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Atto a cui si riferisce:
C.1/01694    premesso che:     l'articolo 32 della Costituzione italiana afferma che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della...



Atto Camera

Mozione 1-01694presentato daBINETTI Paolatesto diLunedì 18 settembre 2017, seduta n. 852

   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 32 della Costituzione italiana afferma che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può esser obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». In questo modo si mette in carico allo stato il dovere di curare, mentre si lascia al soggetto la possibilità di rifiutare le cure, ma l'effetto che ne deriva è una potenziale conflittualità con il medico. Da un lato, infatti, spetta a lui, una volta abilitato all'esercizio della professione, l'obbligo di curare, dall'altro gli si rende difficile esercitare questo dovere davanti ad un eventuale rifiuto del paziente. Proprio per questo però il nuovo codice di deontologia medica, mentre garantisce il principio di autodeterminazione del paziente, dedica molti dei suoi articoli a garantire contestualmente la libertà del medico, recentemente messa in discussione sia dagli sviluppi della medicina difensiva che da altri provvedimenti normativi;

    la legge «Gelli» sulla responsabilità del medico – legge n. 24 dell'8 marzo 2017 – all'articolo 1 afferma: «La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività». In questo modo la sicurezza delle cure è diventata parte costitutiva del diritto alla salute, assumendo un vero e proprio valore costituzionale ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione. Di conseguenza, la responsabilità del medico ha assunto un carattere ancor più perentorio e si è accentuata la consapevolezza che la sua libertà nelle scelte diagnostico-terapeutiche è determinante per potersi assumere la piena responsabilità ad operare;

    il codice di deontologia medica, all'articolo 3, laddove parla dei doveri generali e competenze del medico, afferma: «Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. Al fine di tutelare la salute individuale e collettiva, il medico esercita attività basate sulle competenze, specifiche ed esclusive, previste negli obiettivi formativi degli Ordinamenti didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria, integrate e ampliate dallo sviluppo delle conoscenze in medicina, delle abilità tecniche e non tecniche connesse alla pratica professionale, delle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, dell'insegnamento e della ricerca. La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità». Ed è proprio sulla esclusività di questa competenza di diagnosi e cura, non delegabile a nessuno, che si fonda la specificità dell'agire medico, con i suoi doveri, ma anche con il suo diritto inalienabile ad agire sempre in scienza e coscienza;

    il codice di deontologia medica, infatti, subito dopo, all'articolo 4, afferma: «L'esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità». In questo modo chiarisce come il medico, nell'esercizio della professione, debba sempre ispirarsi «alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura»;

    poco più avanti, all'articolo 6, dove si parla di qualità professionale e gestionale, il codice sottolinea che «Il medico fonda l'esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza, aggiornandoli alle conoscenze scientifiche disponibili e mediante una costante verifica e revisione dei propri atti. Il medico, in ogni ambito operativo, persegue l'uso ottimale delle risorse pubbliche e private salvaguardando l'efficacia, la sicurezza e l'umanizzazione dei servizi sanitari, contrastando ogni forma di discriminazione nell'accesso alle cure». L'insistenza di questi primi articoli è tutta concentrata sullo stretto binomio che lega il diritto-dovere del medico a esercitare la sua professione in spirito di libertà, ma con la massima competenza possibile;

    in coerenza con questi princìpi l'articolo 17 del codice afferma in modo perentorio che «il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte» e all'articolo 22, afferma che: «Il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici(...)»;

    il tutto nel clima di una relazione di cura, come quella descritta all'articolo 20, laddove si dice che: «La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull'individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l'alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un'informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura». Una relazione quindi basata sul rispetto reciproco della propria libertà, della propria autonomia e della propria responsabilità. Superato il vetero-paternalismo medico, non si dà atto a nessun capovolgimento di prospettive e al medico si chiede di fare il medico in scienza e coscienza, esercitando contestualmente la sua libertà e la sua responsabilità;

    la Corte di Cassazione, nella sentenza 23 novembre 2010, n. 8254, così come riportato da Massimario.it — 13/2011, stabilisce: «Nel praticare la professione medica il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato, utilizzando i presìdi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità»;

    il Tar della Puglia, nella sentenza n. 1600 del 2016 ritiene: è riconosciuta la «discrezionalità del medico nella scelta del farmaco più indicato per il proprio paziente», affermando che il medico «non può essere obbligato a indicare nella prescrizione esclusivamente il nome del principio attivo e quindi non può essere rimessa al farmacista la scelta concreta del farmaco da somministrare», in quanto quest'ultimo «non ha infatti né la competenza tecnica, né la conoscenza del quadro clinico dell'assistito» e sottolineando, quindi, che «anche il risparmio della spesa farmaceutica trova il limite del rispetto e della garanzia della libertà prescrittiva del medico quale libertà che si estrinseca proprio nella individuazione del farmaco sulla base del nome commerciale dello stesso»;

    il Tar del Piemonte, nella sentenza n. 382 del 2017 afferma che per le terapie già in corso è consigliato il mantenimento del trattamento farmacologico in essere andando ad annullare la deliberazione del giunta sugli obiettivi economici dei direttori generali che, di fatto, ingenerava nei destinatari una propensione a far indirettamente prevalere logiche di risparmio a discapito del parametro dell'appropriatezza della cura;

    la sentenza del Consiglio di Stato del 15 giugno 2011 afferma la libertà prescrittiva del medico, pur precisando: «gli atti impugnati fanno esplicitamente salva la possibilità che il medico prescriva un prodotto diverso (e più costoso) di quello aggiudicatario, restando la spesa a totale carico del servizio pubblico, sempreché il prescrittore giustifichi la sua scelta con una relazione motivata»;

    a fronte delle univoche disposizioni normative qui citate e dei principi giurisprudenziali cui si è fatto riferimento, talune regioni sembrano ancora voler condizionare e restringere l'autonomia prescrittiva del medico e la sua possibilità di prescrivere in scienza e coscienza il medicinale biologico più appropriato alle esigenze del paziente (in questo senso, si veda la deliberazione della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 736, la quale prevede che «i prescrittori prescrivano per principio attivo e il farmacista gestisca scelta e approvvigionamento del prodotto»), con conseguente limitazione all'accesso a specifici farmaci e potenziale pregiudizio per i livelli essenziali di assistenza;

    la legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 407, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 297 il 21 dicembre 2016, prevedendo il divieto si sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e un suo biosimilare, così come tra biosimilari, ribadisce l'autonomia del medico nella scelta terapeutica, affermando il diritto di prescrivere «il farmaco ritenuto idoneo» alla continuità terapeutica;

    la legge di bilancio citata conferma la posizione dell'Aifa che, all'interno del secondo Concept Paper del 15 giugno 2016, chiarisce: «i medicinali biologici e biosimilari non possono essere considerati sic et simpliciter alla stregua dei prodotti equivalenti, escludendone quindi la sostituibilità automatica», sottolineando che per i pazienti già in cura «l'opportunità di sostituzione resta affidata al giudizio clinico»;

    il dottor Saffi Ettore Giustini, responsabile farmacologia della Società italiana di medicina generale, dichiara: «spetta al medico decidere che cosa utilizzare dopo aver valutato il paziente. Con due avvertenze: se il farmaco funziona la continuità terapeutica non va intaccata; se il paziente non è mai stato trattato non presenta ragioni particolari per essere trattato con biologici originali»,

impegna il Governo:

1) a ribadire la libertà di scelta terapeutica, dal punto di vista etico e legale, da parte del medico, per garantire le migliori modalità di trattamento per il singolo paziente, basandosi su valutazioni di tipo clinico e non meramente economico, senza condizionamenti indebiti ad opera di soggetti non medici;

2) ad assumere iniziative concrete per garantire l'omogeneità dell'applicazione di tale principio, anche al fine di assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e di scongiurare il continuo ricorso alla magistratura competente;

3) ad assumere iniziative per garantire la continuità terapeutica per i pazienti già in trattamento, vietando da parte del farmacista la sostituzione automatica di un farmaco con un altro, fosse pure un biosimilare, in assenza di motivazioni cliniche e qualora la scelta risulti dettata meramente da motivi economici.
(1-01694) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».