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Atto a cui si riferisce:
C.1/01650    premesso che:     in base al dettato costituzionale le province sono enti essenziali dello Stato, «titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con...



Atto Camera

Mozione 1-01650presentato daRAMPELLI Fabiotesto diGiovedì 22 giugno 2017, seduta n. 819

   La Camera,
   premesso che:
    in base al dettato costituzionale le province sono enti essenziali dello Stato, «titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», e dotate di autonomia finanziaria di entrata e di spesa al fine di consentire alle stesse «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»;
    in base al Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000. n. 267, alla provincia spettavano le funzioni, amministrative che riguardavano vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori: la difesa, del suolo, la tutela e valorizzazione dell'ambiente e la prevenzione delle calamità; la tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; la valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; la protezione della flora e della fauna; la caccia e la pesca nelle acque interne; la gestione dei rifiuti e dell'inquinamento; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica; compiti connessi all'istruzione, compresa l'edilizia scolastica;
    nel 2014, con l'approvazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta legge Delrio, è stata operata una profonda riforma dell'assetto istituzionale delle province, che sono state trasformate in enti amministrativi di secondo livello, con elezione dei propri organi a suffragio ristretto, sono state ridotte le funzioni ad esse spettanti e, infine, è stata prevista la trasformazione di dieci province in città metropolitane;
    in particolare, la legge ha abolito la giunta provinciale, redistribuendo le deleghe di governo all'interno del consiglio provinciale, molto ridimensionato nel numero dei suoi membri, e ha previsto che un nuovo organo, assemblea dei sindaci, assuma il compito di deliberare il bilancio ed eventuali modifiche statutarie;
    delle funzioni rimaste in capo alle province dopo l'intervento del 2014 alcune sono essenziali per garantire l'erogazione dei servizi ai cittadini; tra queste figurano, in primissimo luogo, la cognizione e gestione delle strade provinciali, il trasporto pubblico e privato, la programmazione provinciale della rete scolastica, la gestione dell'edilizia scolastica, la polizia provinciale;
    la «legge Delrio», quindi, non ha affatto previsto una cancellazione delle province, che sarebbe dovuta avvenire in una fase successiva con il varo definitivo della legge di revisione costituzionale, e, di fatto, mai, realizzata a causa della «bocciatura» del relativo referendum popolare, ma è intervenuta in modo confuso su un riordino delle loro competenze, creando una situazione molto può caotica di quella preesistente, con risparmi illusori, che prevede un processo di attuazione decisamente lungo e complesso, e che ha privato i cittadini della libertà di scegliere da chi desiderano essere amministrati;
    l'errore di intervenire «a valle» e non «a monte» sull'assetto istituzionale dello Stato, vale a dire con una legge ordinaria invece di una legge di rango costituzionale, e i rischi che ne derivavano erano già emersi durante l'esame della «legge Delrio» in Parlamento, quando autorevoli giuristi e professori di diritto costituzionale avevano ribadito come non fosse possibile con legge ordinaria sformare gli organi di Governo da direttamente a indirettamente elettivi, e avevano sottolineato l'esigenza di procedere, invece, ad una «riforma razionale del sistema delle autonomie locali»;
    in quella fase erano stati numerosi, altresì, i dubbi sull'utilità economica della paventata riforma «mascherata» da abolizione, rispetto alla quale la Corte dei conti nella sua relazione aveva affermato che «I risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi»;
    stando ai dati relativi ai costi delle province prima che il Governo Renzi intervenisse sulle stesse contenuti nell'aggiornamento al documento di economia e finanza di settembre 2013 e nel sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici raccolti dalla Unione delle province italiane aggiornati a marzo 2014, queste costavano meno di tutti gli altri enti, vale a dire l'1,27 per cento della spesa pubblica contro l'8 per cento dei comuni, il 20 per cento delle regioni, il 60 per cento delle amministrazioni centrali e l'11 per cento degli interessi sul debito pubblico, equivalenti, in termini assoluti, in 10 miliardi di euro spesi dalle province a fronte di 67 miliardi spesi dai comuni e 164 spesi dalle regioni;
    dei 10,2 miliardi di euro di spese la quasi totalità era destinata all'erogazione di servizi essenziali alla popolazione, servizi necessari la cui prestazione a legislazione vigente non è certo scomparsa, a meno di non voler abbandonare le strade provinciali a sé stesse più di quanto non lo siano al momento o bloccare la costruzione di istituti superiori e licei, o fermare il funzionamento degli istituti scolastici provinciali;
    quello che sta accadendo, invece, in seguito ai maldestri interventi di riforma da parte del Governo è proprio questo, posto che dal 2013 al 2016 le entrate delle province sono scese del 43 per cento e la spesa complessiva si è quasi dimezzata, con una diminuzione del 47 per cento;
    inoltre, l'82 per cento delle entrate proprie vengono sottratte dai territori e trattenute nel bilancio dello Stato, in palese violazione del dettato costituzionale, che all'articolo 119 prevede che tali entrate siano destinate a finanziare i servizi locali;
    nell'ottica della riduzione delle funzioni attribuite alle province, già con la legge di stabilità per il 2015, a carico delle province è stato disposto un contributo alla finanza pubblica di 1 miliardo nel 2015, 1 miliardo nel 2016 e 1 miliardo nel 2017, cui si è aggiunta l'estensione al 2018 del contributo già previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014 di 585,7 milioni di euro;
    tali contributi si configurano come un vero e proprio prelievo di risorse dai bilanci delle province, una sottrazione di risorse proprie derivanti dalle entrate dai tributi locali, incoerente rispetto all'articolo 199 che prevede che le stesse siano destinate alla copertura integrale delle funzioni attribuite;
    il presidente dell'Unione delle province ha affermato in proposito che si tratta di «un quadro scoraggiante, che oltre a rappresentare chiaramente lo stato di crisi finanziaria delle province dimostra come da tre anni a questa parte ci sia stato impedito di fare programmazione. La nostra capacità di investimento è crollata del 62 per cento e il patrimonio pubblico che gestiamo, 130 mila chilometri di strade e tutte le 5.100 scuole superiori italiane, si sta deteriorando in maniera pericolosa»;
    il Comitato direttivo dell'Unione delle province d'Italia, riunitosi a Roma il 1o giugno 2017, ha stigmatizzato come il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, e iniziative a favore degli enti territoriali, che avrebbe dovuto destinare finanziamenti aggirativi alle province per assicurarne lo svolgimento delle funzioni fondamentali e i servizi alle popolazioni residenti abbia «previsto risorse assolutamente insufficienti a garantire la sicurezza della viabilità, dell'edilizia scolastica e della tutela ambientale»;
    la carenza di risorse che grava sulle province sta impedendo lo svolgimento delle funzioni fondamentali ad esse spettanti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per destinare alle province le risorse sufficienti ad assicurare la piena erogazione dei servizi a favore delle comunità, secondo parametri che identifichino i fabbisogni finanziari reali e consentire l'avvio dei cantieri per le opere di messa in sicurezza delle scuole, delle strade e del territorio, promuovendo lo sviluppo dell'economia locale;
2) ad adottare le iniziative opportune affinché le province siano dotate della necessaria autonomia organizzativa e siano messe in condizioni di predisporre un bilancio triennale che consenta la programmazione dell'attività amministrativa;
3) ad assumere iniziative per lasciare nei bilanci delle province le entrate derivanti dalla riscossione dei tributi locali e dai risparmi conseguiti nell'esercizio delle proprie attività, affinché le stesse possano reimpiegarle nei servizi alla collettività, nel rispetto del dettato costituzionale.
(1-01650) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».