• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA ORALE

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Atto a cui si riferisce:
S.3/03839 DI MAGGIO, STEFANI, CENTINAIO, VOLPI, TOSATO, CANDIANI, ARRIGONI, BRUNI, ZIZZA, LIUZZI, PERRONE - Al Ministro della giustizia - Premesso che, secondo quanto risulta agli interroganti: la...



Atto Senato

Interrogazione a risposta orale 3-03839 presentata da SALVATORE TITO DI MAGGIO
mercoledì 28 giugno 2017, seduta n.847

DI MAGGIO, STEFANI, CENTINAIO, VOLPI, TOSATO, CANDIANI, ARRIGONI, BRUNI, ZIZZA, LIUZZI, PERRONE - Al Ministro della giustizia - Premesso che, secondo quanto risulta agli interroganti:

la funzione polisemica della pena, retributiva, general-preventiva e special-preventiva, deve tener conto, nella sua esecuzione da parte dell'amministrazione penitenziaria, dell'obiettivo rieducativo, così come previsto dal comma terzo dell'articolo 27 della Costituzione; i numerosi interventi legislativi che hanno seguito la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul famoso caso "Torreggiani", volti a risolvere lo stato di sovraffollamento delle carceri italiane, si sono rivelati inutili, oltre che dannosi;

il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha messo in essere prassi consistenti, da un lato, nel regime delle "celle aperte", con conseguente possibilità per i detenuti di aggirarsi negli "spazi comuni", con l'intenzione di introdurre sistemi compensativi alle condizioni di sovraffollamento, e possibilità di essere esposti alle personalità più criminali all'interno delle sezioni detentive, dall'altro, nella "sorveglianza dinamica", un mero tentativo di mascherare le carenze di organico del Corpo di Polizia penitenziaria, in forza della quale un unico agente di Polizia penitenziaria è responsabile di posti anche distanti tra loro, pur rimanendo responsabile di quanto avviene nei diversi luoghi;

a ciò si aggiunge l'ulteriore fatto, ad avviso degli interroganti gravissimo, che tali misure, inizialmente previste per un ristretto numero di detenuti, parrebbero esser state estese anche alle sezioni di alta sicurezza, le stesse in cui finiscono anche i detenuti declassati dal regime carcerario del 41-bis;

il principio rieducativo della pena si scontra con una realtà ove l'endemica carenza del personale a ciò deputato, gli educatori, oltre a quella, arcinota, del personale di Polizia penitenziaria, rende, di fatto, utopico quel trattamento individualizzato che dovrebbe tendere al reinserimento dei detenuti nella società;

a quanto consta agli interroganti, il combinato disposto della "carenza organici", del "sovraffollamento", dell'assenza di attività trattamentali, delle "celle aperte" e della "sorveglianza dinamica" sta determinando una progressiva perdita di controllo da parte della Polizia penitenziaria all'interno delle sezioni detentive, con conseguente incremento delle aggressioni dirette da parte della popolazione detenuta, peraltro "incoraggiata" dalla mancanza di possibilità, o di volontà, da parte dell'amministrazione di perseguire efficacemente tali manifestazioni, con le adeguate e previste sanzioni disciplinari, così come reiteratamente denunciato dal SAPPE, la più rappresentativa sigla sindacale della Polizia penitenziaria;

su tale inquietante scenario si inserisce il provvedimento contenente, tra l'altro, la riforma dell'ordinamento penitenziario, recentemente approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati (AC 4368) che dispone la possibilità per i detenuti di utilizzare collegamenti audiovisivi, anche al fine di favorire le relazioni con i familiari; sulla possibilità che tali collegamenti audiovisivi vengano messi a disposizione anche delle persone in regime di 41-bis ed in "alta sicurezza", l'associazione "Vittime del dovere" ha più volte lanciato l'allarme, ricevendo dal Ministro della giustizia solo delle parziali rassicurazioni, che, di fatto, però, confermano l'intenzione di estendere tali strumenti anche ai detenuti di "alta sicurezza", i quali, per la maggior parte, appartengono comunque ad organizzazioni criminali delle quali sono stati esponenti, anche di spicco;

risulta, tra l'altro, agli interroganti che il 9 giugno 2017 il Ministero della giustizia avrebbe siglato a Roma, presso il carcere di Rebibbia, un protocollo d'intesa tra il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità (dipartimento cui sono state trasferite le competenze in materia di esecuzione esterna della pena) e la Conferenza nazionale volontariato giustizia, volto ad implementare la cosiddetta esecuzione "extramoenia" della pena, tramite il rafforzamento della collaborazione con le associazioni di volontariato, già ampiamente presenti anche all'interno del sistema penitenziario intramoenia; a metà maggio 2017 il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, con una circolare, ha stabilito procedure d'ingresso più rapide per i singoli volontari e controlli ancora più semplificati per le associazioni di volontariato, che vogliano collaborare con gli UEPE, gli uffici di esecuzione penale esterna, esponendo in tal modo il sistema penitenziario a potenziali infiltrazioni criminali (si veda la notizia sul sito della Polizia penitenziaria);

considerato inoltre che:

a tale proposito, emblematico è il caso del carcere "Due Palazzi" di Padova, dove, qualche anno fa, un agente della Polizia penitenziaria, in concorso con altri suoi colleghi, scambiava droga, materiale pornografico, cellulari e messaggi all'esterno con i detenuti dell'intero reparto "alta sicurezza", fatti che determinarono l'iniziale decisione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di declassificazione del carcere, non più idoneo a gestire persone detenute in alta sicurezza; a tale decisione seguì una dura campagna stampa contraria condotta da "Ristretti orizzonti", in cui presterebbero servizio diversi detenuti ai senti dell'art. 41-bis, detenuti in regime di alta sorveglianza e soggetti condannati al cosiddetto ergastolo ostativo, la redazione giornalistica gestita che ha sede nel carcere ed è coordinata da Ornella Favero, che è anche presidente, dal 2015, della citata Conferenza nazionale volontariato giustizia;

tale provvedimento di declassificazione, a quanto consta agli interroganti, è stato meramente formale, atteso che è stata soppressa soltanto la dicitura "alta sorveglianza", mentre la maggior parte dei detenuti che avrebbero dovuto essere trasferiti in altro istituto è rimasta in quel carcere, in quanto declassificati, quasi che lo Stato improvvisamente non li ritenesse più "pericolosi" di altri criminali comuni;

pare che, secondo alcune risultanze di un'ispezione allora disposta dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, "Ristretti orizzonti", insieme ad un'altra cooperativa, la "Giotto", sempre operante nel medesimo carcere, sarebbe stata in grado di tenere in totale soggezione il direttore dell'istituto penitenziario, sul cui operato, tra l'altro, la magistratura avrebbe aperto un'indagine, perché le decisioni di declassificazione dei detenuti sarebbero state adottate al di fuori delle procedure di rito;

inoltre, risulta che "Ristretti orizzonti" abbia ottenuto l'apertura di una succursale della propria redazione proprio nel carcere, ove sarebbero stati tradotti quei pochi detenuti di Padova "non declassificati", nonché richiesto l'apertura di altre succursali in tutti gli istituti ove fossero presenti sezioni di alta sicurezza, questione che avrebbe indotto alle dimissioni l'allora responsabile dell'alta sicurezza del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;

risulta, inoltre, agli interroganti che il dottor Calogero Piscitello, a capo delle Direzioni generali detenuti e trattamento, sia stato sostenitore di un dialogo aperto con "Ristretti orizzonti", riguardo alle necessità e alle modalità di declassamento per i detenuti in "alta sicurezza", mentre il dottor Santi Consolo, attuale direttore del DAP, avrebbe trovato incongruo invocare, dopo 20 anni, "condizioni di assoluto isolamento" per i detenuti ex 41-bis, ritenendo assolutamente inutile celebrare altri processi a boss mafiosi del calibro di Riina, in quanto "assolutamente inutili alla criminalità organizzata" ed anche per i parenti delle vittime, come avrebbe dichiarato a margine di un recente convegno a Palermo, aggiungendo, altresì, che a nessuno più interesserebbe sapere se Riina sia condannato al suo sessantesimo o settantesimo ergastolo;

considerato che:

le condizioni descritte tratteggiano a parere degli interroganti un inquietante scenario di aperta rinuncia dello Stato all'esercizio di un'effettiva potestà punitiva;

i sistemi delle celle aperte e della sorveglianza dinamica messi in pratica dal Dipartimento del l'amministrazione penitenziaria hanno, di fatto, consegnato il mantenimento della "pax detentiva" ai detenuti, i quali, senza più l'adeguato controllo, provvedono a garantirla con metodi e regole criminali in danno della restante popolazione carceraria, cui non rimane che o subire tale supremazia o concorrervi con il metodo dell'affiliazione;

ciò che emerge è un "sistema penitenziario" assolutamente fuori dal controllo della Polizia penitenziaria e degli organi preposti e, sempre più, gestito mediante una sorta di outsourcing, che vede protagonisti associazioni di volontariato e cooperative di detenuti che non garantiscono a questo sistema di raggiungere adeguati livelli di efficacia, intesa come risocializzazione del detenuto, e che, peraltro, difficilmente possono sottrarsi a logiche delittuose di gestione delle attività svolte, per lo più in settori a scarsa specializzazione, che possono dar luogo a facili strumenti di controllo del territorio, indispensabile funzione per le mafie di ogni genere, con le ovvie conseguenti ricadute negative in termini di sicurezza pubblica; una misura dell'efficacia di entrambi i "sistemi" è individuata nella cosiddetta percentuale di recidiva, sulla quale tuttavia non esistono dati attendibili ed aggiornati,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto riportato e quali siano le sue valutazioni riguardo all'attuale funzionalità del sistema dell'esecuzione penale, nonché se e quali iniziative ritenga necessario intraprendere a salvaguardia del medesimo;

se non ritenga lesive dello sforzo compiuto dalle istituzioni nel contrasto alle mafie, alla criminalità organizzata ed al terrorismo, nonché oltraggioso per le vittime mietute da tali fenomeni criminali, le parole del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ed in particolare quelle relative all'asserita inutilità dei processi ad uno dei capi storici di "Cosa nostra", anche alla luce delle più recenti polemiche sull'opportunità che Riina sia scarcerato, in quanto anch'egli titolare del diritto ad una morte dignitosa fuori dal carcere;

se non ritenga che quanto descritto vada ad inficiare l'impianto normativo posto dagli articoli 4-bis e 41-bis dell'ordinamento penitenziario, capisaldi di una reale lotta alle più gravi forme di criminalità, e quali misure intenda intraprendere per salvaguardarne l'operatività;

quali siano le attuali percentuali di recidiva della popolazione detenuta che sia venuta in contatto con il sistema penitenziario italiano, negli ultimi 5, 10 e 15 anni;

quante, e per quali istituti penitenziari, siano state le richieste di apertura di filiali di "Ristretti orizzonti" e quale sia stato l'esito per ognuna;

se siano state rispettate le procedure di declassificazione dei detenuti in "alta sicurezza" del carcere "Due Palazzi " di Padova, per i quali è oggi indagato l'ex direttore dell'istituto penitenziario, e chi, tra i vertici del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, eventualmente, abbia concorso alla relativa determinazione;

se nel carcere "Due Palazzi" di Padova esista ancora una sezione "alta sicurezza" e quali siano, nel caso, le motivazioni che abbiano fatto tornare sui propri passi il DAP, a fronte dell'iniziale decisione di declassamento del carcere, perché ritenuto non più rispondente ai requisiti necessari per contenere detenuti in "alta sicurezza".

(3-03839)