• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.6/00072 al termine del dibattito sulle mozioni concernenti le iniziative per la tutela delle vittime di reato, premesso che: con ricorso del 26 febbraio 2007 (causa C-112/07) la Commissione...



Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00072presentato daDI LELLO Marcotesto diMartedì 6 maggio 2014, seduta n. 223

La Camera,
al termine del dibattito sulle mozioni concernenti le iniziative per la tutela delle vittime di reato, premesso che:
con ricorso del 26 febbraio 2007 (causa C-112/07) la Commissione europea ha chiesto alla Corte di giustizia di accertare l'inadempimento, da parte della Repubblica italiana, dell'obbligo di dare attuazione, nell'ordinamento interno, alla direttiva comunitaria n. 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reati;
il ricorso della Commissione ha rilevato l'indifferenza che il nostro Paese continua a riservare a tutte le iniziative che l'Unione europea ha assunto in materia di tutela delle vittime dei reati e, che solo nell'ultimo periodo, sembra avere avuto una, seppur tenue inversione di tendenza, con l'adozione di norme sul cosiddetto femminicidio;
in tal senso l'attenzione delle istituzioni europee verso la tutela delle vittime dei reati, in particolare quelli violenti, è risalente: alla convenzione del Consiglio d'Europa relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti (Strasburgo, 24 novembre 1983) hanno fatto seguito, nell'ambito dell'Unione europea, sia la decisione-quadro n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001 relativa alla posizione della vittima nel procedimento pena, sia la direttiva n. 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004;
la direttiva stabilisce un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere e che dovrebbe operare sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori;
la direttiva prevede testualmente che «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime». Inoltre, la direttiva prevede che il risarcimento sia, nella pratica, facilmente accessibile, indipendentemente dal luogo dell'Unione europea in cui un cittadino sia vittima di un reato, mediante la creazione di un sistema di cooperazione tra autorità nazionali operativo dal 1o gennaio 2006;
si deve rilevare che nessuno di questi atti ha sinora prodotto effetti in Italia. Quanto alla Convenzione europea, l'Italia non l'ha mai ratificata, con la conseguenza che nel nostro ordinamento non ha mai trovato piena applicazione il principio di base del testo pattizio, contenuto all'articolo 2, paragrafo 1: qualora nessuna riparazione possa essere interamente garantita da altre fonti, lo Stato deve contribuire a risarcire sia coloro che hanno subito gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da un reato violento intenzionale, sia coloro che erano a carico della persona deceduta in seguito a un tale atto. Il medesimo articolo, al paragrafo 2, prevede poi che il risarcimento di cui al paragrafo precedente «è accordato anche se l'autore non può essere perseguito o punito»;
anche con riferimento alla decisione-quadro e alla direttiva 2004/80, nei confronti delle quali, parimenti alla Convenzione del Consiglio d'Europa, sussiste per l'ordinamento italiano un obbligo di adeguarsi, si deve rilevare il non adeguamento del nostro ordinamento;
con sentenza n. 106 del 30 novembre 2011, depositata il 23 gennaio 2012, la Corte di appello di Torino, terza sezione civile, si è pronunciata su un caso concernente la tutela risarcitoria a carico dello Stato italiano per i danni subiti dalle vittime di reati intenzionali violenti;
il giudizio civile per ottenere tutela risarcitoria è stato instaurato dalla vittima, ma non a carico degli autori del reato (già destinatari di una condanna generica), bensì a carico della Presidenza del Consiglio dei ministri, in rappresentanza dello Stato italiano;
si apriva così agli inizi del 2009, innanzi al tribunale di Torino, il giudizio di primo grado in sede civile, nell'ambito del quale la vittima del reato violento chiedeva la condanna della convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi, da addebitarsi alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in rappresentanza dello Stato italiano, per mancata, non corretta o non integrale attuazione della direttiva 2004/80/CE;
con sentenza del 3 maggio 2010 il tribunale di Torino accertava l'inadempimento della Presidenza del Consiglio dei ministri per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE e, conseguentemente, condannava la medesima al pagamento, in favore dell'attrice, della somma, oltre interessi di legge dalla data della sentenza al saldo ed alla refusione delle spese di lite;
il gravame si concludeva con la sentenza n. 106 depositata il 23 gennaio 2012, con cui la corte di appello di Torino, sezione terza civile, confermava la statuizione di condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri;
l'inadempimento del Governo italiano, come sopra rilevato, può aprire la strada ad azioni legali da parte dei cittadini per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione di una direttiva;
la Corte di giustizia dell'Unione europea ha, in merito, una giurisprudenza consolidata: gli Stati membri inadempienti violerebbero infatti l'articolo 10 del Trattato CE, che sancisce l'obbligo di leale cooperazione in capo agli Stati imponendo loro di adottare «tutte le misure di carattere generale e particolare» e, nello specifico, per quanto concerne la mancata o tardiva attuazione delle direttive, l'articolo 249, comma 3o, del Trattato CE, che dispone testualmente che «la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salvo restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi»;
già da tempo quindi la Corte di giustizia riconosce, in modo pacifico ed incontrovertibile, a favore dei cittadini europei non solo la titolarità dei diritti che nascono dall'ordinamento comunitario ma anche il diritto a veder recepita la normativa comunitaria, con conseguente diritto al risarcimento del danno in caso di inadempimento del legislatore nazionale (sentenza Francovich c. Repubblica Italiana e Bonifaci c. Repubblica Italiana, Corte di giustizia CE, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90);
a livello nazionale, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex multis, Cass, Civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147; Cass. Civ., sez. III, 11 marzo 2008, n. 6427) ha recepito i principi fondanti la responsabilità degli Stati membri per la mancata attuazione delle direttive affermati dalla Corte di giustizia (sentenza Brasserie du pecheur SA c. Repubblica federale di Germania e The Queen e Secretary of State for Transport c. Factortame LTD, Corte di giustizia CE, 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93) secondo cui:
«nell'ipotesi in cui una violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro sia imputabile al legislatore nazionale che operi in un settore nel quale dispone di un ampio potere discrezionale in ordine alle scelte normative, i singoli lesi hanno diritto al risarcimento qualora la norma comunitaria violata sia preordinata ad attribuire loro diritti, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito dai singoli»;
«il giudice nazionale non può, nell'ambito della normativa che esso applica, subordinare il risarcimento del danno all'esistenza di una condotta dolosa o colposa dell'organo statale al quale è imputabile l'inadempimento, che si aggiunga alla violazione manifesta e grave del diritto comunitario»;
«il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all'ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento»;
«subordinare il risarcimento del danno al presupposto di una previa constatazione, da parte della Corte, di un inadempimento del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro urterebbe contro il principio dell'effettività del diritto comunitario, poiché tale presupposto porterebbe ad escludere qualsiasi risarcimento tutte le volte che il preteso inadempimento non abbia costituito oggetto di un ricorso proposto dalla Commissione ai sensi dell'articolo 169 del Trattato e di una dichiarazione di inadempimento pronunciata dalla Corte»;
alla luce di quanto sin qui esposto, è evidente che l'inadempimento dello Stato italiano presenta tutte le caratteristiche per concretizzare una responsabilità civile verso tutte le vittime di reati internazionali violenti impossibilitate ad usufruire del meccanismo di indennizzo statale introdotto dal legislatore comunitario con la direttiva 2004/80/CE;
la Suprema Corte a sezioni unite in una recente pronuncia ha precisato che «per risultare adeguato al diritto comunitario, il diritto interno deve assicurare una congrua riparazione del pregiudizio subito dal singolo per il fatto di non aver acquistato la titolarità di un diritto in conseguenza della violazione dell'ordinamento comunitario». Inoltre, ha accolto l'orientamento giurisprudenziale (in particolare, Cass. Civ., sez. lav., 5 ottobre 1996, n. 8739; Cass. Civ., 11 ottobre 1995, n. 10617; Cass. Civ., 19 luglio 1995, n. 7832) che esclude la natura extracontrattuale della responsabilità dello Stato per mancato o tardivo recepimento di una direttiva, inquadrandola come responsabilità per la violazione di una obbligazione ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria (Cass, Civ., sez. un., 17 aprile 2009, n. 9147);
il 25 ottobre 2013 è stata adottata, in base all'articolo 82, paragrafo 2, lettera c), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/UE recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, la quale sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, dando attuazione ad uno dei principali punti del programma di Stoccolma;
l'Unione è intervenuta in base al principio di sussidiarietà di cui all'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea, reputando non conseguibile in misura sufficiente dagli Stati membri l'obiettivo perseguito di garantire alle vittime di reato informazione, assistenza e protezione adeguate e possibilità di partecipazione ai procedimenti penali;
la direttiva stabilisce però solo norme minime, permettendo agli Stati di assicurare un livello di tutela più elevato di quello dalla stessa richiesto, senza incidere sulle direttive già in vigore che dettino norme particolareggiate a favore di alcune categorie di vittime, come quelle sulla tratta degli esseri umani o sullo sfruttamento sessuale dei minori;
la direttiva 2012/29/UE, il cui termine per il recepimento è fissato al 16 novembre 2015, è stata inserita nell'allegato B alla legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013 n. 96, «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013»); il Governo, nell'adozione del decreto legislativo dovrà attenersi ai principi e criteri direttivi di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234,

impegna il Governo:

a dare attuazione alla direttiva 29/2012/UE;
ad adottare ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo atta a garantire una tutela giuridica adeguata alle vittime di reato al fine anche di non esporre lo Stato italiano al peso di maggiori oneri derivanti dall'instaurazione di nuove cause;
in questo quadro, alla luce degli impegni già assunti dal Governo pro tempore, ad assicurare al più presto, con riferimento alle vittime di reati collegati ad incidenti stradali, l'attuazione di quanto previsto nella risoluzione n. 6-00017, accolta ed approvata in data 25 giugno 2013.
(6-00072) «Di Lello, Di Gioia, Locatelli, Pastorelli, Furnari, Labriola».