• Testo RISOLUZIONE CONCLUSIVA

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Atto a cui si riferisce:
C.8/00088 Risoluzione conclusiva 8-00088presentato daZANIN Giorgiotesto diGiovedì 27 novembre 2014 in Commissione XIII (Agricoltura) Risoluzioni 7-00450 Zanin, 7-00500 Caon, 7-00521...



Atto Camera

Risoluzione conclusiva 8-00088presentato daZANIN Giorgiotesto diGiovedì 27 novembre 2014 in Commissione XIII (Agricoltura)

Risoluzioni 7-00450 Zanin, 7-00500 Caon, 7-00521 Gagnarli e 7-00527 Franco Bordo: Sul processo di revisione della direttiva n. 91/676/CEE, in materia di inquinamento da nitrati.

RISOLUZIONE UNITARIA APPROVATA DALLA COMMISSIONE

La XIII Commissione,
premesso che:
l'inquinamento da nitrati delle acque è stato favorito anche dal ricorso a pratiche agricole intensive che si è tradotto in un maggiore utilizzo di concimi chimici e in una maggiore concentrazione di bestiame su distese di entità più ridotta;
il liquame e il letame nella maggioranza dei casi viene utilizzato dalle aziende quale concime. Tale materiale derivante dall'attività produttiva del mondo agricolo, quindi, presenta una natura complessa: è qualificabile sì come rifiuto, ma al contempo risulta essere un fertilizzante estremamente utile per l'agricoltura poiché contribuisce a mantenere livelli ottimali di sostanza organica del suolo e a diminuire l'utilizzo di concimi chimici;
la direttiva nitrati n. 91/676/CEE si colloca nell'ambito del progetto di risanamento globale dell'acqua di falda. Pertanto si pone l'obiettivo di proteggere la qualità delle acque dell'Unione europea nell'ottica del rispetto del territorio, ovvero di impedire che i nitrati di origine agricola inquinino le acque sotterranee e di superficie attraverso il ricorso alle buone pratiche agricole;
la direttiva dispone in capo agli Stati membri diversi obblighi: individuare le acque di superficie e sotterranee inquinate e quelle che potrebbero essere inquinate; designare come zone vulnerabili tutte le zone note del loro territorio che scaricano nelle acque di superficie e sotterranee interessate; fissare codici di buona pratica agricola, applicabili a discrezione degli agricoltori; elaborare programmi d'azione con obbligo di attuazione da parte di tutti gli agricoltori che operano nelle zone vulnerabili; in Italia, il recepimento della direttiva è stato attuato tramite il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, a cui ha fatto seguito il decreto ministeriale 7 aprile 2006, recante criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e degli altri fertilizzanti;
l'allegato 7/A-III alla parte terza del decreto legislativo 152 del 2006 ha già individuato, in prima battuta, le aree vulnerabili da nitrati di origine agricola, mentre le regioni, ai sensi dell'articolo 92, comma 2, del Decreto legislativo 152 del 2006, hanno potuto individuare ulteriori zone vulnerabili, da aggiornare ogni 4 anni. Nelle zone individuate, come prescrive il testo unico ambientale, dovrebbero essere attuati i programmi di azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall'inquinamento da nitrati di origine agricola, redatti dalle regioni, nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 19 aprile, 1999, anch'esso soggetto ad integrazione da parte delle regioni. Ad oggi, risulta che 18 regioni avrebbero individuato le suddette zone che corrisponderebbero ad oltre il 50 per cento della SAU, con punte dell'80 per cento della SAU della regione Lombardia. Nonostante ciò, nessuna misura risulta sia stata applicata per la riduzione dell'apporto dei nitrati e per la salvaguardia delle acque;
dal 2005 le misure previste dalla «direttiva nitrati» costituiscono parte integrante di uno dei criteri di gestione obbligatori, CGO, della «condizionalità», principio secondo il quale le aziende agricole possono beneficiare degli aiuti comunitari derivanti dalla politica agricola comune, PAC, a condizione appunto che rispettino una serie di impegni come: la corretta gestione agronomica dei terreni, la salvaguardia dell'ambiente, la sanità pubblica, la salute degli animali e delle piante e il benessere degli animali;
gli impegni da osservare si suddividono in:
a) criteri di gestione obbligatori, indicati come «Atti» (sono disposizioni che derivano dall'applicazione di direttive o regolamenti comunitari);
b) buone condizioni agronomiche e ambientali, BCAA, indicate come «Norme» (sono regole stabilite a livello nazionale per garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Unione Europea in materia di mantenimento della sostanza organica del suolo, di difesa dall'erosione e il mantenimento degli ecosistemi);
con la riforma della politica agricola comune il rispetto delle norme obbligatorie derivanti dall'applicazione della «direttiva nitrati», rientrando nel quadro della misure della «condizionalità», è un'importante strumento a disposizione delle regioni per sostenere gli agricoltori, nel rispetto dei nuovi obblighi derivanti dall'applicazione della «direttiva nitrati» e, con i programmi di sviluppo rurale, si definiscono le linee operative di intervento che le regioni intendono attuare sul proprio territorio a sostegno di un sistema agricolo sostenibile, competitivo e multifunzionale;
la relazione della Commissione COM(2013)683 final evidenzia che la qualità generale dei programmi di azione è migliorata: le misure sono diventate più rigide, le metodologie di fertilizzazione sono migliorate e l'applicabilità è stata rafforzata. Anche la consapevolezza degli obblighi derivanti dalla direttiva sta migliorando. Permangono, tuttavia, diversi problemi, soprattutto legati alla limitazione dell'applicazione al terreno di fertilizzanti e alle misure relative alla capacità e alla costruzione dei depositi per gli effluenti di allevamento. Lo stoccaggio degli effluenti, infatti, costituisce un importante onere finanziario per gli agricoltori, che però è compensato dal minor utilizzo di fertilizzanti minerali (il che comporta anche una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra), grazie alla maggiore efficienza dell'azoto negli effluenti di allevamento e alle migliori condizioni di lavoro per gli agricoltori;
in alcuni Stati membri, evidenzia inoltre la relazione della Commissione, desta preoccupazione la mancanza di informazioni circa l'efficacia dei programmi di azione nel prevenire e ridurre l'inquinamento delle acque provocato dai nitrati. Il miglioramento sarebbe in questi casi ostacolato da diversi fattori, non solo correlati all'inadeguatezza di alcune misure dei programmi di azione, ma anche alla loro applicazione a territori troppo piccoli o frammentati, come nel caso dell'Italia, in cui i programmi sono adottati dalle singole regioni;
la relazione della Commissione COM(2013)683 final evidenzia, infine, che la direttiva sui nitrati sta contribuendo a ridurre le emissioni di ossido di azoto e ammoniaca, grazie ad una migliore gestione degli effluenti di allevamento ed all'ottimizzazione dell'utilizzo dei fertilizzanti in base al fabbisogno delle colture, il decreto ministeriale 7 aprile 2006 prevede il divieto di spandimento degli effluenti zootecnici, delle acque reflue, dei concimi azotati e degli ammendamenti organici dal 1o novembre fino alla fine di febbraio;
in particolare l'articolo 26 del suddetto decreto prevede i periodi minimi del divieto di spandimento, ovvero «a) 90 giorni per i concimi azotati e gli ammendanti organici di cui alla legge 748 del 1984, per i letami e i materiali ad essi assimilati ad eccezione delle deiezioni degli avicunicoli essiccate con processo rapido a tenori di sostanza secca superiori al 65 per cento per le quali vale il periodo di divieto di 120 giorni. Per le aziende esistenti il divieto di 120 giorni si applica a decorrere dalla data di adeguamento dei contenitori di cui all'articolo 24, comma 2; b) per liquami e materiali ad essi assimilati e per le acque reflue, fatta salva la disposizione di cui al comma 5, il divieto ha la durata di: 90 giorni nei terreni con prati, cereali autunno-vernini, colture ortive, arboree con inerbimento permanente; 120 giorni nei terreni destinati ad altre colture»;
poiché tale previsione comporta enormi difficoltà per gli imprenditori agricoli in merito allo stoccaggio di letame e liquame, va certamente valutata con favore l'opportunità di spezzare il periodo di fermo di 3-4 mesi in almeno due periodi all'anno, quando la capacità di assorbimento dell'azoto risulta ridotta se non azzerata, ovvero:
a) in tarda estate, per la ridotta attività vegetativa in prossimità della fine del ciclo culturale;
b) in pieno inverno, a causa delle basse temperature e quindi del rallentamento o arresto dell'attività vegetativa;
I due periodi di fermo di cui alle lettere a) e b) saranno opportunamente differenziati per fasce altimetriche e latitudine (Nord, Centro e meridione), in ragione delle diverse condizioni agro-meteo-climatologiche.
tale prospettazione permetterebbe un'agevolazione nello stoccaggio dei liquami e conseguentemente l'armonizzazione della loro gestione con l'attività produttiva anche in presenza di prolungati periodi piovosi in materia di limiti massimi di spandimento annuo di azoto di origine zootecnica, l'articolo 10 del decreto ministeriale 7 aprile 2006, in applicazione della direttiva n. 91/676/CEE, dispone che «nelle zone non vulnerabili da nitrati la quantità di azoto totale al campo apportato da effluenti di allevamento non deve superare il valore di 340 chilogrammi per ettaro e per anno, inteso come quantitativo medio aziendale». Per quanto attiene, invece, alle cosiddette zone vulnerabili (ovvero quelle aree in cui i test sull'acqua di falda riscontrano una percentuale di nitrati molto elevata), il limite medio annuo è di 170 chilogrammi;
la direttiva «nitrati» prevede la possibilità di derogare, con decisione della Commissione, previo parere del comitato «nitrati», alla norma sull'applicazione di effluenti di allevamento contenenti un massimo di 170 chilogrammi d'azoto per ettaro all'anno, purché non sia compromesso il raggiungimento degli obiettivi della direttiva e la deroga sia giustificata da criteri obiettivi (stagioni di crescita prolungate, colture con grado elevato di assorbimento di azoto, grado elevato di precipitazioni nette o terreni ad alta capacita di denitrificazione, e altro);
tale richiesta deve essere supportata da circostanziate informazioni agro-zootecniche e ambientali derivanti dai dati di monitoraggio pregressi e attuali, che dimostrino come l'elevazione dei quantitativi di azoto (in genere fino a 250 chilogrammi per ettari/anno) non compromettano lo stato qualitativo delle acque sotterranee e superficiali la concessione della deroga consente alle aziende agricole che vi accedono di distribuire quantitativi maggiori di 170 chilogrammi per ettari/anno di azoto da effluenti sulla totalità o parte dei propri terreni. Per poter avvalersi della deroga, ciascuna azienda deve dimostrare di attuare i riparti colturali, le pratiche agronomiche e le prescrizioni strutturali richieste e garantire, di concerto con la Regione, un adeguato piano di monitoraggio dei quantitativi di azoto nei suoli aziendali soggetti a deroga;
con la decisione di esecuzione della Commissione 2011/721/UE (Gazzetta ufficiale legge 287 del 4 novembre 2011), all'Italia e stata accordata la deroga per le regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto, applicabile fino al 31 dicembre 2015. La concessione della deroga in questione ha alzato la soglia al limite di 250 chilogrammi d'azoto per ettaro all'anno nelle aree vulnerabili delle regioni considerate, imponendo però criteri assai rigidi finalizzati all'assorbimento dei nitrati da parte dei terreni come l'adozione di macchinari atti alla separazione del materiale solido da quello liquido, coltivazione di varietà a lungo ciclo vegetativo e la realizzazione di doppi raccolti;
come è ovvio, gli standard di gestione imposti agli agricoltori che beneficiano delle deroghe devono essere più elevati rispetto a quelli dei programmi di azione, con ulteriori obblighi per quanto concerne la pianificazione dei nutrienti e ulteriori vincoli per quel che riguarda la gestione dei terreni. Per questo la Commissione è orientata a continuare ad adottare queste misure adeguate ad assicurare la qualità dei programmi, soprattutto in sede di concessione di nuove deroghe o di proroga di deroghe vigenti, anche tenendo conto delle tendenze nella qualità delle acque le regioni e le province autonome a tutt'oggi, non hanno proceduto all'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola;
in realtà, sulla base di ricerche condotte dalla regione Lombardia con l'università di Milano, la sovrapposizione della mappa delle zone vulnerabili con quella dei punti di superamento della concentrazione dei nitrati rivela che ci sono intere zone designate che non presentano alcun superamento della soglia dei 50 mg/l, necessaria a giustificare la designazione come vulnerabile dell'area. Altre aree mostrano, invece, un diffuso superamento della soglia dei 50 mg/l, ma non risulta che rivesta un ruolo realmente significativo il carico zootecnico, quanto, invece, la pressione delle acque reflue urbane in relazione alle criticità depurative o delle acque reflue di origine industriale;
ciò nonostante, la perimetrazione delle aree vulnerabili copre ampie aree del nord Italia, mettendo in enorme difficoltà le attività di allevamento, pur in presenza di una concentrazione urbana ed antropica che ha certamente effetti importanti e decisivi sulla qualità delle acque superficiali e sotterranee, tenuto anche conto come l'Italia sia stata condannata per avere omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire il rispetto delle prescrizioni comunitarie riguardo agli scarichi civili ed industriali (sentenza della Corte di Giustizia, 10 aprile 2014 – causa C-85/13 Commissione europea/Italia);
nell'area padana, ma non solo, le aziende agricole non sono in condizione di rientrare in tempi brevissimi neppure nei parametri di deroga (e tantomeno nei parametri delle aree vulnerabili), in quanto mancano letteralmente superfici agricole in quantità sufficiente a sostenere il carico zootecnico, che peraltro non potrebbe essere distribuito in misura sostanziale nelle altre aree del Paese in corso da alcuni anni, ma in particolare dal maggio 2014, la revisione del suddetto decreto ministeriale riguardo una significativa modifica del fermo invernale, che prevede una apertura al digestato equiparabile, elaborata dalle regioni e condivisa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, sottoposta ora al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
nell'accordo Stato-regioni del 2011 sopra citato, oltre a prevedere i criteri di ridefinizione delle aree cosiddette vulnerabili, è stato assegnato all'Ispra il monitoraggio completo del territorio italiano al fine di accertare le fonti di inquinamento da nitrati;
la norma assegnava alle regioni ed alle province autonome il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (termine scaduto il 18 marzo 2013), prevedendo che, in caso di inerzia degli enti competenti, il Governo dovesse esercitare il potere sostitutivo entro un anno dalla data di entrata in vigore della medesima legge di conversione (termine scaduto il 18 dicembre 2013). La decorrenza infruttuosa dei termini lascia irrisolto il problema della necessaria rivisitazione delle zone vulnerabili e dei relativi criteri di individuazione, con conseguenze onerosissime sulle imprese agricole che operano all'interno dei territori designate;
l'ISPRA, in attuazione dell'Accordo, ha avviato gli studi e, a febbraio 2014, ha prodotto i primi risultati. Obiettivo del lavoro è stato quello di predispone un quadro sinottico complessivo, per cinque regioni indagate (Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), della potenziale pericolosità sino alla scala comunale, a cui sono esposte le acque sotterranee in ragione delle pressioni esercitate sul suolo dal territorio e da alcune attività antropiche;
da un recente rapporto illustrato ai Ministri dell'agricoltura e dell'ambiente, nonché alle regioni del nord Italia, relativamente alle responsabilità che ha l'agricoltura di inquinare le falde acquifere con i nitrati di origine zootecnica, vi è da parte dell'ente la constatazione che «...l'impatto interessa non più del 10 per cento delle superfici, tranne in Piemonte dove il tasso sale al 19 per cento...». Secondo l'ISPRA, dunque, «... non può essere attribuita prevalentemente al settore zootecnico la responsabilità del processo di contaminazione da nitrati alle sorgenti...». Lo studio suggerisce la possibilità, attraverso i Piani di azione, di un riequilibrio pur nel rispetto di tali limiti tra gli apporti di diverse sorgenti Le mappe attuali delle zone a rischio ambientale risalgono al 2006 mentre fino al prossimo anno gli allevamenti, che ne faranno richiesta potranno usufruire della deroga;
occorre una interpretazione aggiornata dell'applicazione della deroga al limite di 170 chili di azoto per ettaro all'anno, che consideri l'evoluzione intervenuta nei sistemi di gestione e trattamenti dell'effluente di allevamento nel corso del quasi quarto di secolo che ormai contraddistingue la vita della direttiva stessa;
sarebbe opportuno prendere atto che sono oggi disponibili processi di trattamento dell'effluente di allevamento (esempio digestione anaerobica più separazione spinta) che lo rendono nella pratica agronomica equiparabile ai fertilizzanti di sintesi. Serve, in particolare, considerare che le tecniche di gestione che vengono messe in atto per rendere possibile la sostituzione del concime chimico con l'effluente trattato, risultano anche ampiamente migliorative del complessivo impatto ambientale sia per quanto riguarda le acque, ma soprattutto per quanto riguarda le emissioni in atmosfera;
andrebbe in particolare recepito il fatto che le minori perdite riguardino l'ambiente nel suo complesso, quindi anche l'aria, non ricompresa nelle dirette previsioni della direttiva (che si preoccupa solo della qualità delle acque) quindi, va superata l'impostazione monotematica della direttiva, con una interpretazione che inquadri il tema dei «nitrati» nella complessiva gestione dell'azoto anche nei confronti delle emissioni in atmosfera (ammoniaca);
il processo di trattamento tramite digestione anaerobica, ad esempio, abbinato a una gestione conservativa ed efficiente del prodotto che ne deriva (c.d. digestato) rende possibile nel suo complesso una gestione sensibilmente meno impattante rispetto ad una applicazione secondo i dettami classici della direttiva (distribuzione di minore quantità di azoto ma in maniera che ne consente una più efficiente utilizzazione da parte delle colture);
sempre in tema di «zone cosiddette vulnerabili», in sede di conversione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, all'articolo 36 è stato inserito il comma 7-ter finalizzato alla soluzione delle problematiche emerse sul territorio in materia di nitrati; la disposizione in questione prevede che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (18 marzo 2013), le regioni e le province autonome in conformità all'accordo Stato-regioni del 2011, dovevano procedere all'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, anche sulla base dei criteri contenuti nel medesimo accordo. In caso di inerzia il Governo doveva esercitare il potere sostitutivo secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (18 dicembre 2013). Entrambi i termini sono decorsi infruttuosamente; il 5 agosto il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, unitamente col Ministro dell'Ambiente, i rappresentati delle regioni e delle organizzazioni di categoria, hanno partecipato al tavolo tecnico in merito all'attuazione della «direttiva nitrati». Nell'incontro è stata esaminata l'ultima versione del decreto interministeriale, «Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue, nonché per la produzione e l'utilizzazione agronomica del digestato». Il decreto si sofferma su alcuni punti di rilevante importanza quali: la suddivisione del digestato in agro-zootecnico e agroindustriale; le condizioni per la sua assimilazione ai fertilizzanti di origine chimica; l'uso delle produzioni agricole dedicate da immettere negli impianti di digestione anaerobica; la possibilità di utilizzare metodi alternativi al limite di spandimento di 340 kg per ettaro di azoto nelle zone vulnerabili;
dai risultati presentati al tavolo dei nitrati del 28 maggio 2014, è emerso che la sorgente d'inquinamento non risulta essere l'agricoltura in quanto il territorio italiano è prevalentemente soggetto alla presenza di sorgenti multiple e quindi non esclusivamente agricole. In particolare, lo studio ha dimostrato che nelle cinque regioni sotto esame (Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) l'impatto dei nitrati di natura zootecnica interessa non più del 10 per cento delle superfici, tranne in Piemonte dove tale tasso sale al 19 per cento;
alla conclusione del «tavolo dei nitrati», nel comunicato stampa emesso dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il Ministro Martina ha dichiarato: «Condividiamo con il Ministro Galletti l'obiettivo di chiudere la partita sia sul fronte digestato che su quello effluenti entro il 30 giugno. Lavoreremo insieme, infatti, per adottare entro quella data, di intesa con la Conferenza Stato-regioni, un decreto che affronti entrambe le questioni relative al problema nitrati. Il nostro impegno è quello di aprire un tavolo anche a Bruxelles per ridiscutere l'intero impianto sulla normativa comunitaria»;
la ricerca nel campo propone sempre diverse e più efficaci tecnologie per la gestione degli effluenti di allevamento e per il miglioramento dell'efficienza della gestione delle componenti azotate nelle aziende agricole;
ultimamente alcune tecnologie avanzate utilizzano specifici prodotti nelle lettiere per neutralizzare i nitrati e arrivano ad abbattere anche del 50 per cento le componenti azotate degli effluenti con significative riduzioni dei costi di gestione delle aziende;
sarebbe auspicabile l'introduzione di una caratterizzazione degli effluenti trattati che, in presenza di efficienze gestionali elevate superiori all'80 per cento e di percentuali di azoto ammoniacale rilevanti superiori, ad esempio, a percentuali del 70 per cento, di fatto equiparabili per gli effetti all'uso di concime minerale, consenta di non limitare l'impiego di effluente entro il limite di 170 chilogrammi di azoto per ettaro all'anno, introducendo la previsione del rispetto del bilancio dell'azoto in relazione all'asportazione delle colture. La caratterizzazione va accompagnata da comportamenti virtuosi nella gestione dell'effluente trattato (superiori agli attuali standard imposti dalla direttiva) che garantiscono minori perdite nelle acque (sotterranee e superficiali), diminuiscono le probabilità di eutrofizzazione e, soprattutto, tengono contemporaneamente in considerazione anche la prevenzione degli impatti sulle emissioni in atmosfera (ammoniaca e gas climalteranti);
nella sostanza, quindi, il settore agricolo, ancora oggi, paga un prezzo pesantissimo in termini di limitazioni e costi produttivi;
anche sotto il profilo della discriminazione della concorrenza, appare configurarsi una possibile disparità di trattamento nell'ammissione del fertilizzante chimico rispetto a un diversa più penalizzante considerazione dell'effluente trattato che abbia caratteristiche equiparabili (esempio contenuto di azoto nella stessa forma minerale);
le possibili soluzioni alla problematica degli eccessi di nutrienti sul territorio incidono anche per gli aspetti economici sull'economia dell'azienda;
occorre promuovere tecniche innovative per l'abbattimento dei nitrati provenienti dalla gestione degli effluenti di allevamento, allo scopo di prevenire i rischi di inquinamento del territorio e delle falde derivanti dall'attività agraria, con costi sostenibili per le aziende;
il decreto interministeriale è stato trasmesso alla Conferenza Stato-regioni per l'espressione dell'intesa che dovrebbe esserci nella seduta del 27 novembre 2014, stante la situazione sopra delineata, quindi, le aziende agricole italiane subiscono le onerose conseguenze derivanti dalle limitazioni in materia di concentrazione di nitrati che mettono in forte difficoltà la loro attività di allevamento,

impegna il Governo:

a promuovere e sostenere, anche nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, il processo di revisione della «direttiva Nitrati» n. 91/676/CEE sulla base dei dati scientifici oggi disponibili e dei monitoraggi effettuati puntualmente negli ultimi dieci anni, distinguendo i limiti in funzione delle macro regioni agricole europee in ragione anche dei fattori climatici e favorendo lo stoccaggio in armonizzazione con la gestione dell'attività produttiva;
ad assicurare rapidamente, tramite lo studio ISPRA, una chiara analisi delle fonti di inquinamento da nitrati, distinguendo la responsabilità del sistema agricolo rispetto a quelle dei sistemi civili ed industriali e per conseguenza a provvedere ad una revisione delle modalità di calcolo degli apporti di azoto di derivazione agricola, definendo le riduzioni percentuali da applicare in caso di accertata concorrenza di altri fattori inquinanti;
ad assumere ogni iniziativa di competenza per la tempestiva revisione delle aree vulnerabili basata su dati scientifici aggiornati, promuovendo una modifica normativa in modo da inserire, tra i criteri di riferimento per la perimetrazione delle zone vulnerabili, l'obbligo di valutazione, da parte delle regioni, delle concorrenti fonti di inquinamento;
ad esercitare, esclusivamente nelle materie di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, previa acquisizione dei risultati delle analisi dell'ISPRA, il potere sostitutivo, secondo quanto previsto dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003 n. 131, nei riguardi delle regioni e delle province autonome che non hanno provveduto all'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, anche sulla base dei criteri contenuti nell'accordo Stato-regioni del 2011, posto che in data 18 dicembre 2013 ne sono già decorsi i termini inutilmente, ed a rendere edotti le competenti Commissioni parlamentari circa le misure effettivamente adottate dalle regioni e dalle province autonome, allo scopo di tutelare e risanare le acque dall'inquinamento da nitrati di origine agricola ed extra-agricola;
ad individuare ed attuare efficaci strumenti per garantire la proporzionalità e l'adeguatezza delle misure di contenimento dell'apporto di nitrati applicate al settore agricolo;
ad assumere un'iniziativa normativa, in modo da inserire, tra i criteri di riferimento per la perimetrazione delle zone vulnerabili, l'obbligo di valutazione, da parte delle regioni, delle concorrenti fonti di pressione;
a modificare il decreto ministeriale 7 aprile 2006 nella parte in cui dispone un unico periodo per il divieto di spandimento degli effluenti zootecnici, delle acque reflue, dei concimi azotati e degli ammendamenti organici, prevedendo la possibilità di stabilire la suddivisione di tale termine in due fasi annuali opportunamente differenziate per fasce altimetriche e di latitudine, in ragione delle diverse condizioni agro-meteo-climatologiche;
a sostenere una mediazione con la Commissione europea per il superamento del regime delle deroghe individuali per la definizione di una deroga a validità generale per gli allevatori che presentano ed attuano un Piano di Utilizzazione Agronomica che dimostri di adottare le buone pratiche per innalzare l'efficienza dell'azoto e di somministrare quantitativi di azoto efficiente commisurati al fabbisogno delle colture. A tali allevatori dovrà essere consentito di andare oltre i 170 kg di azoto/ha.
(8-00088) «Zanin, Caon, Gagnarli, Franco Bordo, Sani, L'Abbate, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Carra, Cenni, Cova, Covello, Dal Moro, Fiorio, Gallinella, Guidesi, Lupo, Marrocu, Mongiello, Palma, Parentela, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zaccagnini».