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Atto a cui si riferisce:
C.1/01748    premesso che:     la normativa a tutela dei minori è ampia e comprende una esaustiva descrizione dei loro diritti che appaiono concordemente in documenti nazionali ed...



Atto Camera

Mozione 1-01748presentato daBINETTI Paolatesto diMercoledì 15 novembre 2017, seduta n. 886

   La Camera,

   premesso che:

    la normativa a tutela dei minori è ampia e comprende una esaustiva descrizione dei loro diritti che appaiono concordemente in documenti nazionali ed internazionali, con una solida base nella Costituzione, nelle leggi ordinarie, nel codice civile e nei trattati internazionali. Il vero problema è la loro scarsa attuazione e una certa retorica nell'affermarli, senza verificare fino a che punto vengono poi disattesi nei fatti;

    nel tempo si sono creati cortocircuiti che riducono i criteri di controllo e finiscono con il posporre il vero interesse del minore in una logica burocratica in cui i cosiddetti servizi non sono certo al servizio del minore. I genitori sono penalizzati almeno tanto quanto i minori e si creano sacche di sofferenza del tutto estranee al dettato originale della norma;

    la Costituzione italiana riconosce al minore vari diritti a cominciare dall'articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo in quanto tale e che, pertanto, si riferisce anche ai minori e, infatti, si applica indipendentemente dall'età, dal sesso e dalla cittadinanza. L'articolo 3 riconosce il diritto del minore ad un regolare processo evolutivo, al formarsi in modo armonioso e completo e quindi a ricevere prestazioni materiali ed apporti educativi che lo mettano in grado di crescere. L'articolo 30, invece, stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, mentre l'articolo 31 protegge, oltre alla maternità, anche l'infanzia e la gioventù. L'articolo 34 attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana. Tale norma trova scarsa applicazione, mentre, per la sua portata generale, la sua applicazione sarebbe assai utile per la tutela sociale, istituzionale e giudiziaria dei bambini, come diritto alla rimozione di tutte le cause che possano turbare la sua crescita;

    anche se il legislatore costituzionale non ha delineato un compiuto statuto dei diritti del minore, è importante comunque rendersi conto che la Carta costituzionale può essere interpretata in modo più elastico di fronte alle sempre nuove necessità della vita, riconoscendo in essa il principio del favor minoris nel progetto di promozione e tutela dei diritti del minore;

    la «Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea», adottata a Nizza il 7-8 dicembre 2000 da parte del Consiglio europeo, all'articolo 24, enuclea i diritti del bambino, tra cui il: diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione che viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e maturità. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente e ogni bambino ha diritto di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo il caso in cui sia contrario al suo interesse;

    altro importante punto di riferimento normativo per la tutela dei minori e del loro benessere psicologico e fisico è la Convenzione dell'Onu sui diritti dell'infanzia approvata il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991, con la quale sono stati definiti in maniera compiuta i diritti dei bambini. Questo strumento mette in evidenza non solo la necessità di rispettare la personalità del minore, ma anche quella di agire attivamente per offrirgli aiuto e assistenza;

    secondo la definizione fornita dal Consiglio d'Europa nel 1978, il maltrattamento «si concretizza negli atti e nelle carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di un terzo»;

    nel 1999 la Consulta sulla prevenzione dell'abuso sui bambini dell'Organizzazione mondiale della sanità ha indicato la seguente definizione: «l'abuso o il maltrattamento sull'infanzia è rappresentato da tutte le forme di cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell'ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere»;

    come sottolineato nel rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, «per maltrattamento psicologico si intende una relazione emotiva caratterizzata da ripetute e continue pressioni psicologiche, ricatti affettivi, indifferenza, rifiuto, denigrazione e svalutazioni che danneggiano o inibiscono lo sviluppo di competenze cognitivo-emotive fondamentali quali l'intelligenza, l'attenzione, la percezione, la memoria»;

    il codice civile a sua volta contiene molti articoli riguardanti la responsabilità genitoriale e i diritti e doveri del figlio. Ad esempio, l'articolo 315 recita «Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». Segue l'articolo 315-bis che elenca i diritti e i doveri del figlio: «Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa»;

    la responsabilità genitoriale è affrontata dall'articolo 316 del codice civile: «Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio». L'articolo 317-bis, invece, disciplina il rapporto con gli ascendenti che hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. La decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli è affrontata dal codice, all'articolo 330, che recita: «Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio». L'articolo 333 dice che, quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore;

    l'articolo 336-bis disciplina l'ascolto del minore, che è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti che lo riguardano. L'articolo 337 riguarda la vigilanza del giudice tutelare e l'articolo 337-ter si riferisce al diritto dei figli di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi. L'articolo 337-quater prevede l'affidamento a un solo genitore e l'opposizione all'affidamento condiviso. «Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo», che comporta la responsabilità genitoriale su di essi; «salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse»;

    la legge 8 novembre 2000, n. 3 «legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», è finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscono un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. La legge pone tra gli scopi quello della valorizzazione e del sostegno delle responsabilità familiari: il sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie, nonché, valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana. Ne consegue che il compito delle assistenti sociali deve obbligatoriamente concorrere a sostenere ed aiutare concretamente figli e genitori astenendosi da esprimere giudizi e opinioni di condanna, formulare pareri su punizioni e sanzioni, ma impegnarsi quotidianamente per la conciliazione e la soluzione dei problemi e non moltiplicare i conflitti;

    i servizi costituiscono una fonte particolarmente qualificata perché hanno lo scopo istituzionale del sostegno al disagio delle famiglie e dei minori; i servizi sociali e sanitari hanno la possibilità e il dovere di intervento istituzionale sui minorenni con attività concrete e devono fornire la prova del compimento del loro agire. Di fronte ad una situazione di pregiudizio attuale o di rischio possibile, devono approntare gli interventi di competenza a livello della prevenzione e dell'educazione familiare e proporre colloqui socio-psicologici, operando per acquisire l'adesione dei genitori e del minore stesso a tali interventi. Ogni ascolto effettuato dalle assistenti sociali deve essere registrato per consentire il controllo sul loro operato e costituire una difesa per il minore e i genitori;

    l'autorità si rivolge ai servizi sociali (articolo 2, della legge n. 184 del 1983) per ottenere l'indicazione di persone o istituti idonei ad accogliere il minore e, di regola, li incarica dell'esecuzione del provvedimento: su tali provvedimenti e sulle condizioni del minore collocato, l'autorità e i servizi sociali hanno l'obbligo di riferire al più presto al tribunale per i minorenni (articolo 9 della legge 4 maggio 1983, n. 184);

    per quanto riguarda la separazione dei figli dai genitori, l'assistente sociale che deve riferire al giudice minorile non può limitarsi a dichiarare l'abbandono del minore o una condizione di degrado o una situazione di disagio esistenziale, ha il dovere di svolgere un'accurata e documentata indagine, raccogliendo fonti di prova inoppugnabili; fra queste deve privilegiare la registrazione degli incontri audio-video ed ha il dovere di svolgere un primo immediato intervento di vero e proprio pronto soccorso, avvalendosi dei mezzi a disposizione ancor prima di rivolgersi al giudice minorile, in modo da assolvere all'opera di prevenzione che la normativa consente;

    l'articolo 2 della legge n. 184 del 1983 stabilisce che «Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. Ove ciò non sia possibile è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza»;

    l'articolo 4 della legge n. 184 del 1983 specifica che l'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo senso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, ovvero dal tutore, sentito il minore. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del tutore, provvede il tribunale per i minorenni. Nella realtà il tribunale per i minorenni decide sulla base di una sintetica comunicazione proveniente dai servizi sociali o da una annotazione della polizia giudiziaria che ha raccolto la denuncia di un padre, di una madre, di un parente accecato dalla rabbia, spinto dall'ira, emotivamente provato dal conflitto che regolarmente si instaura con la fine dell'unione familiare;

    il pubblico ministero minorile, anche dato il carico di lavoro, da per scontato quanto riportato nella segnalazione o nella annotazione ed avvia il procedimento minorile che dà subito esiti nefasti per il minore e il genitore. Con estrema facilità il figlio viene collocato presso una casa famiglia con danni fisici e morali irreversibili per il minore, in quanto viene sradicato dal suo mondo per ritrovarsi in una realtà che non gli appartiene e che è peggiore della permanenza del bambino in un ambiente familiare conflittuale. Nella maggior parte dei casi il minore è separato dai genitori per futili motivi o condotte di lieve entità. Il tentativo di proteggerlo fallisce miseramente;

    l'articolo 9 della legge n. 184 del 1983 riconosce a chiunque la facoltà di segnalare all'autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. Ricevuta la segnalazione, il presidente del tribunale provvede all'immediata apertura di un procedimento relativo allo stato di abbandono del minore. Dispone immediatamente, tramite i servizi sociali locali o gli organi di pubblica sicurezza, più approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono. Il tribunale può disporre in ogni momento provvedimenti provvisori nell'interesse del minore, compreso il collocamento temporaneo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della responsabilità genitoriale dei genitori sul minore, la sospensione dell'esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio;

    nella stragrande maggioranza dei casi (40.000 bambini rinchiusi - i numeri parlano chiaro) la realtà registra l'esatto contrario delle finalità declamate dalla norma. Il minore si trova nell'immediatezza del provvedimento che lo allontana dai genitori, in un mondo a lui straniero, vive in condizioni di degrado rispetto a quelle godute nella casa familiare, con una drastica riduzione del tenore di vita tenuto durante la permanenza nella casa familiare con i genitori, in violazione dell'articolo 147 c.c. che sancisce il diritto dei figli al mantenimento, istruzione, educazione;

    volendo provare a generalizzare il concetto di «esclusivo interesse morale e materiale» della prole, ci si dovrebbe richiamare alla necessità che il minore possa godere di uno sviluppo compiuto ed armonico della sua personalità, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche, al di là ed al di sopra di interessi diversi (e, magari, contrapposti) quali potrebbero essere talora quelli dei genitori, allo scopo di ridurre al massimo, entro i limiti di una situazione comunque traumatica, i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare. La valutazione di tale interesse deve in ogni caso essere riferito «...a quel minore, inserito in quella situazione concreta», con diretto ed immediato riferimento alla particolare fattispecie, «...alla vicenda umana di ciascun minore, alla sua sensibilità particolare di individuo». Spetterà al giudice trovare la soluzione aderente alla specificità della situazione sottoposta al suo esame, realizzata attraverso una scelta coerente e ponderata, fondata su concreti elementi acquisiti. Va da sé che qualora le circostanze concrete consiglino una soluzione alternativa all'affido condiviso e all'affidamento esclusivo, pur in assenza di una disposizione espressa sul tema, si dovrà applicare il dettato dell'articolo 6, ottavo comma della legge n. 898 del 1970, ovvero disporre l'affidamento familiare a un nucleo diverso da quello naturale, per arrivare – ma solo come soluzione di emergenza – ai servizi sociali;

    l'articolo 2 della legge n. 184 del 1983 ha come scopo quello di introdurre nell'ordinamento in modo organico un sistema di affidamento di minori a famiglie estranee ai genitori naturali, quando i genitori non sono idonei a tenere con sé il figlio, senza che a loro carico emergano circostanze tali da pervenire a provvedimenti ablativi della potestà. In questo modo emerge la volontà di inserire il minore in una realtà diversa da quella della sua famiglia, dove possa fronteggiare con la più ampia serenità possibile le problematiche derivanti dalla crisi coniugale dei genitori. Il collocamento dei figli presso una terza persona e, in estrema ipotesi, in un istituto di educazione costituisce tuttavia una misura di carattere eccezionale che può essere adottata solo allorquando entrambi i genitori abbiano dimostrato un'assoluta deficienza morale e una totale inidoneità educativa;

    la prima soluzione deve essere, ovviamente, l'affidamento a parenti stretti del minore, quali i nonni e gli zii. Tuttavia, nella maggioranza dei casi non viene adottato l'affido agli stretti parenti, ma viene privilegiata la scelta della collocazione nella casa famiglia, con lo scopo di depotenziare le resistenze dei genitori o del genitore e del minore che non vogliono accettare la separazione. Anche la soluzione del collocamento presso una terza persona, da preferirsi al ricovero in un istituto di educazione, deve comunque essere adottata in presenza di gravi motivi, come la comprovata inadeguatezza dei genitori a garantire una idonea educazione ai figli;

    solo se non sussiste la possibilità di affidare il minore a una terza persona dovrà prendersi in considerazione l'affidamento presso un istituto di educazione, soluzione di carattere eccezionale, ad esempio per mancanza dei parenti, o per inidoneità anche di questi ultimi;

    con l'istituto dell'affidamento è possibile da una parte tutelare l'interesse diretto del minore di crescere ed essere educato in maniera corretta, dall'altro, si offre alle famiglie in condizioni di vita di degrado e di rischiosa indigenza un sostegno finalizzato a superare la temporanea difficoltà. La tutela del diritto del minore alla famiglia si spinge fino alla determinazione della dichiarazione di adottabilità;

    la legge sull'adozione attribuisce particolare rilievo al diritto alla continuità affettiva dei bambini in affido familiare. Nello specifico, qualora durante l'affido ricorrano i requisiti per l'adozione e la famiglia affidataria chieda di voler adottare il minore, il tribunale per i minorenni, nel decidere sull'adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra questi e la famiglia affidataria;

    con la legge n. 173 del 2015 si è dato rilievo alla continuità delle relazioni affettive del minore con la famiglia affidataria. Per evitare, che il legame affettivo tra il bambino e gli affidatari debba essere spezzato, la nuova legge introduce nel tessuto della legge n. 184 del 1983 alcune norme (o ne modifica altre) che danno attuazione al principio della continuità dei rapporti consolidatisi durante il periodo dell'affidamento, quando ciò corrisponde all'interesse del minore;

    la discrezionalità e i poteri d'ufficio attribuiti al giudice sono stati da sempre riconosciuti nell'ordinamento, stante la necessità di tutelare l'interesse del minore, e l'ampia clausola di chiusura, ora trasposta nell'articolo 337-bis c.c., nella parte in cui è previsto che il giudice possa adottare ogni altro provvedimento relativo alla prole, è disposizione «in bianco» suscettibile di essere riempita di diversi contenuti a seconda delle concrete necessità di tutela della prole. Tale ampio potere conosce comunque dei limiti in quanto sia le convenzioni internazionali (cfr. articolo 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo), sia le norme interne (cfr articoli 315-bis c.c. e articolo 1 della legge n. 184/1983), sanciscono il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia;

    pertanto, l'affidamento a terzi o all'ente territoriale deve essere considerato scelta ultima, alla quale ricorrere nei casi di conclamata incapacità genitoriale e quando non vi sia possibilità di individuare soluzioni all'interno della famiglia allargata;

    il sistema della giustizia minorile registra dati quantitativi di alto allarme: 40.000 bambini collocati nelle case famiglia, 250.000 genitori, parenti, amici separati dalle decisioni dei giudici minorili, dalle relazioni delle assistenti sociali, delle psicologhe forensi, dei tutori e curatori speciali;

    al centro del sistema ci sono le case famiglia che beneficiano di entrate di oltre tre miliardi di euro l'anno, più l'indotto, e dove i bambini separati dai genitori vengono tenuti a volte in condizioni degradate e comunque viene reciso il vitale e naturale rapporto affettivo con i genitori, violando le leggi biologiche della relazione figli - genitori scritta nel Dna di ognuno;

    il sistema favorisce le case famiglia, ad avviso dei firmatari del presene atto di indirizzo luoghi di illegittimo distacco dai genitori biologici, dove sovente si valorizza l'aspetto patrimoniale dell'accoglienza, penalizzando i rapporti affettivi dei minori con la famiglia e con i parenti, dissimulando di accogliere i bambini che soffrono perché i genitori non vanno più d'accordo e giovandosi delle liti familiari;

    il sistema della giustizia minorile è un organismo che comprende una serie di variabili, che possono essere tutte convergenti in offesa dei diritti dei minori, dove dominano le decisioni dei giudici minorili sostenute da relazione e pareri di assistenti sociali, psicologhe forensi, tutori e curatori speciali, sovente redatte con superficialità, con assenza di conoscenze specifiche del singolo caso, lasciando spazio a incaute generalizzazioni;

    sostengono incautamente i giudici minorili di «tutelare i figli dalle manipolazioni dei genitori possessivi». Una affermazione che si ripete da decenni per la maggior parte dei procedimenti aperti nei tribunali per i minorenni in tutta Italia e che rappresenta la prova granitica della disfunzionale applicazione delle norme nel tentativo di conciliare diritto e psicologia, quest'ultima spesso applicata nelle reali vicende umane con troppa immediatezza e con metodologie ed operazioni ascientifiche;

    inoltre, le psicologhe forensi, che vengono incaricate dai giudici minorili, non potrebbero pronunciare diagnosi che sono di competenza del medico (psichiatra e neurologo), con conseguenze a volte perniciose per la sofferenza ed il dolore che possono causare a figli e genitori. Non a caso il Parlamento sta abolendo i tribunali per i minorenni;

    si tratta di un mondo vuoto, di generalizzazioni precarie, di un mercato di parole prive di significato lontane dalle sofferenze delle persone, ma ricco per gli interessi professionali di quelli che appaiono ai firmatari del presente atto di indirizzo incauti consulenti tecnici senza scienza e coscienza, nominati dal giudice minorile per farsi assistere su materie che non conosce. Si registrano giudizi affrettati, condanne perentorie che offendono la scienza dell'anima ed alimentano l'effimero prestigio di questi professionisti della pseudo-psicologia, incapaci di fornire un vero sostegno a chi ha bisogno, più preoccupati ad addebitare colpe ora ad un genitore ora ad un altro con traballanti accuse e sanzioni afflittive, quando invece dovrebbero operare per fornire un «aiuto» per favorire la conciliazione e la pacificazione tra genitori e non moltiplicare i conflitti;

    le vittime sono i bambini che nessuno ascolta e tutela e tragicamente le loro piccole energie di resistenza si consumano nel dolore e nella disperazione. L'orrore nasce per gli effetti devastanti sui minori, che dovrebbero proteggere e di cui diversamente moltiplicano le sofferenze. Qualsiasi difesa è vana, viene semplicemente ignorata; non si sa come fronteggiare il giudizio del giudice minorile supportato dalle perizie delle psicologhe forensi, se supinamente ingraziandosi il giudicante o contestandolo, ma in questo caso viene messa in pericolo la condizione del minore che è il destinatario finale del provvedimento afflittivo;

    appare spesso molto fragile anche la competenza dell’«educatore» molto utilizzata negli ultimi anni dai giudici minorili. L'educatore viene autorizzato ad effettuare una vera e propria invasione nella privacy della casa familiare e dei componenti la famiglia (entrambi i genitori, solo madre, solo padre, oltre ascendenti e parenti) per insegnare a madri e padri come si deve fare il genitore, quali siano le prescrizioni da adottare, quali le forme e i modi educativi, le cure e l'educazione che devono essere impartite ai figli per ottenere il parere positivo ad esercitare il ruolo di genitore. Se il parere risulta negativo il genitore ritenuto carente si deve sottoporre ad un percorso di sostegno alla genitorialità, meglio conosciuto come psicoterapia, sempre secondo l'insegnamento dell'educatore;

    basterebbe applicare scrupolosamente l'articolo 8 della Cedu, Convenzione europea dei diritti dell'uomo:

     «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

     2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui»;

    i firmatari del presente atto ritengono che la difesa dei minori sia un atto dovuto e che debba essere svelata la realtà della condizione di questi minori separati dai genitori e collocati nelle case famiglia che ha raggiunto una dimensione ed un volume di sofferenza molto preoccupante per la tenuta del tessuto sociale e dell'ordine pubblico;

    la verità sul sistema della collocazione illegittima di minori nelle cosiddette strutture protette, chiuse ai controlli e alla trasparenza dovuta, atteso che enti privati gestiscono denaro pubblico, deve essere indagata con strumenti efficienti anche costituendo una commissione d'inchiesta parlamentare con effettive possibilità di indagine e con la nomina di esperti autorizzati ad entrare nelle case famiglia per un controllo ad ampio raggio anche sui conti delle entrate e delle uscite. L'affidamento dei minori a soggetti privati collocati in case famiglia può celare situazioni di grande disagio e sofferenza dei minori ospitati, come pure abusi ed illegalità, che non possono essere curati e vigilati in modo standardizzato, uguale per tutti gli ospiti; le prestazioni devono essere personalizzate attraverso un esame approfondito della singole situazioni che hanno comportato la separazione del minore dai genitori e la collocazione nella struttura a ciclo residenziale,

impegna il Governo:

1) a intraprendere iniziative, anche normative, per evitare le situazioni di abuso e di illegalità dovute alla pericolosa, irragionevole e controindicata separazione dei figli dai genitori e ridurre e limitare drasticamente questo fenomeno che ha raggiunto una dimensione allarmante, dilatando il volume del dolore della sofferenza;

2) ad assumere iniziative per garantire il diritto dei minori di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti ed evitare assolutamente che il minore venga separato dai genitori, salvo ove ricorrano gravi reati che devono essere accertati dalla autorità inquirenti;

3) a valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative volte a ridurre la discrezionalità e i poteri d'ufficio attribuiti al giudice precedente;

4) ad assumere iniziative per assicurare che, in caso di sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, il minore sia affidato esclusivamente agli ascendenti ed ai parenti di ciascun ramo genitoriale;

5) ad assumere iniziative per assicurare che le assistenti sociali e gli altri consulenti nominati dal giudice minorile intervengano a supporto del figlio e dei genitori con incontri e colloqui che favoriscano la conciliazione e il ripristino delle condizioni di normalità, senza che il minore venga allontanato dal posto dove ha vissuto;

6) ad adottare iniziative per garantire il servizio di assistenza preventiva ed educativa, per impedire situazioni di disagio educativo, culturale e sociale, al fine di riequilibrare le relazioni familiari investite da conflitti e litigi;

7) a tutelare il diritto del minore ad avere pari condizioni e la possibilità di crescere nel contesto ambientale nel quale è nato e si è formato nei suoi primi anni di vita, che non possono essere cancellati;

8) ad assumere iniziative per avviare un percorso di sostegno per le figure che hanno avuto in affidamento temporaneo il minore allontanato dai genitori biologici, al fine del reinserimento del minore nella famiglia di origine;

9) ad intraprendere iniziative, anche normative, al fine di rivedere il sistema di formazione di psicologi, assistenti sociali ed educatori, con la necessità di superare un esame di abilitazione dopo aver frequentato Master ad hoc, e introdurre l'obbligatorietà dell'aggiornamento delle citate figure con relativa valutazione delle performance.
(1-01748) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».