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Atto a cui si riferisce:
S.1/00295 premesso che: la violenza domestica non ha ceto, nazionalità, età: una donna su tre nel mondo è vittima di violenza domestica dagli Appennini alle Ande; nel 2011 sono stati 130 i...



Atto Senato

Mozione 1-00295 presentata da MARIA MUSSINI
venerdì 1 agosto 2014, seduta n.297

MUSSINI, Maurizio ROMANI, BENCINI, ZIN, GAMBARO, BATTISTA, BIGNAMI, CASALETTO, MASTRANGELI, PETRAGLIA, DE CRISTOFARO, CERVELLINI, BAROZZINO, CAPPELLETTI, MONTEVECCHI, AIROLA, GAETTI - Il Senato,

premesso che:

la violenza domestica non ha ceto, nazionalità, età: una donna su tre nel mondo è vittima di violenza domestica dagli Appennini alle Ande;

nel 2011 sono stati 130 i femminicidi (e/o femicidi) compiuti in tutta la Penisola (solo a Roma ben 36). Una donna ogni 3 giorni è morta in Italia per mano della violenza di genere (i dati Eures parlano di 170 femicidi);

nel 2012 sono state 126 le donne uccise in Italia a causa della violenza maschile (159 secondo i dati Eures), ai quali occorre sommare 47 tentati femminicidi;

nel 2013 le donne uccise sono state 134, alle quali si aggiungono 83 episodi rintracciati di tentati femicidi (rintracciati grazie alla nona indagine del 2013 sui femicidi in Italia realizzata sui dati della stampa nazionale e locale e compiuta dal gruppo di lavoro sui femicidi della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna);

nel primo semestre del 2014 le vittime rilevate sono 40;

si tratta di dati sottostimati, perché non tutti i delitti vengono riportati dalla stampa e non esiste un serio Osservatorio nazionale per l'elaborazione di tali dati. L'indagine dell'Eures, organismo indipendente, che ha analizzato i femicidi dal 2000 al 2012, pur utilizzando una definizione leggermente diversa del fenomeno, ha rilevato una media di 171 casi l'anno;

nel rapporto presentato all'Assemblea Generale delle Nazioni unite il 15 giugno 2012 dalla Special Rapporteur sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, Rashida Manjoo, a seguito della sua missione in Italia, si legge tra le conclusioni: "Sono stati fatti sforzi da parte del Governo per affrontare il problema della violenza contro le donne, inclusa l'adozione di leggi e politiche e la creazione e fusione di enti governativi responsabili per la promozione e protezione dei diritti delle donne. Ma questi risultati non hanno portato ad una diminuzione del tasso di femminicidi né si sono tradotti in un reale miglioramento della vita di molte donne e bambine";

nel medesimo rapporto, preso atto dell'attuale situazione politica ed economica, si sottolineava come "gli sforzi mirati e coordinati nell'affrontare la violenza contro le donne attraverso un uso pratico ed innovativo di risorse limitate" dovessero "rimanere una priorità", dal momento che gli "alti livelli di violenza domestica, che contribuiscono ai livelli crescenti di femminicidio, richiedono seria attenzione";

le ormai migliaia di storie di maltrattamenti e femminicidi (e/o femicidi), frutto degli orrori che si consumano troppo spesso tra le mura domestiche, impongono un'attenta riflessione sul fenomeno sociale e culturale che opprime l'Italia;

si tratta di "delitti annunciati", ben conosciuti dai centri antiviolenza e dalle stesse forze dell'ordine, nei rari casi in cui le donne hanno avuto la forza e il coraggio di denunciare, che testimoniano la presenza, in Italia, di una violenza endemica nei confronti del genere femminile e, allo stesso tempo, dimostrano quello che manca in questo Paese: l'assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni;

i centri antiviolenza che da oltre vent'anni operano in Italia sono oltre 150 e quasi la metà di essi (67) sono in rete tra loro (in particolare, la rete D.i.Re) per garantire un supporto reale e formato alle donne vittime di violenze;

i centri antiviolenza sono riconosciuti come luoghi di buone pratiche per fronteggiare il fenomeno della violenza contro le donne e non possono essere di fatto soppiantati da centri istituzionali di nuova formazione e di nessuna esperienza. Ad essi si rivolgono oltre 13.000 donne all'anno. Nei centri istituzionali c'è il rischio che prevalga la burocrazia, gli aspetti giudicanti e formalizzati, che non garantiscono l'anonimato e l'ascolto dei desideri della donna, rispettandone i tempi e le scelte;

la storica esperienza e competenza dei centri antiviolenza e delle case delle donne dovrebbero rappresentare un punto di partenza per le istituzioni, con la finalità di costruire una politica che guardi all'esperienza nata dai centri antiviolenza e dalle case delle donne, riconoscendone tutto il valore in quanto luoghi di libertà e autodeterminazione delle donne;

questi strumenti finiranno per avere finanziamenti irrisori, dal momento che si cerca di creare un sistema parallelo di centri istituzionali con competenze improvvisate, le cui procedure ancora "ingessate" in rigidi criteri burocratici non saranno in grado di rispondere alle domande delle donne vittime di violenza. In particolare: anonimato, ascolto competente e privo di giudizio, rispetto della loro volontà;

per evitare il rischio che le donne possano ricevere risposte inadeguate o subire vittimizzazione secondaria da risposte non adeguate, appare necessario evitare una somministrazione di finanziamenti a pioggia e una distribuzione di risorse senza tenere conto dei bisogni delle donne e delle esperienze maturate dai centri antiviolenza e dalle case rifugio;

da anni, alcuni Paesi hanno adottato e attuato con serietà metodologie di lavoro efficaci non solo in termini culturali, ma anche di risparmio economico per la collettività. Il "metodo Scotland", ad esempio, unisce istituzioni e ministeri sulle azioni da intraprendere per il contrasto alla violenza di genere e si pone in sinergia con le realtà esistenti (siano esse organizzazioni non governative, scuole, datori di lavoro o, più semplicemente, filantropi). Il metodo presuppone che contro la violenza lavorino due organismi: un gruppo di intervento in grado di valutare i rischi per la vittima e un tutor che la segua dopo la denuncia per almeno 3 mesi. La vittima avrà a disposizione un alloggio pubblico per poter lasciare l'abitazione con i propri figli e potrà contare sul supporto della propria azienda, senza il timore di perdere il lavoro. L'adozione di questo metodo ha permesso anche di ridurre l'impatto economico della violenza domestica di oltre due terzi l'anno sui bilanci pubblici;

il 23 luglio 2014, la Francia ha approvato la legge sulla parità proposta dalla ministra per i diritti delle donne e portavoce del governo, Najat Vallaud-Belkacem, dimostrando nei fatti l'importanza di un organismo istituzionale dedicato a vigilare sui diritti delle donne in modo trasversale a tutti i ministeri. Il testo, che è stato oggetto di un accordo tra deputati e senatori, è stato approvato nelle 2 assemblee in brevissimo tempo;

considerato che:

la Convenzione di Istanbul dell'11 maggio 2011, che entrerà in vigore dal 1° agosto 2014 individua nelle associazioni di donne il luogo privilegiato di risposta al fenomeno, in quanto portatrici di una forte motivazione e capaci di mettere in campo iniziative utili ad un cambiamento;

la suddetta Convenzione raccomanda ai Governi nazionali di privilegiare le azioni dei centri antiviolenza privati gestiti da donne, in quanto servizi indipendenti;

il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, (cosiddetta legge sul femminicidio) risulta poco chiaro e non indica i criteri qualitativi che distinguono e caratterizzano i centri antiviolenza: una lacuna che ha portato le Regioni ad includere nella mappatura dei centri antiviolenza anche luoghi privi di competenze;

il suddetto decreto-legge ha stanziato un incremento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità dedicato ad azioni per i centri antiviolenza e alle case-rifugio: in particolare, 10 milioni di euro per l'anno 2013, 7 milioni di euro per l'anno 2014 e 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 (art. 5-bis);

il Governo con due differenti decreti-legge recentissimi (decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2014, n. 50, in materia tributaria e contributiva, e decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 69, e recante "Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale") ha sancito per l'anno 2014 una riduzione dello stanziamento per il fondo destinato a prevenire e contrastare la violenza contro le donne di 550.615 euro, a fronte dei 7 milioni di euro stanziati solo pochi mesi prima;

i criteri di riparto delle risorse finanziarie per gli anni 2013 e 2014 stabiliti con schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dal Dipartimento pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in data 18 giugno 2014 e approvati in Conferenza Stato-Regioni (10 luglio 2014) risultano inappropriati, anche perché penalizzano le competenze dei centri antiviolenza e legittimano luoghi che si occupano di problematiche distanti dalla violenza, solo al fine di accedere a fondi già assolutamente inadeguati;

il provvedimento, infatti, ripartisce in una unica soluzione circa 17 milioni di euro (10 milioni di euro per il 2013 e 6.449.385 di euro per il 2014), secondo i seguenti criteri:

il 33 per cento della somma complessiva di 16.449,385 milioni di euro (per il 2013 e 2014), pari a 5,42 milioni di euro, è destinato alla creazione di nuovi centri antiviolenza e case rifugio;

il restante 67 per cento (11,465 milioni di euro circa) è così suddiviso: l'80 per cento, ovvero 9,172 milioni di euro circa va al «finanziamento aggiuntivo degli interventi regionali già operativi volti ad attuare azioni di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, sulla base della programmazione regionale»;

il 20 per cento, ovvero 2,292 milioni di euro, è ripartito in parti uguali tra i centri antiviolenza e le case rifugio già esistenti, pubblici e privati;

per le nuove iniziative, le risorse sono state ripartite basandosi sul numero della popolazione e sul numero di case e centri esistenti, rapportati alla mediana pari a 1,79 per ogni 400.000 abitanti. Secondo le tabelle allegate al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le nuove strutture finanziate sarebbero 79, di cui 23 in Lombardia, 18 nel Lazio, 17 in Campania, 12 in Sicilia e in Veneto, con un contributo unitario pari a 71.772 euro;

i centri attivi "censiti" sono, invece, 188, le case rifugio 164; a loro spetterebbe, a conti fatti, un finanziamento irrisorio e inidoneo a coprire anche soltanto le spese fisse di gestione, con conseguente grave nocumento per la funzione e la rilevanza che gli storici centri antiviolenza e le case rifugio hanno sui rispettivi territori, nonostante il decennale regime di volontariato;

realmente sproporzionato appare, invece, il finanziamento distribuito alle Regioni perché attuino "azioni di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli": si tratta di nuove azioni tutte ancora da scrivere e sperimentare, dai contorni non meglio definiti, a forte rischio di improvvisazione e troppo legate ai livelli istituzionali;

l'iniqua assegnazione dei fondi ha sollevato le giuste preoccupazioni, quando non anche l'indignazione, di molte associazioni di donne e dei centri antiviolenza;

considerato inoltre che:

la distribuzione dei fondi sembra animata più da criteri "politici" che non funzionali alla risoluzione del problema, con la conseguente dispersione delle già scarse risorse messe in campo: sarebbero, al contrario, necessari criteri selettivi che riconoscano la qualità del lavoro dei centri antiviolenza come luoghi di sapere costruiti in oltre un ventennio, di esperienza e capacità nel realizzare progetti innovativi al fine di contrastare la violenza maschile contro le donne;

la generica modalità di impiego delle risorse economiche indicate dal piano di ripartizione dei fondi, presentato e condiviso alla Conferenza Stato-Regioni e Province autonome, non solo non porta alcun cambiamento nelle pratiche dei servizi e, di conseguenza nella cultura sociale, ma al contrario incrementa il rischio per le donne che subiscono violenza e decidono di allontanarsene di non essere sostenute adeguatamente;

la somministrazione di finanziamenti a pioggia rischia di incrementare il pericolo di risposte inadeguate per le donne che chiedono aiuto, tralasciando colpevolmente le raccomandazioni europee della Convenzione di Istanbul, dove i Governi vengono sollecitati a scegliere le azioni dei centri antiviolenza indipendenti e gestiti da donne, che abbiano una comprovata esperienza pluriennale sul campo;

l'esiguo finanziamento contenuto nel riparto pone in serio pericolo la sopravvivenza dei centri antiviolenza e delle case rifugio già attivi, mentre le già limitate risorse stanziate, se meglio suddivise, potrebbero servire a sostenere, consolidare, implementare le attività indipendenti già sperimentate con successo sui territori, radicate nel sapere e nel metodo, operative da anni, associate alle reti nazionali;

attraverso le reti di associazioni di donne, moltissime hanno potuto ritrovare una strada, ricostruirsi un'autonomia, salvarsi la vita;

i criteri di riparto contravvengono alla Convenzione di Istanbul, la quale prevede che siano destinate " adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile";

la Convenzione stessa privilegia il lavoro dei centri di donne indipendenti, mentre lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto dei fondi sceglie di destinare la maggior parte dei finanziamenti alle reti di carattere istituzionale,

impegna il Governo:

1) a riprendere il lavoro della task force ministeriale proposta dal Dipartimento pari opportunità, attribuendo finalmente la delega a una personalità competente e di esperienza sulle questioni di cui in premessa, anche al fine di redigere il piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere, di raccogliere a intervalli regolari i dati statistici disaggregati relativi a qualsiasi forma di violenza sulle donne e di violenza domestica (art. 11 della Convenzione di Istanbul), nonché di esercitare la debita diligenza nel prevenire la violenza di genere (art. 5, punto 2), come d'obbligo a seguito della ratifica della Convenzione da parte dell'Italia il 13 giugno 2013;

2) ad adottare ogni strumento legislativo e regolamentare adeguato per predisporre e attuare una politica nazionale e regionale efficace e coordinata, destinata a prevenire e combattere ogni forma di violenza, a fornire una risposta globale alla violenza contro le donne e che ponga i diritti della vittima al centro di tutte le misure, anche attraverso una collaborazione efficace tra tutti gli enti, le istituzioni e le organizzazioni pertinenti, ivi comprese le organizzazioni della società civile e le scuole (artt. 7 e 9 della Convenzione);

3) a stanziare risorse finanziarie e umane più appropriate per un'adeguata attuazione di politiche integrate, di misure e di programmi destinati a prevenire e combattere ogni forma di violenza, ivi compresi quelli realizzati dalle ONG pertinenti e dalle associazioni della società civile attive nella lotta alla violenza contro le donne e instaurando un'efficace cooperazione con tali organizzazioni (art. 8 della Convenzione);

4) ad evitare finanziamenti a pioggia e a ridiscutere i criteri di riparto dei finanziamenti definiti nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri trasmesso e approvato nella Conferenza Stato-Regioni e Province autonome, tenendo conto anche dell'esperienza pluriennale dei centri antiviolenza e delle case rifugio, autonome, indipendenti, già attive sul territorio;

5) nell'ambito di una diversa distribuzione dello stanziamento, a erogare finanziamenti premiali a quei centri antiviolenza che operano da più anni, valutando i curricula, i progetti svolti e il tipo di intervento garantito nella lotta alla violenza e nel sostegno alle vittime in un percorso reale di tutela, protezione, recupero di autonomia e indipendenza;

6) a raccomandare alle Regioni l'utilizzo dei finanziamenti in aggiunta a quelli che le amministrazioni regionali dovranno stanziare;

7) a prescrivere alle Regioni modalità più stringenti nell'utilizzo dei fondi e a rivedere la mappatura dei centri antiviolenza.

(1-00295)