• C. 2598-A-bis EPUB presentata il 4 agosto 2014. ARTINI Massimo, Relatore di minoranza per la Commissione IV Difesa - SIBILIA Carlo, Relatore di minoranza per la Commissione III Affari Esteri

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Atto a cui si riferisce:
C.2598 [Proroga Missioni Militari 2014-Secondo Semestre] Conversione in legge del decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonche' disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero
approvato con il nuovo titolo
"Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero"


Frontespizio
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2598-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
dal ministro degli affari esteri
(MOGHERINI)
dal ministro della difesa
(PINOTTI)
e dal ministro dell'interno
(ALFANO)
di concerto con il ministro della giustizia
(ORLANDO)
e con il ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
Conversione in legge del decreto-legge 1 agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero
Presentato il 4 agosto 2014
(Relatori di minoranza: SIBILIA, per la III Commissione;
ARTINI, per la IV Commissione)

      Onorevoli Colleghi! – Il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 109 del 1 agosto 2014 reca l'ennesima proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero.

      La prima cosa che appare agli occhi è che questo decreto è ormai vecchio e del tutto avulso dal contesto internazionale e dalle innumerevoli crisi e minacce alla pace che si sono palesate ulteriormente nelle ultime settimane. Se a Gaza «tace il cannone» dopo che l'esercito israeliano in un mese di operazione «Margine sicuro» ha ridotto in macerie la città e fatto oltre 2000 morti e migliaia di feriti, l'espansione e l'affermarsi di un califfato a cavallo tra i territori dell'Iraq e della Siria sotto il comando del fantomatico Isis ha costretto la comunità internazionale a sostenere gli sforzi delle milizie curde per evitare eccidi, pulizie etniche, cancellazioni di storiche minoranze in quella culla delle civiltà che è la Mesopotamia. Lo stesso Governo italiano, che interverrà con un emendamento sul decreto in esame per formalizzare l'invio di armi al governo di Baghdad (chissà mai se arriveranno ai curdi), non sembra avere le idee chiare su tutta la vicenda. Qui ci troviamo al ripetersi di scenari che abbiamo già conosciuto in Afghanistan, con la costruzione di veri e propri mostri come l'Isis (in Afghanistan furono i Talebani), utili in una fase per combattere Assad o abbattere Saddam Hussein, per poi rivelarsi un nemico mortale per i popoli e lo stesso Occidente tanto da dover armare altri per poterlo fronteggiare. Siamo al fallimento conclamato di oltre un ventennio di interventismo militare «umanitario e democratico» che ha contribuito solo a destabilizzare queste aree strategiche da un punto di vista energetico, facendo pagare pesantemente il prezzo alle popolazioni civili. Altro che missioni di pace! Se non si ha il coraggio politico – vogliamo parlare di cosa sta avvenendo in Libia? – di dire che la base fondante di questo decreto – ovvero delle missioni militari più importanti che hanno visto l'Occidente e l'Italia impegnati in prima linea – si sono rivelate in larga parte un tragico fallimento, le cui conseguenze pagheremo a lungo. Anche i nostri alleati – la Turchia, i cosiddetti “Amici della Siria”, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita – o sono collocati l'uno contro l'altro nel sostegno a fazioni o milizie jihadiste in competizione tra di loro o sono decisamente schierati contro coloro che anche questo decreto vorrebbe fronteggiare. Davanti a questo fallimento sarebbe necessario – come ama dire Matteo Renzi – «cambiare verso» a questa politica disastrosa, ma di questo cambiamento non troviamo traccia nel decreto.
      Dentro questo quadro allarmante
il testo del decreto pone di nuovo problemi sui quali è opportuno promuovere una riflessione approfondita.
      Innanzitutto, come è stato in altre occasioni sottolineato, va stigmatizzata la mancanza, ancora una volta, di una legge quadro che disciplini la partecipazione dei contingenti italiani alle missioni internazionali di pace in maniera organica, generale e coerente, al fine di evitare le gravi disfunzioni e incongruenze che, ancora una volta, andiamo a riscontrare in un provvedimento di questo tipo. A tal proposito, le Commissioni riunite Affari esteri e Difesa della Camera hanno avviato l'esame in sede referente di alcune proposte

di legge (A.C. 45, A.C. 933 e A.C. 952) volte a introdurre una complessiva e organica normativa di riferimento sul trattamento economico e giuridico del personale impegnato nelle missioni, nonché a disciplinare la procedura da adottare per l'invio dei militari all'estero. Va segnalato, però, che si sono tenute solo tre sedute mentre sarebbe stato necessario e utile definire l’iter, quando non concluderlo, entro la scadenza del 30 giugno 2014 scorso, ovvero prima dell'emanazione dell'attuale decreto legge di proroga semestrale, ancorché emanato con un mese di ritardo! Il decreto-legge all'esame dell'Assemblea è stato licenziato, infatti, dal Consiglio dei Ministri in data 23 luglio 2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il successivo 1 agosto, ovvero 32 giorni dopo la scadenza del precedente decreto-legge, a dimostrazione dell'insussistenza dei requisiti dell'urgenza anche in considerazione del fatto che si tratta di missioni in itinere da svariati anni per alcune delle quali nemmeno è stata presa in considerazione l'eventualità della sua cessazione.
      Nel merito del provvedimento, rivendichiamo con forza il diritto di valutare per ogni missione se, quanto e come contribuire, nel pieno rispetto del precetto costituzionale del ripudio della guerra e degli impegni internazionali per la stabilizzazione e la pace che vedono protagonista il nostro Paese di concerto con la comunità internazionale. Un diritto che a oggi risulta di difficile attuazione di fronte ai tempi e alle modalità con cui, seguendo ormai una prassi consolidata, si affrontano le periodiche proroghe delle missioni internazionali. L'utilizzo dello strumento del decreto-legge impedisce, di fatto, un'analisi accurata e una deliberazione consapevole.
      Il decreto-legge in esame, rinnovando una delle peggiori consuetudini che si trascina da diverse legislature, ancora una volta inserisce, in maniera assolutamente irragionevole e dannosa, in un unico provvedimento tutte le missioni, in alcuni casi molto diverse tra loro, impedendo, in sostanza, al Parlamento di valutarle singolarmente in tutte le loro accezioni e incidenze prima di deliberare. Un altro discutibile modo di procedere poi riguarda lo stanziamento di risorse per il rifinanziamento delle missioni. Infatti, anche per questo decreto si continua con la pratica dello spezzettamento dei fondi necessari al prosieguo delle missioni. Vale la pena ricordare che con il precedente decreto sono stati stanziati 619 milioni di euro, a valere sui primi sei mesi del 2014, ovvero l'intera dotazione finanziaria relativa all'intero 2014 prevista con la legge di stabilità 2014. Appariva ovvio che in prossimità della scadenza del 30 giugno scorso si sarebbe dovuto necessariamente fare una consistente variazione di bilancio per attribuire nuove risorse per i successivi sei mesi.
      Nel testo in esame rimane la pur positiva divisione per aree geografiche delle missioni che non risolve, però, il problema di una libera espressione del voto parlamentare, insistendo diverse missioni nella stessa area ma avendo finalità e obiettivi diversi tra di loro. L'auspicio è che si possa al più presto riprendere l’iter di esame della citata legge quadro sulle missioni internazionali, in modo da evitare di tornare a discutere, come nella circostanza attuale, di una situazione che si limita a definire se dare o meno un finanziamento a determinati interventi.
      Nel merito del provvedimento in esame, l'articolo 1 (Europa) riferisce delle missioni nei Balcani, a Cipro e nel Mediterraneo. Su quella relativa alla permanenza di quattro militari all'interno della missione Onu/Cipro rimangono alcune perplessità. Infatti il timore è che la pigra reiterazione di questa missione sia un modo per la comunità internazionale di lavarsi la coscienza, non mettendo in atto tutte quelle iniziative diplomatiche necessarie per una rapida e definitiva riunificazione dell'isola la cui divisione, oggi più di ieri, è anacronistica, atteso che anche la Turchia ha chiesto di entrare nell'Unione europea. Se la missione Onu a Cipro sta cambiando natura, ovvero è usata come retrovia organizzativa per la missione UNIFIL in Libano e per quella dell'OPAC per la distruzione delle armi chimiche in Siria, allora sarebbe più corretta l'emanazione di una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza che stabilisca alla luce del sole i nuovi compiti e funzioni della missione stessa.
      Per quanto riguarda l'articolo 2 (Asia) va sottolineato che la guerra in Afghanistan ha prodotto una destabilizzazione di tutta quella area, rafforzando l'odio verso l'Occidente e potenziando il fondamentalismo islamico e terroristico. La fallimentare partecipazione italiana (formalmente il nostro contingente dovrebbe essere ritirato entro il 31 dicembre 2014) a questa invasione è stata, dal punto di vista del diritto internazionale, del tutto illegittima, avendo lo scopo di infliggere una punizione collettiva al popolo afghano nonostante fosse provato che gli attentatori dell'11 settembre 2001 erano tutti cittadini dell'Arabia Saudita. La storia di questi decenni dell'Afghanistan ha sempre dimostrato che l'invasione militare straniera (Impero Britannico, Unione Sovietica e infine NATO) non ha mai portato soluzioni ma solo aggravato la situazione della popolazione e contribuito a rendere endemico il conflitto armato. Inoltre, il confine tra l'intervento di pace e l'azione di guerra è così sottile da renderne indistinguibile la stessa natura. È opportuno ricordare che accettare un intervento, non soltanto come strumento di offesa alla libertà dei popoli, come sancito dall'articolo 11 della Costituzione, ma anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (anche commerciali), conduce de facto al superamento di questi principi costituzionali. Occorre, insomma, al più presto invertire questa tragica situazione, conferendo nelle mani del popolo afghano il proprio destino e ritirando al più presto le nostre truppe da quel Paese.
      Tuttavia, con la decisione di avviare dal 1 gennaio 2015 una missione «no combat» denominata Resolute Support, di cui si omette stranamente di parlare esplicitamente nella relazione introduttiva al decreto-legge mentre ne ha fatto esplicito riferimento il relatore per la III Commissione nel corso dell'avvio dell’iter nelle Commissioni riunite lo scorso martedì 6 agosto, in pratica confermerebbe i timori che abbiamo sempre espresso, ovvero che non si intende affatto andare via dall'Afghanistan!

      In merito alla missione ad Hebron, il M5S evidenzia la contraddizione tra il mandare degli osservatori a tutela della popolazione palestinese e proseguire al contempo esercitazioni militari come quelle previste a fine mese nel poligono di Capo Frasca in Sardegna, esercitazioni con quell'aviazione israeliana responsabile dei massacri di civili a Gaza e della distruzione di ospedali e scuole dell'Onu. Ricordiamo inoltre che alla Camera dei deputati, in sede di conversione del precedente decreto, il Governo accoglieva un nostro ordine del giorno in cui si impegnava ad agire sul Governo di Tel Aviv in merito ai nuovi insediamenti di coloni proprio nella città di Hebron che invece – è notizia dell'altro giorno – Netanyahu intende ulteriormente espandere con una mega-colonia proprio nella valle tra la cittadina palestinese e Betlemme.
      La missione UNIFIL in Libano riveste una particolare importanza anche alla luce del dramma del popolo siriano i cui profughi si sono riversati in massa in questo Paese. Al lavoro che il contingente UNIFIL sotto il comando italiano del generale Luciano Portolano compie ogni giorno sulla Blue Line tra Libano ed Israele si somma un nuovo impegno su questo versante. Andrebbe anche da questo punto di vista ampliata la cooperazione italiana di sostegno ai rifugiati.
      Sull'articolo 3 (Africa), già le Commissioni congiunte hanno accolto un emendamento del M5S che dà la possibilità al Governo di sospendere le missioni di cui ai commi 1, 2 e 3 in Libia essendo ormai molto chiaro che la situazione di anarchia prodotta dall'intervento militare occidentale, Italia compresa, sia completamente sfuggita di mano tanto che esistono due governi e due parlamenti l'un contro l'altro armati. Appare evidente che sarà arduo mantenere l'unità statuale della Libia. Dovremo domandarci dove sono finiti i

militari libici che noi abbiamo addestrato, in quale milizia adesso combattono. Per questo proponiamo che da ora in poi ci sia una tracciabilità dei militari da noi addestrati, non essendo più accettabile che, con i soldi pubblici dei cittadini italiani, si finisca per addestrare o sostenere militarmente terroristi o tagliagole.
      Con riferimento, invece, al comma 4, il M5S ritiene opportuno rivedere la partecipazione anche alla missione Ocean Shield in funzione antipirateria e ciò al fine di dare un segnale forte alle autorità indiane sulla volontà del nostro Governo di non recedere dalla nostra posizione nell'ambito della vicenda dei due marò. Tra l'altro, il fenomeno della pirateria si è praticamente azzerato anche per il ricorso a rotte meno rischiose e quindi è da considerare almeno la riduzione della partecipazione italiana alle missioni anti-pirateria.

      Appare grave la decisione assunta in forma extraparlamentare – nel senso che le Camere non hanno votato ne sono state messe a conoscenza di nessun trattato in merito alla concessione e al suo status giuridico – di costituire una base militare permanente dell'Italia nella Repubblica di Gibuti. Anche e non soltanto per il nostro passato coloniale questa base militare, la prima all'estero dell'Italia, appare inopportuna e con finalità ambigue.
      Va sottolineata, inoltre, la sproporzione tra l'entità delle risorse finanziarie destinate alle missioni militari e di quelle finalizzate alla cooperazione allo sviluppo prendendo atto del fatto, purtroppo, che la situazione non è mutata, nonostante l'intensa battaglia ostruzionistica combattuta dal gruppo M5S in occasione della conversione del precedente decreto-legge.
      Come già accaduto nei precedenti provvedimenti nella stessa materia, continuano a figurare anche in questo provvedimento disposizioni difformi rispetto all'oggetto del decreto-legge, come quella che contempla ancora la concessione di finanziamenti all'UN Staff College di Torino, istituzione non direttamente coinvolte nella gestione degli interventi militari e di cooperazione nazionali sui teatri di crisi, così come appare non del tutto omogenea con il nucleo essenziale del provvedimento la disposizione recata dall'articolo 9, comma 9, concernente un contributo straordinario a favore del Comitato atlantico italiano o, ancora, come quella riguardante il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero, disposizione questa assolutamente spuria.
      Un'altra segnalazione critica riguarda il comma 2 dell'articolo 4 che autorizza la spesa di euro 4.862.000 per il mantenimento del dispositivo info-operativo dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) a protezione del personale delle Forze armate impiegato nelle missioni internazionali. Pur riconoscendo l'estrema rilevanza dell'operato dei servizi di intelligence a copertura, e per la sicurezza, dei nostri contingenti, anche e soprattutto per ragioni di opportunità legata alla riservatezza delle azioni medesime – di conseguenza anche del loro costo – così come per le precedenti decretazioni, si ritiene che detto finanziamento non dovrebbe trovar posto all'interno dei decreti di finanziamento temporali ma, al contrario, nelle norme che autorizzano il finanziamento ordinario delle azioni di intelligence, comprendendo ed esplicitando il riferimento a quelle legate alle missioni internazionali.
      All'articolo 9, comma 2, si prevede un piccolo stanziamento a sostegno dei processi di pace in Africa sub-sahariana e Centroamerica. Condividiamo questo punto – non certamente l'esiguità del finanziamento solo 2 milioni di euro – e proponiamo di estenderlo anche al faticoso processo di pace in Colombia.
      Per quanto riguarda l'articolo 10, che nella sua redazione iniziale, anche se non ufficiale, recava il solo regime degli interventi previsti dal decreto stesso, si deve purtroppo constatare che vi sono stati aggiunti i commi 3 e 4 contenenti disposizioni eterogenee rispetto alla materia della proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali: riguardano infatti norme per consentire il rinnovo mediante elezione dei Comitati degli italiani all'estero (Comites), rinnovo già più volte differito con precedenti provvedimenti.


      Per gli interventi di sostegno ai processi di ricostruzione e di stabilizzazione, si potrebbe inoltre dare esecuzione alle disposizioni previste dall'articolo 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che autorizza in quei teatri l'impiego dei cosiddetti «caschi bianchi». Disposizione questa – visto che è a costo zero in quanto lo stanziamento è già stato approvato dal Parlamento – che chiediamo sia inclusa nel disegno di legge in esame con un comma aggiuntivo.
      Infine, l'articolo 11 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle disposizioni del decreto-legge in esame, la cui lettura appare davvero illuminante circa la consistenza e la certezza della copertura stessa, alquanto precaria e bizzarra per come è frazionata, a dispetto dei criteri stabiliti dall'articolo 81 della Costituzione. Ma su questo punto sarà interessante capire come si esprimerà la Commissione Bilancio nel determinante parere che dovrà fornire in sede consultiva.
      Per quanto sopra esposto il M5S rimane critico sull'impostazione del decreto- legge all'esame, tuttavia auspica l'accoglimento di alcune delle proposte emendative presentate al testo in esame volte a migliore la ratio del provvedimento.

SIBILIA, ARTINI
Relatori di minoranza