• Testo RISOLUZIONE IN COMMISSIONE

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Atto a cui si riferisce:
C.7/00574 premesso che: secondo i dati resi pubblici, nel mese di novembre 2014, dal quinto Osservatorio Intesa-Sanpaolo Mediocredito Italiano sulle reti d'impresa, risultano registrati presso le...



Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00574presentato daTARANTO Luigitesto diLunedì 19 gennaio 2015, seduta n. 365

La X Commissione,
premesso che:
secondo i dati resi pubblici, nel mese di novembre 2014, dal quinto Osservatorio Intesa-Sanpaolo Mediocredito Italiano sulle reti d'impresa, risultano registrati presso le camere di commercio, al 1o ottobre 2014, 1770 contratti di rete, cui aderiscono 9129 imprese, di cui 1226 – pari al 13,4 per cento del totale inserite all'interno di 173 reti con soggettività giuridica;
il suddetto Osservatorio segnala, altresì, «una progressiva accelerazione» del fenomeno reti: se, nel 2011, risultavano mediamente entrate in rete 326 imprese in ciascun trimestre, il dato medio trimestrale del 2014 risulta invece pari, nei primi nove mesi dell'anno, a 793 imprese;
circa il 45 per cento delle imprese italiane in rete si trova in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, mentre l'Abruzzo – con lo 0,46 per cento delle imprese regionali in rete – risulta la regione più attiva, fermo restando che il dato medio italiano di imprese in rete non va, comunque, oltre lo 0,18 per cento;
risultano elevati il grado di multi-territorialità delle reti – solo in 7 regioni la quota di reti monoregionali supera il 50 per cento – ed il loro grado di differenziazione produttiva e dimensionale: il 55,5 per cento delle reti è formato da imprese di diversi macrosettori ed il 28,4 per cento delle reti è, invece, costituito da imprese dello stesso macrosettore, ma operanti in diversi comparti produttivi; nel 60 per cento dei contratti di rete, sono altresì presenti micro-imprese insieme ad imprese di una diversa classe dimensionale;
a livello settoriale, il 44,5 per cento delle imprese rientra nell'area dei servizi (anzitutto, servizi professionali e turismo), il 29,5 per cento si colloca in ambito industriale, il 16 per cento nell'ambito delle costruzioni e dell'immobiliare e, infine, 885 imprese rientrano nel macrosettore dell'industria agro-alimentare;
le imprese manifatturiere in rete «presentano molto spesso – prosegue l'analisi del già richiamato Osservatorio – un miglior posizionamento competitivo rispetto alle imprese non coinvolte in contratti di rete», emergendo, infatti, «una probabilità più elevata di far parte di reti per le imprese con certificati di qualità, certificati ambientali, brevetti in portafoglio, attività di export e marchi registrati a livello internazionale», nonché la circostanza che «più le imprese sono grandi e più è probabile che facciano parte di reti di impresa. La probabilità di entrare in rete è poi più elevata per le imprese che fanno parte di gruppi economici. Al contrario, appartenere a multinazionali estere sembra avere un impatto negativo sulla probabilità di far parte di reti di impresa. Far parte di un gruppo internazionale, pertanto, consente di per sé di superare le criticità strategiche legate alle dimensioni aziendali»;
quanto alle performance economico-reddituali, «le statistiche descrittive – annota l'Osservatorio – offrono segnali ancora molto deboli: nel biennio 2012-2013 le imprese che erano già in rete nel 2011 hanno mostrato un calo del fatturato solo di poco inferiore a quello delle imprese non in rete (-3,6 per cento vs. – 4,9 per cento)», mentre «in termini di EBITDA margin hanno guadagnato 2 decimi di punto percentuale (salendo al 7,9 per cento nel 2013 dal 7,7 per cento nel 2011) rispetto ai 2 decimi persi dalle altre imprese (da 7,8 per cento a 7,6 per cento)», sicché occorrerà attendere «i bilanci del 2014 per ampliare il campione di analisi e trarre valutazioni più solide sugli effetti dei contratti di rete sulle performance economico-reddituali delle imprese»;
nello studio su «Le reti di imprese» – pubblicato, nel febbraio 2013, nella serie «Questioni di economia e finanza (Occasional Papers)» della Banca d'Italia – Chiara Bentivogli, Fabio Quintiliani e Daniele Sabbatini osservano come il contratto di rete – di cui al più volte modificato articolo 3 del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 9 aprile 2009, n. 33. – consenta di procedere all'adozione di un programma comune con finalità di accrescimento della competitività o della capacità innovativa, formalizzando «schemi di coordinamento altamente differenziati quanto alla propria funzione e all'intensità del vincolo», ma senza che alle diverse funzioni perseguibili da parte del contratto di rete corrispondano «modelli tipici di regolazione della rete sotto il profilo dell'organizzazione, della responsabilità e degli aspetti patrimoniali. Tali profili devono essere definiti dalle parti, nel contratto e nel programma di rete ad esso allegato nel rispetto dei principi generali che il legislatore delinea»;
sempre nel suddetto studio, si osserva come gli incentivi fiscali per la promozione dell'utilizzo del contratto di rete, di cui all'articolo 42 del decreto-legge del 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, consistenti in un regime di sospensione d'imposta sugli utili d'esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati al fondo patrimoniale per gli investimenti definiti in sede di programma di rete, potrebbero avere risentito, in termini di efficacia, «di un quadro composito in cui sussistono, soprattutto a livello regionale, una pluralità di schemi di incentivo delle reti» e della destinazione «a tutti i contratti di rete asseverati senza differenziare in base alle caratteristiche dei progetti e delle reti»;
lo studio indica, altresì, le aree critiche passibili di miglioramento: «a) l'impossibilità di partecipazione al contratto di soggetti istituzionali, come ad esempio le università, su cui invece la disciplina sui consorzi è più permissiva; b) l'ampia indeterminatezza della regolazione legislativa, che se da un lato garantisce flessibilità, dall'altro aumenta i costi di transazione degli operatori per valutare la serietà e l'adeguatezza dell'assetto regolamentare concretamente prescelto dalle parti, problema solo in parte compensato dalla previsione di un'asseverazione delle associazioni di categoria. Benefici deriverebbero da un'attività di standardizzazione non vincolante»;
ne conseguirebbe, dunque, l'utilità «di orientare l'autonomia privata verso modelli regolamentari efficienti senza comprometterne la necessaria flessibilità», ricorrendo alla messa a punto «di contratti tipo o di standard contrattuali che contengano una disciplina degli aspetti organizzativi e patrimoniali coerenti con le finalità di volta in volta perseguite. Al fine di ridurre i costi transattivi per le imprese un ruolo specifico nella standardizzazione potrebbe essere svolto dalle associazioni di categoria»;
al riguardo, merita ancora di essere segnalata «la rilevanza della tipizzazione delle reti come fattore di riduzione dei costi di analisi per le banche, prodotti dall'eccessiva indeterminatezza e possibilità di differenziazione del contratto di rete»;
le conclusioni dello studio del febbraio 2014 su «Le Regioni a favore delle reti d'impresa» – frutto della collaborazione tra RetImpresa-Confindustria e la Conferenza delle regioni e delle province autonome, supportate da Gruppo Impresa – confermano il ruolo del contratto di rete quale strumento utile «a risolvere l'eccessiva frammentazione del nostro sistema produttivo» e a concorrere alla crescita di competitività ed innovazione delle imprese;
il suddetto studio osserva, anzitutto, che «nel corso del quadriennio 2010-2013 sono state finanziate ben 490 richieste di agevolazione presentate da aggregazioni di imprese costituite tramite contratto di rete. Ciò significa che circa il 40 per cento dei contratti di rete ad oggi stipulati risulta beneficiario di contributi regionali per un valore complessivo di 92 milioni di euro»;
all'importo dei contributi regionali «vanno aggiunti i fondi nazionali destinati prevalentemente al regime di sospensione di imposta vigente per il periodo di imposta 2010-2012 per gli utili destinati alla realizzazione degli investimenti del programma di rete, nonché i fondi messi a disposizione dal sistema camerale per agevolare la costituzione e l'avvio del programma di rete»;
comunque, «una parte rilevante delle reti non ha fruito di contributi pubblici» e «quindi, il fenomeno dei contratti di rete, pur essendo sostenuto dagli aiuti pubblici, trova la sua ragione di esistenza altrove, ossia nella necessità delle imprese di attuare forme di collaborazione stabili che consentano di accrescerne il livello di competitività preservando nel contempo l'assetto proprietario e la peculiarità delle imprese coinvolte»;
risulta, ancora, «che i provvedimenti regionali destinati alle aggregazioni sotto forma di contratto di rete, e in generale ai partenariati di imprese, sono più utilizzati per promuovere obiettivi di ricerca e sviluppo rispetto all'insieme complessivo degli interventi regionali» e che «circa il 20 per cento degli interventi includono tra gli indirizzi programmatici il sostegno alle imprese sui mercati internazionali»;
ne deriva che «i contratti di rete dovrebbero pertanto essere utilizzati dal policy maker, non tanto o non solo come strumento per consentire una crescita dimensionale delle imprese, ma piuttosto come strumento privilegiato per attuare politiche industriali finalizzate all'innovazione e all'internazionalizzazione o ad altri obiettivi specifici che consentano di incrementare il livello di competitività delle piccole e medie imprese. Dal punto di vista della politica industriale la sfida vera e più interessante è di far diventare le reti un vero e proprio mainstream, un «filo rosso» che attraversa tutte le policy per le imprese»;
quanto all'analisi dei provvedimenti regionali, si osserva che «la premialità più ricorrente è rappresentata dal numero delle imprese aderenti all'aggregazione...», ma, al riguardo, così annota lo studio: «Non si condivide del tutto questa impostazione. L'elevato numero delle imprese aderenti ad un'aggregazione può essere un parametro valido per stabilire la validità del progetto comune ma può essere anche foriero di criticità collegate alla governance del progetto»;
piuttosto, «si dovrebbero prevedere delle premialità per gli imprenditori che decidono di aggregarsi non solo per il tempo necessario a realizzare il progetto agevolato ma per perseguire nel medio lungo termine degli obiettivi strategici» e, inoltre, i bandi dovrebbero ancora annoverare «una riserva di fondi o delle premialità per le domande presentate da più imprese aggregate su base contrattuale, come peraltro previsto dallo Statuto delle imprese»;
la ricerca su «Le Regioni a favore delle reti d'impresa» formula, pertanto, le seguenti proposte conclusive: «maggior coordinamento tra lo Stato e le Regioni per un'azione sinergica, senza la sovrapposizione di iniziative che complicano e confondono la realizzazione di progetti e programmi di sviluppo; inserire sistematicamente le reti d'impresa tra i beneficiari dei bandi regionali; rendere le procedure di attuazione ed erogazione dei finanziamenti per le reti più rapide e più semplici. Troppe volte i provvedimenti – come lo sblocco dei fondi o l'emanazione delle graduatorie finali – arrivano in ritardo rispetto alle esigenze delle imprese; introdurre un sistema premiante nella redazione delle graduatorie per sostenere lo sforzo degli imprenditori che lavorano in rete. Riconoscere un quid in più, una premialità, che valorizzi la crescita di competitività del tessuto imprenditoriale; superare l'esclusiva dimensione regionale degli interventi. Vengono infatti finanziate solo le imprese della rete che hanno sede nella Regione che emette il bando. Questo approccio, tuttavia, si scontra con la sovraregionalità di molte reti d'impresa che puntano sulle eccellenze provenienti da più territori; ipotizzare la costituzione di un Fondo Nazionale (o altro meccanismo interregionale) che integri il singolo finanziamento regionale allo scopo di supportare le imprese non beneficiarie, a causa della mancanza di sede nel territorio della Regione che emette il contributo. In tal caso le imprese non appartenenti alla Regione finanziatrice dovrebbero comunque rispettare gli altri requisiti di idoneità previsti dal bando»;
la relazione al Presidente del Consiglio, per l'anno 2014, del Garante per le micro, piccole e medie imprese segnala quali priorità sul versante delle aggregazioni di imprese: l'estensione del regime fiscale agevolato delle reti con un aumento del limite massimo di utili accantonabili a 2 milioni di euro; incentivi alle iniziative di reti per l'internazionalizzazione promosse da «un soggetto catalizzatore, ovvero guidate da imprese di medio-grande dimensione in grado di gestire gli elementi di complessità (finanziaria, logistico-distributiva, legale e di marketing) legati alla realizzazione del Programma di rete, che ad esempio nel caso dell’export si mostra sempre più orientato su filiere complesse e mercati distanti da quelli di tradizionale presidio delle nostre Micro PMI»; l'introduzione di «una fiscalità di vantaggio per le aggregazioni in reti o consorzi, con consumi energetici cumulati»;
le «Linee guida di un programma europeo/italiano per la ripresa della crescita e dell'occupazione» presentato, a giugno del 2014, dall'Associazione italiana politiche industriali – concludono indicando la necessità di «concordare a livello europeo due criteri guida: 1. Destinare parti cospicue dei fondi europei alla creazione di aggregazioni di imprese di entrambi i modelli aggregativi esistenti negli Stati membri e cioè Cluster e Reti contrattuali di stile italiano. Queste ultime, ovviamente, del tipo ente soggettivato, l'unico idoneo alla internazionalizzazione e alla gestione dei business lucrativi. Il primo tipo di aggregazione, finalizzato allo sviluppo della innovazione tecnologica, con effetti sulla occupazione più a lungo termine; il secondo come misura anticiclica e a effetti immediati per la competitività e l'occupazione. 2. Il vincolo qualificante per la promozione e il supporto finanziario deve essere la modifica della curva di distribuzione delle imprese per dimensione... Il vincolo, quindi, deve diventare il numero degli addetti e non il numero dei partner dell'aggregazione come purtroppo indicato nei bandi pubblici attuali»;
sempre le richiamate «Linee guida di un programma europeo/italiano per la ripresa della crescita e dell'occupazione» segnalano che «il successo del Piano sarebbe molto facilitato, forse determinato, dalla destinazione di incentivi fiscali e contributi per ogni singola Rete formata per valori stimolanti, come potrebbero essere nella misura di euro 500.000,00 per Rete. Il contributo potrebbe essere a fondo perduto o come prestito a tasso zero e in ogni caso il Piano potrebbe essere definito a costo zero o addirittura in utile, giacché l'incremento delle imposizioni sul VA creato compenserebbe ampiamente i costi in uscita...»,

impegna il Governo:

a valorizzare lo strumento dei contratti di rete – anche in sede di elaborazione dell’industrial compact del nostro Paese – nel contesto delle politiche indirizzate al supporto dei processi di innovazione ed internazionalizzazione del tessuto delle micro piccole e medie imprese e ciò con particolare riferimento alle opportunità di finanziamento di tali politiche nel ciclo di programmazione 2014-2020 dei fondi europei e nei programmi COSME e Horizon 2020;
a verificare costantemente l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 16, comma 1, lettera a) della legge 11 novembre 2011, n. 180 («Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese»), concernenti la garanzia dello Stato in ordine all'istituzione in favore delle micro, piccole e medie imprese e delle reti di imprese di «una riserva minima del 60 per cento per ciascuna delle misure di incentivazione di natura automatica o valutativa, di cui almeno il 25 per cento è destinato alle micro e piccole imprese»;
a valutare tempestivamente ogni intervento normativo e/o amministrativo utile a consentire la partecipazione ai contratti di rete di soggetti istituzionali quali le università o, comunque, ad agevolare la collaborazione tra reti, università ed enti pubblici di ricerca, nonché l'agibilità da parte delle reti delle normative di incentivazione dei processi di ricerca, sviluppo ed innovazione;
a promuovere la diffusione e il trasferimento delle esperienze delle reti green e dei cluster tecnologici intesi – ai sensi dell'avviso di cui al decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 30 maggio 2012 – «come aggregazioni organizzate di imprese, università, altre istituzioni pubbliche o private di ricerca, altri soggetti anche finanziari attivi nel campo dell'innovazione, articolate in più aggregazioni pubblico-private, ivi compresi i Distretti Tecnologici già esistenti, presenti su diversi ambiti territoriali, guidate da uno specifico organo di coordinamento e gestione, focalizzate su uno specifico ambito tecnologico e applicativo, idonee a contribuire alla competitività internazionale sia dei territori di riferimento sia del sistema economico nazionale»;
a stimolare processi di tipizzazione delle reti, mediante la diffusione di standard contrattuali, attraverso la definizione di opportuni criteri di premialità in materia di incentivazione, fondati, in particolare, sull'apprezzamento di aggregazioni di medio-lungo termine per il perseguimento di obiettivi strategici e sulla valutazione del numero di addetti coinvolti, condividendo una simile impostazione in sede di confronto, coordinamento ed intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, nonché – attraverso strutturate modalità di confronto e di collaborazione – con le associazioni imprenditoriali e con il sistema bancario;
alla verificare la possibilità della più tempestiva attuazione operativa delle segnalazioni del Garante per le micro piccole e medie imprese in materia di potenziamento del regime fiscale agevolato per le reti, di incentivi per le reti dedicate all'internazionalizzazione, di introduzione di una fiscalità di vantaggio per le reti con consumi energetici cumulati;
ancora in sede di confronto, coordinamento ed intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, a verificare la possibilità dell'istituzione di un fondo con finalità di integrazione di finanziamenti regionali, riservato ad imprese aderenti a contratti di rete multiregionali e che – pur presentando gli altri requisiti richiesti in sede di bandi – non abbiano però sede nei territori delle regioni di emissione di detti finanziamenti.
(7-00574) «Taranto, Benamati, Martella, Bargero, Bini, Cani, Ginefra, Minnucci, Montroni, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Simoni, Tidei».