Testo MOZIONE
Atto a cui si riferisce:
C.1/00649 premesso che:
l'attuale crisi economica e politica ha generato un aggravio insostenibile per il Paese andando a ledere nel profondo i diritti sanciti dalla nostra Costituzione per...
Atto Camera
Mozione 1-00649presentato daDI VITA Giuliatesto diMartedì 28 ottobre 2014, seduta n. 319
La Camera,
premesso che:
l'attuale crisi economica e politica ha generato un aggravio insostenibile per il Paese andando a ledere nel profondo i diritti sanciti dalla nostra Costituzione per tutti i cittadini. Condizioni di vita, opportunità lavorative, integrazione, salute, rete di protezione, sostegno, cura, rispetto, ogni giorno, troppo spesso, vengono lesi;
oggi più che mai a rischio è non solo il benessere del nostro Paese ma, in troppi casi, addirittura la stessa sopravvivenza delle persone. Le emergenze sociali, a cui assistiamo ogni giorno, richiedono mia grande sforzo da parte delle Istituzioni, sforzo che i nostri concittadini faticano a percepire;
le difficoltà degli italiani rischiano di diventare insormontabili a causa delle condizioni di crisi economica, sociale e dell'attuale immobilismo politico. Troppo spesso mancano concreti ed efficienti punti di riferimento, programmi di sostegno e assistenza. Queste lacune sono direttamente proporzionali al rischio dell'aumento di fenomeni quali emarginazione, abbandono, solitudine;
è dalla capacità di contrastare detti meccanismi degenerativi che si misura il grado di civiltà di un Paese e delle sue istituzioni, ed è proprio in tale contesto che spicca il ruolo del dipartimento per le Pari opportunità, che ha il compito prendere in carico le situazioni di disagio sociale e di individuare e fornire gli strumenti adatti al superamento degli ostacoli che impediscono il conseguimento di uguaglianza ed equità sociale;
per meglio comprendere l'emergenza in corso, di seguito sono indicate alcune delle principali mancanze, o danni, derivanti dalla situazione attuale, che si tramutano poi in difficoltà pratiche per la vita degli italiani:
la cronaca nazionale riporta, sempre più spesso, episodi di femminicidio, maltrattamenti, bullismo omofobico, razzismo, stalking, e discriminazione;
gli episodi di abuso e violenza contro le donne sono in perdurante crescita. Ciò nonostante siano state introdotte leggi come quella per il contrasto della violenza di genere (decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119) o la ratifica della Convenzione del Consiglio europeo per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, meglio nota come Convenzione di Istanbul;
la Convenzione di Istanbul reca, tra le sue principali finalità, quella di «prevenire e contrastare la violenza intrafamiliare e altre specifiche forme di violenza contro le donne, di proteggere e fornire sostegno alle vittime di questa violenza nonché di perseguire gli autori»: essa, dunque, costituisce un importante strumento di precauzione e tutela in quanto vincola giuridicamente gli Stati in materia di violenza sulle donne e violenza domestica;
in sintesi, gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane in modo da realizzare i programmi e le politiche volte a combattere il fenomeno della violenza sulle donne e sono tenuti ad istituire un organismo che coordini e monitori tutte le misure destinate allo scopo previsto della Convenzione medesima;
ulteriori profili connessi al tema del divieto di discriminazioni e delle pari opportunità quali, la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale, la tutela dei diversamente abili, la rimozione delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, sull'età, sulla religione, sulle convinzioni personali e, in via generale, tutte le tematiche connesse ai diritti civili sono state secondo i firmatari del presente atto palesemente ignorate dal Governo;
ugualmente attuali e rilevanti sono le problematiche collegate alla rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull'origine etnica, acuitesi a seguito del massiccio afflusso di stranieri che ha trovato il nostro ordinamento gravemente impreparato, sotto il profilo sia istituzionale – amministrativo che socioculturale;
le politiche relative ai temi appena citati sono particolarmente promosse e veicolate dall'UNAR (Ufficio antidiscriminazioni razziali), istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE, che opera nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. UNAR, in particolare, ha la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire alla loro rimozione;
a seguito del programma promosso dal Consiglio d'Europa «Combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere», per l'attuazione e l'implementazione della Raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, al quale l'UNAR ha aderito estendendo, così, le sue competenze, è stata elaborata la Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, predisposta e coordinata dall'UNAR, in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, le Associazioni LGBT e le parti sociali; la strategia nazionale, in base agli impegni comunitari, è finalizzata alla realizzazione di un piano triennale di azioni pilota (2013-2015), integrate e multidisciplinari, volte alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni in tale ambito;
rileva in proposito sottolineare e ribadire l'impegno assunto dall'Italia a rispettare quanto stabilito in sede europea con l'ultima relazione prodotta dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Relazione 8 gennaio 2014, relatore Ulrike Lunacek, sulla tabella di marcia dell'Unione europea contro l'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere (2013/2183(INI)), in cui si «invitano gli Stati membri a rispettare gli obblighi previsti dal diritto dell'Unione europea e dalla raccomandazione del Consiglio d'Europa sulle misure per combattere la discriminazione basata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere»;
l'aggravarsi della condizione della situazione occupazionale, specie con riferimento alla presenza delle donne nel mercato del lavoro, richiede una ottimizzazione del lavoro e del contributo prodotto, in ambito nazionale, dalla Consigliera nazionale di parità e dalle consigliere presenti nei territori anche attraverso un'attività di razionalizzazione, indirizzo e coordinamento degli organismi di pari opportunità e degli altri attori istituzionali che, ciascuno per la competenza attribuita, sono chiamati ad intervenire nella materia in esame, nella specie: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Comitato per l'imprenditoria femminile, le Commissioni per le pari opportunità regionali e provinciali, istituite presso i consigli regionali e provinciali, il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (CUG) istituito nelle pubbliche amministrazioni (CUG), introdotto dall'articolo 21 della legge n. 183 del 4 novembre 2010;
secondo un'indagine sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie condotta dall'Istat, nel 2012, il 29,9 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020. L'indicatore deriva dalla combinazione del rischio di povertà (calcolato sui redditi 2011), della severa deprivazione materiale e della bassa intensità di lavoro. L'indicatore adottato da Europa 2020 viene definito dalla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle suddette condizioni. Rispetto al 2011, l'indicatore cresce di 1,7 punti percentuali, per l'aumento della quota di persone in famiglie severamente deprivate;
il rischio di povertà o esclusione sociale è di 5,1 punti percentuali più elevato rispetto a quello medio europeo (pari al 24,8 per cento) come conseguenza della più elevata diffusione della severa deprivazione (14,5 per cento contro una media del 9,9 per cento) e del rischio di povertà (19,4 per cento contro 16,9 per cento). L'aumento della severa deprivazione, rispetto al 2011, è determinato dalla più elevata quota di individui in famiglie che non possono permettersi durante l'anno una settimana di ferie lontano da casa (dal 46,7 per cento al 50,8 per cento), che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 18,0 per cento al 21,2 per cento), che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 38,6 per cento al 42,5 per cento) o che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni (dal 12,4 per cento al 16,8 per cento). Quasi la metà (il 48 per cento) dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà ed esclusione mentre il rischio di povertà o esclusione sociale è più alto per le famiglie numerose (39,5 per cento) o monoreddito (48,3 per cento); aumenti significativi, tra il 2011 e il 2012, si registrano tra gli anziani soli, i monogenitori, le famiglie con tre o più figli;
la metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito, nel 2011, un reddito netto non superiore a 24.634 euro l'anno (circa 2.053 al mese);
con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
recenti dati Istat, riferiti al primo trimestre del 2014, confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne: a fronte di un impercettibile rialzo dell'occupazione maschile si registra, difatti, una significativa diminuzione di quella femminile (rispettivamente più 0,6 e meno 0,3 su base congiunturale; più 0,3 e meno 1,0 su base annua). Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Mentre il tasso di occupazione maschile sale al 64,8 per cento quello femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento;
in questo contesto di evidente criticità, le misure varate dal Governo non hanno dedicato spazio alcuno alle politiche finalizzate a rimuovere gli ostacoli strutturali alla realizzazione di pari opportunità e di effettiva conciliazione tra cura della famiglia e lavoro ma, all'opposto, hanno finito per incrementare il trend involutivo sopra evidenziato;
le entrate dei comuni hanno subito una drastica diminuzione per effetto dei tagli e della riduzione dei fondi regionali distribuiti tramite le province; in particolare, le predette misure economiche hanno indotto molti comuni a ridurre drasticamente, se non addirittura ad eliminare, l'offerta di servizi pubblici, quali asili nido, scuole a tempo pieno, centri di assistenza agli anziani e disabili;
la perdurante riduzione dei fondi da destinare alle spese nel settore dei servizi alla famiglia, reca effetti negativi sulla occupazione femminile, a causa delle evidenti difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, nonché effetti diretti sul personale impiegato nel settore dell'assistenza educativa;
in assenza di serie e concrete politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che sono costretti a vivere in famiglia imporrà ancora più carico di lavoro alle donne «anziane» che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «Legge Fornero», dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio cortocircuito che deve essere arrestato;
le dimensioni e la gravità del fenomeno analizzato impongono l'adozione di interventi normativi strutturali ed idonei ad invertire rapidamente la tendenza in atto in maniera tale da aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro e ad eliminare i descritti divari di genere;
bisogna provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo;
a ciò deve affiancarsi l'introduzione di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti, sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo; politiche ad hoc e risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati;
la partecipazione al processo di integrazione comunitaria, si ricorda, impone all'Italia un vincolo a sviluppare le politiche antidiscriminatorie e di pari opportunità, particolarmente sentite dall'Europa;
in merito alle questioni citate, per converso, si registra in particolare il mancato, parziale o non corretto recepimento da parte del nostro Paese, di alcune direttive comunitarie di particolare rilievo. Il riferimento è in particolare alla direttiva 2000/78/CE (Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e alla non conformità della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Riforma delle pensioni) con la normativa dell'Unione europea in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (direttiva 2006/54/CE). È ridondante, a tal proposito, dover ricordare che più volte il nostro Paese è stato richiamato dall'Europa, anche con atti ben precisi (procedure d'infrazione e sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo), soprattutto relativamente alle quasi inesistenti politiche per la parità di genere e per l'inclusione lavorativa delle persone disabili;
proprio relativamente a quest'ultima categoria di soggetti ed alle relative tutele e politiche inclusive e antidiscriminatorie, si registra ancora la mancata realizzazione del Piano d'azione biennale per la disabilità adottato dal Consiglio dei Ministri nel 2013, che prevede 7 linee di intervento;
in tale ambito, in particolare, il contributo del dipartimento per le pari opportunità è espressamente previsto nella prima linea di intervento relativa alla riforma della procedura di riconoscimento dell'invalidità, ma il suo apporto è richiesto anche per le restanti linee, trattando queste di tematiche quali lavoro, inclusione nella società, inclusione scolastica. Al momento, il lavoro relativo alla realizzazione di tali linee di intervento non sembra essere stato neppure avviato;
da ultimo, è altresì opportuno segnalare la mancata approvazione del Piano nazionale per gli interventi contro la tratta di esseri umani previsto nel decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24 («Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime») di recepimento della direttiva 2011/36/EU all'articolo 9, che doveva essere emanato entro la fine di giugno su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno. Al pari, nel medesimo provvedimento all'articolo 8 si prevede entro la fine di settembre 2014 la definizione, sulla base del mancante. Piano nazionale antitratta, del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta, che con tutta evidenza non si avrà modo di vedere nei termini previsti dalla legge. Assenze importanti e preoccupanti se si pensa che solo in Italia, nel 2010, le presunte vittime di tratta e quelle che si è riusciti a identificare ammontano a circa 2.400, ovvero il dato più alto dell'area euro, compresi i sette paesi che hanno chiesto di entrare in Europa; mentre a livello globale i dati oscillano tra le 600 mila e le 800 mila vittime annuali per un introito malavitoso pari a 32 miliardi di dollari. Secondo i dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e dell'ufficio delle nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), oltre il 70 per cento delle vittime di tratta sarebbe composto di donne, adulte e minori;
sovente il Parlamento e le sue Commissioni si sono trovati ad affrontare questioni inerenti il Dipartimento per le pari opportunità;
da parte del Gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle sono stati presentati nel corso della legislatura numerosi atti parlamentari che affrontavano alcune delle questione citate, a partire da due risoluzioni che, anzitutto, si proponevano di impegnare il Governo, già in tempi non sospetti, a nominare un nuovo Ministro per le pari opportunità; in particolare la prima (Risoluzione in commissione 7-00147 del 29 ottobre 2013, seduta n. 107), depositata in Commissione affari sociali, proponeva infatti, all'indomani delle dimissioni del Ministro per le pari opportunità Josefa Idem, di individuare un nuovo Ministro al quale assegnare anche la delega alla famiglia, avendo questa materia molte attinenze con le competenze del dipartimento;
purtroppo, tali iniziative parlamentari e sollecitazioni sono rimaste inascoltate, non avendo ricevuto alcun riscontro, se non qualche cenno di apprezzamento e condivisione sfociati poi, numerose volte, in un nulla di fatto;
lo scorso luglio è stata avviata dalla scrivente la petizione on-line «Si nomini subito un ministro per le Pari Opportunità» (sul sito www.change.org), diretta in special modo al premier Matteo Renzi, in cui vengono elencate le principali emergenze inerenti le pari opportunità segnalate da cittadini, giornalisti, associazioni, politici, che il Governo ha il dovere di affrontare al più presto;
in tale prospettiva conforta riscontrare che detta iniziativa, lungi dal voler rincorrere l'obiettivo futile di dare meriti particolari ad una forza politica piuttosto che a un'altra, aspirando bensì a dar vita ad una battaglia trasversale che unisca cittadini e istituzioni, abbia finora superato le 2.500 adesioni da parte di cittadini e associazioni quali O.N.Da – Osservatorio nazionale sulla salute della Donna, ADUSBEF, Equality Italia, Arcigay Palermo, ANDDOS, Dol's Magazine – donne online dal 1999, Toponomastica femminile, Le nostre figlie non sono in vendita, Rispetto per le donne. L'agenda delle donne per l'Italia nazione europea, Arcigay Napoli, Gaynet, e due soli colleghi deputati, l'onorevole Kronbilcher e l'onorevole Fitzgerald;
è opportuno ricordare, infine, che è appena stato inaugurato il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, dedicato proprio al tema delle pari opportunità. Quale migliore occasione, dunque, per rimetterci al passo, non solo per il bene del nostro Paese ma anche per dare all'Europa il segnale di un'Italia che su questi temi non deve prendere lezioni da nessuno,
impegna il Governo:
a fornire ogni utile elemento alle Camere sull'attuale stato di elaborazione ed attuazione del Piano antiviolenza di cui al citato articolo 5, comma 1, del decreto «femminicidio», provvedendo inoltre nel più breve tempo possibile a stabilire una data ufficiale per l'emanazione del Piano medesimo;
a ricorrere al coinvolgimento tempestivo delle associazioni di settore e dei centri antiviolenza di maggior esperienza dislocati nel Paese per la redazione e parere finale sul Piano antiviolenza così come sancito dagli articoli 7, 8 e 9 della Convenzione di Istanbul e dagli articoli 5 e 5-bis del decreto «femminicidio»;
a riconoscere e attribuire piena indipendenza e implementazione del raggio d'azione dell'UNAR, estendendone la sfera di competenza a tutte le forme di discriminazione, non solo quelle razziali, provvedendo altresì a modificare anche la sua stessa denominazione, ormai anacronistica, in «UNA» (Ufficio nazionale antidiscriminazioni), dal momento che in Italia l'emergenza dei diritti civili resta ancora molto alta, nonché pone in essere le opportune attività, anche di carattere normativo, allo scopo di rimediare alla mancata previsione di garanzie adeguate e di una corretta educazione scolastica in tale ambito, come prescritto dalla normativa europea;
a fornire la relazione sulle attività realizzate in virtù del Protocollo di intesa siglato il 30 gennaio 2013 tra UNAR e MIUR;
a fornire la relazione dettagliata dei dati relativi ai rapporti prodotti dal Gruppo di monitoraggio e supporto alla costituzione e sperimentazione dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto interdipartimentale (dipartimenti della funzione pubblica e delle pari opportunità) del 18 aprile 2012, illustrando, più in generale, gli eventuali risultati prodotti e i conseguenti miglioramenti delle condizioni lavorative, nonché l'andamento delle attività in corso, a distanza di tre anni dalla costituzione dei C.U.G.;
a garantire l'effettiva attuazione del Piano d'azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, adottato dal Consiglio dei ministri nel dicembre 2013, ove il contributo del dipartimento per le pari opportunità, in particolare, è previsto espressamente nella prima linea di intervento, riguardante la revisione del sistema di accesso, del riconoscimento e della certificazione della condizione di disabilità e l'intervento a livello sociosanitario, assicurando i relativi stanziamenti, così come da impegno del Sottosegretario al lavoro e politiche sociali onorevole Franca Biondelli, nonché per le restanti linee di intervento, trattando queste di tematiche quali lavoro, inclusione nella società, inclusione scolastica;
a provvedere urgentemente all'approvazione del Piano nazionale per gli interventi contro la tratta di esseri umani ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo) 4 marzo 2014, n. 24 («Prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e protezione delle vittime») nonché alla conseguente adozione del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta previsto all'articolo 8 del medesimo decreto legislativo;
a porre in essere opportune attività di adeguamento della normativa nazionale, ottemperando così agli impegni assunti in sede comunitaria, con particolare riferimento all'implementazione della Direttiva 2000/78/CE (Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) e alla non conformità della legge 22 dicembre 2011, n. 214 (Riforma delle pensioni) con la normativa dell'Unione europea in materia di parità di trattamento tra uomini e donne (direttiva 2006/54/CE);
a prevedere un coordinamento operativo a livello centrale e nazionale al fine di una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi nazionali e territoriali preposti, a vario titolo, al monitoraggio delle politiche di pari opportunità e alla rimozione delle discriminazioni e degli ostacoli che minano l'effettiva realizzazione della parità di genere;
ad assumere, in tempi rapidi, ogni iniziativa di competenza per introdurre misure volte a contrastare la violenza psicologica in ambito familiare e le molteplici forme di diseguaglianza, con particolare riguardo a quelle che si presentano tra cittadini del nord e cittadini del sud Italia, che risultano in sensibile aumento per effetto della crisi economica in atto;
ad introdurre nuove e concrete politiche per la conciliazione tra la cura della famiglia e l'attività lavorativa incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il telelavoro, il lavoro autonomo e imprenditoriale, introducendo la possibilità di un uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi unitamente alla previsione di sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali per il genitore lavoratore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza della persona;
ad adottare in tempi rapidi le opportune iniziative volte a introdurre misure di sostegno, anche tramite forme di incentivazione fiscale e contributiva, a favore di tutti i datori di lavoro – privati e pubblici – che istituiscono asili nido aziendali o altre iniziative informali (baby sitting o baby parking).
(1-00649) «Di Vita, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Baroni, Dall'Osso, Cecconi, Di Benedetto, Lupo, Chimienti, Businarolo, Dadone, Spadoni, Mucci, Villarosa, Luigi Di Maio, Nuti, Nesci, Bechis, Massimiliano Bernini, Ciprini, Lombardi, Tofalo, Basilio».