• Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

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Atto a cui si riferisce:
C.4/06981 la coltivazione della canapa ad uso industriale, come noto, sta tornando nuovamente ad interessare il mondo economico e produttivo del nostro paese ed in particolare il mondo agricolo; ...



Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-06981presentato daZANIN Giorgiotesto diVenerdì 21 novembre 2014, seduta n. 336

ZANIN, TERROSI, PRINA, TARICCO, ROMANINI e COVA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali . — Per sapere – premesso che:
la coltivazione della canapa ad uso industriale, come noto, sta tornando nuovamente ad interessare il mondo economico e produttivo del nostro paese ed in particolare il mondo agricolo;
in tutto il Paese si stanno muovendo investitori italiani e stranieri per valutare le capacità produttive delle campagne e si sta cercando di comprendere come reimpiantare una filiera fortemente penalizzata dallo storico abbandono della coltura, con conseguente deindustrializzazione del processo di trasformazione della canapa, a motivo dell'errato convincimento di molti che la pianta di canapa industriale sia uguale alla pianta di canapa utilizzata per fini illeciti;
le cultivar di canapa ammesse ed utilizzate nell'ambito dell'Unione europea devono avere un livello di principio attivo (THC), pari o inferiore allo 0,2 per cento. Considerando che il livello di thc per ottenere un effetto psicotropo deve essere almeno del 4 per cento, siamo ben al di sotto di un livello di prudenziale sicurezza. I capisaldi della normativa vigente in materia sia a livello internazionale, comunitario e nazionale sono:
la legge 5 giugno 1974, n. 412 di ratifica ed esecuzione della convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1972 (Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 settembre 1974) che all'articolo 28 comma 2 stabilisce che: «La presente convenzione non verrà applicata alla coltivazione della pianta di cannabis fatta a scopi esclusivamente industriali (fibre e semi) o di orticoltura, si stabilisce una chiara e netta distinzione tra piante da droga e non da droga»;
il TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che nell'allegato I elenca alla lettera a) i prodotti agricoli cui si applicano le disposizioni del medesimo Trattato, tra cui la canapa greggia, macerata, stigliata, pettinata o altrimenti preparata, ma non filata;
il medesimo allegato I del Trattato, alla lettera b), elenca i prodotti alimentari definendo i medesimi come «i prodotti di cui all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002»;
più specificamente, l'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 definisce alimento (o prodotto alimentare, o derrata alimentare) qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Dunque non solo la pianta da industria non può essere considerata nel novero delle sostanze stupefacenti, ma è considerata a buon titolo un prodotto agricolo, essendo per altro iscritte le varietà di canapa ammesse alla coltivazione negli appositi registri della comunità europea, ma anche un prodotto di cui si possa prevedere ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani, quindi un prodotto alimentare;
sul piano nazionale anche l'articolo 26 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (testo unico Stupefacenti) così come recentemente modificato dalla legge di conversione n. 79/2014, all'ultimo comma stabilisce l'illiceità della coltivazione di cannabis «ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'articolo 27, consentiti dalla normativa dell'Unione europea»;
dal combinato disposto della normativa internazionale e comunitaria sin qui citata, si evince chiaramente che la canapa ad uso industriale da un lato non è una sostanza stupefacente, dall'altro è destinata alla produzione non solo di fibre ma anche di prodotti agricoli ed alimentari;
è dunque fondamentale definire che cosa si possa intendere per prodotti che ragionevolmente possono essere ingeriti. Al riguardo, per ottenere una chiave interpretativa valida a livello giuridico, non si può che rinviare ai numerosi studi medico-scientifici che nel corso degli anni sono stati condotti sugli effetti dei prodotti a base di canapa destinati all'alimentazione umana;
in particolare, per restare sul piano nazionale, l'Istituto superiore di sanità ha emanato in data 16 luglio 2008 il parere prot. 66527/CNQARA/All. 22 in risposta al foglio n. 18652-P del 12 dicembre 2007 in cui veniva affrontato proprio il tema della presenza del thc negli alimenti a base di canapa. Tale parere contiene riferimenti a vari studi condotti in materia da altri Paesi per ritenere che «da un punto di vista strettamente farmacologico i valori trovati non sono ritenuti idonei a provocare effetti stupefacenti e/o psicotropi»;
sulla scorta dei consumi giornalieri forniti dall'EFSA rielaborati con i dati dell'INRAN (Concise european food consumption database in exposure assesment) del marzo 2008, l'Istituto aveva anche elaborato delle indicazioni circa i limiti massimi di thc per i singoli alimenti a base di canapa;
stando inoltre alla definizione contenuta nel decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 50 che modifica l'articolo n. 70 della legge 309 del 1990 è difficile anche poter considerare la pianta di canapa un precursore di droghe:

«Art. 70 – (Precursori di droghe). – 1. Ai fini del presente articolo si intende per:
a) sostanze suscettibili di impiego per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, di seguito denominate «sostanze classificate o precursori di droghe»: tutte le sostanze individuate e classificate nelle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al regolamento (CE) n. 273 del 2004 e dell'allegato al regolamento (CE) n. 111 del 2005, compresi miscele e prodotti naturali contenenti tali sostanze. Sono esclusi medicinali, preparati farmaceutici, miscele, prodotti naturali e altri preparati contenenti sostanze classificate, composti in modo tale da non poter essere facilmente utilizzati o estratti con mezzi di facile applicazione o economici»;
pertanto, stante i limiti quantitativi di THC contenuto nelle piante di canapa industriale, perché dall'estrazione del principio attivo si possa produrre un effetto intossicante per l'uomo sarebbe necessario procurarsi un'elevatissima quantità di materiale vegetale, difficilmente reperibile sul mercato, sottoporre la stessa ad un trattamento industriale che renderebbe antieconomico e assolutamente non percorribile il fine illecito per tramite della canapa industriale;
la problematica principale che gli operatori del settore si trovano ad affrontare è rappresentata dall'assenza di una legislazione nazionale specifica in materia di canapa industriale che determini con certezza i limiti entro cui è possibile operare, evitando così le differenze applicative che si verificano nella prassi abituale quantomeno a livello di controlli;
questa situazione di vuoto normativo determina un'ingiustificata ed ingiustificabile disparità di trattamento non solo di fatto tra gli agricoltori di zone diverse dell'Italia ma anche, e soprattutto, tra gli operatori italiani rispetto alle realtà presenti in altri Paesi dell'Unione europea che, al contrario, godendo da tempo di una disciplina certa ed incentivante, hanno già realizzato ed affermato modelli produttivi industriali. Le conseguenze sono evidenti: non potendo far affidamento sulla presenza di precisi limiti legislativi, le imprese italiane operanti nel settore non sono poste in condizione di essere competitive sul mercato non solo nazionale ma anche internazionale al pari di quelle presenti all'interno dell'Unione europea;
questo è il periodo in cui si decidono i piani di coltivazione e rotazione colturale per l'anno a venire, ovvero si stabilisce la produzione agricola e, di conseguenza, la possibilità o meno di far partire una filiera ed un indotto agroindustriale; che, in sostanza, è questo il momento in cui vengono effettuate le prenotazioni dei semi da coltivare, allocando importanti risorse aziendali e pianificando l'impegno economico e produttivo per l'anno a venire;
vengono inoltre venduti in Italia da operatori italiani (principalmente attraverso il mercato elettronico) prodotti a base di canapa contenenti innocue tracce di THC, come ad esempio the e tisane ed altri preparati alimentari, la cui produzione avviene in paesi (Germania e Repubblica Ceca tra tutti) che hanno stabilito per legge dei limiti di THC negli alimenti. Questo non può che urtare detrimento alla capacità produttiva e competitiva sul mercato europeo di aziende agricole e commerciali italiane, che hanno i mezzi produttivi per primeggiare in termini qualitativi e quantitativi su un mercato in forte espansione ma che sono di fatto bloccate da una totale mancanza di chiarezza e di raccordo tra le varie norme;
dallo sviluppo della filiera produttiva della canapa si potrebbero generare positive conseguenze dal punto di vista occupazionale, dal momento che numerose preparazioni alimentari prevedono l'utilizzo di manodopera, determinando un ingresso nel mercato del lavoro per periodi anche più lunghi rispetto alla stagionalità dei raccolti. Inoltre si potrebbe rendere necessario utilizzare, o attrezzare laboratori di trasformazione alimentare ad hoc, determinando un impulso al commercio dei prodotti ma anche rivitalizzando l'indotto del comparto delle forniture per laboratorio alimentare, o determinando l'occupazione di nuove figure professionali dedicate;
in realtà i limiti di THC negli alimenti risultano già determinati dall'Istituto superiore di sanità sin dal 2008 (allegato 1), ma che poi sono inspiegabilmente rimasti «lettera morta» in quanto non riportati neppure nella circolare del Ministero della salute del 22 maggio 2009 avente ad oggetto soltanto i prodotti a base di semi di canapa, senza alcune menzione a quelli a base di infiorescenza;
sono in corso di esame in XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati alcune proposte di legge che affrontano i temi fin qui esposti, ma che, a causa del protrarsi degli iter procedimentali, rischieranno di vedere la luce quando le decisioni aziendali saranno già prese, causando quindi un ritardo nell'ingresso sul mercato di prodotti agroalimentari a base di canapa industriale di produzione e qualità italiane, causando un ulteriore danno all'economia agricola italiana per la mancata possibilità di competere sui mercati europei –:
se non si ritenga assolutamente urgente – entro fine anno 2014 – stabilire con chiarezza il limite massimo di THC presente negli alimenti prodotti con derivati della canapa industriale, prendendo come spunto i suggerimenti dell'Istituto superiore di sanità;
se non si ravveda l'opportunità di adottare un'apposita, chiara e precisa iniziativa normativa, che riconosca che tutti i prodotti derivati dalla canapa industriale, senza distinzione tra prodotti a base di semi o a base di infiorescenze, non sono da considerarsi stupefacenti, in quanto benché contenenti tracce di THC il quantitativo di principio attivo negli stessi presente non è di misura tale da provocare effetti stupefacenti e/o psicotropi, come peraltro già affermato da anni dagli stessi ISS e Ministero della salute, consentendo, di conseguenza, l'immissione sul mercato di prodotti derivanti da canapa industriale certificata e tracciata diversi dalla fibra o dal seme. (4-06981)