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Atto a cui si riferisce:
C.1/00650 premesso che: la previdenza complementare nasce come sistema regolamentare autonomo e strutturato all'inizio degli anni Novanta (articolo 2, comma 1, lettera v), della legge...



Atto Camera

Mozione 1-00650presentato daCIPRINI Tizianatesto diMercoledì 29 ottobre 2014, seduta n. 320

La Camera,
premesso che:
la previdenza complementare nasce come sistema regolamentare autonomo e strutturato all'inizio degli anni Novanta (articolo 2, comma 1, lettera v), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 e decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124), in corrispondenza di una revisione complessiva dell'ordinamento pensionistico obbligatorio culminata nella legge n. 335 del 1995. L'obiettivo è quello di introdurre un secondo livello di tutela previdenziale che funga da strumento di compensazione per le riduzioni dei trattamenti pensionistici obbligatori e che concorra a soddisfare gli obiettivi di adeguatezza pensionistica (articolo 38 della Costituzione), ovvero a garantire ai lavoratori più elevati livelli di copertura;
la normativa sui fondi pensione poi è stata riformata dalla legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) e dal decreto legislativo di attuazione 5 dicembre 2005, n. 252, (entrato in vigore il 1o gennaio 2007), con l'intento di aumentare il tasso di adesione dei lavoratori alle forme complementari e i flussi di finanziamento dei fondi pensione. La previdenza di secondo livello interessa tutte le forme di lavoro, autonomo, subordinato, professionale, ma è stata progressivamente estesa anche a soggetti che si trovano al di fuori del perimetro costituito dalle varie tipologie di lavoro;
i fondi pensione vanno oggi considerati anche alla luce delle altre forme di previdenza contrattuale, introdotte nell'ordinamento dalla legislazione più recente, quale ad esempio la legge n. 92 del 2012, che all'articolo 3 disciplina nuovi sistemi di ammortizzazione sociale di fonte contrattuale collettiva;
a livello di normativa europea due sono i principali interventi regolatori in materia e cioè la direttiva n. 49 del 1998 e la direttiva n. 41 del 2003 (cosiddetta direttiva sugli Epap – Enti pensionistici aziendali o professionali), quest'ultima recepita con l'introduzione di apposite disposizioni all'interno del decreto legislativo n. 252 del 2005;
la prima regolamentazione organica della previdenza complementare è stata realizzata con la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, (articolo 2, comma 1, lettera v)) e il decreto legislativo attuativo 21 aprile 1993, n. 124;
tale regolamentazione, come detto, è stata sottoposta a revisione nel 2004-2005 con la legge delega 23 agosto 2004, n. 243, (articolo 1, commi 1, lettera c) e 2, lettera e) e seguenti) alla quale si è dato attuazione con il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (entrato in vigore il 1o gennaio 2007) sul presupposto di una più efficace messa a punto della strumentazione necessaria, anche a livello di flussi di finanziamento, per assicurare l'effettività della diffusione del secondo pilastro previdenziale;
secondo la relazione annuale della Covip del 2013 (dati 2012), tale obiettivo è ancora lontano: alla fine del 2012 le forme pensionistiche complementari contavano su 5,8 milioni di iscritti con un tasso di adesioni, rispetto al totale dei lavoratori occupati (pubblici, privati e autonomi), pari a 25,5 per cento. È solo leggermente più alto il tasso di adesione per il lavoro dipendente privato: supera il 30 per cento se si tiene conto dei soli dipendenti occupati, mentre si riscende sotto tale soglia (circa 27 per cento) se si tiene anche conto dei dipendenti disoccupati (pari all'incirca a 3 milioni);
sul fronte dell'impianto normativo si ritiene poi che talune scelte «tecniche» aumentino le remore dei lavoratori a dare la propria adesione ai fondi pensione. In tal senso, si è posto l'interrogativo se l'attuale situazione di irreversibilità del conferimento del trattamento di fine rapporto – forse discordante con le premesse di un sistema fondato sulla libertà di adesione – non abbia finito per fungere da deterrente per le conseguenze drastiche e definitive che determina;
infatti, subito dopo la riforma del 2005 e alla luce dei dati deludenti sulla conseguente destinazione esplicita o tacita del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare, si è quindi ragionato in ordine all'opportunità di prevedere, a certe condizioni, il «diritto di ripensamento» del lavoratore (senza arrivare ad alcun «approdo» normativo);
va comunque sempre tenuto in considerazione come la previdenza complementare trovi il suo fondamento nell'articolo 38, comma 2, della Costituzione: ciò significa che essa condivide l'obiettivo di garantire l'adeguatezza delle prestazioni pensionistiche;
la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere a assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica, in una prospettiva costituzionale di adeguatezza del reddito pensionistico;
occorre certamente una revisione dei meccanismi di adesione alla previdenza complementare. In merito, risulta necessario tenere in considerazione la limitata entità dell'attuale tasso di adesione, a fronte dell'ampia platea di potenziali contribuenti. Ciò è indice della scarsa propensione del lavoratore medio alla ricerca di forme di risparmio in funzione della garanzia di adeguati trattamenti di quiescenza, nonostante gli effetti prodotti dalle recenti riforme previdenziali;
l'adozione di soluzioni complementari ed integrative della previdenza obbligatoria è attenuata dalla sussistenza di una forte diffidenza nel contribuente medio derivante anche dalla presupposta ed avvertita scarsa tutela, dalla necessaria ed insoddisfatta esigenza di garantire la sorte contributiva e una sufficiente remunerazione del risparmio, oltre che dall'inadeguata convenienza fiscale;
in tale situazione il ventilato ricorso ad un sistema di adesione obbligatoria cagionerebbe un'ulteriore e fisiologica forma di chiusura, acuendo nel contempo la resistenza dei potenziali contribuenti e il contrasto sociale. Una soluzione praticabile è riconducibile alla commistione tra il mantenimento del sistema dell'adesione volontaria, la predisposizione di adeguate agevolazioni fiscali con la previsione di ampi margini di deducibilità e la realizzazione di un solido sistema di garanzie;
in tale ottica – ed in considerazione della perseguita finalità di rendere conveniente per i contribuenti l'adesione ai fondi – appare sì praticabile l'attuazione dell'armonizzazione del trattamento fiscale ma non certamente alcuna soluzione riferibile a forme di adesione obbligatoria che risulterebbe invece del tutto improduttiva;
certamente fruttuoso sarebbe invece provvedere, tra le altre cose, alla realizzazione di un accorpamento delle casse previdenziali;
risulta, infatti, improcrastinabile un intervento di riorganizzazione del sistema delle casse – non circoscritto alla sola forma dell'accorpamento – con la necessaria esigenza di mantenere distinte le evidenze contabili riferibili alle singole casse private o privatizzate;
tale intervento, oltre a consentire l'eliminazione o riduzione delle diseconomie esistenti, renderebbe più agevole l'attuazione dei prescritti controlli di gestione e contabili;
la stessa predisposizione e ridefinizione del sistema di governance – oltre a realizzare evidenti ed immediati risparmi – attuerebbe una lineare e meno variegata azione amministrativa e gestionale, con conseguenti e auspicabili benefici sulla valorizzazione del patrimonio e sulla deflazione del contenzioso;
nel caso di fondi pensione negoziali, la gestione dei singoli fondi è demandata a un consiglio di amministrazione paritetico al 50 per cento designato dagli imprenditori e al 50 per cento dai lavoratori. La percentuale designata dai lavoratori viene nella maggioranza dei casi eletta con liste prestabilite dalle organizzazioni cosiddette «associate» – di fatto Cgil-Cisl-Uil di categoria – e quindi nel consiglio di amministrazione entrano quasi esclusivamente i rappresentanti dei tre sindacati sopra citati;
quello che si vuole sottolineare è che dette organizzazioni sindacali stipulanti gli accordi istitutivi di ciascun fondo poggiano la loro rappresentanza su quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare un'iniqua posizione di rendita e di vantaggio, non suffragata da alcuna raccolta di firme con cui si devono invece misurare altre organizzazioni sindacali o associazioni di lavoratori;
tale discriminazione, oltre alle difficoltà tecniche richieste alle liste che si vogliono presentare ex novo o che vogliono rinnovare la loro presenza ma non facenti parti dell'accordo costitutivo del fondo, fa sì che nei fatti siano ben pochi i delegati eletti fuori dell'ambito Cgil, Cisl e Uil, fuori della già citata «corsia privilegiata»;
a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo questo alimenta un senso di sfiducia del lavoratore (contribuente del fondo) ed elettore verso un'istituzione che presenta delle asimmetrie così forti nella propria rappresentanza e potenziali opacità nella gestione del fondo stesso, a causa del fatto che i propri rappresentanti non sono direttamente responsabili di fronte ai lavoratori ma sono «mediati» da un'organizzazione che decide i nominativi nelle liste;
una maggiore iniezione di democrazia partecipata, con posizione paritetica di tutte le liste e con formazione di liste provenienti dal basso ed autonomamente formate, contribuirebbe non poco ad aumentare la platea dei lavoratori aderenti;
l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 252 del 2005 disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato di cui ai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509, e 10 febbraio 1996, n. 104, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale;
l'azione del Governo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non può che essere improntata al perseguimento della tutela degli interessi degli iscritti alle forme di previdenza che deve risultare primario,

impegna il Governo:

a garantire la massima trasparenza della gestione dei risparmi dei lavoratori, ponendo in essere ogni iniziativa utile a garantire, con ampia certezza, il rendimento e la sicurezza del diritto alla pensione da parte del fondo pensione;
a valutare l'adeguatezza dei fondi pensione e la loro aderenza alle previsioni di cui all'articolo 38 della Costituzione, posto che la previdenza complementare, dunque, per espressa indicazione normativa (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 252 del 2005) deve concorrere ad assicurare ai lavoratori «più elevati livelli di copertura previdenziale», anche in funzione della corrispondente contrazione dei livelli di copertura della previdenza pubblica;
ad assumere iniziative per rivedere l'attuale sistema del silenzio assenso nel conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione;
a promuovere iniziative normative volte ad avviare serie campagne di informazione sui diritti dei lavoratori e sui modi di impiego del proprio trattamento di fine rapporto;
a promuovere l'accorpamento delle casse degli ordini professionali al fine di realizzare economie di gestione e modalità di impiego delle risorse più efficienti, fatta salva la separazione delle gestioni relative agli specifici ordini professionali;
ad assumere iniziative per superare l'attuale sistema di elezione dei rappresentanti dei lavoratori in seno al fondo negoziale (assemblea dei delegati e/o consiglio d'amministrazione) al fine di eliminare meccanismi elettivi che possano penalizzare l'eterogeneità delle rappresentanze;
a prevedere un metodo elettivo dei rappresentanti dei lavoratori unico ed omogeneo a livello nazionale, valido per ogni fondo ed in ogni azienda;
ad assumere iniziative per definire lo status giuridico delle casse degli ordini professionali o enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 104 del 1996, richiamando il carattere pubblicistico di tali enti già previsto nell'articolo 2 di quest'ultimo decreto;
ad assumere iniziative per prevedere audit annuali sui bilanci di tutti i fondi pensione e gli enti previdenziali pubblici e privatizzati, eseguiti da un collegio valutatore indipendente internazionale, al fine di stabilire in quale misura i criteri di investimento prefissati siano stati soddisfatti o meno in relazione alla preservazione del patrimonio, al «rendimento target» e alla sostenibilità dell'erogazione pensionistica.
(1-00650) «Ciprini, Baldassarre, Lombardi, Tripiedi, Rizzetto, Chimienti, Bechis, Rostellato, Cominardi, Currò».