• C. 4768-A-bis EPUB D'INCA' Federico, Relatore di minoranza

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Atto a cui si riferisce:
C.4768 [Legge di bilancio 2018] Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020


Frontespizio Relazione
Testo senza riferimenti normativi
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4768-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 30 novembre 2017 (v. stampato Senato n. 2960)
presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 1° dicembre 2017
(Relatore di minoranza: D'INCÀ)


      

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Onorevoli Colleghi! – Riteniamo necessaria una premessa per rilevare la nostra indignazione sullo svolgimento dei lavori di questa ultima sessione di bilancio della XVII legislatura, ormai prossima alla chiusura.
      Noi del MoVimento 5 Stelle, approdati in Parlamento per la prima volta, abbiamo vissuto per ben 5 anni un modo di operare nella sessione di bilancio con tempi e modi deprecabili, caratterizzati da attese infinite, dallo stillicidio di presentazioni continue, soprattutto notturne, di emendamenti del Governo.
      Ciò non è rispettoso nei confronti di tutti i dipendenti sia della Camera dei deputati, sia degli uffici dei Ministeri, sottoposti a ritmi e orari massacranti e non umani, che non consentono di lavorare con lucidità e massima proficuità. A loro va il nostro sincero ringraziamento.
      Per quanto concerne invece la continua proliferazione di emendamenti del Governo e del Relatore, per noi è sintomo di una mancanza di visione politica unanime della maggioranza che ha sostenuto i Governi succedutisi in questa tesa legislatura.
      La nostra prima esperienza ci ha subito fatto comprendere insegnato cosa nel futuro dobbiamo modificare per la sessione di bilancio. E mi riferisco soprattutto alla tendenza di inserire «a tutti i costi» e «all'ultimo minuto» norme o localistiche o «di aggiustamento» di normative lacunose, che necessitano in continuazione di norme interpretative, di modifica, di integrazione o di proroga!
      Nonostante la riforma del bilancio dello Stato, approvata di recente con la legge 163 del 2016, e nonostante la evidente e dichiarata mancanza di sufficienti risorse, come rimarcato dal Ministro Padoan, anche in questa ultima sessione di bilancio c'è stata una forte tendenza alla introduzione di norme localistiche e micro-settoriali, indotta dalla evidente apertura della campagna elettorale. Chi più porta a casa più ha speranza di riconfermarsi la poltrona per la XVIII legislatura, senza alcun interesse a far si che nella destinazione delle limitate risorse sia data priorità ad interventi urgenti e condivisi dalla collettività!
      Chiusa la premessa, per quanto concerne il contenuto della legge di bilancio presentata dal Governo e modificata dal Senato e dalla Commissione bilancio della Camera, noi abbiamo presentato iniziative per migliorare il testo e destinare risorse idonee a fronteggiare le criticità, che i cittadini soffrono ed abbiamo supportato con il nostro voto favorevole tutte le iniziative positive delle forze politiche.
      In materia di finanza locale, il Governo ha adottato misure, che si possono interpretare come «passi indietro» rispetto agli interventi approvati con il sostegno di questa maggioranza.
      Ci si riferisce alle misure di riparazione delle annose problematiche correlate allo squilibrio finanziario delle province e delle città metropolitane, che, in seguito alla invisa «riforma Delrio», sono state private pesantemente delle risorse minime ed indispensabili per svolgere le importanti funzioni attribuite dalla legge stessa!
      Si pensi alla manutenzione delle strade e delle scuole di competenza delle province, oppure alle province più dissestate che da mesi non riescono a pagare gli stipendi ai propri dipendenti!
      Con la legge in esame, il Governo ha aumentato le risorse alle medesime, oltre quelle già stanziate con il recente decreto-legge n. 50 del 2017, ma non riesce a coprire l'intero «gap» valutato in circa 650 milioni.
      Nonostante gli emendamenti approvati, che aumentano da 352 milioni a 428 milioni per il 2018 le risorse assegnate a province e città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, resta un differenziale che si ripercuoterà sull'avvio di investimenti importanti nei suddetti territori, come permane vigente il concorso al contenimento della spesa pubblica che la legge n. 190 del 2014, impone agli enti di area vasta, ossia una riduzione della spesa corrente 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017!
      Evidenziamo anche le criticità della situazione finanziaria delle Regioni, sottoposte a regimi di riduzione di spesa molto rigidi negli anni passati della crisi e recessione economica.
      Anche in merito il Governo ha fatto un passo indietro, attribuendo loro un contributo di 2 miliardi per sostenerne la stabilità finanziaria nel testo iniziale, per poi aumentarlo di 100 milioni con una modifica in Commissione e portando da 100 a 300 milioni la riduzione al concorso alla finanza pubblica delle regioni per il 2018 per la quota di spesa non sanitaria, come richiesto anche da nostre proposte.
      Delle numerose nostre proposte emendative di miglioramento della disciplina relativa ai comuni, ci pregiamo di aver contribuito:

          a) all'inserimento della norma che consente ai comuni oggetto di fusione di poter armonizzare le aliquote interne, derogando al blocco della leva fiscale a parità di gettito, nonché l'importante emendamento in materia di riscossione delle entrate degli enti locali, che aggiunge il comma 21-bis sopprimendo l'articolo 1, comma 11, secondo periodo del decreto-legge n. 148 del 2017, che affida le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali, nonché delle società da essi partecipate, agli iscritti nell'apposito albo dei soggetti abilitati ad effettuare l'attività di accertamento e riscossione delle entrate locali, assicurando in tal modo maggiore autonomia ai comuni nella scelta dei soggetti a cui affidare le suddette funzioni;

          b) ad aver inserito nel testo la norma che modifica le norme di cui all'articolo 36, comma 1-ter del decreto-legge n. 112 del 2008, e che consentono semplificazioni nell'utilizzo della firma digitale per sottoscrivere alcune tipologie di atti di impresa e di società;

          c) ad aver presentato ed appoggiato la norma approvata, che rifinanzia il Fondo di sostegno ai comuni svantaggiati appartenenti alle aree territoriali di confine con le regioni a Statuto speciale e Province autonome di Trento e Bolzano, al fine del conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, per l'integrazione, la valorizzazione e la coesione dei medesimi territori e finanziare progetti, iniziative di natura strategica o di particolare rilevanza, finalizzati allo sviluppo economico e sociale delle suddette aree.

      Per quanto concerne le nostre proposte di sbocco del turn-over nella misura del 100 per cento nei comuni, che presentano un rapporto fra dipendenti popolazione inferiore alla media di riferimento, e che contribuirebbe non solo a creare posti di lavoro a livello territoriale ma anche a innescare un rinnovamento generazionale negli uffici comunali, rileviamo che sono state approvate misure intermedie seppur di minore rilevanza ed in particolare sono state approvate le proposte di stabilizzazione o proroga di contratti o collaborazioni di soggetti presso province e città metropolitane. Ci auspichiamo siano norme dirette ad un incremento necessario delle dotazioni organiche, sostenibili finanziariamente, piuttosto che uno strumento accattivarsi voti alle imminenti elezioni politiche!
      Per quanto concerne il sostegno alle imprese, siamo critici nei confronti della norma approvata che, pur presentando sensibilità nei confronti delle difficoltà finanziarie delle camere di commercio, prevede un aumento notevole del contributo annuale, che graverà sulle imprese! Ci stupiamo come tale proposta provenga proprio dalla forza politica, che sbandiera una sostanziale riduzione della pressione fiscale sulle imprese (Flat tax)!
      Riteniamo che il problema del default delle camere di commercio avrebbe dovuto richiedere una soluzione alternativa piuttosto che ricorrere all'aumento della tassazione sulle aziende!
      In ambito fiscale notiamo come sarebbe stato meglio evitare l'introduzione di una norma che riforma in modo drastico le Agenzie fiscali.


      La riforma è di tipo ordinamentale e ci chiediamo come sia stato possibile inserirla nella legge di bilancio che niente dovrebbe avere che fare con le regole degli enti pubblici.
      Questa riforma è stata voluta dall'attuale direttore dell'Agenzia delle Entrate Ruffini? Chissà, forse; di certo rientra nei desiderata di tutti i direttori avere le mani libere nelle assunzioni, però certo questo può confliggere con i dettati costituzionali, soprattutto in merito agli enti pubblici, di cui le agenzie fanno parte.
      La norma in questione offre maggiore autonomie alle agenzie, Entrate e Dogane, per il reclutamento e la gestione del personale. Maggiore autonomia che nella descrizione di questo testo normativo appare difatti alquanto incostituzionale.
      In merito a ciò va esaminata la sentenza 37/2015 della Corte costituzionale con la quale la consulta fece decadere diverse centinaia di dirigenti incaricati dichiarandoli illegittimi, per via di una norma incostituzionale che consentiva l'affidamento di incarichi dirigenziali senza concorso.
      Oggi i deputati, che hanno approvato l'emendamento Marco Di Maio 14.9 in commissione e che daranno la fiducia al testo definitivo della legge di bilancio 2018, ristabiliscono la situazione pre-sentenza.
      La norma prevede difatti concorsi per dirigenti nei quali al personale interno dell'Ade è riservata una quota del 50 per cento, troppo alta per essere costituzionale con in più l'esclusione per gli stessi dipendenti dalle prove preselettive.
      Sono poi previste, nel testo votato, posizioni organizzative chiamate non dirigenziali ma che nella realtà lo sono perché le future P.O. potranno rappresentare l'Ade all'esterno, gestire il personale, gestire la cassa.
      Potranno nella pratica fare tutto e queste persone verranno scelte come sempre con selezioni interne in merito a simpatia e rispetto degli ordini del padrone.
      In pratica si identifica in modo semplice la filiera del controllo dell'Ade.
      Il controllo politico dell'agenzia delle entrate è stato sempre in mano a pochi e continuerà a essere così.
      I partiti politici che da sempre hanno deciso i nomi dei diversi direttori hanno consentito ad essi di costruirsi una rete di dirigenti incaricati o nominati molto fidati nell'eseguire i compiti impartiti e ciò consente di non escludere che il condizionamento si sia trasferito anche nei comportamenti e negli atti.
      Il numero di indagati per reati contro il patrimonio nelle Agenzie, pari a 340 unità, contribuisce a darne prova.
      L'emendamento approvato ieri in Commissione bilancio in merito porta il nome di Marco Di Maio.
      È passato grazie a una riformulazione probabilmente scritta dal Governo e dal relatore e presidente della Commissione bilancio, secondo ciò che è stato detto in commissione, e ciò rende ancor meno apprezzabile l'intento politico di sconvolgere il corretto funzionamento del sistema fiscale in Italia.
      Per quanto concerne la normativa in materia di attività produttive, il gruppo M5S sottolinea che nella legge di bilancio in esame non si è intervenuto sul ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Tant'è vero che la Commissione Ue ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia per i «ritardi sistematici» nei pagamenti pubblici ai fornitori.
      Il Governo non ha voluto accogliere la proposta emendativa del gruppo M5S che prevede di compensare le somme riferite a cartelle esattoriali in favore delle imprese con i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili relativi a somministrazioni, forniture, appalti e servizi, anche professionali; maturati nei confronti della Pubblica Amministrazione; a condizione che la somma iscritta a ruolo sia pari o inferiore al credito vantato.
      La compensazione dei debiti e dei crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione è nata per alleggerire professionisti e imprese dal problema dei ritardati pagamenti. Sono 100.000 le imprese fallite in Italia dall'inizio della crisi a oggi: 1 su 4 è saltata perché lo stato è un cattivo pagatore.
      Sebbene la legge imponga alla pubblica amministrazione di pagare i propri fornitori con tempi compresi tra i 30 e i 60 giorni, una parte rilevante dei principali Comuni capoluogo di provincia, delle Regioni, dei Ministeri, delle grandi Asl e di alcuni enti pubblici continua a non rispettare questa scadenza.
      Il gruppo M5S aveva presentato durante l'esame della legge di bilancio 2018 un emendamento per chiedere la proroga della norma sulle compensazioni anche per il 2018, ma il Governo ha respinto per problemi di copertura finanziaria la quale non è necessaria in quanto si tratta di uno schema compensativo certificato e verificato già da due anni.
      Inoltre, esprimiamo soddisfazione per l'approvazione dell'emendamento sulla proroga della applicazione della cosiddetta «Bolkestein» sul commercio ambulante, ma riteniamo sarebbe auspicabile escludere tale settore dalla applicazione della direttiva europea.
      Infatti la medesima, recepita definitivamente dall'ordinamento italiano con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, si configura come una direttiva quadro che dispone norme di portata generale nonché princìpi operativi, riconoscendo ai singoli Stati membri la facoltà di stabilire le modalità nonché i tempi di applicazione degli stessi.
      Bisogna tutelare la tipicità del commercio ambulante italiano composto 160.000 operatori ambulanti e microimprese del settore, escludendolo dalle norme di attuazione della direttiva in materia di servizi del mercato interno.
      Invece, evidenziamo il nostro contributo per aver introdotto una norma, che modifica l'elenco dei beni materiali strumentali cui si applica il cosiddetto iper-ammortamento per gli investimenti, previsto dall'articolo 1, comma 9, della legge di bilancio 2017, includendo alcuni sistemi di gestione per l’e-commerce e specifici software e servizi digitali.
      In materia di ambiente, va stigmatizzata la riscrittura del comma 303 che affida all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico la definizione della sezione «acquedotti» della proposta del Piano nazionale di interventi nel settore idrico. Vi è il fondato timore che per il reperimento delle risorse da impiegare negli interventi di adeguamento sarà comunque necessario ricorrere ad un aumento delle tariffe, con conseguente ricaduta sui cittadini. Non sono, inoltre, previsti controlli puntuali sui concreti risultati degli investimenti, nonostante l'elevato livello delle attuali perdite del sistema idrico e l'inefficienza degli impianti e delle strutture. Appare criticabile la mancata indicazione del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare sia nella definizione della sezione «acquedotti» che «invasi».
      In relazione alla disposizione introdotta in commissione ove per gli Organismi di Attestazione previsti dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, si prevede che questi ultimi possano avere sede anche in uno stato membro dello spazio economico europeo purché quest'ultimo attribuisca all'attestazione che essi adottano la capacità di provare il possesso dei requisiti di qualificazione in capo all'esecutore di lavori pubblici, non appare chiaro quale soggetto possa verificare che gli organismi di attestazione di altro stato membro possiedano requisiti «equivalenti» rispetto alle SOA italiane. A tale riguardo, l'ANAC avrebbe potuto svolgere tale ruolo per garantire l'efficacia dei controlli sulle imprese che partecipano ai bandi pubblici.
      Sul tema lavoro, si ravvisa la perdurante criticità in merito alla disciplina del licenziamento dei lavoratori. Di recente maggioranza e Governo non hanno ritenuto opportuno reintrodurre i vincoli per il licenziamento illegittimo come modificati e di fatto azzerati dalle misure adottate dal Governo Monti e successivamente dal Governo Renzi, e in occasione dell'esame della legge di Bilancio 2018 hanno scelto di non intervenire sulla indennità di licenziamento illegittimo per la quale sarebbe stato necessario incrementarne il valore a tutela dei lavoratori.
      Il Governo Gentiloni ha deciso quindi di attestarsi sullo stesso piano di azione del precedente Renzi e di quello Monti vessando chi lavora e lasciando chi subisce le scelte datoriali e l'andamento dei mercati senza tutele adeguate.
      Ciò premesso si segnala la netta contrarietà del MoVimento 5 Stelle alla monetizzazione del licenziamento che con il combinato disposto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015 rappresenta di fatto l'unica misura tesa a riconoscere al lavoratore licenziato ingiustamente, quando invece la reintegrazione sul luogo di lavoro dovrebbe rappresentare la normale correzione di un atto illegittimo a danno di chi lavora.
      Non può passare sotto silenzio il fatto che anche nel corso dell'esame di questo provvedimento non si è voluta cogliere l'occasione per riformare il capitolo dei contratti a tempo determinato per i quali sarebbe stato necessario quanto meno ridurne la durata massima e il numero di rinnovi possibili, fermo restando che il Paese reale resta ancora molto distante dalle elucubrazioni del Governo e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali considerando che ad oggi i contratti a termini rappresentano lo strumento maggiormente impiegato dai datori di lavori con un effetto precarizzante di notevoli portate e al tempo stesso con un effetto distorcente delle statistiche e dei dati sui quali, per l'appunto, il Governo e la maggioranza sostengono la bontà e l'efficacia del cosiddetto Jobs Act. Al netto delle speculazioni politiche di chi ha approntato la riforma del mercato del lavoro, ciò che permane anche dopo questa manovra è da un lato l'assoluta instabilità dell'occupazione che non cresce realmente e dall'altro la chiara destabilizzazione del tessuto socio-economico affetto ormai da una stabile precarietà.
      Con riguardo alla disciplina pensionistica si rileva come il Governo e la maggioranza abbiano preferito ancora una volta adottare misure spot come l'anticipo pensionistico (APE sociale) che sostanzialmente non è altro che un mero sussidio sperimentale per il cui funzionamento – ancora inadeguato come emerso dalla recente audizione presso la Commissione XI del direttore generale INPS – si è dovuto intervenire già tre volte nel corso di appena un anno: la prima volta con il decreto-legge n. 50 del 2017, la seconda e la terza nel corso dello stesso esame del disegno di legge in esame.
      Sull'adeguamento dell'età pensionabile alla speranza di vita, ancorché si registri un intervento in seno al disegno di legge in esame, Governo e maggioranza peccano di superficialità non optando per una sterilizzazione di 5 anni dell'adeguamento previsto per poi avviare una procedura di adeguamento meno impattante sul tessuto sociale e più adeguata alle effettive condizioni di vita.
      Con riguardo ai lavoratori che hanno raggiunto i 41 anni di età contributiva restano forti criticità considerato che Governo e maggioranza non hanno accolto le proposte per riconoscere a questa fattispecie il diritto di accesso alla pensione senza alcun ulteriore paletto né di tipo anagrafico né legato all'adeguamento alla speranza di vita. Chi lavora da oltre 40 anni non deve subire nessun altro tipo di sanzione né appesantimento del proprio percorso di vita-lavoro.
      In particolar modo con la riformulazione del comma 97 che apporta modifiche alle disposizioni di cui ai commi 179 e seguenti in tema di Ape Sociale e Precoci, il Governo ha inteso riconoscere alle lavoratrici madri uno sconto sull'età contributiva di 12 mesi per ciascun figlio, naturale o adottato, fino a un massimo di 2 anni. Di fatto, però, Gentiloni e il Partito democratico innescano in tal modo una «guerra tra poveri» che vede da un lato le donne madri di figli non disabili che, giustamente, si vedono riconosciuto un beneficio che da tempo sollecitiamo, e dall'altro le madri di figli disabili, o più in generale caregiver famigliari, che pur rischiando di versare oggettivamente in condizioni più complesse delle prime, non si vedono riconosciuto alcuno sconto ulteriore sull'età contributiva per l'anticipo pensionistico.
      Le donne continuano a rappresentare il segmento sociale meno tutelato e meno valorizzato anche in questo provvedimento considerando che la misura di Opzione donna non è stata prorogata, nonostante le sollecitazioni e la possibilità, sotto il profilo finanziario, di adottarne il prolungamento al fine di salvaguardare le lavoratrici che hanno compiuto 57 anni.
      Parimenti restano senza alcuna copertura normativa i lavoratori del part-time verticale ciclico, stragrande maggioranza dei quali sono donne impiegate perlopiù negli istituti scolastici come ausiliarie, che non si vedono riconosciuti ai fini pensionistici e degli ammortizzatori sociali i contributi versati proprio a causa della particolare condizione in cui è organizzato il lavoro che svolgono.
      In generale il presente disegno di legge stanzia somme cospicue per interventi localistici e dal forte sentore propagandistico ed elettorale mentre si è scelto di non impiegare adeguatamente le risorse stanziate e disponibili per il Fondo dei lavoratori usuranti come pure non si è voluto agevolare il ricorso al cosiddetto workers buyout cioè ai lavoratori che decidono, in maniera condivisa, di rilevare la propria azienda in crisi al fine di garantire i livelli occupazionali e quelli produttivi.
      In materia di cultura e istruzione, Il testo non ha adeguatamente affrontato temi fondamentali, quali l'istruzione, l'università, la ricerca e la tutela dei beni e delle attività culturali, che anche questa volta risultano oggetto di misure deboli dal punto di vista degli investimenti, i quali continuano a mantenere un ruolo del tutto marginale nello sviluppo anche economico del nostro Paese, con interventi spesso limitati, ed in assenza di una visione politica chiara.
      In questi anni, è bene ricordarlo, in alcuni limitati casi alcuni provvedimenti hanno determinato una crescita degli investimenti, come nel caso, ad esempio, della cosiddetta buona scuola. È altresì noto, tuttavia, come queste spese siano state sostenute, nel migliore dei casi, in maniera assolutamente sbagliata. È chiara a tutti, ormai, la lista delle mance e dei provvedimenti «spot» che, nonostante gli auspici, non hanno nemmeno condotto al consenso tanto auspicato dal governo, dal momento che tutto il settore aspettava piuttosto interventi strutturali, solamente annunciati e, in gran parte, disattesi.
      Con le nostre proposte avevamo chiesto di affrontare temi importanti, assicurando, ad esempio, la continuità dell'insegnante di sostegno nelle classi in cui sono presenti alunni con disabilità, e una definizione del fabbisogno relativo all'organico sulla base delle effettive esigenze delle scuole, con nuove assunzioni a tempo indeterminato. Oggi a causa del blocco previsto fin dal 2007 relativo al limite per la dotazione organica di diritto per i docenti di sostegno, viene posto un limite alle assunzioni del personale che risultava urgente rimuovere. Ogni anno infatti un terzo degli insegnanti, pur necessario a garantire la copertura del vero fabbisogno, viene assunto in deroga a causa di questo blocco normativo. Riteniamo grave la volontà del Governo di non dare ascolto alle richieste di aiuto dei confronti di quei ragazzi che più ne hanno necessità.
      Ritenevamo di assoluta importanza l'aiuto alle regioni oggi in difficoltà, attraverso risorse adeguate a garantire servizi di trasporto, ristorazione e abitativi agevolati per la totalità degli studenti scritti presso le scuole statali durante il periodo di istruzione obbligatoria. Com'è noto gli enti locali oggi sono in grave crisi economica, e non riescono a sostenere i costi per servizi da erogare ai ragazzi e alle loro famiglie per l'accesso allo studio. È in questo momento di difficoltà lo stato deve agire per distribuire nuove risorse, da erogare in via prioritaria ai territori svantaggiati ed in maggiore difficoltà economica.
      Abbiamo chiesto nuovi finanziamenti per rendere finalmente possibile la formazione del personale docente finalizzata all'acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze necessarie all'insegnamento della storia del contrasto del fenomeno mafioso, che da tempo chiediamo anche attraverso una nostra proposta di legge, ma anche in questo caso ci è stato detto di no.
      Infine, per migliorare l'offerta formativa e consentire la continuità didattica, volevamo garantire interventi e misure idonei a diminuire gradualmente di un punto il rapporto alunni/docente, perché crediamo da sempre che l'elevata percentuale relativa al numero di alunni stia danneggiando fortemente la qualità dell'insegnamento.
      Non sarà un caso quindi se il nostro Paese resta resterà anche per i prossimi anni al palo nella classifica degli Stati con la minor spesa destinata al comparto istruzione in relazione al PIL.
      Tuttavia, anche il sistema universitario e della ricerca dovrà rassegnarsi a stanziamenti limitati ed insufficienti.
      Com'è noto grazie alle battaglie portate avanti dal MoVimento il Governo si è visto costretto ad introdurre una no-tax area per il pagamento dei contributi degli studenti universitari. Tuttavia, come già accaduto per altre tematiche, il Governo ha deciso di depotenziare l'efficacia del provvedimento, assicurando ad una platea ridotta il beneficio dell'esenzione. In questo provvedimento chiedevamo invece di allargare la fascia di reddito entro la quale applicare la no-tax area, ma nessuna proposta è stata accolta.
      Nonostante le numerose richieste da parte del mondo della ricerca il Governo ha anche detto no alla nostra proposta di stabilizzazione del personale precario all'interno degli Enti Pubblici di ricerca, che da troppo tempo sfruttano e utilizzano ricercatori senza assicurare le doverose garanzie. Volevamo un piano di stabilizzazioni per i quasi 9 mila precari della nostra ricerca, per ridare loro dignità e ascolto, dopo mesi di proteste rimaste inascoltate.
      Analoghe considerazioni, infine, vanno fatte per il comparto della cultura, che aldilà delle ormai mance pre-elettorali e finanziamenti non certamente strutturali, non ha ricevuto, anche in questa legge di bilancio, la necessaria attenzione da parte di questo Governo.
      In materia di sanità, occorre segnalare l'invarianza delle risorse del Fondo sanitario nazionale a fronte della consueta determinazione del contributo delle Regioni alla finanza pubblica confermando quel il progressivo definanziamento della sanità italiana e del Servizio sanitario nazionale iniziato dal 2012, come annunciato dall'allora Ministro della salute Balduzzi e confermato in ogni intervento finanziario successivo.
      Le risorse indicate nel Patto per la Salute 2014 sono state, infatti, tutte disattese per il triennio considerato (109,928 miliardi di euro per il 2014, 112,062 miliardi di euro per il 2015 e 115,444 miliardi di euro per il 2016) poiché le successive manovre finanziarie, avvallate con Intesa Stato-Regioni, hanno certificato la riduzione progressiva al SSN. La manovra finanziaria per l'anno 2016 aveva fissato in 111 miliardi di euro il finanziamento per il 2016 ma nel frattempo aveva fissato il contributo alla finanza pubblica da parte delle Regioni in 3,98 miliardi di euro per il 2017, in 5,48 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. Dunque le risorse apparentemente invariate del FSN (113 miliardi di euro per il 2017, 114 per il 2018 e 115 per il 2019) vanno sempre lette alla luce del cosiddetto contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica e soprattutto vanno lette alla luce della previsione, inesorabilmente discendente, del rapporto spesa sanitaria/PIL che, secondo le ultime stime, arriverà al 6,3 per cento nel 2020.
      La revisione della spesa, di fatto, è stata utilizzata e abusata per camuffare un'altra realtà, un'altra finalizzazione: taglio lineare indistinto e indiscriminato alla spesa pubblica e questo taglio lineare ha insistito in maniera insopportabile, se non addirittura feroce, proprio nella sanità italiana.
      A luglio 2017, nella relazione sulla gestione finanziaria delle regioni, la Corte dei conti ha messo nero su bianco che nel periodo 2015-2018, per gli obiettivi di finanza pubblica, il finanziamento del SSN ha visto una riduzione cumulativa di 10,52 miliardi, riduzioni che si aggiungono agli oltre 20 miliardi del periodo 2011-2015. Questo progressivo definanziamento della sanità pubblica ha significato un taglio inaccettabile alle risorse umane del SSN (blocco del turnover, precariato e orari di lavoro insostenibili, in contrasto con le direttive dell'Europa); soprattutto ha significato una rinuncia alle cure da parte dei cittadini (soprattutto i più fragili!) ed una privatizzazione di fatto della sanità italiana, costringendo i cittadini a rivolgersi al privato. Le risorse per il personale sanitario sono le grandi assenti di questo provvedimento; i professionisti della sanità sono gli «innominati» di questa legge di bilancio: non si stanzia un euro per il rinnovo dei loro contratti che sarà fatto a valere sulle già esigue risorse del Fondo sanitario nazionale e a discapito delle prestazioni sanitarie da garantire ai cittadini; i processi di assunzione e stabilizzazione del personale sanitario vanno a rilento e non si aumentano le risorse a ciò destinate né si provvede ad aumentare la dotazione organica per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico. Sul piano sociale la modifica della soglia per usufruire del bonus di 80 euro, di fatto si conferma una misura di sostegno al reddito assolutamente insufficiente e inadeguata, introdotta solo quale vessillo elettorale dall'allora presidente del Consiglio, così come appaiono assolutamente insufficienti per il contrasto alla povertà gli incrementi al Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale introdotti e la disciplina del Reddito di inclusione (ReI) e le risorse complessivamente stanziate rimangono assolutamente insufficienti a garantire un reddito di civiltà e di cittadinanza, come invece proposto dal M5S e che richiede risorse ben più elevate, corrispondenti a quanto in questi anni, invece, i Governi succedutisi hanno ben ritenuto di dare agli istituti bancari. Le risorse del Fondo nazionale politiche sociali ammontavano per il 2017 a circa 312 milioni e, a seguito dell'intesa Stato-Regioni del 23 febbraio 2017, relativa al contributo alla finanza pubblica delle Regioni, la dotazione del FNPS è stata poi ridotta a circa 99/100 milioni, ridotto ulteriormente a circa 78 milioni per effetto della disposizione concernente il Codice del Terzo settore che ha trasferito in altro fondo le risorse per il medesimo. Pertanto, fermo restando che le risorse per le politiche sociali sono complessivamente passate, per il 2017, da 312 a 277 milioni, l'aumento che la disposizione propone non fa altro che restituire, ad esempio per l'anno 2018, l'importo di 35 milioni, importo corrispondente esattamente alla differenza tra quanto era stato previsto per il 2017 e quanto poi effettivamente ripartito tra le regioni, prelevando dal Fondo per la povertà. Le misure sul «welfare di comunità» appaiono sconcertanti laddove introducono, per tre anni, un contributo, sotto forma di credito di imposta, in favore delle fondazioni bancarie, pari al 65 per cento delle erogazioni effettuate dalle stesse in specifici ambiti sociali e sanitari. Appare sconcertante che per l'erogazione di tali contributi da parte delle Fondazioni bancarie sia prevista l'evidenza pubblica solo per gli enti del terzo settore, consentendo di fatto alle fondazioni bancarie di «finanziare» le Regioni o gli enti del Servizio sanitario nazionale che più riterranno «conveniente» finanziare.
      Sulle politiche dell'infanzia sarebbe opportuno intervenire unificando le risorse che, nell'ambito del bilancio dello Stato sono diversamente destinate all'infanzia e all'adolescenza, per farle confluire tutte nel Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza istituito dall'articolo 1 della legge 28 agosto 1997, n. 285, al fine di porre in essere azioni strutturali e coordinate per dare concreta attuazione alle azioni individuate dal Piano nazionale d'azione per l'infanzia e l'adolescenza, individuando i soggetti promotori delle singole azioni e indicandone le correlate risorse; è necessario garantire in tutto il territorio nazionale condizioni per l'uguaglianza di accesso alle risorse non solo della salute, ma anche delle risorse sociali, della cultura, dell'educazione, dell'abitazione per abbattere l'impatto dell'insieme delle ineguaglianze che sono alla base della vulnerabilità familiare e che pesano sullo sviluppo del bambino limitandone le potenzialità, anche attraverso l'adozione di modelli di welfare generativo; è necessario garantire adeguate risorse umane e strumentali affinché in ogni regione sia istituita la figura del Garante dell'infanzia. Così’ come è necessario garantire unitarietà del sistema di governance alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, a livello nazionale e regionale, superando l'attuale settorializzazione delle competenze e degli interventi, al fine di garantire tutte le condizioni organizzative, economiche e professionali affinché le politiche minorili e per le famiglie siano uniformi, eque e inclusive. Rileviamo inoltre la progressiva riduzione di risorse per le politiche sulla famiglia sul Fondo attualmente esistente, e queste esigue risorse, trasferite alle Regioni si vogliono finanziare i servizi socio educativi per la prima infanzia e azioni in favore degli anziani e della famiglia. Condividiamo l'istituzione del Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del care-giver familiare con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018-2020, destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi intesi al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività di cura non professionale del care-giver familiare di cui se ne fornisce una definizione ma non appare esaustivo nella misura in cui non solo stanzia risorse risibili ma non indica concretamente quali siano le azioni di sostegno che si vogliono porre in essere a favore dei care-giver. Le disposizioni relative al payback farmaceutico rappresentano l'ennesimo intervento sul payback farmaceutico e di fatto il Governo cerca di risolvere la sua stessa incapacità a trovare soluzioni efficaci per il ripiano della spesa farmaceutica che ha superato i tetti di spesa; la conseguenza di tale incapacità è che le Regioni non incassano le somme loro spettanti versate dalle aziende farmaceutiche a titolo di payback; la soluzione transattiva prospettata nella disposizione è infatti conseguente ai numerosi contenziosi con le aziende farmaceutiche; si introduce l'ennesima misura tampone senza intervenire sulla governance del settore, senza intervenire in maniera radicale e urgente sulla scarsa qualità dei dati utilizzati correlata ai limiti dei sistemi di rilevazione contabile delle aziende sanitarie e non s'interviene su quella che l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), in un focus specifico sul governo della spesa farmaceutica del giugno 2017, indica come «insufficiente solidità e trasparenza dei procedimenti di calcolo adottati dall'AIFA». Suscita talune perplessità l'inserimento a posteriori del monitoraggio degli effetti dell'utilizzo dei farmaci innovativi e innovativi oncologici sul costo del percorso terapeutico-assistenziale complessivo. Quanto all'istituzione del Fondo per la riduzione del superticket se ne rileva l'assoluta inconsistenza nella sua formulazione «futuristica», priva di fatto di alcuna concretezza e priva di risorse sufficienti; la definizione dei criteri per la ripartizione del Fondo è demandata infatti ad un decreto del Ministro della salute, e ci si limita a dire che nel riparto dovranno essere privilegiate le regioni in cui siano state adottate iniziative intese ad ampliare il numero dei soggetti esentati dal pagamento della quota fissa di 10 euro ovvero in cui siano state introdotte misure alternative regionali di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie.
      Sul superticket si misura tutta l'inconsistenza delle promesse di questo Governo e del Ministro della salute poiché è evidente che un intervento soppressivo del cosiddetto superticket richiede non solo d'incidere sulle fasce di esenzione, ampliandole ovviamente, ma richiede soprattutto di aumentare il Fondo sanitario nazionale a fronte di una riduzione delle entrate per le Regioni che devono, sempre e comunque, garantire le prestazioni inserite nei LEA; in buona sostanza se veramente si vuole abolire, come promesso coram populo, non solo si deve modificare la soglia di esenzione ma si deve aumentare il fondo sanitario nazionale.
      In merito al tentativo del Governo di ridurre l'insoddisfazione dei risparmiatori coinvolti nelle risoluzioni o liquidazioni delle banche, riteniamo che il Fondo di ristoro finanziario risulta particolarmente utile per erogare misure di ristoro in favore dei risparmiatori che hanno subito un danno ingiusto in seguito alla violazione della normativa di riferimento nell'ambito della prestazione dei servizi d'investimento relativa alla sottoscrizione e collocamento dei prodotti finanziari. Il risarcimento in particolar modo è previsto nei casi di violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza. Trattasi quindi di un'importante misura che consente ai risparmiatori delle banche poste in liquidazione coatta amministrativa ovvero ad azione di risoluzione di ricevere il giusto indennizzo per i danni subiti. Unico rilievo di carattere negativo si ravvisa nella dotazione finanziaria pari esclusivamente a 25 milioni di euro per gli anni 2018 e 2019.
      Le nostre proposte emendative, purtroppo non approvate, si prefiggevano importanti migliorie alle disposizioni richiamate, ossia:

          un aumento della dotazione finanziaria al fine di consentire un'ampia platea di risparmiatori di poter accedere alle misure di ristoro. Le banche poste in risoluzione e liquidazione coatta amministrativa sono ben 6 ed il volume di risparmio oggetto di possibili violazioni dei doveri di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza è pari a diversi miliardi di euro. Per tal motivo sarebbe opportuno – così come evidenziato negli emendamenti – aumentare la dotazione finanziaria almeno fino a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni considerati;

          soddisfare l'esigenza di semplificare le modalità di accesso alle misure di ristoro reputando sufficiente che il danno ingiusto sia riconosciuto oltre che da sentenze passate in giudicato o altro titolo equivalente anche da provvedimenti relativi a procedimenti di conciliazione e arbitrati irrituali.

      L'accoglimento di tali misure avrebbe consentito ogni genere di soluzione normativa che abbia la pretesa di garantire in modo pieno ed esaustivo la tutela dei risparmiatori e di procedere al risarcimento degli ingiusti danni subiti.
      Restiamo invece contrari sulle norme adottate in materia di trasporti, perché è stata l'ennesima occasione persa che ha avuto il Governo di fare qualcosa che concretamente potesse essere di aiuto ai cittadini italiani, soprattutto a quanti vivono nella pianura padana. Avevamo presentato ad un c.d. pacchetto pianura padana per far fronte all'emergenza sanitaria che sta devastando l'Italia del nord. I tassi di inquinamento dell'aria sforano i limiti da ormai mesi ed il Governo tace e, in maniera ancora più grave, nega le proprie responsabilità, sostenendo che sia di competenza regionale e comunale introdurre misure che possano aiutare e ritornare nel più breve tempo possibile a valori che siano nella norma. Noi abbiamo proposto una serie di emendamenti che potevano concretamente aiutare le amministrazioni locali a combattere questa emergenza. Con risorse ragionevoli avevamo proposto, in ordine: misure che promuovessero le forme di multiproprietà dei veicoli elettrici; un Piano nazionale di elettrificazione delle banchine portuali; agevolazioni fiscali per l'acquisto di auto elettriche e di colonnine per la ricarica; l'istituzione di un fondo per il retrofit e per il revamping per il materiale rotabile utilizzato nel trasporto pubblico locale; un incremento del fondo destinato al rinnovo e alla riqualificazione elettrica e miglioramento dell'efficienza energetica del materiale rotabile su gomma in utilizzo nelle regioni della pianura padana; un incremento delle risorse a supporto del Nuovo Accordo di programma siglato il 9 giugno 2017 tra il Ministero dell'ambiente e le regioni Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte; l'istituzione di un Fondo per la riduzione delle emissioni in atmosfera provenienti dalle attività zootecniche; misure per ridurre le emissioni inquinanti derivanti dalla combustione di legna e derivati; e ancora altre misure. La scelta di non approvare queste proposte emendative rappresenta una occasione persa.
      Per gli aspetti concernenti la materia difesa, rileviamo che la spesa militare, valutata nel suo complesso – ovvero inclusiva degli investimenti sui nuovi sistemi d'arma allocati presso il Ministero dello sviluppo economico e il 1 miliardo e 300 milioni di euro per le missioni militari all'estero allocato presso il Ministero dell'economia e delle finanze – comporta un aumento della spesa militare complessiva dell'Italia per il 2018 nella misura del 4 per cento. Si passa dai 24,1 miliardi di euro del 2017 agli oltre 25 miliardi di questa legge di Bilancio che porta il rapporto tra spesa militare e Prodotto interno lordo all'1,42 per cento. In crescita rilevante, come da trend degli anni precedenti, la spesa per i nuovi armamenti quantificabile nel 7 per cento in più per il 2018. Pesano i programmi di acquisizione dei cacciabombardieri F-35 e le navi da guerra della categoria FREMM. Inoltre gli intenti della cosiddetta Riforma De Paola che doveva ridefinire le Forze armate del

futuro sono ancora una volta contraddette avendo uno squilibrio sempre più crescente per le spese del personale rispetto a quelle per l'esercizio e gli investimenti.
      Consapevoli delle ridotte possibilità di apportare contributi sostanziali alla legge di bilancio per il 2018, auspichiamo che la prossima legislatura garantisca sessioni di bilancio in cui le forze politiche abbiano l'opportunità di un serie e proficuo confronto per adottare le soluzioni migliori che i cittadini attendono, soluzioni che siano le migliori per garantire e stabilizzare lo sviluppo del nostro Paese.

Federico D'INCÀ,
Relatore di minoranza