retrocesse ai titolari che avrebbero avuto diritto al rimborso dei fondi impiegati per la loro sottoscrizione.

Nel caso di definitiva confisca è invece possibile destinare stabilmente, nei limiti già previsti dalla previgente norma, le somme in questione, permettendo di realizzare le finalità di tutela ambientale mediante estinzione del credito nei confronti dell'amministrazione straordinaria dell'ILVA derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni, che ne costituisce la modalità concreta di finanziamento.

Con l'articolo 14 si dispone la proroga della misura agevolativa introdotta dall'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. L'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha introdotto un beneficio per gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi ad alto contenuto tecnologico per agevolare la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese in chiave Industria 4.0, riconoscendo per tali investimenti una maggiorazione del costo di acquisizione del 150 per cento.

Con il presente articolo si dispone, quindi, al fine di consentire la concreta possibilità di fruizione della misura agevolativa di cui trattasi e in considerazione della particolare complessità riguardante la realizzazione dei beni in questione con conseguente allungamento dei tempi necessari per la consegna degli stessi, la proroga del termine entro il quale tali investimenti devono essere effettuati. Il suddetto termine, infatti, viene prorogato dal 30 giugno 2018, inizialmente previsto con il rinvio al comma 8 dello stesso articolo 1, al 31 luglio 2018, lasciando ferma la condizione che gli investimenti in oggetto si riferiscano a ordini accettati dal venditore entro la data del 31 dicembre 2017 e che, entro la medesima data, sia anche avvenuto il pagamento di acconti in misura non inferiore al 20 per cento.

La disposizione riveste i caratteri della necessità ed urgenza risultando funzionale all'immediato ampliamento del meccanismo di operatività dell'iperammortamento, di rilievo centrale nell'ambito delle misure in corso per il rilancio del sistema industriale del Paese.

L'articolo 15 introduce disposizioni a sostegno degli enti locali che intendano conseguire più elevati livelli di coesione sociale, rafforzando il buon andamento, l'imparzialità e l'efficienza della loro azione amministrativa.

L'intervento intende favorire, inoltre, la cultura e la diffusione della legalità e si muove nel solco tracciato dalla normativa in materia di trasparenza amministrativa, il cui obiettivo principale è quello di favorire il controllo diffuso da parte dei cittadini sull'operato delle istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche. Invero, incentivando la partecipazione dei cittadini si prevengono fenomeni di corruzione.

A tale scopo, si prevede che le Prefetture -- Uffici territoriali del Governo forniscano supporto tecnico e amministrativo agli enti locali del territorio di riferimento, che ne facciano richiesta. Tale forma di sostegno, che si affianca all'assistenza che le province offrono agli enti locali, soprattutto in materia di appalti, è offerta nel rispetto delle competenze e responsabilità dei soggetti istituzionali coinvolti (comma 2). Si prevede, inoltre, al comma 3, che la disposizione trovi applicazione in via sperimentale a beneficio degli enti locali delle aree del Mezzogiorno d'Italia per un triennio, al termine del quale verrà effettuato, a cura del Ministero dell'interno, un monitoraggio, i cui risultati saranno oggetto di informativa nell'ambito della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

L'articolo 16, al comma 1, prevede di superare situazioni di degrado sociale e di precarietà igienico-sanitaria, in alcune aree del Mezzogiorno caratterizzate da un'elevata concentrazione di stranieri. Si tratta, in particolare, dei territori situati nella provincia di Foggia (Comune di Manfredonia), di Reggio Calabria (Comune di San Ferdinando) e di Caserta (Comune di Castel Volturno).

La norma, al comma 2, istituisce dei commissari straordinari ad hoc, che adottano un piano di interventi finalizzati al risanamento delle aree e a garantire condizioni di maggiore vivibilità e sicurezza. I commissari straordinari nominati tra i prefetti, anche in quiescenza, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri -- su proposta del Ministro dell'interno -- che ne individua i compiti e la dotazione di mezzi e personale (comma 4), curano la programmazione e la realizzazione degli interventi, assicurando l'esercizio coordinato delle attività degli uffici periferici dello Stato, in sinergia con le attività istituzionali svolte da regioni ed enti locali, finalizzate a favorire l'integrazione nel tessuto sociale locale dei cittadini stranieri regolarmente presenti nel territorio nazionale. Per la realizzazione degli interventi di cui si tratta, il commissario si raccorda con le iniziative promosse dalla cabina di regia della rete del lavoro agricolo di qualità di cui all'articolo 6 del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, nonché dalle sezioni territoriali della medesima rete, tenuto conto che nelle aree interessate sono presenti molti lavoratori stagionali, a cui sono già rivolte le iniziative promosse ai sensi del citato decreto-legge n. 91 del 2014. Per la predisposizione dei servizi di competenza, le regioni e gli enti locali, in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, potranno presentare progetti finanziabili con risorse europee specificamente destinate ad interventi di integrazione dei cittadini stranieri (comma 2 e 3).

Si introduce poi una forma di premialità per gli enti locali impegnati nell'accoglienza e nell'integrazione dei migranti. Si prevede, infatti, il rifinanziamento per l'anno 2018, per l'importo di 150 milioni di euro, del fondo istituito dal decreto-legge del 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, al fine del riconoscimento di un contributo economico dello Stato in favore degli enti locali che prestano accoglienza. Tale contributo è fissato nell'importo massimo di 700 euro per migrante. Ad un decreto del Ministro dell'interno, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è rimessa la ripartizione delle risorse tra i comuni interessati.

Si prevede inoltre il riconoscimento ai comuni impegnati nell'accoglienza della possibilità di assumere personale a tempo determinato tenuto conto che l'accoglienza a livello locale comporta la necessità di predisporre una pluralità di servizi che, in modo diretto o trasversale, coinvolgono diversi settori dell'amministrazione locale, incidendo sull'organizzazione e sul funzionamento complessivo dell'ente, soprattutto per i comuni di minore dimensione demografica.

L'articolo 17 riguarda l'entrata in vigore del decreto, il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Relazione tecnica

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Analisi tecnico-normativa

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DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. È convertito in legge il decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 20 giugno 2017.

Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno

Presidente della Repubblica

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di intensificare gli interventi volti a favorire il superamento del divario economico e sociale delle regioni del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre nuovi strumenti volti a sostenere la crescita economica ed occupazionale delle regioni del Mezzogiorno, anche attraverso l’individuazione di misure incentivanti per i giovani imprenditori, nonché nuovi strumenti di semplificazione volti a velocizzare i procedimenti amministrativi funzionali a favorire la crescita economica nelle regioni del Mezzogiorno e la coesione territoriale;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre nuovi strumenti sperimentali volti a consentire l'efficienza e la trasparenza dell'azione amministrativa in favore degli enti territoriali delle regioni del Mezzogiorno;

Ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di prevedere interventi di sostegno alla formazione, in particolare per le situazioni di disagio sociale, anche attraverso interventi in favore degli enti territoriali, con particolare riguardo a quelli del Mezzogiorno;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 9 giugno 2017;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'economia e delle finanze, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'interno, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per la semplificazione e la pubblica amministrazione, del lavoro e delle politiche sociali, per gli affari regionali, della giustizia e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

emana

il seguente decreto-legge:

Capo I

MISURE DI SOSTEGNO ALLA NASCITA E ALLA CRESCITA DELLE IMPRESE NEL MEZZOGIORNO

Art. 1.

(Misura a favore dei giovani imprenditori
nel Mezzogiorno denominata «Resto al Sud»)

1. Al fine di promuovere la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, da parte di giovani imprenditori, con la delibera CIPE di cui al comma 17 è attivata una misura denominata: «Resto al Sud».

2. La misura è rivolta ai soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni che presentino i seguenti requisiti:

a) siano residenti nelle regioni di cui al comma 1 al momento della presentazione della domanda o vi trasferiscano la residenza entro sessanta giorni dalla comunicazione del positivo esito dell'istruttoria di cui al comma 5;

b) non risultino già beneficiari, nell'ultimo triennio, di ulteriori misure a livello nazionale a favore all'autoimprenditorialità.

3. I soggetti di cui al comma 2 possono presentare istanza di accesso alla misura, corredata da tutta la documentazione relativa al progetto imprenditoriale, attraverso una piattaforma dedicata sul sito istituzionale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa S.p.A. -- Invitalia, che opera come soggetto gestore della misura, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri, amministrazione titolare della misura, con le modalità stabilite da apposita convenzione. Agli oneri derivanti dalla convenzione si provvede nel limite massimo dell'uno per cento delle risorse destinate alla misura ai sensi dei commi 16 e 17.

4. Le pubbliche Amministrazioni di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e le Università, previa comunicazione al soggetto gestore di cui al comma 3, possono fornire, a titolo gratuito, servizi di consulenza e assistenza nelle varie fasi di sviluppo del progetto imprenditoriale, ai soggetti di cui al comma 2. Le associazioni e gli enti del terzo settore di cui all'articolo 1, comma 1 della legge 6 giugno 2016, n. 106, possono svolgere i medesimi servizi di cui al periodo precedente, anche previo accreditamento presso il soggetto gestore di cui al comma 3. Le pubbliche Amministrazioni prestano i servizi di cui al periodo precedente nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri della finanza pubblica.

5. Il soggetto gestore di cui al comma 3 provvede alla relativa istruttoria, valutando anche la sostenibilità tecnico-economica del progetto, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza, ad esclusione dei periodi di tempo necessari alle eventuali integrazioni documentali che possono essere richieste ai proponenti, una sola volta.

6. Le istanze di cui al comma 3 possono essere presentate, fino ad esaurimento delle risorse di cui al comma 16, dai soggetti di cui al comma 2 che siano già costituiti al momento della presentazione o si costituiscano, entro sessanta giorni dalla data di comunicazione del positivo esito dell'istruttoria nelle seguenti forme giuridiche: a) impresa individuale; b) società, ivi incluse le società cooperative. I soggetti beneficiari della misura devono mantenere la residenza nelle regioni di cui al comma 1 per tutta la durata del finanziamento e le imprese e le società di cui al presente comma devono avere, per tutta la durata del finanziamento, sede legale e operativa in una delle regioni di cui al comma 1.

7. Ciascun richiedente riceve un finanziamento fino ad un massimo di 40 mila euro. Nel caso in cui l'istanza sia presentata da più soggetti già costituiti o che intendano costituirsi in forma societaria, ivi incluse le società cooperative, l'importo massimo del finanziamento erogabile è pari a 40 mila euro per ciascun socio, che presenti i requisiti di cui al comma 2, fino ad un ammontare massimo complessivo di 200 mila euro, ai sensi e nei limiti del regolamento (UE) n. 1407/2013 sulla disciplina degli aiuti de minimis.

8. I finanziamenti di cui al presente articolo sono così articolati:

a) 35 per cento come contributo a fondo perduto erogato dal soggetto gestore della misura;

b) 65 per cento sotto forma di prestito a tasso zero, concesso da istituti di credito in base alle modalità definite dalla convenzione di cui al comma 14. Il prestito di cui al periodo precedente è rimborsato entro otto anni complessivi dalla concessione del finanziamento, di cui i primi due anni di pre-ammortamento, e usufruisce del contributo in conto interessi e della garanzia di cui al comma 9.

9. Il prestito di cui alla lettera b) del comma 8 beneficia:

a) di un contributo in conto interessi per la durata del prestito, corrisposto dal soggetto gestore della misura agli istituti di credito che hanno concesso il finanziamento;

b) di una garanzia nella misura stabilita dal decreto di cui al comma 15 per la restituzione dei finanziamenti concessi dagli istituti di credito da parte del soggetto gestore. A tal fine, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, è istituita una sezione specializzata presso il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese (PMI), di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, alla quale è trasferita quota parte delle risorse di cui al comma 16. Il decreto di cui al periodo precedente definisce altresì i criteri e le modalità di accesso alla Sezione specializzata, istituita presso il Fondo centrale di garanzia per le PMI.

10. Sono finanziate le attività imprenditoriali relative a produzione di beni nei settori dell'artigianato e dell'industria, ovvero relativi alla fornitura di servizi. Sono escluse dal finanziamento le attività libero professionali e del commercio ad eccezione della vendita dei beni prodotti nell'attività di impresa.

11. I finanziamenti di cui al comma 8 non possono essere utilizzati per spese relative alla progettazione, alle consulenze e all'erogazione degli emolumenti ai dipendenti delle imprese individuali e delle società, nonché agli organi di gestione e di controllo delle società stesse. Le imprese e le società possono aderire al programma Garanzia Giovani per il reclutamento del personale dipendente.

12. Le società di cui al comma 6, lettera b), possono essere costituite anche da soci che non abbiano i requisiti anagrafici di cui al comma 2, a condizione che la presenza di tali soggetti nella compagine societaria non sia superiore ad un terzo dei componenti e non abbiano rapporti di parentela fino al quarto grado con alcuno degli altri soci. I soci di cui al periodo precedente non possono accedere ai finanziamenti di cui al comma 8.

13. L'erogazione dei finanziamenti di cui al comma 8 è condizionata alla costituzione nelle forme e nei termini di cui al comma 6 e al conferimento in garanzia dei beni aziendali oggetto dell'investimento, ovvero alla prestazione di altra idonea garanzia, al soggetto che eroga il finanziamento. I soggetti beneficiari della misura, di cui al comma 2, sono tenuti ad impiegare il contributo a fondo perduto esclusivamente ai fini dell'attività di impresa. In caso di società di cui al comma 6, lettera b), le quote versate e le azioni sottoscritte dai beneficiari della misura, di cui al comma 2, non sono riscattabili se non dopo la completa restituzione del finanziamento e, in ogni caso, non prima di 5 anni da quando versate e sottoscritte.

14. Le modalità di corresponsione del contributo a fondo perduto e del contributo in conto interessi, nonché i casi e le modalità per l'escussione della garanzia, sono definite con il decreto di cui al comma 15. Le condizioni tipo dei mutui di cui al comma 8, sono definite da apposita convenzione che Invitalia è autorizzata a stipulare con l'Associazione Bancaria Italiana (ADI).

15. Con decreto del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuati i criteri di dettaglio per l'ammissibilità alla misura, le modalità di attuazione della stessa nonché le modalità di accreditamento dei soggetti di cui al comma 4 e le modalità di controllo e monitoraggio della misura incentivante, prevedendo altresì i casi di revoca del beneficio e di recupero delle somme.

16. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 141, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per l'attuazione del presente articolo saranno destinate le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione – programmazione 2014-2020, di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni, per un importo complessivo fino a 1.250 milioni di euro, previa rimodulazione delle assegnazioni già disposte con apposita delibera del CIPE, nonché eventuale riprogrammazione delle annualità del Fondo per lo sviluppo e la coesione ai sensi dell'articolo 23, comma 3, lettera b) della legge 31 dicembre 2009, n. 196, da ripartire in importi annuali massimi fino a: 36 milioni di euro per l'anno 2017; 280 milioni di euro per l'anno 2018; 462 milioni di euro per l'anno 2019; 308,5 milioni di euro per l'anno 2020; 92 milioni di euro per l'anno 2021; 22,5 milioni di euro per l'anno 2022; 18 milioni di euro per l’anno 2023; 14 milioni di euro per l'anno 2024; 17 milioni di euro per l'anno 2025. Le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione di cui al presente comma sono imputate alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni di cui al comma 1.

17. Il CIPE con apposita delibera assegna, a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione -- programmazione 2014-2020, le risorse per l'attuazione della misura nei limiti di quanto indicato al comma 16, individuando la ripartizione in annualità e gli importi da assegnare distintamente al contributo a fondo perduto di cui al comma 8, lettera a) al contributo in conto interessi di cui al comma 9 lettera a) e al finanziamento della sezione specializzata del Fondo centrale di garanzia di cui al comma 9 lettera b). Le risorse destinate alle misure di cui al comma 8, lettera a) ed al comma 9, lettera a) sono accreditate su un apposito conto corrente infruttifero intestato ad Invitalia, aperto presso la Tesoreria centrale dello Stato. La gestione realizzata da Invitalia ha natura di gestione fuori bilancio, assoggettata al controllo della Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041. Alla rendicontazione provvede il soggetto gestore della misura.

Art. 2.

(Misure e interventi finanziari a favore dell'imprenditoria giovanile in agricoltura e di promozione delle filiere del Mezzogiorno)

1. Al fine di estendere la misura Resto al Sud alle imprese agricole, all'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, ai medesimi soggetti può essere concesso, in alternativa ai mutui agevolati di cui al periodo precedente, un contributo a fondo perduto fino al 35 per cento della spesa ammissibile nonché mutui agevolati, a un tasso pari a zero, di importo non superiore al 60 per cento della spesa ammissibile.».

2. Per le agevolazioni in favore delle imprese agricole ubicate nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia di cui al comma 1 sono destinate risorse pari a 5 milioni di euro nel 2017 ed a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per lo sviluppo e la coesione -- programmazione 2014-2020 di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.

3. All'articolo 2 della legge 28 ottobre 1999, n. 410, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: «2-bis. Le attività di cui ai commi 1 e 2 possono essere svolte dai consorzi agrari anche mediante la partecipazione a società di capitali in cui i consorzi dispongano della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria. Le attività esercitate dalle predette società partecipate a favore dei soci dei consorzi agrari che ne detengono la partecipazione hanno natura mutualistica ad ogni effetto di legge.».

Art. 3.

(Banca delle terre abbandonate o incolte e misure per la valorizzazione dei beni non utilizzati)

1. Per rafforzare le opportunità occupazionali e di reddito dei giovani, nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, è individuata in via sperimentale la seguente procedura di valorizzazione di terreni abbandonati o incolti e di beni immobili in stato di abbandono ai sensi del comma 2.

2. Ai fini dell'individuazione delle aree di cui al comma 1, si considerano abbandonati o incolti:

a) i terreni agricoli sui quali non sia stata esercitata l'attività agricola minima da almeno dieci anni, in base ai principi e alle definizioni di cui al regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 e alle disposizioni nazionali di attuazione;

b) i terreni oggetto di rimboschimento artificiale o in cui sono insediate formazioni arbustive ed arboree, ad esclusione di quelli considerati bosco ai sensi delle leggi in materia, nei quali non siano stati attuati interventi di sfollo o diradamento negli ultimi quindici anni;

c) le aree edificate ad uso industriale, artigianale, commerciale, turistico-ricettivo, che risultino in stato di abbandono da almeno quindici anni.

3. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, i comuni delle regioni di cui al comma 1 provvedono, nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ad una ricognizione complessiva dei beni immobili, di cui sono titolari, che rientrano nella definizione di cui al comma 2, con particolare riguardo ai terreni agricoli. L'elenco dei beni di cui al precedente periodo è aggiornato con cadenza annuale.

4. I comuni pubblicano sul proprio sito istituzionale l'elenco dei beni oggetto di ricognizione di cui al comma 3.

5. I beni di cui al comma 3 possono essere dati in concessione, per un periodo non superiore a nove anni rinnovabile una sola volta, ai soggetti che, al momento della presentazione della domanda, risultino avere un'età compresa tra i 18 e i 40 anni, previa presentazione di un progetto volto alla valorizzazione e all'utilizzo del bene. A tal fine il comune, pubblica periodicamente sul proprio sito istituzionale uno o più bandi per l'assegnazione dei beni di cui al comma 3. Il termine per la presentazione delle domande non può essere inferiore, per ciascun bando, a centoventi giorni dalla pubblicazione dello stesso. I comuni assicurano una imparziale valutazione dei progetti, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di evidenza pubblica, redigendo una graduatoria. I comuni introducono criteri di valutazione dei progetti che assicurino priorità ai progetti di riuso di immobili dismessi con esclusione di consumo di ulteriore suolo non edificato, nonché elevati standard di qualità architettonica e paesaggistica.

6. La formale assegnazione è effettuata entro e non oltre sessanta giorni dall'approvazione della graduatoria di cui al comma 5. Con il provvedimento di cui al periodo precedente:

a) l'immobile viene consegnato al beneficiario, con l'immissione in uso;

b) il beneficiario assume l'obbligo di eseguirvi le attività quali risultanti dal progetto presentato. Tra le suddette attività rientrano quelle agricole, artigianali, commerciali e turistico-ricettive;

c) il beneficiario assume la detenzione del bene e ha facoltà di godere e di trasformare materialmente il bene medesimo in conformità al progetto.

7. Nel caso di beni immobili privati che rientrano nella definizione di cui al comma 2, i soggetti che, al momento della presentazione della domanda, risultino avere un'età compresa tra i 18 e i 40 anni manifestano al comune l'interesse ad utilizzare i beni suddetti. A tal fine, i soggetti di cui al periodo precedente presentano al comune un progetto di valorizzazione del bene o dei beni che intendono utilizzare indicando, mediante apposito certificato redatto da un notaio:

a) i dati di identificazione catastale;

b) il proprietario del fondo, sulla base delle risultanze dei registri immobiliari;

c) coloro i quali abbiano eventualmente acquisito diritti sul bene in virtù di atti soggetti a trascrizione;

d) l'inesistenza nei registri immobiliari di trascrizioni o iscrizioni pregiudizievoli, nell'ultimo ventennio.

8. Il comune, valutato positivamente il progetto di valorizzazione del bene di cui al comma 7, pubblica, in una apposita sezione del proprio sito istituzionale, il progetto ricevuto e invia mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, o attraverso posta certificata, una comunicazione all'avente diritto sulla base delle risultanze del certificato notarile di cui al comma 7, ovvero sulla base di ulteriore, idonea, documentazione, informandolo del progetto presentato e delle condizioni economiche determinate in sede di perizia di cui al comma 14. Alla comunicazione è allegata la proposta irrevocabile del contratto di affitto sottoscritta dal soggetto di cui al comma 7.

9. Entro centottanta giorni dall'avvenuta comunicazione di cui al comma 8, il comune, su istanza del presentatore del progetto, qualora l'avente diritto sul bene abbia manifestato il proprio consenso al contratto di affitto nelle forme dell'atto pubblico, della scrittura privata autenticata, ovvero dell'atto firmato digitalmente a norma dell'articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, adotta gli atti di competenza idonei a consentire l'esecuzione del progetto per un periodo di durata pari a quello del contratto di affitto.

10. È fatto assoluto divieto al beneficiario di cedere a terzi in tutto o in parte il terreno e i diritti conseguiti con l'assegnazione e di costituirvi diritti a favore di terzi, nonché di alienare, affittare, concedere in comodato o di effettuare qualunque altra forma di trasferimento a terzi dell'azienda organizzata per l'esecuzione delle attività in oggetto. Gli atti posti in essere in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli.

11. È ammessa, successivamente alla realizzazione delle condizioni di cui ai commi 6 e 9, la costituzione da parte dell'interessato di società agricole, di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, di società artigiane, di cui alla legge 8 agosto 1985 n. 443 e successive modificazioni, nelle quali l'assegnatario abbia la maggioranza del capitale e il potere di amministrare la società con la connessa rappresentanza legale; sono altresì ammesse le imprese familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile.

12. Il contratto di affitto è trascritto nei registri immobiliari ai sensi dell'articolo 2645-quater del codice civile. La trascrizione del contratto costituisce causa di interruzione dell'usucapione.

13. Nel caso in cui l'assegnazione o il progetto di cui al comma 7 abbiano ad oggetto l'esecuzione sui beni, di cui ai commi precedenti, di attività terziarie di carattere non profit o artigianali, il comune adotta le connesse modificazioni in variante degli strumenti urbanistici vigenti entro centottanta giorni dall'assegnazione del bene; nelle more dell'approvazione definitiva delle suddette modificazioni, gli atti di assegnazione possono essere egualmente stipulati, la consegna effettuata e le attività di trasformazione iniziate.

14. Il beneficiario è tenuto a corrispondere al comune un canone d'uso indicizzato, determinato dal comune stesso sulla base di una apposita perizia tecnica di stima del bene, il cui costo è a carico del beneficiario, a decorrere dal momento dell'assegnazione. Nel caso in cui il comune non sia titolare del bene oggetto di affitto, il canone è versato all'avente diritto e il costo della perizia tecnica è a carico del proponente.

15. L'avente diritto al quale il bene sia stato restituito alla scadenza del periodo contrattuale, il quale, nei cinque anni successivi alla restituzione, voglia trasferire il bene a titolo oneroso, deve notificare la proposta di trasferimento, indicandone il prezzo all'assegnatario, il quale ha diritto di prelazione. Tale diritto deve essere esercitato, con atto notificato nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, offrendo condizioni uguali a quelle comunicate. In mancanza della notificazione di cui al primo periodo del presente comma, ovvero qualora il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, colui che ha diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa. Ai rapporti instaurati tra i privati si applicano le disposizioni del codice civile in materia di affitto. La difformità dell'attività svolta rispetto al progetto di valorizzazione costituisce causa di risoluzione del contratto di affitto relativo ai beni privati, fermo restando il potere di revoca da parte del comune degli eventuali atti adottati.

16. I comuni trasmettono alle regioni l'elenco dei beni censiti ed assegnati, anche ai fini dell'inserimento nella Banca delle terre agricole di cui all'articolo 16 della legge 28 luglio 2016, n. 154.

17. I proponenti dei progetti di cui ai commi precedenti per lo svolgimento di attività artigianali, commerciali e turistico-ricettive possono usufruire della misura incentivante denominata «Resto al Sud» di cui all'articolo l e per le attività agricole delle misure incentivanti di cui all'articolo 2.

Capo II

ZONE ECONOMICHE SPECIALI -- ZES

Art. 4.

(Istituzione di zone economiche
speciali -- ZES)

1. Al fine di favorire la creazione di condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo, in alcune aree del Paese, delle imprese già operanti, nonché l'insediamento di nuove imprese in dette aree, sono disciplinate le procedure, le condizioni e le modalità per l'istituzione di una Zona economica speciale, di seguito denominata «ZES».

2. Per ZES si intende una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un'area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento (UE) n. 1315 dell’11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Per l'esercizio di attività economiche e imprenditoriali le aziende già operative e quelle che si insedieranno nella ZES possono beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa.

3. Le modalità per l'istituzione di una ZES, la sua durata, i relativi criteri che ne disciplinano l'accesso e le condizioni speciali di cui all'articolo 5 sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

4. Le proposte di istituzione di una ZES possono essere presentate dalle regioni meno sviluppate e in transizione così come individuate dalla normativa europea, ammissibili alle deroghe previste dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

5. Ciascuna ZES è istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se nominato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su proposta delle regioni interessate. La proposta è corredata da un piano di sviluppo strategico, nel rispetto delle modalità e dei criteri individuati dal decreto di cui al comma 3.

6. La regione formula la proposta di istituzione della ZES, specificando le caratteristiche dell'area identificata. Il soggetto per l'amministrazione dell'area ZES, di seguito soggetto per l'amministrazione, è identificato in un Comitato di indirizzo composto dal Presidente dell'Autorità portuale, che lo presiede, da un rappresentante della regione, da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri e da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Ai membri del Comitato non spetta alcun compenso, indennità di carica, corresponsione di gettoni di presenza o rimborsi per spese di missione. Il Comitato di indirizzo si avvale del Segretario generale dell'Autorità portuale per l'esercizio delle funzioni amministrative gestionali di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri di funzionamento del Comitato si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

7. Il soggetto per l'amministrazione deve assicurare, in particolare:

a) gli strumenti che garantiscano la piena operatività delle aziende presenti nella ZES;

b) l'utilizzo di servizi sia economici che tecnologici nell'ambito ZES;

c) l'accesso alle prestazioni di servizi da parte di terzi. Il Segretario generale dell'Autorità portuale può stipulare, previa autorizzazione del Comitato di indirizzo, accordi o convenzioni quadro con banche ed intermediari finanziari.

8. Le imprese già operative nella ZES e quelle che si insedieranno nell'area, sono tenute al rispetto della normativa nazionale ed europea, nonché delle prescrizioni adottate per il funzionamento della stessa ZES.

Art. 5.

(Benefici fiscali e semplificazioni)

1. Le nuove imprese e quelle già esistenti, che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti di natura incrementale nella ZES, possono usufruire delle seguenti tipologie di agevolazioni:

a) procedure semplificate, individuate anche a mezzo di protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali interessate, e regimi procedimentali speciali, recanti accelerazione dei termini procedimentali ed adempimenti semplificati rispetto a procedure e regimi previsti dalla normativa regolamentare ordinariamente applicabile, sulla base di criteri derogatori e modalità individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, se nominato, previa delibera del Consiglio dei ministri;

b) accesso alle infrastrutture esistenti e previste nel Piano di sviluppo strategico della ZES di cui all'articolo 4, comma 5, alle condizioni definite dal soggetto per l'amministrazione, ai sensi della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e successive modificazioni e integrazioni, nel rispetto della normativa europea e delle norme vigenti in materia di sicurezza, nonché delle disposizioni vigenti in materia di semplificazione previste dagli articoli 18 e 20 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169.

2. In relazione agli investimenti effettuati nelle ZES, il credito d'imposta di cui all'articolo 1, commi 98 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015 n. 208, è commisurato alla quota del costo complessivo dei beni acquisiti entro il 31 dicembre 2020 nel limite massimo, per ciascun progetto di investimento, di 50 milioni di euro. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al medesimo articolo 1, commi 98 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

3. Il riconoscimento delle tipologie di agevolazione di cui ai commi 1 e 2 è soggetto al rispetto delle seguenti condizioni:

a) le imprese beneficiarie devono mantenere la loro attività nell'area ZES per almeno cinque anni dopo il completamento dell'investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti;

b) le imprese beneficiarie non devono essere in stato di liquidazione o di scioglimento.

4. L'agevolazione di cui al comma 2 è concessa nel rispetto di tutte le condizioni previste dal Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014, e in particolare di quanto disposto dall'articolo 14; agli adempimenti di cui all'articolo 11 del medesimo Regolamento provvede il Presidente del Consiglio dei ministri, o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno.

5. Agli oneri derivanti dai commi 2, 3 e 4 valutati in 25 milioni di euro nel 2018; 31,25 milioni di euro nel 2019 e 150,2 milioni di euro nel 2020 si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione programmazione 2014-2020 di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147. Le risorse di cui al periodo precedente sono imputate alla quota delle risorse destinata a sostenere interventi nelle regioni di cui all'articolo 4, comma 4.

6. L'Agenzia per la coesione territoriale assicura, con cadenza almeno semestrale, il monitoraggio degli interventi e degli incentivi concessi, riferendo al Presidente del Consiglio dei ministri, o al Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, sull'andamento delle attività e sull'efficacia delle misure di incentivazione concesse, avvalendosi di un piano di monitoraggio concordato con il soggetto per l'amministrazione di cui all'articolo 4, comma 6, sulla base di indicatori di avanzamento fisico, finanziario e procedurale definiti con il decreto di cui all'articolo 4, comma 3.

Capo III

SEMPLIFICAZIONI

Art. 6.

(Disposizioni di semplificazione per la
valorizzazione dei Patti per lo sviluppo)

1. Al fine di accelerare la realizzazione degli interventi previsti nell'ambito dei Patti per lo sviluppo, il rimborso delle spese effettivamente sostenute a valere sulle risorse FSC 2014-2020 assegnate ai Patti per lo sviluppo è disposto sulla base di apposite richieste di pagamento presentate dalle amministrazioni titolari degli interventi e corredate dell'autocertificazione del rappresentante legale dell'amministrazione stessa ai sensi degli articoli 47 e 48 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante il costo dell'intervento effettivamente realizzato e la regolarità delle spese. Le richieste di pagamento di cui al presente comma sono inviate dall'Organismo di certificazione delle amministrazioni titolari degli interventi alla Presidenza del Consiglio dei ministri -- Dipartimento per le politiche di coesione che le inoltra al Ministero dell'economia e delle finanze -- Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ai fini del pagamento che avviene con le seguenti modalità: il 50 per cento del costo realizzato risultante nella richiesta di pagamento all'atto del ricevimento della stessa e il restante 50 per cento del costo realizzato, entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta, previa attestazione da parte dell'Agenzia per la coesione territoriale della coerenza dell'importo richiesto con i dati relativi all'avanzamento della spesa inseriti e validati nella Banca dati unitaria degli interventi della politica regionale.

2. Per ogni intervento previsto dai Patti per lo sviluppo, ciascun Comitato di indirizzo e controllo per la gestione del Patto individua l'amministrazione che indice, ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, la Conferenza di servizi decisoria finalizzata ad acquisire tutti i pareri, le intese, i concerti, i nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, necessari per la realizzazione del singolo intervento.

Art. 7.

(Valorizzazione dei Contratti istituzionali di sviluppo -- CIS)

1. Al fine di sostenere la coesione territoriale, lo sviluppo e la crescita economica del Paese ed accelerare l'attuazione di interventi di notevole complessità, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente connessi, che richiedano un approccio integrato e l'impiego di fondi strutturali di investimento europei e di fondi nazionali inseriti in piani e programmi operativi finanziati a valere sulle risorse nazionali e europee, anche in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36 «Investimenti territoriali integrati», regolamento (UE) n. 1303/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, anche ai sensi di quanto previsto dalla lettera g), del comma 703, dell'articolo 1, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e della lettera f-ter), del comma 2, dell'articolo 10, del decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, individua gli interventi per i quali si procede alla sottoscrizione di appositi Contratti istituzionali di sviluppo (CIS), su richiesta delle amministrazioni interessate.

Art. 8.

(Disposizioni di semplificazione in materia
di amministrazione straordinaria)

1. Nel caso siano destinatarie di domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento, ovvero di dichiarazione di avvalersi di clausola risolutiva espressa del contratto di cessione dei complessi aziendali acquisiti da società sottoposte alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, le società cessionarie di tali complessi aziendali sono ammesse all'amministrazione straordinaria di cui al suddetto decreto-legge, anche su istanza del commissario straordinario della società cedente, indipendentemente dal possesso dei requisiti previsti alle lettere a) e b) dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004 n. 39, fermi gli altri presupposti previsti dalle norme vigenti.

Art. 9.

(Misure urgenti ambientali in materia
di classificazione dei rifiuti)

1. I numeri da 1 a 7 della parte premessa all'introduzione dell'allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono sostituiti dal seguente: «1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel Regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014».

Capo IV

ULTERIORI INTERVENTI PER IL MEZZOGIORNO
E PER LA COESIONE TERRITORIALE

Art. 10.

(Ulteriori misure in favore dell'occupazione nel Mezzogiorno)

1. Allo scopo di facilitare la ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), istituita ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 settembre 2014, n. 150, realizza, in raccordo con le regioni interessate nonché con i fondi interprofessionali per la formazione continua di cui all'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, programmi per la riqualificazione e la ricollocazione di lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendale o settoriale. A tal fine è autorizzata la spesa di 15 milioni di euro per l'anno 2017 e 25 milioni di euro per l'anno 2018 a favore dell'ANPAL. Al relativo onere si provvede:

a) quanto a 15 milioni di euro per l'anno 2017 e 25 milioni di euro per l'anno 2018, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato, da effettuare nei medesimi anni, di quota dei corrispondenti importi delle disponibilità in conto residui del Fondo Sociale per Occupazione e Formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;

b) quanto a 15 milioni di euro per l'anno 2017 e 25 milioni di euro per l'anno 2018, ai fini della compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, mediante corrispondente riduzione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente, conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189.

Art. 11.

(Interventi urgenti per il contrasto della povertà educativa minorile
e della dispersione scolastica nel Mezzogiorno)

1. Al fine di realizzare specifici interventi educativi urgenti nelle regioni del Mezzogiorno volti al contrasto della povertà educativa minorile e della dispersione scolastica, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con i Ministri dell'interno e della giustizia, sono individuate le aree di esclusione sociale, caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata.

2. Entro trenta giorni dall'adozione del decreto, di cui al comma 1, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca indice una procedura selettiva per la presentazione di progetti recanti la realizzazione di interventi educativi di durata biennale, volti al contrasto del rischio di fallimento formativo precoce e di povertà educativa, nonché per la prevenzione delle situazioni di fragilità nei confronti della capacità attrattiva della criminalità.

3. Possono partecipare alla procedura di cui al comma 2 le reti di istituzioni scolastiche presenti nelle aree individuate con il decreto di cui al comma 1, che abbiano attivato, per la realizzazione degli interventi educativi di durata biennale, partenariati con enti locali, soggetti del terzo settore, strutture territoriali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate e degli enti di promozione sportiva o servizi educativi pubblici per l'infanzia, operanti nel territorio interessato.

4. La procedura di cui al comma 2 è finanziata nell'ambito delle risorse del Programma operativo nazionale «Per la scuola -- competenze e ambienti per l'apprendimento», riferito al periodo di programmazione 2014/2020, di cui alla decisione della Commissione europea C(2014) 9952 del 17 dicembre 2014, in coerenza con quanto previsto dalla stessa programmazione.

Art. 12.

(Costo standard per studente)

1. Per costo standard per studente delle università statali si intende il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale dei corsi di studio, tenuto conto della tipologia di corso, delle dimensioni dell'ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università. In attuazione di quanto disposto dall'articolo 5, comma 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, il costo standard per studente costituisce parametro di riferimento per la ripartizione annuale di una percentuale del fondo di finanziamento ordinario (FFO) secondo quanto indicato nel presente articolo.

2. La determinazione e l'eventuale aggiornamento del modello di calcolo del costo standard di ateneo sono definiti sulla base dei seguenti criteri e relativi indici di costo:

a) criterio del costo del personale docente: si utilizzano come indici di costo gli standard di docenza previsti per l'accreditamento iniziale dei corsi di studio e come costo medio di riferimento, cui parametrare la dotazione standard di docenza, il costo caratteristico di ateneo del professore di I fascia. Nella determinazione della dotazione di docenza si utilizza come numero standard di studenti nelle classi delle aree medico-sanitaria, scientifico tecnologica e umanistico sociale il valore compreso nell'intervallo tra il 60 per cento e il 100 per cento del numero di riferimento previsto in sede di accreditamento, in modo da tenere conto dei costi fissi della docenza necessaria per l'accreditamento;

b) criterio del costo della docenza a contratto: è riferito al monte ore di didattica integrativa aggiuntiva stabilito in misura pari al 30 per cento del monte ore di didattica standard della docenza di cui alla lettera a), parametrato al valore medio di 120 ore per i professori e 60 ore per i ricercatori;

c) criterio del costo del personale tecnico amministrativo: si attribuisce una dotazione standard pari ad una unità di personale per ogni docente come risultante dal criterio di cui alla lettera a) e, in aggiunta, un numero di figure di supporto tecnico parametrato a quelle eventualmente richieste in sede di accreditamento dei corsi di studio e un numero di collaboratori ed esperti linguistici pari a quelli in servizio presso l'ateneo;

d) criterio dei costi di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari: il costo è stimato sulla base degli oneri medi rilevati dai bilanci degli atenei, tenendo altresì conto dei costi fissi della sede universitaria non dipendenti dalla numerosità degli iscritti.

3. Al fine di tenere conto dei differenti contesti in cui ogni università si trova ad operare, al costo standard di ateneo di cui al comma 2 può essere aggiunto un importo di natura perequativa parametrato fino ad un massimo del 10 per cento rispetto al costo standard medio nazionale, in base alla diversa capacità contributiva degli studenti iscritti all'università, determinata tenendo conto del reddito medio familiare della ripartizione territoriale ove ha sede l'ateneo.

4. Al fine di assicurare la continuità e l'integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali sono confermate le assegnazioni già disposte per gli anni 2014, 2015 e 2016 a valere sul fondo di finanziamento ordinario che, in relazione al costo standard per studente, sono state attribuite in coerenza con quanto definito ai commi 2 e 3 per l'ammontare già indicato nei decreti ministeriali di attribuzione del FFO.

5. Per l'anno 2017 la quota del FFO ripartita in base al criterio del costo standard per studente è fissata con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca relativo ai criteri di riparto del fondo di finanziamento ordinario entro l'intervallo compreso tra il 19 per cento e il 22 per cento del relativo stanziamento, al netto degli interventi con vincolo di destinazione. Al fine di assicurare il tempestivo riparto dei finanziamenti sono utilizzati gli stessi importi del costo standard e i dati sugli studenti utilizzati per il riparto del FFO dell'anno 2016.

6. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, acquisti i pareri di CRUI e ANVUR, si provvede alla rideterminazione del modello di calcolo del costo standard per studente sulla base dei criteri e relativi indici di costo di cui al comma 2, integrati di un ulteriore importo di natura perequativa, in aggiunta a quello di cui al comma 3, che tenga conto della diversa accessibilità di ogni università in funzione della rete dei trasporti e dei collegamenti. Tale ulteriore importo è parametrato rispetto al costo standard medio nazionale, fino ad un massimo del 10 per cento.

7. Il decreto di cui al comma 6 ha validità triennale e trova applicazione a decorrere dall'anno 2018 ai fini della ripartizione di una percentuale del FFO, al netto degli interventi con vincolo di destinazione, non inferiore a quella del comma 5, incrementata tra il 2 per cento e il 5 per cento all'anno, in modo da sostituire gradualmente la quota di finanziamento determinata sulla base del trasferimento storico e fino ad un massimo del 70 per cento.

8. Ai fini di cui al comma 7, il costo standard per studente di ateneo è moltiplicato per il numero di studenti regolarmente iscritti entro la durata normale del corso di studi.

Art. 13.

(Disposizioni in materia di risanamento ambientale da parte
dell'Amministrazione straordinaria ILVA)

1. Ai fini dell'attuazione delle misure previste dall'articolo 1, comma 6-undecies del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13, fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 1 del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, qualora la confisca abbia ad oggetto le obbligazioni di cui alla predetta disposizione, ferma la destinazione delle somme rivenienti dalla sottoscrizione delle obbligazioni per le finalità di cui al penultimo periodo del predetto articolo 3, comma 1 del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, il finanziamento di cui all'articolo 1, comma 6-bis, del decreto-legge n. 191 del 2015 è estinto mediante utilizzo delle risorse finanziarie derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni. I crediti derivanti dalla sottoscrizione delle suddette obbligazioni sono estinti fino a concorrenza dell'ammontare delle spese e dei costi sostenuti, a valere sul patrimonio destinato dell'emittente costituito ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, per l'attuazione e la realizzazione di interventi di risanamento e bonifica ambientale, compresi gli interventi già autorizzati a valere sui finanziamenti statali di cui all'articolo 1, comma 6-bis del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13.

Art. 14.

(Proroga dei termini per l'effettuazione degli investimenti di cui
all'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232)

1. All'articolo 1, comma 9, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) le parole: «, effettuati nel periodo indicato al comma 8,» sono soppresse;

b) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «La disposizione di cui al presente comma si applica agli investimenti effettuati entro il 31 dicembre 2017, ovvero entro il 31 luglio 2018, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2017 il relativo ordine risulti accettato dal venditore e sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20 per cento del costo di acquisizione».

2. La dotazione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307, è incrementata di 4 milioni di euro per l'anno 2024 e 6 milioni di euro per l'anno 2025.

3. Ai maggiori oneri derivanti dal presente articolo, valutati in 15 milioni di euro per l’anno 2019, in 24 milioni di euro per l'anno 2020, in 17 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, e in 2 milioni di euro per l'anno 2024 e pari a 4 milioni di euro per l'anno 2024 e a 6 milioni di euro per l'anno 2025, si provvede:

a) quanto a 6 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze per 4,820 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024, e l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico per 1,180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2019 al 2024;

b) quanto a 8 milioni di euro per l'anno 2019, a 18 milioni di euro per l'anno 2020 e a 11 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;

c) quanto a 1 milione di euro per l'anno 2019, mediante corrispondente utilizzo del fondo di parte corrente iscritto nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico ai sensi dell'articolo 49, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;

d) quanto a 6 milioni di euro per l'anno 2025, mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal comma 1 del presente articolo.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 15.

(Assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali nelle regioni
del Mezzogiorno)

1. Nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, le Prefetture -- Uffici territoriali del Governo, a richiesta degli enti locali del territorio di riferimento, forniscono agli stessi supporto tecnico e amministrativo al fine di migliorare la qualità dell'azione amministrativa, rafforzare il buon andamento, l'imparzialità e l'efficienza della loro azione amministrativa, nonché per favorire la diffusione di buone prassi, atte a conseguire più elevati livelli di coesione sociale ed a migliorare i servizi ad essi affidati.

2. Le forme di supporto di cui al comma 1, che si affiancano a quelle di assistenza e sostegno di cui all'articolo 1, commi 85, lett. d), e 88, della legge 7 aprile 2014, n. 56, sono esercitate nel rispetto delle competenze e responsabilità dei soggetti coinvolti, avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in via sperimentale, per tre anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a beneficio degli enti locali situati nelle regioni di cui al comma 1. A conclusione di tale periodo, il Ministero dell'interno effettua un monitoraggio sugli esiti della sperimentazione, i cui risultati sono oggetto di informativa nell'ambito della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Art. 16.

(Misure urgenti per affrontare situazioni di marginalità sociale)

1. Al fine di superare situazioni di particolare degrado nelle aree dei Comuni, Manfredonia in Provincia di Foggia, San Ferdinando in Provincia di Reggio Calabria e Castel Volturno in Provincia di Caserta, caratterizzate da una massiva concentrazione di cittadini stranieri, possono essere istituiti, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, uno o più commissari straordinari del Governo, nominati tra i prefetti, anche in quiescenza, per lo svolgimento dei compiti di cui ai commi 2 e 3. Ai commissari non spettano compensi, gettoni di presenza o altri emolumenti comunque denominati. Gli eventuali rimborsi spese sono posti a carico dei bilanci delle amministrazioni competenti.

2. Ferme restando le competenze del Ministero dell'interno, i commissari straordinari di cui al comma 1 adottano, d'intesa con il medesimo Ministero e con il Prefetto competente per territorio, un piano di interventi per il risanamento delle aree interessate e ne coordinano la realizzazione, curando, a tal fine, il raccordo tra gli uffici periferici delle amministrazioni statali, in collaborazione con le regioni e gli enti locali interessati, anche al fine di favorire la graduale integrazione dei cittadini stranieri regolarmente presenti nei territori interessati agevolando l'accesso ai servizi sociali e sanitari nonché alle misure di integrazione previste sul territorio, compreso l'inserimento scolastico dei minori. Per la realizzazione degli interventi di cui al presente comma, il commissario si raccorda anche con le iniziative promosse dalla cabina di regia della rete del lavoro agricolo di qualità, di cui all'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, e successive modificazioni, nonché dalle sezioni territoriali della medesima rete. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, sono individuate, nell'ambito delle risorse disponibili nei bilanci delle amministrazioni interessate, le dotazioni di mezzi e personale a supporto dei commissari straordinari.

3. L'attuazione dei commi 1 e 2 è effettuata nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente nei bilanci delle amministrazioni competenti. Per l'erogazione dei servizi di cui al comma 2, le regioni e gli enti locali interessati possono altresì predisporre, anche in collaborazione con le organizzazioni del terzo settore, appositi progetti da finanziare con risorse europee.

4. Quale concorso dello Stato agli oneri che sostengono i comuni per i servizi e le attività strettamente funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti, è autorizzata la spesa di 150 milioni di euro per l'anno 2018. A tal fine, la dotazione del fondo di cui al comma 2 dell'articolo 12 del decreto-legge del 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2016, n. 225, è incrementata di 150 milioni di euro per l’anno 2018. Con decreto del Ministro dell'interno, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono definite le modalità di ripartizione delle risorse di cui al presente comma tra i comuni interessati, nel limite massimo di 700 euro per ogni richiedente protezione accolto nei centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e di 500 euro per ognuno di quelli ospitati nelle altre strutture e comunque nei limiti della disponibilità del fondo. Il Ministero dell'interno, sulla base di uno specifico monitoraggio trimestrale, comunica il contributo spettante a ciascun comune entro il 30 novembre 2017. Agli oneri di cui al presente comma, pari a 150 milioni di euro per l'anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

5. Negli anni 2018 e 2019, i comuni di cui al comma 4 possono innalzare del 10 per cento, a valere sulle risorse disponibili nei rispettivi bilanci, il limite di spesa di cui all'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con riferimento ai rapporti di lavoro flessibile esclusivamente finalizzati a garantire i servizi e le attività strettamente funzionali all'accoglienza e all'integrazione dei migranti. Le risorse corrispondenti alla spesa di cui al presente comma non concorrono all'ammontare delle risorse previste per i contratti di lavoro flessibile utilizzabili per le procedure di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75.

Art. 17.

(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. É fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 20 giugno 2017.

MATTARELLA

Gentiloni Silveri -- De Vincenti – Calenda – Delrio –
Padoan – Martina – Minniti – Fedeli – Madia –
Poletti – Costa – Orlando – Galletti

Visto, il Guardasigilli: Orlando