• Testo RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA

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Atto a cui si riferisce:
S.6/00058 sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla riunione ordinaria del Consiglio dell'Unione europea del 26 e 27 giugno 2014 e sulle linee direttrici alle quali...



Atto Senato

Risoluzione in Assemblea 6-00058 presentata da LOREDANA DE PETRIS
martedì 24 giugno 2014, seduta n.268

Il Senato
sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla riunione ordinaria del Consiglio dell'Unione europea del 26 e 27 giugno 2014 e sulle linee direttrici alle quali intende attenersi nel corso della Presidenza italiana del prossimo semestre europeo (luglio-dicembre 2014);
premesso che:
la presidenza italiana sarà al centro di un delicato passaggio istituzionale poiché il piano delle azioni urgenti dovrà intersecarsi con la negoziazione sui nomi di chi guiderà le principali istituzioni europee; essa comporta una grande responsabilità del nostro Paese anche per l'aspettativa che dopo le elezioni è riposta nell'Italia;
la più accentuata manifestazione che la crisi sta avendo in Europa trova un significativo elemento di spiegazione proprio nella particolare inadeguatezza del suo assetto istituzionale. La creazione dell'Unione europea negli ultimi decenni è stata molto influenzata da una visione - quella neoliberista dominante - che considera le istituzioni un intralcio al buon funzionamento dei mercati; ciò spiega le carenze della dimensione istituzionale nella costruzione europea e il prevalere della strategia di affidarla essenzialmente all'unificazione dei mercati e della moneta che avrebbero dovuto trainare l'intero processo. Ciò spiega anche perché l'unica istituzione della UE con poteri autonomi dagli Stati nazionali sia la Banca Centrale Europea, ed anche che essa sia stata creata prima e non dopo la nascita dello Stato federale europeo;
il Trattato di Lisbona non ha funzionato perché in esso rimaneva l'asimmetria tra controllo della moneta e il vuoto delle politiche fiscali, bancarie e di bilancio comunitario;
il bilancio comunitario 2014-2020 è il primo bilancio comunitario che prevede una sua riduzione rispetto al bilancio precedente. E ciò avviene in presenza della peggiore crisi finanziaria ed economica dalla costituzione dell'Unione Europea, ed in un contesto nel quale la politica intergovernativa di austerità impone riduzione del debito e pareggio di bilancio agli Stati membri;
rispondendo alla crisi con le politiche di austerità, l'Eurozona conta oggi oltre 7 milioni di disoccupati in più rispetto alla fine del 2007 e il Pil resta ancora inferiore ad allora. In Italia la disoccupazione è più che raddoppiata in questi anni. Da 1,5 milioni siamo arrivati a circa 3,2 milioni di disoccupati, mentre il valore del Pil è di 8 punti percentuali inferiore al 2007;
questi dati inaccettabili dimostrano l'inadeguatezza del sistema di governance economico europeo sinora definito, incentrato sull'inasprimento dei vincoli di finanza pubblica e privo di una strategia organica e credibile per il rilancio della crescita e dell'occupazione. Come ormai rileva anche il Fondo Monetario Internazionale, oggi sappiamo che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti;
le Autorità europee appaiono persuase dall'idea che i Paesi periferici dell'Unione potrebbero risolvere i loro problemi attraverso le cosiddette "riforme strutturali". Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire, quindi, una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l'estero. E' illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l'unità europea. Le politiche deflattive attuate in Germania, che hanno prodotto una crescita dei salari dei lavoratori tedeschi inferiore rispetto alla crescita salariale media dell'eurozona, attuate per far accrescere l'avanzo commerciale hanno, di fatto, contribuito per anni, unitamente ad altri fattori, all'accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i Paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un'azione coordinata da parte di tutti i membri dell'Unione. Pensare che i soli Paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee;
occorre esser consapevoli che proseguendo con le politiche di "austerità" e affidando il riequilibrio alle sole "riforme strutturali", il destino dell'euro sarà segnato e l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo;
in assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale, che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati e contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l'occupazione nelle periferie dell'Unione, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall'euro;
è, viceversa, necessario convocare una Conferenza europea sul debito, simile a quella che nel 1953 alleviò il peso del debito che gravava sulla Germania, e le consentì di ricostruire la nazione dopo la guerra e per concordare la mutualizzazione di parte del debito pubblico mediante obbligazioni europee;
nel Def presentato ad aprile il Governo continua a muoversi nei vincoli del fiscal compact, nonostante le positive dichiarazioni iniziali del presidente Renzi. Rispetta cioè l'equilibrio strutturale di bilancio e si impegna nell'abbattimento del debito verso il limite del 60 per cento. Purtroppo, si continua a ritenere possibile coniugare la crescita con l'austerità. Il Governo propone un percorso che porterà nel 2018 ad un avanzo primario, cioè la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica di scopo, al 5 per cento del Pil. E, contemporaneamente, ritiene che nello stesso anno l'economia potrà crescere di circa il 2 per cento in termini reali. Ma è ormai provato che è impossibile coniugare avanzi primari dell'ordine di circa 90 miliardi di euro con una crescita economica;
la scelta di realizzare in modo simultaneo i relativi aggiustamenti di bilancio non è una fatalità cui sono posti di fronte i paesi europei, bensì una decisione deliberata e autolesionista, che aggrava i problemi recessivi causati dalla crisi stessa;
anche per questi motivi è stato un grave errore, nella scorsa legislatura, inserire in Costituzione con le modifiche all'articolo 81, il pareggio di bilancio come previsto dal cd. "Fiscal compact";
anche grazie alla spinta referendaria sul Fiscal Compact c'è da augurarsi che si possa davvero avviare un cambiamento a partire dal semestre italiano;
è auspicabile che non si ripeta il caso Hollande, il quale aveva promesso di battersi per modificare le politiche dell' "austerità espansiva". All'epoca della sua elezione Hollande aveva dichiarato che: "è inverosimile che la BCE inondi il mercato di liquidità, con le banche che si finanziano all'1 per cento e poi prestano agli Stati al 6 per cento. A un certo punto simili posizioni di rendita non sono più accettabili. Sarebbe più giudizioso, più efficace, più rapido che la BCE diventi prestatore di prima e ultima istanza";
Hollande era anche a favore della mutualizzazione del debito pubblico mediante obbligazioni europee considerate come l'unico modo per sostenere i Paesi in difficoltà e per fare tornare la fiducia degli investitori internazionali negli Stati più a rischio. Nulla di tutto ciò si è realizzato, ma, fatto ancora più grave, non c'è stato neppure l'impegno a sostenere una battaglia su questi fronti;
occorre avviare in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
va stabilita una priorità di investimenti nell'economia reale, e per il suo rilancio, in particolare nei paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, del mercato interno tramite una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda;
per superare la crisi si deve contemporaneamente avviare la trasformazione ecologica della produzione, anche per rispondere alla crisi ambientale e dare priorità alla qualità della vita, alla solidarietà, all'istruzione, alle fonti energetiche rinnovabili, allo sviluppo ecosostenibile;
l'Unione europea non può prosperare senza una forte base industriale in un ottica di sua riconversione ecologica. In data 22 gennaio 2014, è stata pubblicata la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e sociale europeo e al comitato delle Regioni "Per una rinascita industriale europea" (COM(2014)14 final), con la quale l'Esecutivo comunitario invita il Consiglio ed il Parlamento europeo ad adottare proposte in materia di energia, trasporti, spazio e reti di comunicazione digitali, nonché ad applicare la legislazione sul completamento del mercato interno;
la realizzazione della "Agenda digitale 2020" è uno strumento fondamentale, sul piano qualitativo e quantitativo, per rilanciare durevolmente la crescita e soprattutto l'occupazione nell'Unione Europea, mediante la creazione di nuove figure lavorative e l'ammodernamento delle infrastrutture delle comunicazioni;
l'Europa è una delle regioni del mondo che più dipendono dall'importazione dall'esterno di combustibili fossili. Oggi il 60 per cento della nostra energia è importata. Nel 2030, se non cambiamo la nostra attitudine, importeremo l'80 per cento del nostro fabbisogno energetico;
l'Unione europea per uscire dalla crisi e puntare decisamente verso uno sviluppo sostenibile, deve innovare l'economia definendo politiche attente agli interessi dei cittadini e dell'ambiente e in quest'opera potrà svolgere un ruolo decisivo solo se sarà in grado di definire obiettivi ambiziosi, per ciascun Stato membro, di riduzione dei gas-serra e di spinta verso una economia low-carbon attraverso target legalmente vincolanti che sostengano in maniera decisa lo sviluppo delle fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica;
Energy Roadmap 2050 della Commissione europea ha giustamente confermato che le energie rinnovabili, l'efficienza energetica e le infrastrutture flessibili costituiscono opzioni "no regrets" che rappresentano le basi di un'economia innovativa, fondata su fonti pulite, sicure ed endogene, e che costituirà un forte stimolo all'innovazione industriale e alla competitività;
l'Europa deve porsi dei traguardi molto concreti, che corrispondano ad una vera e propria rivoluzione energetica, che può tradursi nell'individuazione di obiettivi climatici ed energetici che siano coerenti con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas-serra di almeno il 95 per cento al 2050, in grado di contribuire a contenere il riscaldamento del pianeta;
il pacchetto Clima-Energia 2030 adottato il 22 gennaio 2014 dalla Commissione europea indica degli obiettivi che rischiano di non essere adeguati rispetto agli impegni assunti finora dall'Europa per contenere il riscaldamento globale, e avere una società a basse emissioni di carbonio nel 2050. Gli obiettivi comunitari al 2030 indicano: una riduzione del 40 per cento delle emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990 entro il 2030; un aumento non vincolante per gli Stati membri al 27 per cento di rinnovabili; generiche politiche più ambiziose in materia di efficienza energetica;
detti obiettivi purtroppo non consentono all'Europa di mettere in campo una forte e coerente azione climatica in grado di invertire la rotta, laddove sarebbe invece necessario:
a) impegnare i Paesi membri a raggiungere valori percentuali superiori a quelli indicati dal pacchetto Clima-Energia riguardo alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra;
b) indicare obiettivi vincolanti per l'efficienza energetica;
c) prevedere che il target per le rinnovabili, non venga calcolato a livello comunitario, ma tradotto in specifici obiettivi vincolanti nazionali;
di fronte a fenomeni meteorologici sempre più frequenti e devastanti per il territorio, conseguenti ai cambiamenti climatici in atto, è indispensabile che - tra l'altro - l'Europa avvii efficaci politiche di messa in sicurezza del proprio territorio e tutela del dissesto ambientale ed idrogeologico. A tal fine diventa indispensabile che le risorse stanziate per il contrasto al dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio, possano essere scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del Patto di stabilità e crescita;
il superamento del credit crunch, che rappresenta una condizione necessaria sebbene non sufficiente per la ripresa, non potrà avvenire nel quadro delle politiche attuali concernenti il patto di stabilità europeo, con particolare riguardo alla necessità di riattivare i flussi di credito in direzione delle PMI;
si deve apprezzare l'approvazione del pacchetto legislativo che introduce il meccanismo unico di vigilanza bancaria (Single Supervisory Mechanism, SSM), come primo passo per la realizzazione di un'autentica unione bancaria. Occorre una vera banca centrale europea, che in caso di necessità possa prestare denaro anche agli Stati e non solo alle banche, e che fornisca prestiti a basso tasso di interesse agli istituti di credito, a patto che accettino di fornire credito a costi contenuti a piccole e medie imprese;
l'Unione bancaria per essere fattibile si deve inserire in un progetto più ampio di unione fiscale e politica, anche perché l'Unione bancaria, per funzionare ed essere credibile, deve potere contare su risorse che solo un vero e proprio bilancio federale può assicurare. Il suo funzionamento richiede, infatti, l'introduzione di un finanziamento di ultima istanza di natura fiscale e, quindi, una qualche forma di bilancio federale, con rilevanti cessioni di sovranità dagli Stati nazionali al "governo federale";
l'avvio della procedura di infrazione da parte della Commissione europea in riferimento ai ritardi di pagamento dei debiti della PA mette in luce che il problema nel nostro Paese non è stato ancora risolto in maniera soddisfacente. Se non ci saranno misure adeguate entro due mesi l'iter dell'infrazione, partito con l'invio il 19 giugno scorso della lettera della Commissione di messa in mora, andrà avanti fino all'extrema ratio delle sanzioni economiche decise dalla Corte UE. Secondo i dati della Commissione in Italia la PA impiega in media 170 giorni per i pagamenti dopo aver ricevuto un bene o un servizio e 210 giorni per le opere pubbliche, mentre la media UE è di 58 giorni (Francia: 59; Germania: 35; Spagna: 154; Grecia: 155). La Commissione in base alle segnalazioni ricevute ha riscontrato un'applicazione non corretta della direttiva sui tempi, e pratiche scorrette su tassi di mora e rapporti d'avanzamento dei lavori pubblici finalizzati a ritardare i pagamenti;
per contrastare l'elusione/evasione delle grandi aziende realizzata attraverso i cd." paradisi fiscali", è necessario pensare a livello UE a delle forme di tassazione su tutti i trasferimenti bancari nei centri offshore/black list e in tutti i paesi terzi che non garantiscono la tracciabilità dei flussi finanziari nei confronti dei centri offshore/black list;
è da diversi anni oramai che la Commissione Europea valuta l'ipotesi di tassare il settore finanziario sia a livello mondiale (nel quadro del G20, Pittsburg, Toronto) che europeo, per garantire ai Paesi membri un giusto contributo ai costi della crisi economica, sostenere le loro finanze rafforzare il mercato unico dell'Unione europea, ridurre le distorsioni della concorrenza e scoraggiare attività di negoziazione ad alto rischio. Pertanto, al fine di contrastare la speculazione finanziaria e di migliorare il funzionamento del mercato interno fortemente destabilizzato dall'evoluzione del sistema finanziario mondiale legata all'innovazione tecnologica, alla crescente sofisticazione ed alla crescente partecipazione di operatori impegnati in transazioni speculative di breve termine, la Commissione Europea con la direttiva COM(2013)71 ha proposto l'istituzione, a livello comunitario attraverso una procedura di "cooperazione rafforzata", dell'imposta sulle transazioni finanziarie (TTF o Tobin Tax);
il primo passo del negoziato sottoscritto a tal fine il 6 maggio u.s. in sede Ecofin, tra i Ministri delle Finanze degli undici Paesi dell'Ue aderenti alla procedura di "cooperazione rafforzata" per l'introduzione della Tobin Tax, è del tutto privo di consistenza soprattutto riguardo alla mancata definizione dell'ampiezza della sua base imponibile e della destinazione di spesa del gettito generato, contribuendo solo a ritardare l'intero processo d'istituzione della tassa a livello europeo stabilito agli inizi del 2016;
invero, rimane ancora indeterminata la previsione della tassazione dei derivati, i principali responsabili dell'attuale crisi finanziaria , e che peraltro da soli rappresenterebbero almeno i due terzi del gettito stimabile della Tobin Tax, la cui eventuale esclusione vanificherebbe, in buona parte, gli effetti della tassazione; ma, soprattutto, rimane esente dalla tassazione il c.d. trading ad alta frequenza, quello costituito da transazioni estremamente volatili ed improduttive che pongono diversi problemi ai mercati sia di natura tecnica che di natura perequativa, la cui incidenza nella sola borsa di Milano è pari al 50 per cento del totale delle transazioni quotidiane;
la Tobin Tax è indiscutibilmente una misura capace di frenare la speculazione e di ridurre l'instabilità dei mercati finanziari, e rappresenta lo strumento principe per una possibile, equa e sostenibile uscita dalla terribile crisi economica e finanziaria che ha travolto, in questi ultimi anni, i paesi europei, potendo costituire un importante freno ai movimenti finanziari più marcatamente speculativi ed, al tempo stesso, un mezzo per reperire risorse da destinare ad investimenti anticiclici capaci di far ripartire la crescita, recuperandole dagli stessi contesti nei quali la crisi è stata prodotta;
il semestre di presidenza italiana dell'UE può rappresentare quindi un'occasione importante per rilanciare il negoziato per una migliore definizione della tassa sulle transazioni finanziarie, ed il nostro Paese, che nei mesi scorsi, nel corso del dibattito a livello europeo, era rimasto colpevolmente in silenzio, è chiamato a rivestire un ruolo determinante per assicurare che l'intero lavoro svolto fino ad oggi in sede di "cooperazione rafforzata" non venga vanificato;
il differenziato regime di IVA che vige in ciascuno dei singoli Paesi membri ha contribuito negli ultimi anni alla proliferazione delle cosiddette "frodi carosello", condotte fraudolente volte ad aggirare la disciplina dell'imposta per gli acquisti intracomunitari realizzando operazioni fittizie allo scopo di recuperare un credito dell'imposta inesistente. Al fine di contrastare tali frodi la Commissione Europea, nel luglio del 2013 ha emanato due proposte di direttiva grazie alle quali fino al 31 dicembre del 2018 gli Stati membri potranno scegliere di attribuire al cessionario di un bene la responsabilità del pagamento dell'Iva, in deroga al regime ordinario (c.d regime del reverse-charge);
in tali tipi di truffe tra il soggetto cedente ed il concessionario di un altro Paese membro si interpongono una serie numerosa di società cuscinetto (dette buffer), costituite fittiziamente, che emettono fatture di comodo e coinvolgono spesso, quale ultimo anello della catena, imprese del tutto ignare dell'operazione illegale, che a loro volta, possono trovarsi coinvolte in pesanti indagini penali;
sul punto anche la Corte di Giustizia è intervenuta a più riprese confermando la piena detraibilità dell'Iva per quegli operatori intracomunitari che, acquistando beni, si trovano coinvolti a loro insaputa in operazioni finalizzate all'evasione dell'Iva;
la frode Iva mette a repentaglio gli interessi finanziari della Comunità considerato che le distorsioni causate possono pregiudicare, secondo la Commissione europea, l'equilibrio globale del sistema delle risorse proprie, che deve essere "equo e trasparente" e garantire il funzionamento regolare della Comunità;
le frodi legate all'IVA, soprattutto nelle forme del carosello fiscale presuppongono una stretta e fattiva collaborazione sinergica tra le amministrazioni finanziarie dei singoli Paesi membri, ed impongono l'adozione di misure per rafforzare i controlli anti-frode;
la legge di stabilità per il 2014, prevedeva la c.d. web-tax, (successivamente abrogata dal decreto-legge n. 16 del 2014) ossia l'obbligo per i giganti del web come Google, Facebook, Apple o Amazon a fatturare, con partita IVA italiana, tutti i loro i volumi di vendita realizzati in Italia sia mediante la vendita di pubblicità sia mediante l'e-commerce o il gioco on line), volumi che oggi, in assenza di una normativa, vengono fatturati in altri paesi con regimi fiscali agevolati;
la stessa norma, prima della sua abrogazione, disponeva inoltre, che gli spazi pubblicitari on line ed i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca e visualizzabili in territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio on line, dovessero essere acquistati da soggetti (editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca) titolari di partita IVA italiana e pagati solo ed esclusivamente mediante bonifico bancario o postale o con altri mezzi di pagamento tracciabili al fine di permettere tutti i controlli del Fisco;
attualmente la normativa europea consente ad un'impresa di operare anche in Paesi diversi spingendola, in tal modo, a stabilire la sede legale in Paesi in cui la tassazione è più favorevole. La stessa normativa non prevede sanzioni in caso di inosservanza da parte del soggetto passivo, consentendo alla stessa impresa di registrare impunemente un gettito nei diversi Paesi come ricavi di servizi prestati alla società principale;
la web-tax nel contrastare le suddette pratiche, denominate di profit shifting, avrebbe riportato equità fiscale in un sistema, come ad esempio quello dell'economia digitale, nel quale migliaia di imprese italiane operano in condizione di concorrenza sleale messa in atto dai giganti internazionali, nel quale sono palesemente penalizzate, dal punto di vista fiscale, rispetto alle grandi multinazionali della rete;
alcune riserve legate alla legittimità della disposizione nei confronti della normativa europea ed al timore che essa avrebbe potuto costare all'Italia una denuncia di infrazione, hanno portato il Governo ad abrogare la disposizione;
l'articolo 9 della recente legge n. 23 del 2014, c.d. delega fiscale, in materia di contrasto all'evasione fiscale, introduce ciò che viene chiamato "apportionment", ovvero l'obbligo per le multinazionali con sede fiscale all'estero di pagare le tasse in Italia per la parte di ricavi che si stima sia stata prodotta nel nostro Paese, delega il Governo a prevedere l'introduzione, in linea con le raccomandazioni degli organismi internazionali e con le eventuali decisioni in sede europea, tenendo anche conto delle esperienze internazionali, di sistemi di tassazione delle attività transnazionali, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale;
la Commissione Europea ha presentato la proposta di Regolamento del Parlamento e del Consiglio Europeo del 24 marzo 2014 COM(2014) 180, relativa alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, a cui si aggiunge il "Piano di azione nazionale per il futuro della produzione biologica nell'Unione Europea" del 24 marzo 2014 COM(2014) 179, con cui si intende rivedere e aggiornare la normativa europea preesistente al fine di attualizzarla ai nuovi standard qualitativi che i consumatori, sempre più esigenti in termini di salubrità alimentare e consapevolezza del consumo sostenibile, richiedono al mercato;
il 12 giugno 2014 si è tenuto il Consiglio Ambiente dell'Unione Europea che ha approvato a larga maggioranza il testo di compromesso politico della Presidenza greca sulla proposta di Regolamento COM(2010) 375 di modifica della Direttiva 2001/18/CE volta a lasciare maggiore libertà agli Stati membri in materia di coltivazione sul loro territorio, o parte di esso, di OGM, anche per motivi diversi dalla tutela della salute pubblica e dell'ambiente. La proposta prevede un ruolo formale delle aziende biotech nel processo di messa al bando della coltivazione OGM, oltreché impedire agli Stati membri di utilizzare le motivazioni legate ai rischi per la salute e l'ambiente. Nell'atto di proposta legislativa in questione, non si fa alcun riferimento alla contaminazione transfrontaliera, non si affrontano i rischi legati alla coesistenza con specie no biotech, non è previsto alcuna disposizione relativa alla valutazione del rischio ambientale, sanitario e socio-economico e agli effetti di lungo periodo degli OGM;
la legislazione europea, al fine di garantire un elevato livello di sanità umana, animale e vegetale e garantire il funzionamento del mercato interno, prevede una serie di norme armonizzate per prevenire, eliminare o ridurre gli eventuali rischi di ordine sanitario per l'uomo, per gli animali e per le piante presenti nella "filiera agroalimentare", espressione intesa nella sua accezione più ampia per abbracciare tutti i processi, i prodotti e le attività relativi ai prodotti alimentari, alla loro lavorazione, e la normativa che garantisce che essi siano sicuri e idonei al consumo umano. Pertanto, la Commissione Europea il 6 maggio 2013 ha presentato la proposta di Regolamento del Parlamento e del Consiglio Europeo COM(2013) 265 sui "controlli ufficiali", al fine di addivenire ad una armonizzazione indispensabile per i controlli di qualità, sia per la produzione biologica degli alimenti sia nell'ambito della catena di produzione di organismi geneticamente modificati;
al G8 del 17 giugno 2013 sono stati avviati ufficialmente i negoziati per un partenariato in materia di commercio e investimenti tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTPI). L'avvio dei negoziati è stato possibile dopo che il Consiglio dei ministri competenti per il commercio ha approvato, il 14 giugno, il mandato negoziale per la Commissione;
il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) è stato definito come il più grande accordo commerciale del mondo. È un accordo commerciale internazionale in fase di negoziato tra l'Europa e gli Stati Uniti. C'è il forte rischio che un trattato di questo genere, ricercando un'armonizzazione delle normative e dunque un abbattimento delle regolamentazioni tra le due aree porti ad appiattire i più rigidi regolamenti europei ai livelli di quelli statunitensi;
l'agricoltura rappresenta una "grande parte" dei negoziati. Specificatamente, per quanto riguarda i temi della sostenibilità agricola e ambientale, dello sviluppo delle aree rurali e delle indicazioni geografiche sono particolarmente rilevanti per gli Stati membri dell'Ue, in particolare per l'Italia, considerato l'elevato numero di produzioni di qualità;
la disoccupazione, in particolare quella giovanile, in Italia e in Europa ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da mettere a rischio la tenuta del sistema Paese nel futuro. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
tale situazione non consente a molti giovani di studiare, di fare ricerca, di progettare e realizzarsi nella vita, di creare una famiglia e di mettere al mondo dei figli; li costringe a continuare a dipendere dalle famiglie di origine, quando le famiglie non sono già esse stesse nell'impossibilità di continuare a sostenerli; gli impedisce di concorrere allo sviluppo sociale e economico dell'Italia, incidendo sulla loro dignità sociale; li discrimina oggi per il futuro, quando non avranno diritto ad una pensione che gli possa garantire un'esistenza libera e dignitosa;
il 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato a larghissima maggioranza una risoluzione sul "reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa". Tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, sancisce in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione e delle persone che vi risiedano stabilmente, ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale. In attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua "possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica";
il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà. Il reddito minimo è anche uno strumento che tutela la cultura e la dignità del lavoro, perché aiuta ad impedire che lavoratrici e lavoratori siano costrette ad accettare un lavoro purchessia. Schemi di tutela del reddito sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei;
l'inserimento del reddito minimo garantito tra le politiche di welfare è un investimento sul futuro, una garanzia di libertà per i cittadini poiché ha come vantaggio la riduzione del condizionamento nella scelta del lavoro, favorendo così la qualità del lavoro stesso. il Rapporto Istat 2014 del maggio scorso denuncia che l'Italia è tra i Paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari;
già nel 1992 il Consiglio europeo aveva invitato gli stati membri ad adeguarsi a chi aveva già introdotto il reddito di base tra le proprie politiche di welfare e la raccomandazione 92/411 di fatto impegnava gli stati ad adottare misure di garanzia di reddito.
la crisi ha accentuato alcune drammatiche contraddizioni. Sembra attenuarsi la disuguaglianza fra uomini e donne solo perché peggiorano le condizioni lavorative degli uomini; la solidarietà intergenerazionale è dilaniata dalle distinte emergenze occupazionali di giovani e adulti; la povertà si diffonde fra gli occupati, mentre si allarga la fascia dell'esclusione sociale; titoli di studio qualificati non sempre tutelano i lavoratori dal rischio della povertà. In altre parole, gli obiettivi dell'Agenda 2020 sembrano miraggi nel deserto delle politiche sociali europee, aggrappate per ora a misure di stretta emergenza, come il piano 'Garanzia giovani';
con la Strategia EU2020, l'Unione Europea ha fissato un obiettivo europeo di riduzione entro il 2020 di 20 milioni del numero di persone in condizioni di povertà ed esclusione sociale. E' indispensabile sostenere e rafforzare le politiche di welfare nei paesi UE, al fine di poter raggiungere detto obiettivo europeo al 2020;
nell'Unione europea vige il generale principio di non discriminazione in base a svariate caratteristiche personali, protette dall'articolo 21 della Carta europea dei diritti fondamentali (Carta di Nizza), nonché dagli articoli 2 del Trattato sull'Unione europea e 10 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea. Tale principio è stato attuato con alcune importanti direttive, sebbene per alcuni fattori esso non trova concreta applicazione in tutti gli ambiti della vita, ma solo in alcuni. Con riferimento ai fattori della religione, delle convinzioni personali, della disabilità, dell'età o dell'orientamento sessuale, la parità di trattamento è stata disciplinata dalla Direttiva 2000/78, in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Al riguardo, la Commissione europea contesta all'Italia il suo non corretto recepimento con riferimento ad alcune sue prescrizioni, come quelle contenute ad esempio nell'articolo 5 che attengono all'applicazione del principio della parità di trattamento alle condizioni di lavoro delle persone disabili (Procedura di infrazione n. 2006/2441);
l'Unione europea non ha ancora adottato, invece, una "direttiva orizzontale" che tuteli la parità di trattamento in tutti gli ambiti della vita pubblica e privata, nonostante tale direttiva sia stata presentata nel 2008 dalla Commissione europea e approvata dal Parlamento il 2 aprile 2009 ("Proposta di direttiva del Consiglio recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale" (COM (2008) 426). Tale bozza di Direttiva giace nei cassetti del Consiglio dell'Unione europea (Ue), fermata solo dal voto contrario della Germania, unico dei 27 Paesi a sollevare perplessità sui contenuti della proposta di legge;
esiste anche un problema previdenziale che riguarda il lavoro di cura e in famiglia, svolto prevalentemente dalle donne, che deve diventare una grande questione dell'Unione europea, mediante l'adozione di una direttiva specifica;
la Commissione europea ha aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia a causa della norma che fissa una differenza tra uomini e donne negli di anni di contributi che devono essere versati per ottenere il pensionamento anticipato (procedura 2013-4199). La Commissione ha rilevato che una differenza di trattamento sui minimi contributivi per le pensioni occupazionali equivale a una differenza di trattamento retributivo, e rientra dunque nel campo di applicazione della direttiva 2006/54/CE, che attua il principio di pari trattamento sul lavoro tra uomini e donne;
già nel 2010 la Commissione Ue aveva preteso dall'Italia, dopo la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di giustizia Ue, l'equiparazione dell'età pensionabile tra uomini e donne nell'ambito della Pubblica amministrazione. Una questione che venne poi risolta dal Governo attraverso la riforma che portò anche per le donne, a partire dal 2012, l'età pensionabile a 65 anni, con conseguenze molto pesanti su di loro;
per garantire il principio della parità di trattamento è necessario che, a livello di Unione europea, si riconosca che le cure e le attività svolte in famiglia sono lavoro a tutti gli effetti e devono far maturare contributi pensionistici. Tale riconoscimento deve valere sia per le donne che per gli uomini, anche se - soprattutto nei Paesi mediterranei dell'Unione - sono le donne a svolgere tali attività e a prendersi cura dei figli e della famiglia, subendo un grave danno sul piano della propria realizzazione professionale, sulla continuità dell'attività lavorativa svolta e sulla possibilità stessa di svolgere attività di lavoro fuori dal contesto familiare;
è fondamentale che l'Italia ottenga nella UE l'affermazione del principio della considerazione ai fini previdenziali del lavoro di cura e familiare, i cui contenuti e aspetti applicativi verranno successivamente definiti nel confronto tra Stati e nella fase ascendente della formazione del diritto dell'UE. Senza l'affermazione di tale principio, il principio di pari trattamento sul lavoro tra uomini e donne sarà sempre falsato e produrrà conseguenze ingiuste;
nell'ambito dei diritti sessuali e riproduttivi e della salute ogni anno il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) stila una classifica dei Paesi secondo il livello in cui si collocano in termini di disuguaglianze di genere. Riguardo l'aspetto relativo alla salute riproduttiva nella vita, l'indice della disuguaglianza di genere, mostra come gli Stati membri della UE presentino un'evidente disparità nel rispetto della salute sessuale e riproduttiva delle donne;
il Parlamento europeo ha espresso in diverse occasioni il proprio sostegno agli investimenti a favore della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi (SRHR); tale sostegno sembra però subire un rallentamento preoccupante per la crisi finanziaria, la recessione economica in corso e i corrispondenti tagli lineari alla spesa pubblica degli Stati membri che tendono ad accelerare la privatizzazione dei servizi sanitari e a ridurre l'accesso e la qualità dei servizi stessi;
il 27 settembre 2012 è stata approvata la risoluzione "21/6 A/HRC/21/L.10" del Consiglio Onu dei diritti umani, che ha incluso la contraccezione e l'interruzione volontaria della gravidanza tra i diritti umani;
purtroppo in Europa l'aborto, anche quando è legale, è spesso evitato o prorogato da ostacoli che impediscono di accedere in tempo stretti a servizi adeguati, come l'ampio ricorso all'obiezione di coscienza che allungano periodi di attesa non necessari dal punto di vista medico. La pratica dell'obiezione di coscienza nega a molte donne non solo l'interruzione legale della gravidanza, ma anche l'accesso ai servizi di salute riproduttiva, per esempio a informazioni, al reperimento di contraccettivi, a visite prenatali;
sempre nell'ambito della diritto alla salute sessuale e riproduttiva, un aspetto importante è quello delle infezioni sessualmente trasmissibili: HIV, sifilide, sifilide congenita, gonorrea, eccetera. È importante che la Commissione europea e gli Stati membri si occupino della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi specifici e delle necessità delle donne che vivono con l'HIV. Per raggiungere questo obiettivo occorre espandere l'accesso ai programmi di salute sessuale e riproduttiva, integrando l'acceso ai test e alle terapie dell'HIV/AIDS, i servizi di consulenza e prevenzione e invertendo i fattori socioeconomici di base che contribuiscono al rischio di HIV/AIDS per le donne, come la disuguaglianza di genere e la discriminazione;
la Corte di giustizia dell'UE renderà a luglio il parere sull'adesione dell'UE alla Convenzione europea per i diritti dell'uomo (CEDU);
non è accettabile che, a fronte della drammaticità degli eventi di Lampedusa, il Consiglio Europeo si limiti ad esprimere "profonda tristezza" e continui a considerare l'immigrazione come un epifenomeno della povertà e della guerra, senza adottare una tabella di marcia che contempli misure precise e puntuali e scadenze certe e vincolanti. Il Consiglio Europeo dovrà inserire l'immigrazione nella propria agenda politica quale punto stabile e prioritario;
si devono riformare le politiche europee dell'immigrazione, rifiutando il concetto di "Fortezza Europa" che alimenta forme di discriminazione, e garantendo invece i diritti umani, l'integrazione, il diritto d'asilo e le misure per la salvaguardia dei migranti, costretti ad affrontare viaggi in cui è a rischio la loro stessa vita;
il problema dell'immigrazione va anche affrontato nel contesto più ampio di una politica europea di sviluppo nei confronti dei Paesi dell'altra sponda del mediterraneo;
il regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto Dublino III, nato per contrastare il fenomeno del cosiddetto asylum shopping (la presentazione della richiesta di protezione in più Paesi), appare del tutto inadeguato a gestire i flussi migratori attuali, impedisce, di fatto, la necessaria solidarietà europea nella gestione delle domande di protezione e incentiva fenomeni di fughe collettive dai centri di prima accoglienza e, quindi, di "clandestinizzazione" dei migranti;
occorre segnalare, inoltre, come non sia stato organizzato nel nostro Paese un sistema di prima accoglienza idoneo alla portata del fenomeno delle migrazioni e, in particolare con riferimento ai richiedenti asilo, siano state utilizzate strutture di accoglienza del tutto improprie e al limite della dignità umana;
è evidente che non esiste una correlazione tra le scelte interne di politica migratoria dei singoli Stati europei. L'inasprimento delle normative, o il suo contrario, non hanno avuto effetti su flussi che dipendono esclusivamente da ragioni politiche e sociali nel continente africano. Sarebbe necessaria una politica comune dell'Unione europea per gestire in maniera unitaria il fenomeno delle migrazioni che sia improntata all'accoglienza e alla necessità di un rilancio della cooperazione internazionale, tesa alla promozione dei diritti e delle tutele, quale unica via per contrastare gli esodi di massa;
tante e diverse sono state le responsabilità dell'Unione europea nell'epilogo della crisi ucraina, riassumibili nella scarsa attenzione alle dinamiche interne al Paese e alla condizione dei suoi cittadini, in favore di un interesse pressoché esclusivo verso la centralità economica dell'Ucraina ed il suo ruolo strategico, a causa dei gasdotti che passano per il suo territorio. Tutto ciò ha determinato la miopia della politica estera europea nel gettare benzina sul fuoco della rivolta, senza considerare attentamente una prevedibile reazione russa;
responsabilità che appaiono aggravate dall'azione della Nato negli ultimi venti anni nei confronti dell'Ucraina e della politica di progressiva espansione ad Est che ha portato all'adesione di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia (1999), Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia (2004), Albania e Croazia (2009). La politica dell'allargamento della Nato, mentre da un lato ha portato molti vantaggi ai membri dell'Alleanza, indubbiamente dall'altro lato ha contribuito notevolmente a peggiorare le relazioni internazionali con la Russia e ad acuire la lotta geopolitica tra la Russia e l'Occidente;
il nostro Paese considera positivamente gli accordi di associazione all'Unione dell'Ucraina, della Moldavia e della Giorgia;
è necessaria un'azione che tolga la Russia dal "complesso dell'accerchiamento" e che, al tempo stesso, crei le basi per un'Unione europea politica e più libera dalle pressioni degli Stati Uniti sul Continente,
impegna il Governo:
A) per quanto concerne il rafforzamento di istituzioni europee democratiche:
1) a svolgere un ruolo forte e deciso di indirizzo verso gli altri componenti del Consiglio dell'Unione Europea affinché la scelta del Presidente della Commissione europea sia fatta nel rispetto del Parlamento europeo e degli elettori europei e non si discosti dalle indicazioni fornite in occasione delle recentissime consultazioni elettorali;
2) a impegnarsi al fine della realizzazione di una vera unione politica del continente in senso federale, con l'ambizioso obiettivo degli Stati uniti d'Europa, sostenendo un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo nelle decisioni a livello europeo, nonché una piena attuazione delle disposizioni del Trattato di Lisbona sul ruolo dei Parlamenti nazionali;
3) a lavorare per porre le basi di un percorso che porti sempre più verso una federalizzazione dell'Unione, anche attraverso politiche di condivisione del debito, di emissione di titoli comuni e di co-decisione effettiva delle politiche europee tra Coniglio dell'Unione e Parlamento europeo;
4) ad impegnarsi affinché il bilancio comunitario, ora fermo a circa l'1 per cento del PIL europeo, possa aumentare almeno fino al 4-5 per cento al fine di sostenere concrete politiche a favore dell'occupazione e del lavoro, a favore di una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, che definisca le politiche tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti in settori strategici in grado di creare occupazione, sviluppo sostenibile e coesione sociale;
5) ad introdurre un meccanismo di monitoraggio sul principio di legalità e di rispetto dei diritti fondamentali all'interno dell'UE;
B) per ciò che concerne la BCE, l'Unione bancaria europea, l'armonizzazione fiscale;
1) a proporre la ridefinizione del ruolo della BCE come prestatrice di ultima istanza;
2) a sostenere la rapida approvazione ed attuazione delle misure per la realizzazione di un'effettiva e completa Unione bancaria europea che includa un sistema centralizzato di vigilanza anche sulle banche di importanza nazionale e regionale, ma anche:
a) un quadro comune sugli strumenti nazionali di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi;
b) un fondo di garanzia europeo unico dei depositi bancari;
c) la creazione di un'Autorità europea unica e di un fondo unico di risoluzione per la gestione delle crisi bancarie;
3) a proporre una riforma europea delle regole della finanza introducendo trasparenza, limitando i conflitti di interesse e gli accumuli di potere eccessivo, risolvendo il problema degli istituti too-big-to-fail, regolando meglio le banche e gli altri operatori (speculativi e non), valutando l'abolizione di alcuni strumenti finanziari (come alcuni derivati over-the-counter), e ponendo in essere qualsiasi altra azione necessaria a ricondurre l'operato dei mercati nell'alveo del pubblico interesse e del bene comune;
4) a proporre la creazione di un'agenzia di rating europea indipendente ed autorevole, nonché ad implementare con più incisività sul piano giuridico il concetto di responsabilità per le conseguenze delle valutazioni errate delle stesse agenzie;
5) a proporre l'adozione di regole che separino l'attività delle banche di credito ordinario da quella delle banche d'investimento;
6) a proporre a livello UE a delle forme di tassazione su tutti i trasferimenti bancari nei centri offshore /black list e in tutti i paesi terzi che non garantiscono la tracciabilità dei flussi finanziari nei confronti dei centri offshore /black list;
7) a collaborare con le istituzioni europee e con gli altri Governi già favorevoli all'adozione di una tassazione sulle transazioni finanziarie, al fine di rafforzare il potere di intervento delle stesse autorità nazionali ed internazionali sui mercati speculativi, scoraggiare, e quindi ridurre, i flussi di capitali speculativi destinando i maggiori proventi a misure specifiche tra cui quelle a sostegno dell'occupazione giovanile e quelle a scopo sociale;
8) a farsi promotore, entro il termine dello stesso semestre, del completamento e dell'attuazione di quanto previsto dalla direttiva europea COM(2013)71, assicurando:
a) il miglioramento della struttura della tassa attraverso un allargamento della sua base imponibile, estendendola alle azioni, alle obbligazioni (tra cui i Titoli di Stato scambiati sul mercato secondario) ed a tutti gli strumenti derivati, con particolare riguardo a quelli negoziati fuori dalle piattaforme regolamentate, ai prodotti strutturati e alle operazioni realizzate intra-gruppo o da intermediari finanziari inclusi hedge fund e altri soggetti a maggiore vocazione speculativa;
b) l'applicazione dell'imposta ad ogni singola operazione di transazione e non al saldo netto di fine giornata al fine di contrastare il complesso delle operazioni più altamente speculative e volatili;
c) l'applicazione del doppio principio "di residenza" e "di emissione" del titolo come misura di contrasto all'evasione della tassa.
9) a proseguire, a livello comunitario, con maggiore incisività nell'azione di contrasto a tutti i fenomeni dell'evasione e della frode fiscale in materia di IVA che costituiscono un rilevante elemento di sperequazione tra i soggetti passivi dell'imposta, anche sensibilizzando la Commissione europea e le altre istituzioni europee ad un rapido adeguamento della disciplina concernente la territorialità , ed attraverso l'introduzione di riforme strutturali incentrate sui meccanismi di controllo e di riscossione dell'Iva, così da implementare la facilità di pagamento dell'imposta da parte degli operatori;
10) ad impegnarsi in sede europea per promuovere con tutti i Paesi membri sistemi di tassazione delle attività transnazionali sul web, ivi comprese quelle connesse alla raccolta pubblicitaria, basati su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale di ciascun Stato membro;
C) per un green new deal europeo:
1) a proporre in sede europea un piano europeo per l'occupazione, un green new deal, centrato sulla tutela dell'ambiente, sul sostegno alla ricerca, sulla modernizzazione delle reti europee (Agenda digitale, ferrovie, autostrade del mare, energie rinnovabili e risparmio energetico), sul contrasto e la prevenzione del dissesto idro-geologico, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale euroepeo, il rafforzamento del sistema del welfare. Un piano per il lavoro finanziato con risorse europee (anche tramite i prestiti a basso tasso d'interesse) e nazionali e le cui spese non devono essere conteggiate nei saldi per il rispetto del Patto di stabilità;
2) a sostenere l'emissione di eurobond che potrebbero servire anche a finanziare investimenti pubblici da escludere dal computo dei deficit di bilancio ai fini del rispetto dei criteri di Maastricht;
3) a farsi promotore di un Trattato su un'Unione economica rinforzata:
a) ottenendo una riformulazione degli articoli 3 e 4 della bozza del Trattato che preveda l'emissione di eurobond e che tenga conto di "fattori nazionali rilevanti", tra i quali l'ammontare del debito nel settore privato ed il risparmio delle famiglie, senza automatismi e tenendo conto dell'andamento congiunturale dell'economia;
b) promuovendo l'esclusione dal computo, ai fini della determinazione dei parametri per il rispetto dei Trattati europei, di alcune fattispecie di investimenti concordata in sede europea;
4) a sostenere la radicale modifica del trattato sulla convergenza dei bilanci, il cosiddetto "Fiscal compact", una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore dello sviluppo sostenibile, a partire da una europeizzazione non parziale del debito sovrano almeno per la quota che supera il 60 per cento del Pil, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani;
5) a proporre l'utilizzazione a livello europeo di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond, project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione giovanile e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
6) a chiedere nell'immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali dei Paesi membri e per l'avvio della riduzione dello stock del debito e/o l'esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del Patto di stabilità;
7) a concordare con gli organismi dell'Unione europea la rinegoziazione della cosiddetta "golden rule" (vale a dire lo scorporo degli investimenti dal calcolo del vincolo di deficit del 3 per cento), consegnandola alla sovranità del Parlamento nazionale, non solo per i programmi co-finanziati dai fondi strutturali europei, ma per tutti gli investimenti degli enti territoriali, che consentano lo sviluppo di nuova e qualificata occupazione;
8) a promuovere e sostenere un impegno forte dell'Unione europea, da tradursi nell'adozione di politiche coerenti ed organiche per procedere più intensamente alla conversione delle economie europee in termini Green economy, fattore che può rivelarsi decisivo anche ai fini della ripresa economica e dell'aumento dell'occupazione;
9) a proporre un nuovo e radicale programma europeo, un "social compact" vincolante per tutti gli Stati membri, per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze e alla povertà, che abbia chiare priorità di investimenti per lo stimolo dell'occupazione e per compensare lo squilibrio nei paesi tra i paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, del mercato interno per ricostruire una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda aggregata; ed avvii in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal rilancio delle politiche per la formazione, l'educazione e l'innovazione, con particolare riferimento al settore energetico, delle tecnologie digitali e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
10) a superare - in assenza delle misure precedentemente elencate - il tetto del 3 per cento per l'indebitamento netto delle PP.AA nel bilancio 2014, giustificando tale azione politica con le condizioni di gravissima crisi economica e sociale del paese;
11) ad impegnarsi in sede europea di potere allentare il Patto di stabilità interno per risolvere il problema del pagamento dei debiti della PA, almeno per potere pagare gli investimenti ed i lavori;
D) Per un'agricoltura sana, di qualità, a tutela dell'ambiente:
1) a proseguire nella ferma tutela e nel sostegno all'agricoltura italiana secondo un modello rispettoso dell'ambiente e che valorizzi le specificità dell'economia agricola nazionale, caratterizzata da produzioni agroalimentari di qualità, assicurando produttività ma anche sicurezza alimentare e crescita economica;
2) a giungere, in tempi brevi, ad un accordo politico sul dossier relativo all'agricoltura biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici, a limitare l'eccessivo ricorso allo strumento del conferimento alla Commissione Europea del potere di adottare atti delegati di attuazione del Regolamento, in assenza di precisi criteri direttivi espressamente indicati nel Regolamento, ed a esercitare un monitoraggio preventivo sull'esercizio di tali deleghe;
3) a chiudere il dossier entro il semestre e, contestualmente, a porre in essere le opportune azioni di modifica del testo approvato al fine di consentire una vera e propria rinazionalizzazione delle colture in difesa della biodiversità e della qualità agroalimentare, di prevedere effettivamente, senza l'ausilio formale delle aziende biotech, la possibilità di vietare la coltivazione di OGM sul territorio dello Stato membro interessato, di dare attuazione alle conclusioni del Consiglio Ambiente adottate il 4 dicembre 2008 e della risoluzione del 5 luglio 2011 (P7_TA(2011)0314) del Parlamento Europeo che davano un quadro giuridico più robusto per i divieti nazionali, come per esempio il divieto di coltivazione di OGM anche per problemi di carattere ambientale; e, principalmente a modificare la base giuridica della proposta di regolamento, attualmente fondata sull'articolo 144 del Trattato di Funzionamento dell'Unione Europea, TFUE, basandola sugli articoli 191 e 192 del TFUE;
4) a rendere imprescindibile che, nello stipulare gli accordi di libero scambio con Paesi Terzi gli standard di qualità inseriti nel regolamento sui controlli ufficiali devono essere rispettati, da quei Paesi che vogliono commercializzare con l'Europa, secondo il principio di reciprocità; ed inoltre, a far sì che il dossier riguardante la proposta di regolamento venga approvato entro il semestre di presidenza italiana al fine di dare una robusta e solida base giuridica alle due altre proposte di regolamento (Biologico e Organismi Geneticamente Modificati);
E) per la rinascita industriale europea:
1) a sostenere e implementare l'iniziativa della Commissione relativa alla utilizzazione dei cosiddetti project bonds citata dalla Comunicazione "Per una rinascita industriale europea" (COM(2014)14 final, vale a dire di obbligazioni emesse da soggetti privati per il finanziamento a debito di infrastrutture di trasporto di particolare rilevanza strategica rientranti nelle reti TEN-T;
2) a sostenere le misure proposte dalla Commissione nell'ambito della Comunicazione "Per una rinascita industriale europea" (COM(2014)14 final) relative alla modernizzazione industriale, in particolare all'innovazione e alle nuove tecnologie, incoraggiando le politiche di investimento nei settori strategici dei processi di fabbricazione avanzati, delle tecnologie abilitanti fondamentali, dei veicoli e trasporti puliti, dei bioprodotti, della costruzione sostenibile e materie prime e reti intelligenti;
F) per una nuova politica energetica e il contrasto ai cambiamenti climatici:
1) ad assumere, in particolare nell'ambito del Semestre di Presidenza Europea Italiana, un ruolo propulsore per una vera e propria rivoluzione energetica, che veda un'Europa leader nella sfida per un'economia e per una società low-carbon al 2030 e in particolare: a impegnare i Paesi membri a raggiungere il 55 per cento di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra; a indicare obiettivi ambiziosi e vincolanti almeno al 40 per cento per l'efficienza energetica; a raggiungere un target del 45 per cento relativamente all'aumento della quota delle energie rinnovabili, e che detto target non venga calcolato solo a livello comunitario, ma tradotto in specifici obiettivi vincolanti nazionali; a stabilire una exit strategy dalla dipendenza dalla produzione di energia dal carbone entro il 2030;
2) a sostenere il processo di Governance della politica energetica dell'UE, garantendo che il piano energetico nazionale sia sufficientemente ambizioso in termini di centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi per tutto il periodo interessato, prioritariamente attraverso la modifica della Strategia Energetica Nazionale (SEN) per adeguarla a tali obiettivi definiti a livello europeo;
3) a sostenere con mezzi idonei ed efficaci l'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
4) ad aumentare gli sforzi per una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in termini di investimento anche al fine di ridurre il fabbisogno energetico complessivo;
5) a promuovere opportune iniziative affinché vengano scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del Patto di stabilità e crescita, le risorse stanziate dagli Stati membri per il contrasto al dissesto idrogeologico, e la messa in sicurezza del territorio e la sicurezza agroalimentare e conseguentemente ad approvare un ambizioso piano per la messa in sicurezza del suolo italiano, in grado di tutelare il territorio ed i suoi abitanti e sviluppare un comparto industriale con potenzialità di volano per l'economia nazionale ed una elevata qualificazione degli operatori anche per i mercati esteri;
6) ad assumere un atteggiamento deciso e determinato per rendere gli obiettivi per il 2030 per la produzione di energia da fonti rinnovabili, vincolanti anche in coerenza con la già avvenuta sottoscrizione del Documento "Going Green Growth", da parte del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
G) sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti
1) a tenere costantemente informato il Parlamento italiano sull'andamento dei suddetti negoziati e nelle sedi europee sostenere la necessità della massima trasparenza da parte della Commissione Europea cui è affidato il mandato negoziale;
2) a contrastare fermamente la prevista introduzione della clausola di risoluzione delle controversie fra investitori e Stato (Investor-State dispute settlement) e di un qualunque analogo meccanismo rivolto a riconoscere il ruolo di interlocutore istituzionale alla rappresentanza organizzata degli interessi economici;
3) a fare inserire nella fase negoziale l'obbligo di etichettatura e tracciabilità dei prodotti agroalimentari liberi da OGM a tutela degli agricoltori, dei produttori, dei consumatori e delle peculiarità agroalimentari dei territori, un adeguato riconoscimento del sistema europeo delle denominazione geografiche protette, il mantenimento delle regole di carattere sanitario concernenti il trattamento degli alimenti, nonché misure di natura tariffaria rivolte ad attenuare l'impatto del trattato sui settori europei particolarmente sensibili, fra i quali l'allevamento zootecnico;
H) per un nuovo welfare e per la parità dei diritti:
1) a fare adottare dagli organismi della UE una vera e propria direttiva che obbliga gli Stati membri ad adottare il reddito minimo garantito nel loro ordinamento nazionale;
2) a proporre l'utilizzazione a livello europeo di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare, promuovere e sostenere l'occupazione e il reddito giovanili anche attraverso l'introduzione di un sistema continentale di Reddito Minimo Garantito cofinanziato dagli Stati Europei;
3) a proporre un programma europeo, un "social compact", per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali;
4) ad attivarsi affinché gli Stati membri adottino opportune politiche volte a garantire il raggiungimento dell'obiettivo europeo, definito con la Strategia EU2020, di riduzione entro il 2020 di 20 milioni del numero di persone in condizioni di povertà ed esclusione sociale, anche attraverso:
- interventi finalizzati all'inserimento lavorativo dei soggetti più difficilmente collocabili mercato del lavoro;
- l'implementazione di misure rivolte alle famiglie in condizioni di povertà od esclusione sociale;
- il miglioramento nell'offerta di servizi sanitari e sociosanitari, garantendone comunque l'accesso alle fasce più deboli della popolazione; interventi per incrementare i servizi socio-educativi per l'infanzia;
5) a promuovere in sede europea la definitiva approvazione della proposta di direttiva COM(2008)426 perché sia assicurata parità di trattamento in tutti gli ambiti della vita pubblica e privata, indipendentemente da caratteristiche o condizioni personali;
6) ad ottenere nella UE l'affermazione del principio della considerazione ai fini previdenziali del lavoro di cura e familiare;
7) a farsi promotore del riconoscimento della primaria libertà e responsabilità delle donne nella procreazione principio fondamentale per una nuova strategia europea di libertà e diritti;
8) all'attuazione di efficaci politiche a favore della salute sessuale e riproduttiva includendola nella prossima strategia dell'UE per la salute pubblica;
9) ad attivarsi affinché i servizi di qualità per l'aborto siano resi legali, sicuri e accessibili a tutte, in primo luogo nell'ambito dei sistemi di salute pubblica degli Stati membri, anche con riferimento alle donne non residenti, le quali spesso sono costrette a ricercare tali servizi in altri paesi a causa di leggi restrittive in materia di aborto nel loro paese d'origine;
10) a intervenire con efficacia per rimuovere gli ostacoli che spesso limitano o impediscono di accedere all'interruzione volontaria di gravidanza, sollecitando a tal fine gli Stati membri a regolamentare e monitorare il ricorso all'obiezione di coscienza nelle professioni chiave in modo da assicurare che l'assistenza sanitaria in materia di salute riproduttiva sia garantita come diritto individuale ovunque;
11) a sollecitare gli Stati UE, alla luce dell'impatto della crisi economica e finanziaria sul settore della sanità pubblica, a fornire, a titolo gratuito informazioni e servizi mirati in materia di contraccettivi e altri servizi inerenti alla salute sessuale e riproduttiva, nonché misure di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie sessuali trasmissibili;
I) per la sicurezza dei cittadini ed i diritti dei migranti:
1) a farsi promotore, nell'ambito del prossimo semestre di presidenza europea, di una politica di effettiva collaborazione e condivisione riguardo le politiche europee di accoglienza dei migranti, con particolare riguardo all'assistenza di persone portatrici di esigenze particolari, stabilendo che si debba tener conto della situazione di particolare vulnerabilità in cui versano alcuni soggetti, quali minori, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza;
2) a farsi promotore di un'iniziativa tesa a sospendere l'applicazione del regolamento cosiddetto Dublino III e a stabilire con gli Stati aderenti a tale accordo nuove regole che permettano ai richiedenti asilo di raggiungere in condizioni di sicurezza il Paese in cui intendono fare richiesta d'asilo;
3) a porre in sede europea il tema della garanzia della libera circolazione dei rifugiati negli Stati dell'Unione europea, estendendo a tali soggetti i diritti previsti per i cittadini europei dal trattato di Schengen, permettendo così un'allocazione libera, e dunque più razionale, dei flussi migratori;
4) a farsi portatore in sede europea di un'iniziativa che porti al definitivo superamento del sistema Frontex, affinché quelle risorse e professionalità siano finalizzate in primis ad organizzare un efficiente sistema di monitoraggio e soccorso;
5) a porre in sede europea la questione dell'indifferibilità dell'apertura di canali di "accesso protetto", che tramite corridoi umanitari garantiscano la possibilità ai migranti di fare richiesta di asilo direttamente nei Paesi di transito, come l'Egitto, per poi poter entrare in Europa in sicurezza;
6) a far sì che il Consiglio Europeo richieda a Commissione e Consiglio Affari generali proposte per:
a) sollecitare un maggior impegno di tutti gli Stati membri per il reinsediamento, ovvero il trasferimento, con l'assistenza ed a seguito di procedure di selezione da parte dell'Unhcr, di gruppi di rifugiati dai paesi di transito o di prima accoglienza agli Stati che offrono programmi di inserimento. Ciò allo scopo di offrire vie legali e sicure di accesso all'Europa per le persone in fuga da guerre e persecuzioni;
b) prevedere la possibilità, per i richiedenti asilo, di presentare la domanda presso le sedi diplomatiche degli Stati membri Ue nei Paesi di transito (con conseguente emissione di visto ai richiedenti la cui domanda non risulti manifestamente infondata e procedure d'asilo nel Paese membro al quale è stata rivolta la domanda);
c) istituire una figura di "coordinatore europeo sul soccorso in mare", specializzato sia in diritto internazionale dei rifugiati che in diritto internazionale marittimo, che rafforzi i collegamenti in tale ambito tra gli Stati membri, i Paesi di transito dei migranti e l'Organizzazione Marittima Internazionale (Imo/Omi);
7) a sostenere la promozione, nell'ambito di un completo ed integrato sistema di difesa europeo comune, dei Corpi civili di pace e la costituzione di un esercito unico che permetta la riduzione delle Forze armate nazionali con la conseguente drastica riduzione delle spese militari italiane, sistema che potrebbe già iniziare a dispiegarsi concretamente tramite una reale integrazione delle catene di comando;
8) a sviluppare maggiormente la dimensione civile della Politica Europea di Sicurezza e Difesa Comune, tramite missioni di gestione civile delle crisi pianificate dalle due strutture competenti in seno al Servizio Europeo per l'Azione Esterna, affinché Interventi Civili per la Costruzione della Pace e Prevenzione dei Conflitti vengano riconosciuti e finanziati tra i programmi della Commissione europea di Assistenza allo Sviluppo, con forte partecipazione delle organizzazioni di società civile. Proprio nella gestione civile delle crisi l'Unione Europea può esprimere il suo vantaggio comparato nella comunità internazionale;
9) a promuovere, in sede europea, un azione concreta ed efficace per colmare le lacune e le criticità dell'attuale modello di politiche di sicurezza e difesa comune evidenziate in premessa, e in particolare a farsi promotore di una azione per la sospensione dei programmi di armamento internazionali come quello sugli F-35 Joint Fight Striker che non rispondono alle esigenze di razionalizzazione ed efficiente gestione delle risorse, nonché confliggenti con un modello unitario di difesa;
10) ad adoperarsi affinché il Consiglio europeo:
a) vari finalmente un processo di revisione della difesa europea trasformando in realtà il coordinamento dei processi nazionali di pianificazione della difesa a livello dell'UE e sulla base di tale valutazione, inviti il vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante per la Politica estera e la sicurezza comune dell'Unione ad avviare un processo di ampia portata, che prenda in considerazione la necessità di condivisione coi cittadini europei, per elaborare un Libro bianco sulla sicurezza e la difesa, al fine di razionalizzare le ambizioni strategiche e i processi di sviluppo delle capacità dell'UE;
b) istituisca un fondo europeo per la riconversione dell'industria bellica in industria civile, sfruttando il know-how raggiunto e le professionalità dei lavoratori, anche per dare risposta alla razionalizzazione del settore minimizzando la perdita dei posti di lavoro ed evitando la dispersione di conoscenze scientifiche e tecnologiche;
c) adotti una politica che, dentro una scelta complessiva orientata al disarmo, premi i sistemi integrati europei della difesa e scoraggi l'acquisto di sistemi d'arma la cui ricaduta occupazionale e tecnologica per l'Unione Europea - come nel caso degli F35 - è marginale e non adeguatamente proporzionale al costo dell'investimento;
11) a farsi carico di un lavoro di mediazione diplomatica che faciliti la ricerca di una soluzione pacifica della crisi ucraina, sia direttamente, sia attraverso le sue rappresentanze nelle istituzioni dell'Unione europea, garantendo l'integrità territoriale dello Stato ucraino ed il rispetto della sua sovranità in quanto principio internazionale inviolabile, nel rispetto della sicurezza della popolazione civile.
(6-00058)
DE PETRIS, URAS, CAMPANELLA, BAROZZINO, CERVELLINI, DE CRISTOFARO, PETRAGLIA, STEFANO, BENCINI, BATTISTA, BIGNAMI, CASALETTO, DE PIN, MUSSINI, BOCCHINO.