• Testo MOZIONE

link alla fonte scarica il documento in PDF

Atto a cui si riferisce:
C.1/00042 premesso che: i numeri sulla violenza in Italia sono ormai tristemente noti. Una donna su tre, in un'età compresa tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di forme di violenza; il...



Atto Camera

Mozione 1-00042presentato daMUCCI Maratesto diMartedì 4 giugno 2013, seduta n. 28

La Camera,
premesso che:
i numeri sulla violenza in Italia sono ormai tristemente noti. Una donna su tre, in un'età compresa tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di forme di violenza; il 35 per cento delle vittime non presenta denuncia, mentre solo il 13 per cento ha fatto richiesta di aiuto per stalking;
secondo Telefono Rosa, nel 2012 le vittime femminili hanno superato di poco le 120 unità e si è passati da un omicidio ogni tre giorni registrato nel 2011 a uno ogni due giorni; la gran parte delle violenze rimane sommersa, impunita e avviene tra le pareti domestiche; un dramma diffuso che riguarda tutte le classi sociali e che va aumentando;
nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni, il fenomeno rimane ancora un problema irrisolto: mancano serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione; la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo, altresì, il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini. Si è davanti ad un grave reato, una forma di discriminazione che non riguarda la sfera privata perché è solo l'aspetto più evidente e brutale dell'ineguaglianza esistente nella società;
è sempre più urgente affrontare il problema nella sua gravità per risolverlo, ma per far ciò è necessario un radicale cambiamento culturale nella nostra società. Ciò anche alla luce dei dati del Global gender gap report 2012, la classifica stilata ogni anno dal World economic forum sul divario di opportunità tra uomini e donne in 135 Paesi e secondo il quale appare evidente che i risultati sono sempre più sconfortanti per l'Italia: complessivamente all'ottantesimo posto (nel 2011 era al settantaquattresimo); nello specifico: centounesimo posto, in quanto a partecipazione economica e opportunità; sessantacinquesimo posto, in quanto ad accesso all'istruzione di base e di livello superiore; settantaseiesimo posto per quanto riguarda la salute e la sopravvivenza; al settantunesimo posto in materia di rappresentanza politica;
la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione a Istanbul l'11 maggio 2011, rappresenta il primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, finalizzato a creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza;
si tratta di un trattato corposo che analizza il fenomeno nella sua complessità e fornisce un quadro giuridico completo, sia in chiave di prevenzione che di repressione di questa odiosa forma di violenza;
questa Convenzione – che l'Italia deve recepire nelle parti in cui il nostro ordinamento ancora non ha raggiunto gli auspicati standard, lasciando impregiudicati gli eventuali livelli di maggior tutela – potrebbe, se attuata da tutti i Paesi membri, salvare e cambiare le vite di milioni di vittime e dare un contributo concreto al miglioramento del rispetto dei diritti umani e dello status delle donne. È una battaglia di civiltà cui la politica non può e non deve sottrarsi;
il grande valore di tale Convenzione risiede anche nel sancire la necessità di un cambiamento radicale di mentalità all'interno della società, per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. In essa si afferma, infatti, che spetta agli Stati prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, sia domestica sia esterna, e che la violenza verso le donne non può essere giustificata da nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa;
l'inserimento nel codice penale italiano del nuovo articolo 612-bis sugli atti persecutori (stalking), la giurisprudenza costituzionale che si è venuta formando sulla presunzione assoluta di pericolosità degli accusati dei delitti a sfondo sessuale e, da ultimo, l'approvazione definitiva, nel 2012, della legge n. 172 del 2012 di adeguamento interno alla Convenzione di Lanzarote hanno costituito un segnale di un'evoluzione importante ma che ancora non basta; l'Italia è, tra i Paesi europei, agli ultimi posti per contrasto al fenomeno della violenza di genere: infatti, il report di Rashida Manjoo, relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, in visita nel nostro Paese nel 2012, ha condannato pesantemente l'Italia rilevando che «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita»;
da più parti, ormai, si sollecita l'introduzione di un'aggravante generale per i delitti commessi per motivi di genere, oltre che di un'aggravante specifica per il caso di omicidio, che riguarda anche il delitto commesso nei confronti dell'ex coniuge o dell'ex convivente. È auspicabile, quindi, che su questo campo possa presto attivarsi un più determinato intervento legislativo che tocchi anche aspetti apparentemente procedurali (ma in realtà sostanziali), quali il divieto di sospensione condizionale della pena, il divieto di bilanciamento per equivalenza tra aggravanti e attenuanti o il divieto di patteggiamento, come segnale ulteriore di contrasto e dissuasione alla commissione di crimini del genere;
ma il passo ulteriore dovrà essere necessariamente di carattere culturale, in quanto la sanzione penale non potrà mai esaurire lo spettro delle azioni da intraprendere su questo fronte, tenuto conto che da quasi trent'anni, e precisamente dalla legge 14 marzo 1985, n. 132, è stata ratificata e resa esecutiva la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979;
a tutt'oggi, solo quattro Paesi hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ovvero hanno concluso il processo di creazione di una legge nazionale che renda effettivo nel proprio Paese il testo della stessa. Questi Paesi sono (e, su alcuni c’è da stupirsene, per tanti versi): Turchia, Albania, Montenegro e Portogallo. Mancano, dunque, ancora almeno 6 ratifiche,

impegna il Governo:

ad attivare, nell'ambito delle proprie competenze, un'azione a livello europeo affinché si giunga alla ratifica immediata, da parte degli Stati dell'Unione europea, della Convenzione del Consiglio d'Europa, adottata ad Istanbul nel 2011, sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica;
a valutare tutte le iniziative necessarie affinché, per quanto riguarda l'educazione delle nuove generazioni, venga agevolata la creazione di spazi di approfondimento periodici affinché si affrontino temi come l'uguaglianza e la violenza di genere, per avviare un radicale cambiamento culturale nella nostra società e per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini;
ad attivarsi, anche con iniziative normative e con fondi adeguati, per l'adozione di serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione di personale qualificato in grado di affrontare e gestire situazioni di emergenza;
a sostenere e attuare con più determinazione sia quanto già contenuto nella Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, sia quanto è stato osservato dalla relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, di cui in premessa;
ad avviare una campagna capillare di informazione di utilità sociale a qualsiasi livello su questa drammatica realtà che ancora oggi presenta aspetti sempre più inquietanti;
a rinnovare il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, con particolare attenzione alla raccolta dei dati e al loro monitoraggio, per avere un quadro aggiornato della situazione in maniera periodica e certa, e alla promozione e consolidamento, su tutto il territorio nazionale, della rete tra centri antiviolenza e istituzioni preposte alla tutela, quali gli enti locali, le forze dell'ordine, i consultori, gli ospedali, i servizi sociali e socio-sanitari;
a sostenere con adeguate risorse finanziarie i centri antiviolenza, istituzioni fondamentali per il corretto ed efficace funzionamento dei servizi a tutela della donna vittima di violenza;
a coinvolgere in maniera diretta i centri antiviolenza con maggiore esperienza, al fine della redazione del Piano nazionale antiviolenza;
a presentare semestralmente una relazione alla competenti commissioni parlamentari sullo stato di attuazione del Piano nazionale antiviolenza;
ad individuare forme alternative di risarcimento alle donne che hanno subito violenza, ad esempio attraverso progetti di reinserimento lavorativo, al fine di ripristinare condizioni di vita adeguate successive al superamento della violenza subita.
(1-00042)
(Ulteriore nuova formulazione) «Mucci, Crippa, Prodani, Mannino, Brescia, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Spadoni, Fantinati, Di Vita, Nesci, Dall'Osso, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi».