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Atto a cui si riferisce:
C.1/00609 premesso che: come rilevato a più riprese anche da parte dei più alti vertici istituzionali, tra le incompiutezze dell'unificazione perpetuatesi fino ai nostri giorni è il...



Atto Camera

Mozione 1-00609presentato daPISICCHIO Pinotesto diGiovedì 9 ottobre 2014, seduta n. 306

La Camera,
premesso che:
come rilevato a più riprese anche da parte dei più alti vertici istituzionali, tra le incompiutezze dell'unificazione perpetuatesi fino ai nostri giorni è il divario tra Nord e Sud e dunque la condizione del Mezzogiorno che si colloca al centro delle preoccupazioni e responsabilità nazionali. Rispetto a questa questione che tarda a ricevere risposte adeguate, pesa certamente l'esperienza dei tentativi e degli sforzi portati avanti, a più riprese nei decenni dell'Italia repubblicana e rimasti senza risultati risolutivi; ma pesa anche l'oscurarsi della consapevolezza delle potenzialità che il Mezzogiorno offre per un nuovo sviluppo complessivo del paese e che sarebbe fatale per tutti non saper valorizzare;
purtroppo il Mezzogiorno, a pochi mesi dalla fine del 2014, è ancora il cuore del problema per la soluzione della «questione Italia»;
nelle anticipazioni del Rapporto 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a luglio 2014 alla Camera dei deputati, la Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, disegna ancora una volta un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell'arretratezza;
nel 2013, infatti, il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa: 16.888 euro nel 2013 contro i 16.511 del 2005. Ciò è da attribuire non tanto ai livelli di produttività dell'area, che nel periodo di crisi 2008-2013 mostrano una sostanziale stazionarietà, quanto ad una preoccupante diminuzione del tasso lordo di occupazione. Negli anni di crisi 2008-2013 i consumi delle famiglie sono crollati quasi del 13 per cento, gli investimenti nell'industria addirittura del 53 per cento, i tassi di iscrizione all'università tornano ai primi anni duemila e per la prima volta il numero di occupati ha sfondato al ribasso la soglia dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. Nel Mezzogiorno si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443 mila a 1 milione e 14 mila nuclei;
in base alle valutazioni Svimez, nel 2013 il Pil è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, approfondendo la flessione dell'anno precedente (-3,2 per cento), con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento). Si tratta del sesto anno consecutivo in cui il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo. Il peggior andamento del Pil meridionale è dovuto soprattutto ad una più sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti;
a livello regionale nel 2013 si è registrato un segno negativo per tutte le regioni italiane, a eccezione del Trentino Alto Adige (+1,3 per cento) e della stazionaria Toscana (0 per cento). Anche le regioni del Centro-Nord, sono tornate, segnare cali significativi, come l'Emilia Romagna (-1,5 per cento), il Piemonte (-2,6 per cento), il Veneto (-3,6 per cento), fino alla Valle d'Aosta (-4,4 per cento). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il –1,8 per cento dell'Abruzzo e il –6,1 per cento della Basilicata, fanalino di coda azionale. In posizione intermedia la Campania (-2,1 per cento), la Sicilia (-2,7 per cento), il Molise (-3,2 per cento). Giù anche Sardegna (-4,4 per cento), Calabria (-5,0 per cento) e Puglia (-5,6 per cento). Guardando agli anni della crisi, dal 2008 al 2013, profonde difficoltà restano soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16 per cento, accanto alla Puglia (-14,3 per cento), la Sicilia (-14,6 per cento) e la Calabria (-13,3 per cento). Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2013 pari a 18.453 euro: in altri termini, un valdostano ha prodotto nel 2013 oltre 18 mila euro in più di un calabrese;
il Rapporto 2014 Svimez, commentando i dati negativi anche del Centro-Nord, ritiene che «sicuramente non è in crisi per colpa del Sud ma rischia di non uscirne finché non si affronta e non si risolve il problema del Mezzogiorno, in quanto una domanda meridionale così depressa ha inevitabili effetti negativi sull'economia delle regioni centrali e settentrionali.»;
le due aree del Paese sono strettamente connesse, del resto, è ampiamente testimoniato dagli andamenti demografici, il Centro Nord continua ad attrarre significativi flussi di popolazione che si spostano dalle regioni meridionali. I dati del 2013 confermano la grave crisi demografica del Sud, l'anno scorso la popolazione meridionale è calata di circa 20 mila unità a causa della ripresa delle emigrazioni verso il Centro-Nord e verso l'estero, oltre al calo delle nascite che anch'esso risulta essere particolarmente rilevante. Tra il 2001 e il 2013 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord oltre 1.559.100 meridionali, a fronte di un rientro di 851 mila persone, con un saldo migratorio netto di 708 mila unità. Tali flussi migratori acquistano ancora più importanza se si pensa agli effetti che avranno sulla capacità del Sud di riprendersi e di intraprendere un nuovo percorso di sviluppo e di crescita. Si allontanano dalle regioni di origine i giovani in età riproduttiva e dotati di elevate conoscenze e competenze professionali e intellettuali, quindi le conseguenze negative si rivelano su due fronti: da una parte si pregiudica l'evoluzione demografica dell'area meridionale, dall'altro il Sud viene privato di quelle competenze indispensabili per la crescita economica;
nel 2013 il Mezzogiorno ha toccato il suo minimo storico per quanto riguarda il numero dei nati: 177 mila, il valore più basso dall'Unità d'Italia. Purtroppo il Sud perde progressivamente popolazione, anno dopo anno. La fecondità femminile si attesta a quota 1,36 figli per donna, cifra lontana dal 2,1 nati per coppia che garantirebbe la stabilità demografica. Il centro Nord, invece, ha visto una crescita a quota 1,46 figli per donna, grazie anche all'apporto riproduttivo elevato delle donne straniere;
per la Svimez nel 2013 la povertà assoluta è aumentata al Sud rispetto all'anno scorso del 2,8 per cento contro lo 0,5 per cento del Centro-Nord. Anche per questo i consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi, nel 2013, del 2,4 per cento, a fronte del –2 per cento delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata ha sfiorato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-12,7 per cento), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (5,7 per cento). Particolarmente colpiti i consumi alimentari (-14,6 per cento contro il –10,7 per cento del Centro-Nord), e le spese per vestiario e calzature cadute del 23,7 per cento, quasi il doppio che nel resto del Paese (-13,8 per cento);
tutti i settori economici del Meridione hanno risentito della crisi toccando il picco nel settore delle costruzioni, che ha ridotto il prodotto del 35,3 per cento contro il 23,8 per cento del Centro-Nord. Nel comparto terziario la perdita è stata l'anno scorso del 2,3 per cento nel Sud, a fronte di una sola leggera flessione (-0,4 per cento) al Centro-Nord. L'agricoltura perde lo 0,2 per cento) al Sud, mentre il Centro-Nord guadagna +0,6 per cento; l'industria crolla del 7,6 per cento al Sud e del 3,2 per cento al Centro-Nord; Dal 2008 al 2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27 per cento del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-53 per cento);
«il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale – è scritto nel rapporto Svimez – , con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente»;
il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) ha assunto la sua denominazione in forza del decreto legislativo n. 88 del 31 maggio 2011, che detta disposizioni in materia di risorse aggiuntive e interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali. Il Fondo ha la finalità di dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
in tale quadro, le risorse del Fondo sono destinate al finanziamento di progetti infrastrutturali strategici – sia di carattere materiale sia di carattere immateriale – di rilievo nazionale, interregionale e regionale, che si inquadrano nell'ambito di una strategia nazionale che individua i principali interventi di interesse, in termini di miglioramento infrastrutturale, del Sistema Paese, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi, funzionalmente connessi per consistenza progettuale ovvero realizzativa, in relazione a obiettivi e risultati quantificabili e misurabili, anche per quanto attiene al profilo temporale;
l'articolazione pluriennale del Fondo, coerente con quella dei Fondi europei, è volta a garantire l'unitarietà e la complementarietà dei processi di programmazione e attivazione delle relative risorse, tenendo conto delle programmazioni. L'articolo 1, comma 6 e seguenti, della legge n. 147 del 2013 (legge di Stabilità 2014) ha determinato in 54,810 miliardi di euro la dotazione aggiuntiva del FSC per il periodo di programmazione 2014 – 2020, disponendone l'iscrizione in bilancio per l'80 per cento di tale importo, pari a 43,848 miliardi di euro. La medesima disposizione, nel contempo, ha indicato la nuova chiave di riparto delle risorse tra le aree territoriali del Paese, assegnando al Mezzogiorno l'80 per cento dell'importo complessivo, per un valore iscritto in bilancio conseguentemente pari a 35,078 miliardi di euro, e la restante quota, pari a 8,770 miliardi di euro, al Centro-Nord;
la norma di legge non dispone, invece, in ordine al riparto tra le amministrazioni centrali e le amministrazioni regionali, né definisce più puntualmente le quote di destinazione del Fondo medesimo tra diversi ambiti tematici, salvo indicare che una quota pari al 5 per cento del Fondo possa essere destinata a interventi di emergenza con finalità di sviluppo (corrispondente a 2,192 miliardi di euro);
la legge, infine, ha iscritto in bilancio, a fronte del complessivo importo, gli stanziamenti per il primo triennio, determinandoli in 50 milioni per il 2014, 500 milioni per il 2015 e 1.000 milioni per il 2016; per gli anni successivi, la quota annuale sarà determinata dalla tabella E delle singole leggi di stabilità;
il comma 8 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 ha disposto che entro il 1o marzo 2014 il CIPE avrebbe dovuto effettuare la ripartizione programmatica tra le amministrazioni interessate della quota relativa all'80 per cento delle risorse. Adempimento che non risulta ancora attuato;
con delibera n. 21 del 2014 è stata disposta, a valere sulla programmazione 2014-2020 una preallocazione pari a 1.143 milioni di euro, destinata alle regioni del Mezzogiorno per compensare le medesime regioni della sottrazione di disponibilità delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2007-2013, ad esse sottratte in relazione ai ritardi nell'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti. Le assegnazioni di legge di cui sopra e questa assegnazione assorbono la quasi totalità delle dotazioni dei fondi assegnati in bilancio nel triennio;
i Contratti istituzionali di sviluppo (CIS) sono stati introdotti dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 88 del 31 maggio 2011 quale strumento generale di attuazione della programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020 e sono stati utilizzati anticipatamente anche nella programmazione in corso (2007-2013), in forza della delibera del CIPE n. 1 dell'11 gennaio 2011. Destinati a regolare i rapporti tra le amministrazioni centrali (con poteri di coordinamento attribuiti all'Autorità politica delegata per la Coesione Territoriale), le regioni e i grandi concessionari nazionali (FS-RFI ed ANAS), per la realizzazione di grandi infrastrutture di rilievo strategico, essi stabiliscono: tempi e modalità di attuazione, impegni reciproci per garantire il rispetto del cronoprogramma, sanzioni e poteri sostitutivi per le ipotesi di inadempienza;
la normativa impone che i CIS siano sottoscritti, per la parte pubblica, dalle autorità politiche (Ministri e presidenti di regione), in uno con apposite intese preliminari. Nell'esperienza sin qui fatta, l'Intesa che ha preceduto ciascun CIS è stata sottoscritta dai Ministri per la coesione, dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo; mentre i CIS veri e propri (articolato e allegati tecnici) sono stati firmati da: Ministro della coesione, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, presidenti di regione (di volta in volta interessati) e concessionari nazionali (FS/RFI, per le ferrovie; ANAS, per le strade);
allo stato, sono stati sottoscritti 4 CIS, previsti dalla delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011: tre per opere ferroviarie (NA-BA-LE-TA; SA-RC e ME-CT-PA) ed uno per un'infrastruttura stradale (SASSARI-OLBIA). Soltanto per la «Salerno- Reggio Calabria» (ferroviaria) e la «SS Sassari Olbia» (stradale) il fabbisogno finanziario risulta integralmente coperto;
il 2 agosto 2012 il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro delle infrastrutture e trasporti, le regioni Campania, Basilicata e Puglia, Ferrovie dello Stato e Rete ferroviaria italiana hanno sottoscritto il Contratto istituzionale di sviluppo, che riguarda l'esecuzione di lavori sull'intera tratta ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto, il cui costo è pari a 7.116 milioni di euro per 22 interventi. Le disponibilità ammontano a 3.532 milioni,

impegna il Governo:

ad affrontare con determinazione tutte le problematiche rilevate nel Mezzogiorno e ad assumere ogni opportuna iniziativa per porre in essere azioni incisive di politica economica per sostenere e rilanciare la crescita e l'occupazione del Sud dell'Italia che appare evidente essere l'unica strada concreta per un vera ripresa che interessi tutta l'Italia;
a confermare nella prossima legge di stabilità un congruo stanziamento del Fondo di sviluppo e coesione che permetta di completare il finanziamento necessario a realizzare il Contratto istituzionale di sviluppo che riguarda l'intera tratta ferroviaria Napoli-Bari-Lecce-Taranto;
a sollecitare la rapida adozione da parte del Cipe della ripartizione programmatica tra le amministrazioni interessate delle risorse aggiuntive del Fondo per lo sviluppo e la coesione.
(1-00609) «Pisicchio».