• C. 2660-A-quater EPUB COMINARDI Claudio, Relatore di minoranza

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Atto a cui si riferisce:
C.2660 [Legge Delega - Jobs Act] Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro


Frontespizio Relazione
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2660-A-quater


DISEGNO DI LEGGE
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
nella seduta pomeridiana dell'8 ottobre 2014 (v. stampato Senato n. 1428)
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
e dal ministro del lavoro e delle politiche sociali
(POLETTI)
Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 9 ottobre 2014
(Relatore di minoranza: COMINARDI)

      

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Onorevoli Colleghi! – Con il disegno di legge in esame, viene sostanzialmente «promessa» la modifica di una vastissima mole di istituti ma, nella maggior parte dei casi, non sussistono elementi idonei ad analizzare quali possano essere i reali interventi che saranno oggetto dei decreti attuativi. Un provvedimento che quindi appare oscuro e difficilmente intellegibile. Nello specifico suscita comunque perplessità l'intento di mettere mano a vari principi cardine dell'ordinamento giuslavoristico senza specificarne le modalità. Certamente non è chiaro come si intenderà procedere in tema di revisione della disciplina delle mansioni nei casi di riorganizzazione aziendale, ma certamente tutto lascia presagire che diverranno più semplici i demansionamenti.
      Quanto al «contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio» la norma prevista nel comma 7 è ora meno generica di quella contenuta nel testo trasmesso nel Senato. La minore genericità rende ancora più chiaro che con il nuovo contratto si aprono le porte ai «licenziamenti facili», cancellando di fatto gran parte delle tutele previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per i nuovi assunti, quindi, anche il rapporto di lavoro a tempo indeterminato diventa in questo modo precario, con l'esclusione della reintegrazione nel posto di lavoro nei casi di licenziamenti illegittimi di carattere economico e per buona parte dei licenziamenti ingiustificati di carattere disciplinare.
      Viene poi messa mano alla revisione della disciplina dei controlli a distanza peraltro in modo molto ambiguo. In buona sostanza si dovrebbe pervenire al controllo del lavoratore tramite la videosorveglianza modificando un principio cardine dello Statuto dei lavoratori. Preoccupazione suscita altresì la altrettanto annunciata e ambigua riforma degli ammortizzatori sociali che appare timida a fronte della ferma richiesta dell'istituzione del reddito di cittadinanza che proviene dal MoVimento 5 Stelle.
      Come detto, sotto il profilo generale si rileva una sostanziale indeterminatezza dei principi e dei criteri direttivi di delega legislativa recati dal testo, oltre che una notevole vaghezza degli ambiti oggettivi della delega medesima, determinando – nei fatti – una violazione dell'articolo 76 della Costituzione. Parimenti lesa, sotto il profilo generale, appare la ripartizione di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni. Tali problematiche di ordine generale sono particolarmente gravi con riferimento a specifici commi del disegno di legge approvato dalla Commissione referente.
      In base all'articolo 76 della Costituzione «l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti». Si tratta di vincoli che intendono porre limiti elastici ma sostanziali e imprescindibili all'esercizio della funzione legislativa da parte del Governo, tanto più laddove sia il Governo stesso ad auto-attribuirsi le deleghe mediante la presentazione di disegni di legge di iniziativa governativa.
      L'assai consistente – sotto il profilo qualitativo e quantitativo – trasferimento del potere legislativo dal Parlamento al Governo, già da troppo tempo aggravato dalla proliferazione del ricorso alla decretazione d'urgenza, si sostanzia nel conferimento di deleghe generiche, che non rispettano i criteri puntuali di cui all'articolo 76 della Costituzione. Esso finisce col determinare uno svuotamento del potere normativo spettante al Parlamento, sebbene formalmente sia il Parlamento stesso a trasferirne la potestà. Il fenomeno si verifica anche, come nel caso di specie, mediante la presentazione di significativi emendamenti di iniziativa governativa attraverso i quali l'Esecutivo si conferisce, con formulazioni estremamente stringate – e quindi suscettibili di interpretazioni del tutto discrezionali estensive – ampie deleghe in ambiti assai delicati, sui quali spesso il Parlamento già lavora da tempo. Un caso analogo e preoccupante, in quanto riguarda la materia della corruzione, è rinvenibile nel disegno di legge delega, anch'esso di iniziativa governativa, riguardante la riorganizzazione della pubblica amministrazione, attualmente in discussione in Senato.
      Il conferimento delle deleghe previsto dal provvedimento viene accompagnato dalla «minaccia» mediatica, neppur troppo larvata, di ricorrere allo strumento della decretazione d'urgenza se il testo voluto dal Governo non fosse sollecitamente approvato dalle Camere entro termini temporali rigidi e prefissati dal Governo stesso. In tal modo l'erosione della funzione legislativa parlamentare si realizza nel Parlamento mediante la determinazione generica di principi e criteri direttivi e l'indicazione vaga dell'oggetto delle deleghe, rimettendo così al Governo stesso, che dovrebbe essere fedele esecutore della legge approvata dalle Camere, il compito essenziale di dare contenuto e limiti alla delega legislativa nei tempi e nei modi che riterrà di adottare. Ciò in quanto il mero potere consultivo delle Camere sui decreti legislativi delegati non ha modo di esplicarsi adeguatamente in presenza di deleghe ampie e generiche. Solo a distanza di anni, a danno legislativo compiuto, potrebbe la Corte costituzionale rilevare l'eccesso di delega, come nel caso della recente sentenza sulla normativa sanzionatoria in materia di stupefacenti. Appare pertanto irrinunciabile un attento esame delle disposizioni che ci si accinge ad adottare, tanto più in presenza di materie delicate che riguardano la vita di milioni di persone, garantendo l'efficacia e la correttezza qualitativa e procedurale delle disposizioni legislative. Solo il puntuale rispetto del modello costituzionale può evitare i rischi insiti nei tanti punti critici nell'evoluzione del sistema delle fonti, in direzione di uno sbilanciamento dei poteri verso il Governo.
      Con il disegno di legge in esame il Governo chiede al Parlamento di conferirgli la funzione legislativa in un numero rilevante di ambiti, tutti di portata e rilevanza estreme.
      I commi 1 e 2, infatti, recano una delega al Governo in materia di ammortizzatori sociali, i commi 3 e 4 una delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive con ben 23 specificazioni riferite all'ambito in cui esercitare tale funzione delegata – con evidente confusione tra principi e criteri direttivi – i commi 5 e 6 una delega al Governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti, il comma 7 una delega al Governo in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, delle forme contrattuali e dell'attività ispettiva, i commi 8 e 9 una delega al Governo per la tutela e la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Tutte queste deleghe dovrebbero essere esercitate dal Governo entro sei mesi dall'approvazione della legge in esame; a tale ampio margine temporale si aggiungerebbero i dodici mesi che il Governo stesso si riserva per l'approvazione di disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse.
      Le scadenze temporali in questione – in sostanza almeno un anno e mezzo dalla legge delega – sarebbero di per sé tali da inficiare la pretesa del Governo di intervenire subito con decreto-legge ove le Camere non si affrettassero a conferire rapidamente all'Esecutivo la funzione legislativa su un tale ampio ventaglio di questioni, sostanzialmente privandosi per tutto il periodo predetto della possibilità di intervenire efficacemente su tempi rimessi all'azione del Governo.
      Alla luce di quanto esposto, assai rilevanti si configurano le criticità di ordine costituzionale recate soprattutto dal comma 7, sia con riferimento all'indeterminatezza della delega conferita al Governo, che all'effetto lesivo che essa, se interpretata – rectius esercitata – estensivamente, potrebbe arrecare a numerosi diritti oggetto di tutela costituzionale.
      Va preliminarmente rilevato, infatti, che la Carta costituzionale – laddove parla, significativamente nell'ambito dei principi supremi, di una Repubblica «fondata sul lavoro» – va ben oltre un mero assunto simbolico nel porre, concretamente, il lavoro quale fondamento della dignità e della libertà della persona. Da tale base derivano tutti gli altri articoli che direttamente o indirettamente riguardano la tutela del lavoro e del lavoratore.
      Le modifiche apportate al comma 7, lettera c), in particolare laddove si fa riferimento alla previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, ben possono configurare una lesione dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione, in base al quale la Repubblica deve rimuovere «gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economia e sociale del paese». Si configura altresì una lesione dell'articolo 4, in base al quale «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo tale diritto», nonché dell'articolo 35, ai sensi del quale «la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni».
      In virtù dell'ampiezza dell'oggetto e della genericità dei principi e criteri direttivi della lettera c) del comma 7 dell'articolo 1, che ammette la possibilità di un livello minore di tutela per i neo assunti, unitamente alla «flessibilizzazione» del termine di esercizio derivante dalla ulteriore delega correttiva recata dai commi 10 e 11, può derivare una violazione, per i soggetti interessati dal progetto di modifica, delle tutele, degli articoli 36 e 37 (in materia retributiva), 38 (tutela previdenziale e sicurezza sociale), 39 e 40 (contratto collettivo e diritti sindacali) della Costituzione. Pertanto la disposizione in oggetto è suscettibile, sia nella discrezionalità della delega conferita, sia nella sua applicazione concreta una volta eventualmente approvata, di porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione) e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (articolo 24 della Costituzione), rischiando di privare taluni lavoratori di strumenti di tutela attualmente riconosciuti.
      Anche nel corso dei lavori di Commissione, il testo ha subito modifiche che tendono evidentemente, sebbene in modo surrettizio, allo stravolgimento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, lasciando concretamente i lavoratori del tutto scoperti in tema di reintegra sul posto di lavoro a seguito di licenziamento. Su questo punto non si ravvede quale sia l'esigenza reale del Governo che ritiene di dover ampliare le prospettive occupazionali partendo dallo scomporre e disarticolare le tutele dei lavoratori.
      Il comma 7, lettera e), che interviene sulla disciplina delle mansioni, in assenza, nei criteri di delega, di garanzie di invarianza retributiva, rischia di affievolire, notevolmente, le disposizioni di cui all'articolo 36, primo comma della Costituzione, secondo cui «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
      In relazione, inoltre, al comma 7, lettera f), riferito alla disciplina dei controlli a distanza, pare assai preoccupante una sua «revisione», preso atto che le norme contenute nello Statuto dei lavoratori già perseguono l'obiettivo di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore e, a tal fine, introducono una serie di limiti all'esercizio del potere direttivo, del potere disciplinare e, dunque, anche del potere di controllo del datore di lavoro, senza mutare la struttura formale di tali poteri e con essa il relativo assetto normativo, così come delineato dal codice civile (articoli 2086- 2106). La disposizione va letta in relazione alla successiva lettera l), laddove si parla di una «razionalizzazione e semplificazione dell'attività ispettiva».
      Già in sede consultiva erano stati sollevati rilievi in ordine ad altre disposizioni recate dal disegno di legge. In particolare, ai commi 3 e 4, si rileva che la materia «servizi e politiche attive per il lavoro» è riconducibile alla competenza legislativa generale delle Regioni, ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione. La legge statale può considerarsi legittima in quanto la disciplina possa essere riconducibile alla materia «tutela del lavoro», attribuita, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma della Costituzione, alla legislazione concorrente e si limiti, pertanto, alla previsione di norme generali e di principio.
      In riferimento al medesimo comma 4, si segnala che alla lettera a), non appaiono chiari i contenuti del criterio direttivo ivi previsto, soprattutto in riferimento all'espressione «caratteristiche osservabili». Alla lettera c) del medesimo comma la norma di delega, nell'istituire l'Agenzia nazionale per l'occupazione, con la partecipazione di Stato, Regioni e Province autonome, ne prevede il funzionamento mediante una clausola di invarianza di spesa, in tal modo indirettamente vincolando le risorse proprie delle Regioni, in violazione dell'autonomia finanziaria e organizzativa ad esse riconosciuta, ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione. Alla lettera e), risulta evidente una mancanza di coordinamento tra il criterio direttivo ivi previsto e quello di cui alla lettera u), sempre con riferimento alle competenze in materia di politiche attive del lavoro. Peraltro, il criterio di razionalizzazione di enti e uffici, volto ad assicurare l'invarianza di spesa, agisce in modo diretto sull'organizzazione amministrativa delle Regioni, così incidendo sull'autonomia a esse riconosciuta in materia. Il generico sistema di razionalizzazione degli uffici, così come definito dalle norme di delega, può altresì determinare soppressioni e riorganizzazioni di amministrazioni o uffici regionali, con l'effetto di incidere direttamente sulle posizioni lavorative del personale degli uffici medesimi.
      Ai commi 8 e 9, i criteri direttivi non indicano con chiarezza le ulteriori categorie di donne lavoratrici a cui si fa riferimento. Con riferimento alla lettera b) del comma 9, in violazione del principio di uguaglianza, il principio di automaticità ivi previsto, in relazione al diritto alla prestazione assistenziale, non prevede un'estensione anche ai casi in cui spetti l'indennità di paternità al lavoratore parasubordinato.
      Si constata, dunque, la violazione degli articoli 1, 24, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 76, 117 e 119 della Costituzione repubblicana e si esprime pertanto la assoluta contrarietà al contenuto del provvedimento.

Claudio COMINARDI,
Relatore di minoranza.