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Atto a cui si riferisce:
C.1/01676    premesso che:     l'intero sistema sanitario italiano è ormai da anni sottoposto a numerose criticità: i continui tagli della spesa pubblica, la riduzione delle...



Atto Camera

Mozione 1-01676presentato daCORDA Emanuelatesto diGiovedì 27 luglio 2017, seduta n. 843

   La Camera,
   premesso che:
    l'intero sistema sanitario italiano è ormai da anni sottoposto a numerose criticità: i continui tagli della spesa pubblica, la riduzione delle risorse umane e strutturali, il notevole incremento dei costi a carico dei cittadini e l'eccessiva attesa per l'accesso alle prestazioni. Sono proprio questi i fattori che concorrono ad aggravare la poco felice condizione della sanità italiana;
    con decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 sono stati fissati gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi per garantire i livelli essenziali di assistenza. Il decreto ministeriale n. 70, al punto 9.2.2, detta le linee guida per i presidi ospedalieri di base siti in zone particolarmente disagiate, tra le quali sono annoverate le aree periferiche, le zone montane e le isole;
    in particolare, il citato decreto ministeriale prevede che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere presidi ospedalieri di base per zone particolarmente disagiate, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento (o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso), superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace. I tempi devono essere definiti sulla base di oggettive tecniche di misurazione o di formale documentazione tecnica disponibile;
    tali situazioni esistono in molte regioni italiane per presidi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare; nella definizione di tali aree deve essere tenuto conto della presenza o meno di elisoccorso e di elisuperfici dedicate;
    l'accordo del 16 dicembre 2010 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha sancito l'impegno a procedere ad una riorganizzazione regionale del percorso nascita, ha individuato 10 linee di attività che regioni e province autonome devono implementare ai fini della sicurezza del percorso nascita, ha dettato requisiti e standard di tipo strutturale, tecnologico ed organizzativo per la ridefinizione delle unità di ostetricia e neonatologia e delle terapie intensive neonatali;
    l'intero percorso nascita, sulla base di tale accordo, va predisposto e pianificato, su base regionale, utilizzando preferenzialmente modelli di rete organizzativa di assistenza perinatale, quali il sistema hub and spoke che vede il coinvolgimento, oltre che delle strutture ospedaliere anche del territorio attraverso un'azione più strutturata e capillare dei consultori, nonché il coinvolgimento dei pediatri di libera scelta;
    il Comitato percorso nascita nazionale (CPNn), costituito con decreto ministeriale 12 aprile 2011, come previsto dal citato accordo tra Governo, regioni ed enti locali del 16 dicembre 2010, ha definito le linee di indirizzo sull'organizzazione del sistema di trasporto materno assistito (STAM) e del sistema in emergenza del neonato (STEN), ove si riporta che «una corretta e appropriata gestione della donna in gravidanza e del neonato presuppongono, inoltre, l'organizzazione di un adeguato sistema di trasporto della madre e/o del neonato nei casi in cui situazioni di rischio o di vera e propria emergenza impongano il trasferimento di questi in strutture in grado di gestire tali condizioni». In tal senso, l'accordo del 16 dicembre 2010, nella prima delle 10 linee di attività da implementare, relativa a misure di politica sanitaria e di accreditamento, ha indicato che è necessario che, in connessione con la riorganizzazione dei punti nascita, si proceda all'assicurazione dei servizi di trasporto assistito materno (STAM) e neonatale d'urgenza (STEN) e che, nel processo di ridefinizione della rete di assistenza materna e neonatale siano espressamente previste e realizzate l'attivazione, il completamento e la messa a regime del sistema di trasporto assistito materno e neonatale d'urgenza;
    nelle succitate linee d'indirizzo elaborate dal Comitato percorso nascita nazionale si evidenzia che «i protocolli operativi devono definire le modalità di trasporto e i tempi minimi di attivazione di ciascuna modalità, tenendo conto che la scelta della modalità di trasporto è ampiamente determinata dalla distanza tra ospedali, dalle condizioni orografiche e meteorologiche, dalle condizioni del paziente e dalle apparecchiature disponibili nei veicoli dedicati al trasporto»;
    molte sono le realtà esistenti nelle varie regioni italiane con presidi sanitari situati in aree soggette a condizioni considerate geograficamente e meteorologicamente ostili e disagiate. Proprio in queste aree occorre prevenire i casi di «malasanità», eliminare qualsiasi disparità e garantire la massima efficienza, efficacia e sicurezza del servizio sanitario in modo da assicurare ai cittadini il diritto alla salute tutelato dall'articolo 32 della Costituzione;
    è da considerare, tra i tanti casi delle diverse realtà sanitarie regionali, quello specifico del comune de La Maddalena che dista circa un'ora dal comune di Olbia verso il quale sono trasferite in particolare le partorienti e le situazioni di emergenza. In caso di mancanza di coincidenze con gli orari del traghetto, nonché in caso di condizioni climatiche avverse che non consentono neppure l'utilizzo del servizio di elisoccorso, risultano necessarie almeno due ore per raggiungere il comune di Olbia. Tali problematiche hanno avuto concrete ripercussioni su quello che dovrebbe essere il normale svolgimento del servizio sanitario, nonché sulla vita degli stessi cittadini con casi di decesso a seguito del mancato tempestivo intervento dei soccorsi; il Comitato percorso nascita nazionale, nell'ambito dell'attività di monitoraggio concernente lo stato di attuazione dell'accordo del 16 dicembre 2010, in riferimento alla regione Sardegna e al punto nascita «Paolo Merlo La Maddalena», al 31 dicembre 2014, ebbe a rilevare che in considerazione delle condizioni di insularità, il programma di disattivazione del punto nascita era condizionato alla piena efficacia del sistema di elisoccorso regionale e alla definizione e attuazione di un piano specifico di emergenza che garantisca la possibilità di affrontare le urgenze ostetriche; da tale monitoraggio emerge che nella regione Sardegna «i sistemi di trasferimento materno e neonatale, a livello regionale, devono essere pianificati e realizzati quanto prima considerato che, rappresentano il sistema più efficace per garantire appropriatezza, sicurezza, efficacia ed efficienza all'assistenza perinatale rispondendo così a quanto dettato dall'accordo 16 dicembre 2010»;
    un caso analogo riguarda la provincia autonoma di Trento, dove ben tre punti nascita sono stati destinati alla chiusura già dallo scorso anno, quelli di Arco, Tione di Trento e il Cavalese, che, nonostante la deroga ottenuta dal Ministero, è stato ridotto negli orari sin dal 25 novembre 2015 e sospeso dal marzo 2017, minando ulteriormente i diritti delle donne e delle mamme;
    quanto alla struttura di Arco, il cui bacino d'utenza non è limitato alla sola area dell'Alto Garda ma è esteso, in termini geografici e numerici, all'intero territorio del Trentino sud-occidentale a seguito della chiusura del punto nascita di Tione di Trento. Il bacino include peraltro anche i comuni limitrofi del Veronese e del Bresciano contraddistinguendosi pertanto per una valenza logistica di livello interregionale, significativamente superiore rispetto a quanto dichiarato dai competenti organi provinciali. Il raggiungimento quindi dei 500 parti minimi non è una chimera se la struttura ospedaliera fosse messa nelle condizioni di funzionare a pieno regime, vista anche la presenza al proprio interno di un centro di eccellenza di procreazione medicalmente assistita e dal relativo indotto;
    in riferimento al caso di Arco, la tempistica dichiarata dall'assessorato alla sanità di Trento sulla viabilità non coincide con i dati ufficiali e certificati dell'ufficio viabilità della stessa provincia di Trento: la percorrenza del tragitto dalla Valle di Ledro, dalla Valle del Chiese e dall'Alto Garda ai centri ospedalieri di Trento e/o Rovereto è, infatti, significativamente superiore rispetto ai valori utilizzati per la formulazione della domanda di deroga. A tal riguardo, la situazione si aggrava ulteriormente nel periodo estivo con l'afflusso turistico, a causa della mancanza di infrastrutture viarie idonee ed alternative, e nel periodo invernale, come si può evincere sempre dal dato ufficiale di consumo di sale per le strade ghiacciate, il più alto del Trentino, è rallentata di molto la percorrenza in condizioni di sicurezza per la partoriente;
    le popolazioni delle Valli di Fiemme, Fassa e Cembra hanno invece ampiamente manifestato la loro preoccupazione alla chiusura della struttura di Cavalese proponendo soluzioni concrete che hanno permesso, nei mesi precedenti alla riduzione dell'orario, l'accoglienza di partorienti provenienti da fuori Valle (e talvolta da fuori provincia) e di attirare l'attenzione di un primario di pediatria recentemente assunto. Non deve sfuggire l'evidenza che un punto nascita è l'unico servizio che obbliga la presenza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 di un pediatra, un ginecologo e un anestesista permettendo il funzionamento in sicurezza degli altri reparti e assicurando il mantenimento dei reparti di ginecologia, ostetricia e pediatria indispensabili in aree montane abitate ad alto afflusso turistico e riconosciute come disagiate e troppo lontane dall'ospedale di Trento. La proposta politica formulata dalla provincia di Trento e percorribile anche per gli altri punti nascita che hanno ottenuto la deroga consiste nell'adattare il decreto n. 66 attraverso una diversa «strutturazione» del servizio che attualmente obbliga a reperire ed assumere 6 pediatri, 6 ginecologi e 6 anestesisti;
    ancora, in provincia di Parma, a Borgo Val di Taro gli stessi cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la chiusura del punto nascita e la stessa giunta della regione Emilia-Romagna è intervenuta in questi giorni per chiedere una deroga di 6 mesi e quindi di non sospendere l'attività di assistenza al parto dei punti nascita in Appennino, a Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia), Borgo Val di Taro (Parma), Pavullo nel Frignano (Modena), in pianura a Scandiano (Reggio Emilia) e nel cratere colpito dal sisma, a Mirandola (Modena) e Cento (Ferrara);
    sono numerosi i presidi che si avviano verso la chiusura, ispirati più dal taglio dei costi che dalla salute delle partorienti, tradendo lo spirito, allora dichiarato, dell'accordo Stato-regioni del 2010, ossia quello della promozione e del miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita;
    sulla chiusura dei punti nascita siciliani di Mussomeli, Petralia Sottana, Lipari e Santo Stefano di Quisquina, attualmente non in deroga, si sta procedendo senza aver attivato il servizio di trasporto per le emergenze neonatali e il servizio di trasporto materno assistito, lasciando di fatto un pericoloso vuoto proprio in tema di sicurezza;
    risulta, dunque, necessario dare attuazione al decreto ministeriale 11 novembre 2015, che integra i compiti e la composizione del Comitato percorso nascita nazionale (CPNn), e che prevede, all'articolo 1, commi 1, 2 e 3, la possibilità che le regioni e le province autonome possano presentare al tavolo di monitoraggio di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2015 eventuali richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui e in condizioni orograficamente difficili (decreto n. 70 del 2015) in deroga a quanto previsto dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010;
    lo Stato italiano, come ribadito anche nella proposta di legge approvata in questo ramo del Parlamento e concernente le «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché deleghe al Governo per la riforma del sistema di governo delle medesime aree e per l'introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali», in coerenza con gli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale di cui all'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea e di pari opportunità per le zone con svantaggi strutturali e permanenti di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha il compito di promuovere e sostenere lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, promuovendo l'equilibrio demografico del Paese, favorendo la residenza in tali comuni e tutelando e valorizzando il loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico, agevolando quindi l'adozione di misure in favore dei residenti nei predetti comuni e delle attività produttive ivi insediate, con particolare riferimento al sistema dei servizi essenziali, al fine di contrastarne lo spopolamento e di incentivare l'afflusso turistico;
    ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ai fini della determinazione della quota capitaria, in sede di ripartizione del fondo sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, può vincolare quote del fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del piano sanitario nazionale, con priorità anche per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile e, ai sensi del successivo comma 34-bis dell'articolo 1 della medesima legge 23 dicembre 1996, n. 662, le regioni elaborano specifici progetti approvati, su proposta del Ministero della salute, con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni;
    nell'ambito delle suddette disposizioni, il 30 luglio 2015 lo Stato e le regioni hanno sancito un'intesa per l'assegnazione alle regioni della quota accantonata del fondo sanitario nazionale per la realizzazione di progetti in tema di ottimizzazione dell'assistenza sanitaria nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionali difficoltà di accesso, a valere sul fondo sanitario nazionale 2011, 2012 e 2013;
    nell'ambito della citata intesa del 2015 si evince la realizzazione di un progetto pilota interregionale nato dalla considerazione che il servizio sanitario nazionale ha, tra i compiti, anche quello di assicurare ai cittadini, in relazione al fabbisogno assistenziale, l'accesso e la fruizione appropriata dei servizi sanitari e tale considerazione – si legge nell'intesa – assume un'ulteriore valenza, in coerenza con quanto stabilito dal trattato di Lisbona, laddove inserita in un contesto socio-sanitario «difficile» quale quello presente nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionale difficoltà di accesso;
    la medesima intesa definisce zone disagiate quelle ubicate a distanza superiore a 60 minuti dalle più vicine strutture di riferimento di livello superiore e/o per condizioni meteomarine che impediscono, o quanto meno rendono difficoltosi, i collegamenti con la terra ferma; tra gli obiettivi specifici del progetto pilota allegato all'intesa vi è anche quello di assicurare i punti nascita, anche in deroga all'accordo del 2010;
    si ritiene che la vita e la sussistenza dei presidi situati in aree particolarmente disagiate debba essere garantita in maniera obbligatoria e non in via facoltativa o eventuale sulla base di accordi e pareri in deroga alla normativa prevista. Così come si ritengono inaccettabili le penalizzazioni di carattere economico comminate alle regioni che non si adeguano alla normativa, per garantire la tutela della salute delle donne e dei bambini, e che sono dichiarate inadempienti rispetto ai livelli essenziali di assistenza;
    dal combinato disposto degli articoli 3 e 32 della Carta fondamentale, deriva che le esigenze di bilancio non possano assurgere a motivi fondanti dell'impoverimento dei diritti fondamentali, tra cui si annovera il diritto alla salute del cittadino,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative affinché il Comitato percorso nascita nazionale, istituito presso il Ministero della salute, produca una mappatura dei punti nascita, la cui chiusura sia stata ritenuta penalizzante in ragione delle condizioni disagiate del territorio;
2) ad assumere iniziative affinché siano destinate ulteriori risorse, a valere sul fondo sanitario nazionale, per la realizzazione di nuovi progetti specifici in tema di ottimizzazione dell'assistenza sanitaria nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionali difficoltà di accesso, con particolare riferimento alla necessità di garantire continuità ad un servizio di primaria importanza per le aree disagiate, qual è il percorso nascita;
3) ad assumere iniziative per rimodulare la rete dei punti nascita basandosi non solo su mere soglie fisse ma sulle reali esigenze e condizioni del territorio, tenendo conto anche delle gravissime carenze infrastrutturali dei territori interessati che mettono a repentaglio la sicurezza delle partorienti che devono raggiungere i cosiddetti punti nascita «sicuri» e sono costrette a lunghi viaggi spesso in elicottero o ambulanza, in condizioni psicofisiche di stress, o a trasferirsi direttamente dal centro di residenza, nonché tenendo conto di quei casi in cui il presidio sanitario risulti assolutamente indispensabile considerate anche le caratteristiche territoriali e le proibitive condizioni meteorologiche in alcuni periodi dell'anno;
4) a riaprire un confronto coi territori per valutarne le situazioni caso per caso, facendo delle scelte che abbiano come interesse supremo la salute di madri e bambini;
5) ad individuare, di concerto con le regioni, delle soluzioni basate sui reali bisogni dei territori e dei cittadini;
6) ad assumere iniziative per sopprimere, per i punti nascita detti «periferici», la guardia attiva inserendo il regime di reperibilità notturna, posto che questo adeguamento della norma permetterà di passare da 6 a 4 medici obbligatori per ogni specializzazione, accordando agli ospedali situati in zone orograficamente disagiate quella sostenibilità logistica e finanziaria che permetterà loro di evitare una chiusura imposta dalla burocrazia.
(1-01676) «Corda, Fraccaro, Colonnese, Baroni, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Grillo, D'Uva, Cancelleri, Nesci, Cecconi, Basilio».