Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE
Atto a cui si riferisce:
S.7/00344 premesso che:
il voto del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 ha confermato la presa di posizione italiana contro il riconoscimento alla Repubblica popolare cinese dello status di economia...
Atto Senato
Risoluzione in Commissione 7-00344 presentata da FRANCESCO SCALIA
martedì 1 agosto 2017, seduta n.090
Le Commissioni riunite 10ª e 13ª,
premesso che:
il voto del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 ha confermato la presa di posizione italiana contro il riconoscimento alla Repubblica popolare cinese dello status di economia di mercato a 15 anni dal suo ingresso nella World trade organization (WTO). Il voto ha evidenziato che, al di là degli impegni formali, alcune aree del mondo non competono sul mercato mondiale con regole uniformi a quelle europee e statunitensi;
tra le varie asimmetrie competitive, una riguarda i diversi limiti alle emissioni e i diversi costi dei vettori energetici utilizzati nella produzione industriale;
le emissioni di anidride carbonica sono divenute uno dei parametri della competitività produttiva, perché se si usa energia altamente inquinante e a costo relativamente basso come il petrolio o il carbone, senza limiti derivanti da politiche ambientali, si ottiene un vantaggio competitivo rispetto a chi si approvvigiona con gas o con fonti rinnovabili. In altri termini, bassi costi energetici si riverberano in costi di produzione più contenuti, maggiore competitività sul mercato e, di fatto, uno svantaggio per chi produce, volente o nolente, con un basso impatto di carbonio;
la produzione industriale europea è gravemente penalizzata dal costo energetico e ambientale nei confronti dei competitori internazionali; a dimostrarlo sono le crescenti delocalizzazioni degli impianti e le percentuali dell'importazione di beni prodotti da nazioni ormai industrializzate che sono, di fatto, anche dei "paradisi emissivi";
la bilancia commerciale europea, nel decennio 2002-2012, ha più che raddoppiato la propria negatività, importando 2,2 volte quello che importava all'inizio millennio; il Giappone nello stesso periodo è passato da un bilancio attivo di 84 miliardi di dollari a un passivo di 68 miliardi; gli USA hanno incrementato il loro deficit del 14 per cento; in compenso la Cina ha incrementato le proprie esportazioni del 459 per cento e la Russia del 253 per cento. Gli USA e la UE rappresentano, da soli, il 32 per cento delle importazioni complessive globali. La Cina, con quasi il doppio della popolazione congiunta di USA e UE, rappresenta solo il 12 per cento delle importazioni mondiali;
ma questi dati non bastano a chiarire il fenomeno. Tendenzialmente, i Paesi industrializzati esportano nei Paesi in via di sviluppo percentuali significative di servizi, cioè attività con un basso impatto di inquinamento e beni prodotti con alti livelli di efficienza energetica e percentuali significative di fonti rinnovabili. Diversamente, importano soprattutto beni fabbricati da opifici non efficienti e che si approvvigionano con vettori energetici fossili: la Cina, ad esempio, produce oltre l'80 per cento della propria elettricità con il carbone;
gli stessi produttori europei, pur continuando ad avere come sbocco il mercato continentale, scelgono di spostare i propri opifici in Paesi il cui costo dei lavoratori, i loro diritti, gli adempimenti amministrativi e di tassazione sono di molte volte inferiori a quelli europei, ma soprattutto dove la differenza di costi dell'energia crea un vantaggio competitivo sul costo finale del bene;
l'Europa sta delocalizzando la produzione dei beni che le necessitano e i dati, apparentemente confortanti, in merito alla bassa intensità emissiva delle produzioni interne non compensano il declino produttivo europeo;
nel momento in cui si pongono limiti e obiettivi su un'area economica come l'Europa, è ovvio che vengano favoriti indirettamente comportamenti che basano la loro concorrenzialità sulla mancanza di tali limiti;
la cosa meno evidente e, per taluni aspetti peggiore, è che con questo trend economico, le attuali politiche europee sui vincoli ambientali premiano l'industria extra UE e i consumatori europei di fatto incentivano l'aumento delle emissioni globali acquistando beni prodotti in aree ad alta intensità emissiva. Infatti, se per produrre in UE un determinato bene si emette un chilogrammo di anidride carbonica, acquistando quel bene prodotto in un Paese al di fuori della UE si emettono con buona approssimazione 2 chilogrammi di anidride carbonica;
in altri termini, l'Europa sta adottando una politica basata sul sostegno delle economie emergenti anche attraverso l'acquisto di beni prodotti con l'utilizzo di vettori energetici inquinanti e a basso costo;
occorre ripensare la competitività dell'industria europea alla luce di una perequazione dei costi energetici e ambientali: non attenuando i limiti ambientali, ma rifiutando di accogliere passivamente nel mercato interno beni e materie che godono di un vantaggio competitivo basato su bassi costi energetici e bassi standard ambientali;
tra i Paesi più virtuosi, quindi paradossalmente più colpiti, c'è proprio l'Italia che, con una leadership su efficienza energetica e produzione rinnovabile, vede i propri settori energivori, come acciaio, carta, cantieri navali, vetro e alluminio, perdere costantemente competitività sul mercato mondiale;
considerato che:
finora la risposta dell'Unione europea non è stata efficace e l'Emission trading scheme (ETS) ha fallito la sua missione, a causa di un prezzo delle quote di emissione troppo basso, tanto da incentivare parte dell'industria europea (soprattutto tedesca e polacca) a produrre utilizzando carbone e lignite, acquistando le relative quote di emissione, nonché a causa della sua applicazione nella sola Unione europea, che finisce per gravare di ulteriori costi l'industria energivora europea e per aumentare l'asimmetria competitiva con l'industria altamente emissiva extra UE;
si è verificato così quello che in uno studio recente di Nomisma Energia è stato definito "il paradosso ambientale europeo": l'Europa ha investito moltissimo nello sviluppo della produzione da fonti rinnovabili, con un contributo alla riduzione delle emissioni di circa 70 milioni di tonnellate l'anno e tuttavia, a causa del bassissimo prezzo delle quote di emissione, la crescita delle rinnovabili in Europa è avvenuta soprattutto a discapito delle centrali a ciclo combinato a gas piuttosto che di quelle a carbone o a lignite (assai più inquinanti ma molto meno costosi), riducendo di oltre la metà i benefici che si sarebbero potuti ottenere; se, infatti, fosse rimasta stabile la quota di gas nel mix energetico (a discapito del carbone) le emissioni si sarebbero ridotte nella misura di 180 tonnellate annue, contro le 70 registrate e non si sarebbe registrato l'aumento delle emissioni di altre sostanze inquinanti, quali polveri, ossidi di zolfo e di azoto;
il bilancio fra oneri dei sussidi alle fonti rinnovabili ed esternalità ambientali evitate è fortemente negativo. Secondo il Consiglio europeo dei regolatori nel campo dell'energia, nel 2011 l'incentivo medio per il fotovoltaico in Italia è stato pari a 367,2 euro/MWh, equivalente a 36 volte il valore delle esternalità evitate e ancora maggiori valori sono riscontrati in Germania e in Francia; infatti, come evidenziato da uno studio finanziato dalla Commissione europea, in assenza di sussidi, se l'energia fosse stata prodotta con centrali a gas a ciclo combinato, le esternalità ambientali complessive, comprensive dell'inquinamento atmosferico oltre che delle emissioni di CO2 sarebbero state pari a circa 1 centesimo di euro per chilowattora (kWh), ossia 10 euro per megawattora (MWh);
i soli incentivi alle rinnovabili - senza considerare i costi di dispacciamento indotti dall'uso di rinnovabili non programmabili - pesano sulla bolletta energetica degli italiani ad oggi per oltre 12 miliardi di euro;
la risoluzione approvata il 4 giugno 2015 dalle Commissioni riunite 10a e 13a (Industria e Ambiente) del Senato sugli atti comunitari n. 60, n. 61 e n. 62 (Doc. XVIII, n. 92), fra l'altro, afferma: "andrebbe riconsiderata l'alternativa dell'introduzione graduale di forme articolate di carbon tax a valere sia sulle merci prodotte nella UE sia su quelle di importazione, così da evitare, nel rispetto degli accordi WTO, negativi effetti di spiazzamento dell'Europa nel commercio mondiale; nel perseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni e di sicurezza degli approvvigionamenti si sottolinea inoltre l'importanza di interventi volti a promuovere il risparmio energetico e l'uso di risorse domestiche";
l'Assemblea parlamentare dell'OSCE, con risoluzione approvata a Minsk il 9 luglio scorso, ha invitato i Governi dei Paesi membri a sperimentare forme di tassazione al consumo del contenuto di CO2 dei prodotti, al fine di attenuare le asimmetrie competitive e agevolare le produzioni virtuose;
preso atto che il vigente sistema ETS è attualmente oggetto di una revisione per il quarto periodo di applicazione 2021-2030 che, a seguito della sottoscrizione dell'Accordo di Parigi nel 2015, ha come obiettivo un'accelerazione nelle politiche di decarbonizzazione e che prevede la progressiva diminuzione del numero complessivo delle quote di emissione annue rilasciate del 2,2 per cento (al posto dell'attuale 1,74 per cento) a partire dal 2021, corrispondente a una riduzione aggiuntiva delle emissioni di circa 556 milioni di tonnellate tra il 2020 e il 2030;
impegnano il Governo:
a prendere iniziative in sede europea, per rompere il meccanismo vizioso dell'attuale politica UE di decarbonizzazione, affiancando all'Emission trading scheme la previsione di unaImposta sulle Emissioni Aggiunte (ImEA), quale strumento per la perequazione internazionale dei costi energetici e ambientali sulla produzione dei beni, sulla base del carbonio emesso, a prescindere dal luogo di fabbricazione;
a individuare misure direttamente applicabili a livello nazionale che agiscano come leva di fiscalità ambientale tramite la modulazione delle aliquote IVA. Tali misure non avranno l'obiettivo di aumentare il gettito fiscale, ma saranno finalizzate ad incentivare le produzioni più pulite e a disincentivare le altre, a prescindere dal luogo di produzione dei beni.
(7-00344)
SCALIA, DALLA ZUANNA