• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00267 in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles il 19 e 20 ottobre prossimi venturi in cui i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri affronteranno un cospicuo...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00267 presentata da MICHELA MONTEVECCHI
mercoledì 18 ottobre 2017, seduta n.902

Il Senato,
in occasione della riunione del Consiglio europeo che avrà luogo a Bruxelles il 19 e 20 ottobre prossimi venturi in cui i Capi di Stato e di Governo degli Stati membri affronteranno un cospicuo numero di argomenti iscritti all'ordine del giorno proseguendo, per alcuni, i lavori già iniziati nella riunione di giugno scorso: politiche migratorie, negoziati sulla Brexit, cooperazione in tema di difesa, relazioni esterne in particolare con la Turchia e il mercato unico digitale;
premesso che:
lo scorso 13 settembre il Presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, ha illustrato al Parlamento europeo lo "Stato dell'Unione 2017" dedicando gran parte del suo discorso al fenomeno migratorio che permane al centro dell'agenda politica europea e dei suoi Stati membri;
secondo i dati esposti dal Presidente Juncker i flussi migratori irregolari provenienti dal Mediterraneo orientale verso la Grecia sono stati ridotti del 97 per cento in seguito all'accordo siglato con la Turchia e lo stesso controllo si sta tentando di attuare sulla rotta del Mediterraneo centrale dalla Libia, la cosiddetta "autostrada del mare", attraverso la quale dal 2013 sono arrivati in Italia 650mila migranti irregolari;
gli accordi italo-libici, sebbene abbiano rallentato sensibilmente il traffico di esseri umani dalle coste libiche della Tripolitania Occidentale (riducendo gli arrivi di oltre l'80 per cento rispetto allo stesso periodo estivo dello scorso anno), non sembrano però frenare gli scafisti e i trafficanti di esseri umani, che stanno tentando nuove rotte, prima fra tutte quella tunisina, che ha visto la recente collisione tra un barcone che portava circa settanta migranti verso l'Italia e una nave militare tunisina al largo delle isole Kerkennah;
proprio sulla natura degli accordi italo-libici che hanno temporaneamente chiuso la rotta migratoria nel Mediterraneo centrale ha chiesto chiarimenti in una lettera inviata il 28 settembre al Ministro dell'interno Marco Minniti, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa Nils Muiznieks;
se da un lato è evidente l'impegno italiano nel salvare vite umane in mare e accogliere i migranti, lo Stato ha il dovere di proteggere e salvaguardare i diritti umani alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, alla luce dei rapporti sulla situazione dei diritti umani dei migranti in Libia, esposti al rischio reale di tortura e trattamenti inumani e degradanti;
lo stesso Presidente della Commissione europea si è detto "inorridito dalle condizioni disumane dei centri di detenzione e di accoglienza. L'Europa ha una responsabilità - una responsabilità collettiva - e la Commissione lavorerà di concerto con le Nazioni Unite per porre fine a questo scandalo, che non si può tollerare", ha dichiarato Juncker nel suo discorso sullo Stato dell'Unione;
l'accordo libico rischia di essere un ennesimo errore della politica europea sui flussi migratori: sostenere politicamente ed economicamente milizie e leader a dir poco discutibili, proprio come è stato fatto in Turchia. Un accordo che ha dato non solo miliardi, ma anche credibilità e libertà di azione a Erdogan, che non perde tempo a imprigionare e a limitare i più basilari diritti umani e democratici;
si continua a elargire denaro, ma non si interviene sulle cause profonde che spingono le persone a fuggire dalle loro terre e non si procede a una vera svolta sulle norme europee che regolano l'accoglienza dei migranti;
nonostante sulla carta i Capi di Stato e di Governo affronteranno le questioni legate alla riforma del sistema europeo comune di asilo, è latente l'attenzione posta alla riforma del Trattato di Dublino, che rappresenta il vero vulnus nel sistema di accoglienza dei migranti a livello europeo. Gli accordi di Dublino assegnano ai Paesi di primo arrivo dei migranti enormi fardelli perché sono tenuti a identificarli e ad avviare tutte le procedure per la richiesta di asilo. I negoziati per la riforma del Trattato di Dublino vedono una profonda distanza tra il Parlamento, dove si sta lavorando per cercare di superare il principio del Paese di primo approdo, e il Consiglio dove il tema è affrontato con un certo distacco. L'obiettivo dichiarato degli europarlamentari è quello di dar vita a un meccanismo che estenda a tutti gli Stati membri il dovere della solidarietà e la responsabilità di farsi carico, dal punto di vista burocratico come da quello esistenziale, dei richiedenti asilo;
se l'Unione europea troverà il coraggio di modificare le regole di Dublino potrebbe ristabilire un rapporto di fiducia con i cittadini soprattutto italiani che vivono il fenomeno migratorio come un'emergenza. Paesi come l'Italia e la Grecia non possono essere lasciati soli a gestire l'enorme flusso di migranti che arrivano;
altro nodo resta quello dell'equa distribuzione dell'accoglienza dei migranti in tutta l'Unione europea. Nonostante i ripetuti appelli, purtroppo la Repubblica Ceca, l'Ungheria e la Polonia, violando gli obblighi giuridici sanciti dalle decisioni del Consiglio e gli impegni nei confronti della Grecia, dell'Italia e di altri Stati membri, non hanno ancora intrapreso le azioni necessarie: per questo nei confronti di questi tre Stati membri sono state avviate procedure di infrazione;
nel caso in cui l'inadempimento sia continuo è necessario procedere a sanzioni di tipo pecuniario: la recente sentenza della Corte di giustizia europea ha richiamato ai loro obblighi questi Paesi respingendo i ricorsi di Ungheria e Slovacchia contro il sistema di ricollocamento dei migranti;
non è coerente accettare di essere parte dell'Unione europea quando si ricevono fondi e soldi europei e decidere di tirarsi indietro in tema di accoglienza e richiedenti asilo, violando lo stato di diritto europeo;
ritenuto che:
nella riunione del Consiglio europeo, i leader europei continueranno le discussioni in merito alla sicurezza e difesa europea, in particolare sull'avvio di una cooperazione strutturata permanente (PESCO) in materia di difesa, su cui l'Alto rappresentante Federica Mogherini si è detta convinta di giungere entro un anno alla conclusione del percorso;
il percorso verso una difesa comune sta subendo una forte accelerazione, ma è necessario che come è negli intenti contenuti nel Documento di riflessione sul futuro della difesa europea essa sia effettivamente centrata sull'assistenza reciproca e la solidarietà, su cui gli Stati membri hanno mostrato, in riferimento alla gestione della crisi migratoria, ben poca collaborazione;
la difesa europea dovrebbe essere focalizzata a tagliare sprechi, colmare lacune tecnologiche, sfruttare economie di scala e avere un mercato della difesa più trasparente e invece si corre concretamente il rischio di sovvenzionare direttamente l'industria degli armamenti europea, per i soli profitti della stessa, industria che già beneficia in gran parte di denaro pubblico attraverso altri canali nazionali, spingendo ulteriormente la corsa al riarmo globale;
una vera Unione europea di difesa deve essere fortemente ancorata ai principi di difesa della pace e la stessa Unione europea deve essere protagonista nella risoluzione dei conflitti e non invece, come troppe volte sta accadendo, parte responsabile degli stessi;
tenuto conto che:
i Capi di Stato e di Governo affronteranno il tema della digitalizzazione, le opportunità e le sfide che possono essere colte e affrontate attraverso il completamento del mercato unico digitale. La Commissione Europea ha già presentato in tale prospettiva un pacchetto di norme per tutelare la proprietà intellettuale, la diversità culturale e i dati personali, ma ancora è necessario lavorare per migliorare la sicurezza contro gli attacchi informatici;
il mercato unico digitale europeo giungerà a completamento solamente se riuscirà a garantire uguaglianza tra gli utenti che desiderano comprare dei beni materiali o intellettuali, e un primo passo è stata l'eliminazione del geo-blocking, e se sarà partecipativo con possibilità di accesso veloce, sicuro e trasparente;
le tecnologie digitali hanno già cambiato, e continueranno nei prossimi anni, a cambiare profondamente la vita delle persone, l'attività delle imprese, il funzionamento delle amministrazioni pubbliche. In un contesto in rapida evoluzione come quello del mercato digitale, in cui i modelli di business anche nei settori tradizionali vengono rivoluzionati e si sviluppano prodotti e servizi un tempo inimmaginabili, è necessario un intervento pubblico per regolamentare il settore, che necessita anche di un nuovo sistema di tassazione che sia efficiente, equo, trasparente e completamente armonizzato a livello europeo, in cui non debbano più esserci fenomeni di dumping fiscale tra Stati membri a favore delle grandi imprese digitali;
l'economia digitale non può limitarsi per sua stessa natura ai confini di un singolo stato e necessita interventi europei per la sua regolamentazione tra cui anche quello della tassazione dei grandi colossi digitali. Per assicurare che i profitti tassabili siano attribuiti dove viene generato il valore, per evitare l'erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti è necessario ripensare a un sistema di tassazione non più basato sul principio dello "stabilimento permanente", non adatto a un'economia digitale;
l'Unione europea deve delineare un approccio comune per affrontare le sfide della tassazione digitale: la Commissione europea ha presentato lo scorso 21 settembre la Comunicazione "Un sistema fiscale equo ed efficace nell'Unione europea per il mercato unico digitale" e la stessa Presidenza estone del Consiglio dell'Unione europea ha posto tra gli obiettivi del suo semestre di presidenza quello di giungere a soluzioni comuni rapide per la tassazione dell'economia digitale;
considerato, inoltre, che:
sul fronte della Brexit non ci sono progressi significativi per quanto riguarda l'avanzamento delle trattative, anzi possiamo dire che si è davanti a una vera e propria situazione di stallo. A nulla sono valsi gli incontri istituzionali delle ultime ore se non a far concordare tutti su un punto, vale a dire la necessità di accelerare i negoziati, sebbene non sia dato sapere ancora su cosa e come;
rimangono distanti le posizioni su almeno cinque punti nodali: l'aspetto finanziario, la Gran Bretagna deve onorare gli impegni presi, la regolazione per le frontiere irlandesi, i diritti dei cittadini europei residenti nel Regno Unito e il riconoscimento del ruolo della Corte europea di giustizia;
le posizioni della Gran Bretagna sono tra l'altro indebolite dalla situazione politica interna, che vede la premier Theresa May in difficoltà con la sua maggioranza e il suo stesso partito, che deve anche preparare un eventuale paracadute e piano di emergenza nel caso si debba giungere a un "non accordo", con i cittadini europei in Gran Bretagna e i cittadini britannici in UE in un limbo, il rischio di ripristinare i controlli alle frontiere tra Eire e Ulster e il possibile blocco del traffico aereo allo scadere dei due anni per il termine delle trattative;
sono tanti i settori che potrebbero subire un contraccolpo nel caso in cui non si giungesse a un accordo completo sulla Brexit, primo fra tutti il settore della ricerca. La Gran Bretagna attualmente in Europa rappresenta il polo accademico più attrattivo per ricercatori e studiosi e detiene il record di fondi europei ottenuti per R&S (ricerca e sviluppo);
secondo i dati relativi all'anno 2016, su 200 bandi europei del programma Horizon 2020, ben il 15 per cento dei fondi sono stati assegnati a centri di ricerca e università britanniche con una quota doppia rispetto a quella raggiunta dall'Italia;
la Gran Bretagna è da tempo la destinazione preferita da ricercatori e studenti universitari: ogni anno l'Erc, il Consiglio europeo della ricerca, lancia bandi che valgono centinaia di milioni per assegnare "grant" ovvero borse di studio che valgono fino a 2 milioni di euro l'uno per consentire ai migliori cervelli UE di fare ricerca in uno dei laboratori sparsi per l'Europa. Ebbene dal 2007 sono state assegnate 6.000 borse di studio dall'Erc ad altrettanti ricercatori di tutte le nazionalità e la meta più scelta è stata l'Inghilterra:?quasi 1300 tra i migliori scienziati - tra i 6.000 complessivi - hanno scelto di fare le loro ricerche in un laboratorio inglese, portandosi dietro competenze e fondi. Gigantesco è poi l'esodo degli studenti universitari europei Oltremanica. Sono circa 150.000 i ragazzi che dai 28 Paesi dell'UE scelgono le università inglesi, di cui circa 5.000 dall'Italia;
pur non avendo una competenza diretta in materia di università, l'Unione europea costituisce un riferimento essenziale in questo settore: le norme in materia di libera circolazione e non discriminazione garantiscono agli studenti che sono cittadini UE la possibilità di accedere alle università inglesi su un piano paritario rispetto agli studenti nazionali, pagando le stesse tasse universitarie;
gli effetti della Brexit nell'ambito della ricerca non si espleteranno solo sul territorio britannico, ma andranno a influire anche sui molti progetti di partenariato con le università degli altri Stati membri, basti pensare ai numerosi progetti di ricerca che coinvolgono le università italiane e quelle britanniche e che spaziano nei più svariati settori dalla medicina alle politiche sociali, dalla linguistica all'informatica;
a questo si aggiunge che alcuni ricercatori britannici hanno già denunciato di essere stati messi da parte in bandi europei o estromessi da cordate internazionali perché il regime di incertezza in cui attualmente versa il Paese rende difficile capire quale ruolo potrebbero giocare gli atenei britannici in queste future alleanze per ricerca e pubblicazioni;
è un dato di fatto che oramai l'Unione europea costituisca uno dei principali finanziatori della ricerca accademica per tutti gli Stati membri, attraverso i progetti legati agli obiettivi fissati da Horizon 2020, e strumenti quali le borse Marie Curie-Slodowska e lo European Research Council. L'uscita del Regno Unito dall'UE avrà potenzialmente delle ripercussioni rilevanti sulla carriera di molti ricercatori, potendo determinare l'applicazione di trattamenti differenziati per gli studenti UE, e sull'altro versante l'esclusione delle Università britanniche dagli accordi e dagli strumenti finanziari europei. Fino a quando non sarà concluso l'accordo che sancirà l'uscita dall'UE, tuttavia, non è possibile sapere quali saranno le soluzioni, che potranno essere più o meno restrittive sia per l'UE che per la Gran Bretagna,
impegna, quindi, il Governo:
a sostenere nelle opportune sedi europee una radicale riforma del sistema di Dublino che consenta di superare il principio del "Paese di primo approdo", permettendo al migrante di presentare la domanda di asilo nello Stato membro dove eventualmente già sono presenti parenti e familiari. Nel caso in cui il migrante giunto in Italia non abbia parenti in altri Stati membri, rientrerà nel programma di ricollocazione;
a sostenere che le quote di ricollocazione spettanti a ogni Stato membro siano calcolate tenendo conto di alcuni criteri: il tasso di disoccupazione, il prodotto interno lordo e la popolazione, in modo da non andare a gravare su quegli Stati membri che attraversano già situazioni di profonda crisi economica;
a sostenere l'introduzione di sanzioni di tipo pecuniario per gli Stati membri che si rifiutano di prendere parte al meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo, prevedendo l'interruzione dei pagamenti dei fondi strutturali e di coesione;
a farsi garante, di concerto con le istituzioni europee e internazionali, del rispetto dei diritti umani dei migranti a seguito degli accordi conclusi con stati terzi al fine del controllo dei flussi migratori;
a sostenere a livello europeo una cooperazione nel settore della difesa finalizzata a eliminare inutili duplicazioni e sprechi, per favorire la standardizzazione degli equipaggiamenti, i risparmi e le economie di scala, permettendo quindi un taglio dei costi al bilancio della difesa negli Stati membri. Garantendo così un recupero di fondi da reinvestire, auspicabilmente, nel sociale e nella lotta alle crescenti disoccupazione e disuguaglianze;
ad adoperarsi per un mercato unico digitale europeo che sia basato sui principi dell'uguaglianza, partecipazione e fiducia per gli utenti, garantendo quello che può essere definito come diritto di internet, vale a dire garantire l'accesso alla rete a tutti indistintamente, anche nei territori più isolati;
a promuovere a livello europeo un'armonizzazione della tassazione sulle imprese digitali garantendone trasparenza ed efficacia al fine di evitare forme di dumping fiscale tra Stati membri e fenomeni di evasione sistemica;
a garantire, in via prioritaria, nelle trattative per la Brexit in modo paritetico la tutela degli interessi sia delle migliaia di cittadini italiani ed europei che lavorano stabilmente in Gran Bretagna, sia dei cittadini britannici residenti nella UE, poiché i loro diritti non devono essere messi in discussione;
a richiedere al Governo del Regno Unito il riconoscimento dell'iscrizione all'Aire dei cittadini italiani come elemento di certificazione della residenza in Gran Bretagna e vigilare affinché, nel processo negoziale sui diritti dei cittadini, le nuove norme per l'ottenimento del certificato di residenza risultino semplici, rapide e non introducano alcuna forma di discriminazione tra le diverse nazionalità dei cittadini europei residenti nel Regno Unito;
ad evitare che in fase di applicazione dell'accordo sui diritti dei cittadini siano introdotte a livello amministrativo disposizioni volte a limitare fortemente tali diritti, in particolare eventuali certificazioni sulla conoscenza della lingua inglese o attestazioni di permanenza ininterrotta nel tempo, peraltro difficili da reperire;
a salvaguardare i programmi di ricerca europei che vedono coinvolti le università e i centri di ricerca italiani insieme a quelli britannici e garantire la tutela dei diritti degli studenti, ricercatori e professori italiani che attualmente si trovano in Gran Bretagna al fine di dare loro la possibilità di portare a compimento le loro attività di studio e ricerca;
a farsi garante in sede dei negoziati con la Gran Bretagna del principio "easy in, easy out", vale a dire la trattazione simmetrica delle procedure di ingresso e di recesso di Stati membri in ogni situazione negoziale presente e futura nell'Unione europea.
(6-00267)
MONTEVECCHI, BOTTICI, CIOFFI, PETROCELLI, ENDRIZZI, AIROLA, BERTOROTTA, BLUNDO, BUCCARELLA, BULGARELLI, CAPPELLETTI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, COTTI, CRIMI, DONNO, FATTORI, GAETTI, GIARRUSSO, GIROTTO, LEZZI, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MARTON, MORONESE, MORRA, NUGNES, PAGLINI, PUGLIA, SANTANGELO, SCIBONA, SERRA, TAVERNA.