• C. 4768-A-Allegato 2 EPUB Relazioni di minoranza delle Commissioni permanenti

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Atto a cui si riferisce:
C.4768 [Legge di bilancio 2018] Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020


Frontespizio Relazioni Commissioni
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4768-A


ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI
DISEGNO DI LEGGE
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 30 novembre 2017 (v. stampato Senato n. 2960)
presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018
e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020
e relativa nota di variazioni (4768/I)
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 1° dicembre 2017
(Relatore per la maggioranza: BOCCIA)

NOTA: Relazioni di minoranza presentate nelle Commissioni permanenti sulle parti del disegno di legge di bilancio di rispettiva competenza.
ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI
RELAZIONI DI MINORANZA PRESENTATE NELLE COMMISSIONI PERMANENTI, AI SENSI DELL'ARTICOLO 120, COMMA 3, DEL REGOLAMENTO, SULLE PARTI DEL DISEGNO DI LEGGE DI BILANCIO DI RISPETTIVA COMPETENZA
INDICE

XII COMMISSIONE PERMANENTE (Affari sociali) ... Pag. 7

XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari sociali)
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XII COMMISSIONE PERMANENTE
(Affari sociali)
RELAZIONE DI MINORANZA
sul
DISEGNO DI LEGGE
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018
e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 (4768)
e relativa nota di variazioni (4768/I)
dei deputati
Nesci, Colonnese, Mantero, Silvia Giordano, Grillo, Lorefice, Baroni

      La XII Commissione,

          esaminato, per le parti di propria competenza, il disegno di legge recante il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, già approvato dal Senato, e la relativa nota di variazione;

          premesso che:

              nota dolente dell'intero provvedimento è l'invarianza delle risorse del Fondo sanitario nazionale a fronte della consueta determinazione del contributo delle Regioni alla finanza pubblica (commi 425-427); infatti, da un lato si definisce il contributo spettante alle Regioni a statuto ordinario, destinato alla riduzione del debito, per un importo pari a 2.200 milioni di euro per l'anno 2018, dall'altro si stabilisce che per il medesimo anno il concorso alla finanza pubblica delle medesime Regioni, per il settore non sanitario, è realizzato: quanto a 2.200 milioni di euro con il contributo succitato, quanto a 94,10 milioni mediante riduzione delle risorse per l'edilizia sanitaria e, infine, quanto a 300 milioni di euro la riduzione è ricavata, in sede di intesa Stato Regioni, in ambiti di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza;

              è evidente che siamo dinanzi a qualcosa di molto simile ad un «partita di giro», eufemisticamente attenuata da una riduzione di soli 100 milioni; di fatto rimane intatto il contributo che le Regioni devono restituire allo Stato in ottemperanza agli obblighi comunitari e al pareggio di bilancio, così come sarà intatta la consuetudine di drenare, anche quei 300 milioni, alla salute dei cittadini;

              parimenti rimane intatto il progressivo definanziamento della sanità italiana e del Servizio sanitario nazionale di oltre 25 miliardi decorso dal 2012, come annunciato dall'allora Ministro della salute Balduzzi e confermato in ogni intervento finanziario successivo;

              le risorse indicate nel Patto per la Salute 2014 sono state tutte disattese per il triennio considerato (109,928 miliardi di euro per il 2014, 112,062 miliardi di euro per il 2015 e 115,444 miliardi di euro per il 2016) poiché le successive manovre finanziarie, avvallate con Intesa Stato-Regioni, hanno certificato la riduzione progressiva al SSN. La manovra finanziaria per l'anno 2016 aveva fissato in 111 miliardi di euro il finanziamento per il 2016 ma nel frattempo aveva fissato il contributo alla finanza pubblica da parte delle

Regioni in 3,98 miliardi di euro per il 2017, in 5,48 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019;

              dunque le risorse apparentemente invariate del FSN (113 miliardi di euro per il 2017, 114 per il 2018 e 115 per il 2019) vanno sempre lette alla luce del cosiddetto contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica e soprattutto vanno lette alla luce della previsione, inesorabilmente discendente, del rapporto spesa sanitaria/PIL che, secondo le ultime stime, arriverà al 6,3 per cento nel 2020;

              la revisione della spesa, di fatto, è stata utilizzata e abusata per camuffare un'altra realtà, un'altra finalizzazione: taglio lineare indistinto e indiscriminato alla spesa pubblica e questo taglio lineare ha insistito in maniera insopportabile, se non addirittura feroce, proprio nella sanità italiana;

              a luglio 2017, nella relazione sulla gestione finanziaria delle regioni, la Corte dei Conti ha messo nero su bianco che nel periodo 2015-2018, per gli obiettivi di finanza pubblica, il finanziamento del SSN ha visto una riduzione cumulativa di 10,52 miliardi, riduzioni che si aggiungono agli oltre 20 miliardi del periodo 2011-2015;

              questo progressivo definanziamento della sanità pubblica ha significato un taglio inaccettabile alle risorse umane del SSN (blocco del turnover, precariato e orari di lavoro insostenibili, in contrasto con le direttive dell'Europa); soprattutto ha significato una rinuncia alle cure da parte dei cittadini (soprattutto i più fragili!) ed una privatizzazione di fatto della sanità italiana, costringendo i cittadini a rivolgersi al privato;

              le risorse per il personale sanitario sono le grandi assenti di questo provvedimento; i professionisti della sanità sono gli «innominati» di questa legge di bilancio: non si stanzia un euro per il rinnovo dei loro contratti che sarà fatto a valere sulle già esigue risorse del Fondo sanitario nazionale e a discapito delle prestazioni sanitarie da garantire ai cittadini; i processi di assunzione e stabilizzazione del personale sanitario vanno a rilento e non si aumentano le risorse a ciò destinate né si provvede ad aumentare la dotazione organica per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico:

          considerato inoltre che:

              il comma 75, intervenendo sul testo unico delle imposte sui redditi e modificando la soglia per usufruire del bonus di 80 euro, aumentandola di 600 euro, di fatto non aumenta i beneficiari ma semplicemente ne evita la diminuzione, con ciò confermando quindi una misura di sostegno al reddito assolutamente insufficiente e inadeguata, introdotta solo quale vessillo elettorale dall'allora presidente del Consiglio;

              gli incrementi al Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, pari a 300 milioni nel 2018, 700 milioni nel 2019 e 783 milioni nel 2020, appaiono assolutamente insufficienti per il contrasto alla povertà; le modifiche introdotte al Senato, non cambiano nella sostanza la disciplina del Reddito di inclusione (ReI) e le risorse complessivamente stanziate rimangono assolutamente insufficienti a garantire un reddito di civiltà e di cittadinanza, come invece proposto dal M5S e che richiede risorse ben più elevate, corrispondenti a quanto in questi anni, invece, i Governi succedutisi hanno ben ritenuto di dare agli istituti bancari;

              l'ampliamento della platea dei beneficiari del ReI, ottenuto semplicemente cambiando l'ordine degli addendi ossia eliminando alcune specifici requisiti correlati a contesti familiari particolarmente fragili, non solo non ha cambiato il risultato di fondo ovvero l'insufficienza delle risorse ma è sintomatico della «guerra tra poveri» che di fatto il Governo propina per risolvere i propri numeri di bilancio e non già i problemi e numeri della povertà in Italia; di fatto questa legge di bilancio aumenta solo del 10 per cento l'ammontare annuo dell'assegno sociale, portandolo da 485 euro mensili per 12 mensilità a circa 534 euro;

              nell'ambito del Fondo per la lotta alla povertà, le risorse destinate al rafforzamento

degli interventi e dei servizi sociali, aumentano di 35 milioni per il 2018 (per complessivi 297 milioni), 70 milioni nel 2019 (per complessivi 347 milioni), e 158 milioni dal 2020 (per complessivi 470 milioni); le politiche sociali delle Regioni sono oggi finanziate per la maggior parte proprio dal Fondo povertà tant'è che nell'ultimo riparto per il 2017, di quasi 277 milioni, solo circa 65 provengono dal Fondo nazionale politiche sociali e 212, invece, provengono dal Fondo Povertà;

              le risorse del Fondo nazionale politiche sociali ammontavano per il 2017 a circa 312 milioni e, a seguito dell'intesa Stato-Regioni del 23 febbraio 2017, relativa al contributo alla finanza pubblica delle Regioni, la dotazione del FNPS è stata poi ridotta a circa 99/100 milioni, ridotto ulteriormente a circa 78 milioni per effetto della disposizione concernente il Codice del Terzo settore che ha trasferito in altro fondo le risorse per il medesimo;

              pertanto, fermo restando che le risorse per le politiche sociali sono complessivamente passate, per il 2017, da 312 a 277 milioni, l'aumento che la disposizione propone non fa altro che restituire, ad esempio per l'anno 2018, l'importo di 35 milioni, importo corrispondente esattamente alla differenza tra quanto era stato previsto per il 2017 e quanto poi effettivamente ripartito tra le regioni, prelevando dal Fondo per la povertà;

              le misure sul «welfare di comunità» appaiono sconcertanti laddove introducono, per tre anni, un contributo, sotto forma di credito di imposta, in favore delle fondazioni bancarie, pari al 65 per cento delle erogazioni effettuate dalle stesse in specifici ambiti sociali e sanitari. Più in particolare, il beneficio è previsto per le erogazioni inerenti a progetti promossi dalle suddette fondazioni (nel perseguimento degli scopi statutari) per una o più delle seguenti finalità: contrasto delle povertà, delle fragilità sociali e del disagio giovanile, tutela dell'infanzia, cura e assistenza per gli anziani ed i disabili, inclusione socio-lavorativa e integrazione degli immigrati, dotazione di strumentazioni per le cure sanitarie; questa disposizione si colloca nel più vasto contesto di riforma del terzo settore e del processo di «finanziarizzazione» dei servizi sanitari e socio-sanitari. È una misura analoga ad altre già presenti nelle precedenti leggi finanziarie o di stabilità, con la differenza che mentre prima si contemplava tale contributo in relazione alle erogazioni destinate al sociale e dunque al terzo settore, con tale disposizione si contempla anche il finanziamento a Stato, regioni ed enti pubblici che erogano attività sanitarie e socio-sanitarie;

              appare sconcertante che per l'erogazione di tali contributi da parte delle Fondazioni bancarie sia prevista l'evidenza pubblica solo per gli enti del terzo settore, consentendo di fatto alle fondazioni bancarie di «finanziare» le Regioni o gli enti del Servizio sanitario nazionale che più riterranno «conveniente» finanziare;

              il fatto che non vi siano limiti ad usufruire del credito d'imposta e compensabilità appare un privilegio eccessivo che sia riconosciuto un credito d'imposta sulla base del mero impegno ad effettuare erogazioni e secondo l'ordine di inoltro all'Associazione di fondazioni e di casse di risparmio S.p.a (ACRI);

              al netto dell'assoluta non condivisione della disposizione sulle fondazione bancarie sarebbe quantomeno auspicabile che le richieste per usufruire delle erogazioni siano inviate al Ministero del lavoro previa definizione degli obiettivi e progetti finanziabili nonché dei criteri per la valutazione delle richieste di finanziamento alle fondazioni; in buona sostanza sarebbe auspicabile garantire quantomeno l'imparzialità nella procedura, evitando conflitti d'interesse laddove, ad esempio, il presidente dell'ACRI è anche il presidente della Fondazione Cariplo, quest'ultima particolarmente attiva proprio in tali tipi di finanziamento ossia ad attività socio-sanitarie;

              la disposizione di cui al comma 119, che autorizza la previsione di finanziamenti (non predeterminati nell'importo) e la stipulazione di convenzioni con l'Istituto degli Innocenti di Firenze, per lo svolgimento

delle funzioni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia, appare incomprensibile nella ratio;

              sulle politiche dell'infanzia sarebbe invece opportuno intervenire unificando le risorse che, nell'ambito del bilancio dello Stato sono diversamente destinate all'infanzia e all'adolescenza, per farle confluire tutte nel Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285, al fine di porre in essere azioni strutturali e coordinate per dare concreta attuazione alle azioni individuate dal Piano nazionale d'azione per l'infanzia e l'adolescenza, individuando i soggetti promotori delle singole azioni e indicandone le correlate risorse; è necessario garantire in tutto il territorio nazionale condizioni per l'uguaglianza di accesso alle risorse non solo della salute, ma anche delle risorse sociali, della cultura, dell'educazione, dell'abitazione per abbattere l'impatto dell'insieme delle ineguaglianze che sono alla base della vulnerabilità familiare e che pesano sullo sviluppo del bambino limitandone le potenzialità, anche attraverso l'adozione di modelli di welfare generativo; è necessario garantire adeguate risorse umane e strumentali affinché in ogni regione sia istituita la figura del Garante dell'infanzia;

              è altresì necessario garantire unitarietà del sistema di governance alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, a livello nazionale e regionale, superando l'attuale settorializzazione delle competenze e degli interventi, al fine di garantire tutte le condizioni organizzative, economiche e professionali affinché le politiche minorili e per le famiglie siano uniformi, eque e inclusive;

              nell'ambito delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza è necessario colmare il deficit di informazione nel sistema dei servizi tramite l'implementazione di un sistema informatico uniforme, finalizzato alla realizzazione di un flusso informativo costantemente aggiornato tramite l'ISTAT, nell'ambito del programma statistico nazionale e in coordinamento con il centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia, anche al fine di assicurare un'azione di monitoraggio sistemica e strutturata tale da garantire livelli ottimali di raccordo e dialogo fra sistemi e servizi;

              riguardo alle politiche della famiglia è stata soppressa, in Senato, la disposizione che istituiva presso il MEF un fondo da destinare alle politiche della famiglia con una dotazione di 100 milioni annuali a decorrere dal 2018; la disposizione recava in effetti alcune perplessità tenuto conto che già esiste un Fondo per le politiche della famiglia, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, denominato «Fondo per le politiche della famiglia» (capitolo 858);

              c'è però da rilevare che la soppressione della disposizione citata non ha sanato un altro e ben più sostanziale vulnus: la progressiva riduzione di risorse per le politiche sulla famiglia sul Fondo attualmente esistente; infatti, in base alla legge di bilancio per l'anno 2017 la dotazione del Fondo risulta pari ad euro 5.144.858,00 ma nel corso dell'anno 2017 sono state apportate riduzioni pari ad euro 2.364.826,00; e che pertanto il Fondo residuato per l'anno 2017 è pari ad euro 2.780.032,00; tali risorse sono destinate alle Regioni per finanziare i servizi socio educativi per la prima infanzia e azioni in favore degli anziani e della famiglia con tale esiguità di risorse! Si ricorda che nel giudizio di parificazione per il rendiconto 2016 anche la Corte dei Conti ha rilevato diffuse perplessità sulle risorse di tale Fondo, stante l'enorme ritardo nelle assegnazioni e nei trasferimenti;

              sulla famiglia il provvedimento all'esame interviene invece sull'assegno di natalità (commi 141 e 142), già istituito con la legge di stabilità 2015 (cosiddetto bonus bebè), ed interviene a gamba tesa peggiorando le condizioni per usufruirne e diminuendone l'importo; infatti fino ad oggi è stato possibile usufruire di tale assegno fino a tre anni dalla nascita o l'adozione, mentre con la modifica introdotta sarà possibile usufruirne solo per il primo anno; inoltre l'importo dell'assegno passerà da 960 euro annui a 480 euro annui, dal 2019;

              in Senato, ai commi 145-147, è stato istituito il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018-2020; esso è destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi intesi al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività di cura non professionale del caregiver familiare di cui se ne fornisce una definizione; tale disposizione se da un lato appare condivisibile nella misura in cui tiene conto del rilevante problema del cosiddetto «welfare familiare» ossia delle famiglie di fatto «abbandonate» delle famiglie nell'assistenza dei propri familiari disabili dall'altro non appare esaustivo nella misura in cui non solo stanzia risorse risibili ma non indica concretamente quali siano le azioni di sostegno che si vogliono porre in essere a favore dei caregiver;

              le diverse disposizioni che attribuiscono risorse ad hoc ai diversi istituti (contributi in favore dell'Ente nazionale sordi, del Centro internazionale del libro parlato «Adriano Sernagiotto», della Lega del Filo d'oro, della Biblioteca italiana per i ciechi «Regina Margherita» di Monza) recano perplessità nel metodo e non già nel merito, nella misura in cui non si stabilisce un criterio uniforme sul modo e sui criteri di erogare tali contributi;

              le disposizioni relative al payback farmaceutico (commi 249-251), rappresentano l'ennesimo intervento sul payback farmaceutico e di fatto il Governo cerca di risolvere la sua stessa incapacità a trovare soluzioni efficaci per il ripiano della spesa farmaceutica che ha superato i tetti di spesa; la conseguenza di tale incapacità è che le Regioni non incassano le somme loro spettanti versate dalle aziende farmaceutiche a titolo di payback; la soluzione transattiva prospettata nella disposizione è infatti conseguente ai numerosi contenziosi con le aziende farmaceutiche; si introduce l'ennesima misura tampone senza intervenire sulla governance del settore, senza intervenire in maniera radicale e urgente sulla scarsa qualità dei dati utilizzati correlata ai limiti dei sistemi di rilevazione contabile delle aziende sanitarie; non s'interviene su quella che l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), in un focus specifico sul governo della spesa farmaceutica del giugno 2017, indica come «insufficiente solidità e trasparenza dei procedimenti di calcolo adottati dall'AIFA»; non si procede alla revisione dei margini della distribuzione e all'ulteriore espansione dell'uso di farmaci non coperti da brevetto o comunque a prezzo più basso; non s'interviene sulla razionalizzazione dei criteri di competenza tra centro e periferia per la formazione dei prontuari nazionale e regionali e, soprattutto non si effettua la programmazione rigorosa dei trattamenti con medicinali innovativi e vaccini, condizionata alla verifica scientifica di un favorevole rapporto rischio-beneficio e costo-efficacia;

              quanto al monitoraggio degli effetti sulla spesa sanitaria dell'utilizzo dei farmaci innovativi (commi 252-253) si dispone che, in via sperimentale, per il triennio 2018-2020, ai fini di un più efficiente utilizzo delle risorse e di una migliore organizzazione del Ssn, il Ministero della salute, di concerto con il Mef, avvierà un monitoraggio degli effetti dell'utilizzo dei farmaci innovativi e innovativi oncologici sul costo del percorso terapeutico-assistenziale complessivo; tale monitoraggio sarà effettuato dal Comitato per la verifica dei LEA su una o più aree terapeutiche e sarà svolto sulla base dei dati di real world evidence e delle informazioni ricavate dai Registri dei farmaci innovativi e innovativi oncologici sottoposti al monitoraggio da parte dell'AIFA; si precisa che tale monitoraggio è funzionale alla migliore allocazione delle risorse del SSN, anche in riferimento alla valutazione di congruità dei fondi per i succitati farmaci istituiti con la legge di bilancio 2017 (500 milioni per i farmaci innovativi e 500 milioni per i farmaci innovativi oncologici);

              suscita talune perplessità l'inserimento a posteriori del monitoraggio degli effetti dell'utilizzo dei farmaci innovativi e innovativi oncologici sul costo del percorso terapeutico-assistenziale complessivo; appare stupefacente che l'analisi costo-beneficio

sia postuma all'istituzione di fondi vincolati;

              affidare il monitoraggio del costo-benefico al Comitato LEA non appare la soluzione migliore poiché sarebbe opportuno che tali valutazioni siano comunque affidate ad organismi terzi e indipendenti, caratterizzati da competenze scientifiche in materia terapeutica e sanitaria; inoltre appare opportuno correlare il real world evidence (un nuovo sistema di rilevazione dei dati che mette insieme informazioni sanitarie al fine di verificare il beneficio di un trattamento) anche allo studio clinico controllato (RCT) che è al momento lo strumento di ricerca consolidato per verificare la reale efficacia di un trattamento oppure ancor di più sarebbe meglio fare riferimento all’Health Technology Assessment;

              s'introduce un progetto d'informatizzazione del ciclo passivo delle acquisizioni di beni e servizi in ambito sanitario (commi 255-259); la disposizione appare insufficiente e aleatoria perché rimanda, sine die, a decreti del MEF la definizione del progetto e non si stanzia alcuna risorsa a riguardo; si fa riferimento ad un programma di gestione informatizzata dei documenti attestanti l'ordinazione e l'esecuzione degli acquisti di beni e servizi che ancora non sembra esistere o se esiste non viene indicato esattamente quale sia; se invece tale sistema di gestione è da realizzare non si comprende con quali risorse sarà realizzato; di fatto tale disposizione appare un mero annuncio che sembra quasi voler pretestuosamente soltanto assecondare gli impegni della nostra mozione approvata proprio oggi alla Camera;

              il rinvio sulla definizione delle tariffe massime di remunerazione nel settore sanitario (comma 260), pur necessario per ovvi motivi, di fatto certifica l'inerzia del Ministero della salute nel definire le tariffe massime delle strutture che erogano assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e di assistenza specialistica ambulatoriale e clamorosamente si omette il riferimento alle tariffe massime delle prestazioni relative all'assistenza protesica;

              la rivalutazione del fabbisogno di prestazioni (comma 261) assicurate dagli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) di diritto pubblico e privato (accreditati nell'ambito del Servizio sanitario regionale), al fine di valorizzare la qualità delle prestazioni di tali Istituti, anche con riferimento alle prestazioni rese in favore di cittadini residenti in regioni diverse da quella di appartenenza della struttura dell'Istituto (nell'ambito della mobilità sanitaria interregionale) rappresenta una deroga o un distinguo non comprensibile;

              l'intervento sull'edilizia sanitaria (al comma 262), rappresenta l'ennesima misura tampone sul tema, laddove presumibilmente per esigenze di bilancio, si modificano i termini temporali previsti dalla disciplina sugli accordi di programma tra Stato e regioni o province autonome in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico;

              reca diffuse perplessità la disposizione (comma 265) che istituisce un contributo non avente natura previdenziale in favore dell'Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Farmacisti (ENPAF); le società di gestione di farmacie con maggioranza di soci non farmacisti devono versare all'ENPAF un contributo pari allo 0,5 per cento del fatturato annuo, al netto dell'IVA; sarebbe auspicabile che tale «tributo» para-impositivo a favore di un ente privatizzato, sia eventualmente destinato ad altre finalità come ad esempio all'impiego di farmaci orfani per malattie rare e di farmaci che rappresentano una speranza di cura, in attesa della commercializzazione, per particolari e gravi patologie;

              quanto all'istituzione del Fondo per la riduzione del superticket (commi 449 e 450), se ne rileva l'assoluta inconsistenza nella sua formulazione «futuristica», priva di fatto di alcuna concretezza e priva di risorse sufficienti; la definizione dei criteri per la ripartizione del Fondo è demandata infatti ad un decreto del Ministro della salute, e ci si limita a dire che nel riparto dovranno essere privilegiate le regioni in cui siano state adottate iniziative intese ad

ampliare il numero dei soggetti esentati dal pagamento della quota fissa di 10 euro ovvero in cui siano state introdotte misure alternative regionali di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie;

              sul superticket si misura tutta l'inconsistenza delle promesse di questo Governo e del Ministro della salute poiché è evidente che un intervento soppressivo del cosiddetto superticket richiede non solo d'incidere sulle fasce di esenzione, ampliandole ovviamente, ma richiede soprattutto di aumentare il Fondo sanitario nazionale a fronte di una riduzione delle entrate per le Regioni che devono, sempre e comunque, garantire le prestazioni inserite nei LEA; in buona sostanza se veramente si vuole abolire, come promesso coram populo, non solo si deve modificare la soglia di esenzione ma si deve aumentare il fondo sanitario nazionale;

              le disposizioni concernenti l'Agenas (commi 266-270) recano diffuse perplessità laddove, ad esempio, nell'elevare da 46 a 146 unità la dotazione organica dell'Agenzia, si precisa che 17 saranno le unità con qualifica dirigenziale. In buona sostanza si prospetta un dirigente ogni 8 unità di personale! È chiaro che tale rapporto dirigente/unità di personale è spropositato tenendo conto che in altri contesti tale rapporto è di circa 1 dirigente ogni 50/100 dipendenti; inoltre non si comprende perché si deve creare una disposizione ad hoc per la stabilizzazione e l'assunzione del personale AGENAS, stante la disciplina vigente valida per tutte le pubbliche amministrazioni, come novellata proprio di recente dal Governo ed esplicitata con la circolare del Ministro Madia;

              da stigmatizzare sono infine le consuete disposizioni in materia di giochi che nulla recano in ordine alla necessità di intervenire sulla cura delle patologie legate al gioco d'azzardo,

          delibera di

RIFERIRE NEGATIVAMENTE.