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Atto a cui si riferisce:
C.1/00729 premesso che: il perdurare della crisi economica e finanziaria a livello globale ha imposto una nuova consapevolezza: i modelli di sviluppo che hanno prevalso sino ad oggi hanno...



Atto Camera

Mozione 1-00729presentato daGITTI Gregoriotesto diMercoledì 11 febbraio 2015, seduta n. 375

La Camera,
premesso che:
il perdurare della crisi economica e finanziaria a livello globale ha imposto una nuova consapevolezza: i modelli di sviluppo che hanno prevalso sino ad oggi hanno dimostrato i loro limiti. Lo dimostrano l'impoverimento generale, le diseguaglianze sociali, le conseguenti tensioni di ordine pubblico, l'incapacità degli Stati di far fronte ai nuovi bisogni, l'alto livello di inefficienza e corruzione pubblica. È necessario, pertanto, ripensare un modello di sviluppo complessivo, che non consideri più separati, ma interdipendenti, l'ambito sociale, economico e politico;
in altri Paesi, soprattutto in quelli anglosassoni come Gran Bretagna, Usa, Canada e Australia, già da diversi anni è stato elaborato e importato nelle scelte politiche ed economiche il concetto di innovazione sociale, intesa come la capacità di rispondere a bisogni emergenti con nuove forme di azione e relazione. Per quanto la definizione possa sembrare fumosa, indica la nuova logica con cui in quei Paesi sono state avviate politiche di sviluppo che segnano una netta discontinuità con il passato e dalle quali l'Italia può trarre esempio;
non si tratta di un esercizio teorico, ma di ricorrere a uno strumento concreto per progettare lo sviluppo di un intero Paese partendo da dati eloquenti che riguardano tutta l'Europa: crescita dei bisogni sociali; diminuzione progressiva delle risorse pubbliche; una grande liquidità privata (alla fine del terzo trimestre del 2013, gli attivi gestiti nel solo mercato dei capitali in Italia ammontavano a circa euro 2,89 trilioni, di cui oltre il 54 per cento, di investitori istituzionali e la restante parte di investitori retail); volatilità sempre maggiore dei rendimenti finanziari. Progettare innovazione sociale significa mettere insieme questi dati per capire dove e come intervenire, con quali priorità in nome di una crescita sostenibile;
il risultato si chiama Social Impact Investing, cioè politiche innovative per almeno due motivi. Innanzitutto, perché coinvolgono diversi attori, pubblici e privati: non più solo lo Stato, ma anche investitori privati, intermediari finanziari, organizzazioni no-profit. In secondo luogo, perché consentono di realizzare un doppio obiettivo: un forte impatto sociale e un guadagno economico, in tal modo convenendo al singolo investitore come all'intera comunità. Vi è ormai ampia evidenza, infatti, che la crescita sociale stimola la crescita dell'economia reale;
oggi i tempi sono maturi per questo tipo di approccio in quanto, nel tempo, è venuta sfumandosi la contrapposizione tra beneficenza e profitto: la scarsità di risorse pubbliche orientando una mentalità diversa, quella per cui fare filantropia facendo profitto è non solo possibile, ma anche conveniente;
lo dimostrano gli strumenti concreti che l'innovazione sociale ha consentito già di testare in Paesi come Gran Bretagna e Usa: gli investimenti ad impatto sociale (Social Impact Investing, in breve SII). Si tratta di un'ampia gamma di investimenti (loan based o equity based) basati sull'assunto che i capitali privati possano intenzionalmente contribuire a creare, anche in combinazione con i fondi pubblici, impatti sociali positivi e, al tempo stesso, rendimenti economici privati. Punti salienti degli SII sono: intenzionalità a produrre un impatto e quindi un cambiamento sociale; obiettivi misurabili; orientamento all’outcome (cambiamento percepito nell'intera comunità) anziché all’output (quantità delle prestazioni erogate); rendimento economico per gli investitori;
contrariamente a quanto si crede, i SII sono strumenti adatti non solo ai mercati emergenti ma anche a quelli maturi, in quanto riescono a coprire il gap tra domanda di welfare e inadeguatezza delle risorse pubbliche. Un gap pericoloso, che interessa i Paesi del G8: nei prossimi dieci anni, infatti, essi dovranno far fronte a un forte fabbisogno di spesa non coperta per il welfare. Gli investimenti a impatto sociale possono diventare l'ambito di raccordo tra il bisogno di servizi incomprimibili, l'inadeguatezza di risorse del pubblico, la ricerca di profitto degli investitori;
è evidente che si tratta di un salto in avanti notevole, molto oltre quello compiuto, in passato, con l'introduzione del concetto di responsabilità sociale e di investimenti basati sui criteri SRI e ESG (social responsible investing): questi, infatti, si affidano a sistemi di screening che escludono dall'investimento settori giudicati non socialmente responsabili, quali quello delle armi e del gioco di azzardo (SRI), oppure, con un gradino ancora più avanzato, quelli con impatti ambientali, sociali e di governance negativi o insufficienti (ESG). Gli SII, invece, rappresentano un ulteriore step perché costruiti specificamente con l'intenzione di ottenere un rendimento e un cambiamento sociale;
è significativo che la formula Impact Investing sia stato coniata, nel 2008, da JP Morgan e Rockfeller Foundation: la finanza oggi comincia ad avere interesse anche per il Social impact principalmente perché riguarda investimenti con alto tasso di decorrelazione (ad esempio, meno soggetti al cosiddetto rischio Paese) e quindi con rendimenti meno immediati e talora – ma non sempre – più bassi di quelli di mercato, ma comunque meno volatili;
gli SII non sono stati solo teorizzati e progettati, ma anche avviati e testati. Il primo Paese a utilizzarli è stato il Regno Unito, in cui, nel 2010, il Governo ha sviluppato il primo SIB (Social Impact Bond), seguito poi dagli Stati Uniti, in particolare dalla città di New York (2012). Qui, ad esempio, l'investitore principale è stato Goldman Sachs con capitale di debito di oltre nove milioni di dollari, mentre Bloomberg Philanthropies ha messo a disposizione oltre sette milioni di euro a fondo perduto da usare come fondo di garanzia a copertura parziale del prestito di Goldman Sachs;
non solo. L'attuale premier inglese – esponente di un governo conservatore – ha lavorato per ottenere in sede europea una deroga alla normativa sugli aiuti di Stato ai fini dello stanziamento di un finanziamento di 400 milioni di sterline, finalizzato alla capitalizzazione della Big Society Capital, una sorta di banca pensata per raccogliere risorse ed erogare servizi finanziari alle organizzazioni del settore sociale, la cui copertura finanziaria è stata assicurata dal prelievo dai conti dormienti presso banche e istituti di credito rimasti inattivi per almeno 15 anni;
i Social impact bond non sono l'unico strumento di investimento ad impatto sociale: ci sono anche i cosiddetti Pay-for-Success (di seguito anche «PfS»), in cui il rendimento finanziario dipende dalla riuscita del progetto. In ogni caso, alla base di questi strumenti vi è la necessità di affrontare un problema sociale con azioni preventive, difficili da realizzare per una pubblica amministrazione senza risorse, utilizzando il conseguente risparmio per le casse pubbliche come fondo di garanzia per gli investimenti privati;
il Governo inglese è talmente convinto della validità dei SII che, nel 2013, ha promosso la costituzione della Social Impact Investment Task Force established by the G8 con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo degli investimenti a impatto sociale e di armonizzarne la crescita nei Paesi G8. La task force è composta da Advisory Board (ADB) nazionali e da Working Group (di seguito anche «WG») tematici, che hanno interagito con l'OCSE per supportare la stesura di uno specifico Rapporto sul tema;
anche la Commissione europea ha cominciato a muovere i primi passi in questa direzione, istituendo una disciplina regolatoria e un sistema di certificazione e accreditamento per i fondi di Venture Capital sociali europei. Inoltre, la suddetta Commissione ha deciso di istituire un fondo, denominato European social investment and entrepreneurship fund (di seguito anche «ESIEF»), con una dotazione di 90 milioni di euro, che operi come fondo di fondi e consenta pertanto di capitalizzare, con l'intervento anche di investitori privati, più fondi in tutta Europa specializzati in SII;
nel silenzio generale anche l'Italia ha cominciato a occuparsi di social impact investing, entrando a far parte della Task Force promossa dal Governo inglese con un proprio Advisory Board. In modo marginale se ne occupano anche diverse fondazioni, non solo bancarie, mentre Fondazione Etica ne ha fatto la propria missione dal 2008, prima ancora di Human Foundation, nata nel 2013;
qualche passo lo hanno compiuto anche le banche, soprattutto nel comparto loan based: la banca che ha osato di più nel social è Ubi Banca, che ha emesso 54 Social Bond Comunità, per un controvalore di oltre 560 milioni di euro, i quali hanno consentito di erogare a titolo di liberalità oltre 2,8 milioni di euro e di stanziare plafond per finanziamenti pari a circa 19,5 milioni di euro. Riguardo, invece, al comparto dell’equity based, è da segnalare principalmente il caso di Oltre Venture Capital, che con il venture philantropy è riuscita a raccogliere oltre 7 milioni di euro da soggetti privati, totalmente investiti in 17 nuove imprese italiane (settore sanitario, microfinanza, housing sociale);
tuttavia, per quanto qualcosa si sia mosso anche in Italia, non si segnala ad oggi alcuna discontinuità nella programmazione delle politiche sociali nel nostro Paese, improntate ancora allo schema tradizionale secondo cui è lo Stato a provvedere integralmente alla copertura della spesa sociale, mentre gli investitori privati e gli imprenditori pensano a fare business, compensando, poi, con donazioni e altre forme di filantropia. Né può più essere considerata innovativa la delega, talora in bianco, che lo Stato affida da anni a soggetti privati no-profit per lo svolgimento di molti servizi, e questo per più motivi:
a) innanzitutto, perché lo Stato non ha più risorse sufficienti per garantire i servizi, a prescindere dal fatto che li svolga direttamente o delegandoli;
b) in secondo luogo, perché quello del no-profit è diventato nel tempo un universo senza confini certi, nel quale, accanto a organizzazioni serie e con esperienza, si sono mescolate altre improvvisate che di no-profit hanno solo il nome, trattandosi, nel migliore dei casi, di soggetti profit a tutti gli effetti e, nel peggiore, di veri e propri truffatori, come ha dimostrato anche la recente indagine giudiziaria nota come «Mafia Capitale»;
c) in terzo luogo, perché la delega al no-profit da parte delle istituzioni è stata in molti casi sprovvista di qualsiasi vincolo sostanziale in termini di efficienza e di raggiungimento degli obiettivi, con un'assenza allarmante di controllo su come e con quali effetti il denaro pubblico viene di volta in volta utilizzato dalla singola cooperativa o impresa sociale, e con la conseguenza di servizi spesso scadenti per i cittadini;
d) in quarto luogo, perché così facendo l'Italia rischia di rimanere marginale nella sperimentazione che il mondo anglosassone ha avviato su nuovi modelli di sviluppo sia sociale che economico,

impegna il Governo:

a programmare sin da ora un piano di azione per reperire le risorse finanziarie necessarie a far fronte alla crescita di spesa sociale non coperta dei prossimi dieci anni, stimata in 30 miliardi di euro al netto della spesa previdenziale, in modo da garantire discontinuità rispetto alle scelte del passato, con azioni improntate alla prevenzione anziché alla gestione emergenziale;
ad avviare quanto prima politiche sociali innovative, e quindi orientate a:
a) obiettivi misurabili;
b) risultati in termini di outcome e non di output;
c) coinvolgimento di soggetti pubblici e privati, profit e no-profit;
d) ritorno economico per gli investitori privati;
e) risparmio per le casse pubbliche;
a prendere spunto dalle esperienze avviate con successo nel mondo anglosassone sugli investimenti a impatto sociale (come, ad esempio, il social impact bond emesso su iniziativa del Governo inglese per il carcere di Peterborough);
ad assumere iniziative per regolamentare e semplificare gli investimenti ad impatto sociale in modo da facilitarne lo sviluppo anche in Italia, al contempo garantendone affidabilità per gli investitori, sia istituzionali che privati;
a prevedere agevolazioni fiscali importanti soprattutto nella fase di decollo dei primi progetti a impatto sociale, in modo da stimolare gli investitori a impiegarvi una quota del proprio portafoglio di investimento;
a intervenire con coraggio nel mondo del no-profit (come si è cominciato a fare con il disegno di legge sulla riforma del Terzo settore dello scorso agosto) con l'obiettivo di fare chiarezza sulla definizione di no-profit e di sociale, facendo pulizia degli impostori e favorendo le organizzazioni di specchiata serietà e sperimentata capacità;
a seguire il positivo esempio inglese nella costituzione di una banca (come la Big Society Capital) o altro veicolo societario dedicato agli investimenti ad impatto sociale, coinvolgendo altresì Cassa depositi e prestiti;
ad assumere iniziative per stanziare parte dei fondi pubblici destinati alle politiche sociali non per la spesa sociale diretta bensì per la costituzione di un Fondo di Garanzia che possa assorbire parte del rischio di chi investe in strumenti finanziari ad impatto sociale, quali Social Impact Bond e Pay for Success;
a utilizzare pienamente le opportunità che la Commissione europea ha predisposto in termini sia di disciplina dei Social Impact Investing sia di stanziamento di fondi sugli investimenti a impatto sociale;
a dare massima divulgazione delle opportunità che le politiche di social impact investing offrono, direttamente e indirettamente, a una molteplicità di soggetti: cittadini, investitori corporate e retail, associazioni senza scopo di lucro, banche, assicurazioni, e altri;
a dare attuazione all'Agenda Impact predisposta dai rappresentanti italiani presso la Social Impact Investment Task Force established by the G8, articolata in 40 punti;
a implementare la partecipazione italiana alla suddetta Task Force established con progetti di SIB o PfS sviluppati o almeno avviati da presentare agli altri Stati membri;
a dare maggiore visibilità all’Advisory Board nominata in rappresentanza dell'Italia, e della quale non c’è alcuna traccia significativa sul sito del Governo, nonostante si legga altrove che detto Board è incardinato presso la Presidenza del Consiglio;
a improntare i lavori dell’Advisory Board e dei relativi Working Groups alla massima trasparenza, integrità e accountability:
a) nei criteri di selezione dei rispettivi componenti;
b) nell'individuazione dei soggetti da rappresentare e nel loro coinvolgimento effettivo;
c) nei compiti assegnati ai suddetti organismi e nel cronoprogramma che devono rispettare;
d) negli obiettivi che devono perseguire;
a prendere atto che ad oggi sono pochissimi in Italia coloro che sono a conoscenza dell'esistenza del Social Impact Investing e ancor meno dell’Advisory Board italiano, e di conseguenza a predisporre:
a) una ricognizione di tutti i soggetti che provatamente si occupano di innovazione a impatto sociale;
b) una call pubblica, cui dare massima visibilità, per selezionare ulteriori componenti della rappresentanza italiana presso la suddetta Task Force;
c) un portale dedicato, che trovi spazio all'interno del sito web del Governo italiano, sul modello di quanto già fatto per iniziative quali soldipubblici.gov.it, con un aggiornamento continuo delle attività svolte e la possibilità di accogliere proposte e suggerimenti dagli utenti;
d) centri di studio e ricerca con le università, che facciano da diffusori della cultura di innovazione sociale e che collaborino attivamente con gli attori del settore, sull'esempio di quanto già realizzato, ad esempio, dalla Georgetown University a Washington;
a fare tesoro anche nel campo delle politiche sociali delle soluzioni giuridiche che il nostro Paese ha positivamente sperimentato in passato, riservando allo Stato non più il ruolo di gestore, ma di partner al pari degli altri, in iniziative importanti come il Fondo Italiano di Investimento destinato alle piccole e medie imprese (concetto di Stato contraente, secondo la definizione che, è stata coniata da Gregorio Gitti e da Andrea Montanino), e quindi a dare avvio il prima possibile al primo Social Impact Bond che Fondazione Etica ha proposto con il nome di «Fondo Salvacasa» per far fronte all'emergenza abitativa e alle sofferenze bancarie immobiliari (di cui alla mia mozione del gennaio 2015) e a utilizzare lo stesso strumento finanziario per il progetto «Disponibile» lanciato da Cittadinanzattiva per il recupero di beni pubblici in disuso per finalità di interesse generale.
(1-00729) «Gitti, Nicoletti, Marazziti, Fauttilli, Pastorino, Parrini, Lacquaniti, Locatelli, Pierdomenico Martino, Schirò, Iacono, D'Incecco».