• C. 2915-A-bis EPUB presentata il 26 febbraio 2015. BUSIN Filippo, Relatore di minoranza

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Atto a cui si riferisce:
C.2915 [Imu Agricola] Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU. Proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale


Frontespizio Relazione
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2915-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 25 febbraio 2015 (v. stampato Senato n. 1749)
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
dal ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
e dal ministro delle politiche agricole alimentari e forestali
(MARTINA)
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU. Proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 26 febbraio 2015
(Relatore di minoranza: BUSIN)


      

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Onorevoli Colleghi! Il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, recante misure urgenti in materia di esenzione IMU e proroga di termini concernenti l'esercizio della delega in materia di revisione del sistema fiscale, reca in sé non pochi rilievi critici, innanzitutto riguardo ai profili di costituzionalità, ma sopratutto nel merito delle disposizioni previste dal provvedimento.
      Riguardo alla presunta incostituzionalità, avendo già il Gruppo della Lega Nord e Autonomie presentato una questione pregiudiziale sottolineando i profili sui quali si è ritenuto doveroso richiamare l'attenzione, si vuole in questa sede sottolineare in particolare come i presupposti di necessità ed urgenza addotti dal Governo per giustificare un simile intervento non possano essere condivisi né da un punto di vista formale né sostanziale. Più volte la Corte costituzionale ha ribadito che, tramite lo strumento del decreto-legge non si può procedere ad una riforma di carattere ordinamentale, per cui, invece, non soltanto ex lege, ma soprattutto per ragioni di responsabilità politica, sarebbe stato più adeguato un intervento legislativo ordinario.
      Per quanto riguarda il decreto-legge all'esame, questo ridefinisce i parametri per l'esenzione dall'IMU sui terreni agricoli ampliando la platea degli aventi diritto individuati dai precedenti provvedimenti.
      Si ritiene necessario fare una breve cronistoria dell'imposizione IMU sui terreni agricoli.
      Il decreto legislativo n. 504 del 1992 cosiddetto «decreto ICI» disciplinava l'esenzione dal tributo locale per i terreni agricoli. Successivamente è stata emanata una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze n. 9 del 1993, con la quale si identificavano i comuni suddivisi per provincia di appartenenza sul cui territorio i terreni agricoli erano totalmente o parzialmente esenti prima dall'ICI e dall'IMU poi.
      Successivamente il decreto-legge n. 16 del 2012, cosiddetto «Decreto semplificazioni», prevedeva che con un apposito decreto ministeriale venissero individuati sia i comuni nei quali dal 2014 si applicasse l'esenzione per i terreni agricoli, sulla base dell'altitudine del comune, così come riportata nell'elenco ISTAT, che i soggetti che li posseggono siano essi coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola. Anche la circolare n. 3 del Dipartimento delle finanze del 18 maggio 2012 aveva precisato che il possesso di terreni agricoli in aree montane o di collina, facendo ancora riferimento alla circolare n. 9 del 1993, non comportava il pagamento dell'IMU. Tale interpretazione, poi, veniva confermata anche nella successiva circolare n. 5 del 2013 dell'Agenzia delle entrate dove si specifica che tutti i terreni incolti montani o di collina sono esenti da IMU, a prescindere dalla qualificazione agricola degli stessi.
      Ma le cose vengono radicalmente cambiate con il decreto-legge n. 66 del 2014, cosiddetto «Decreto Irpef» meglio conosciuto come decreto del «bonus degli 80 euro». Tale decreto, all'articolo 22, prevedeva infatti l'emanazione di un decreto ministeriale, che individuasse i criteri con i quali si potessero identificare i comuni nei quali, a decorrere dall'anno di imposta 2014, si dovesse applicare l'esenzione IMU per i terreni agricoli sulla base della loro altitudine, diversificando eventualmente tra possessori che siano coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola e gli altri soggetti diversi. Questa operazione doveva garantire alle casse dello Stato un maggior gettito complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro, già a decorrere dal 2014 per coprire proprio parte degli 80 euro.
      Il decreto ministeriale emanato in attuazione della suddetta disposizione, prevedeva, quindi, tre fasce di comuni alle quali applicare l'esenzione secondo il criterio dell'altitudine del centro ovvero della sede comunale. Sopra i 600 metri tutti i comuni erano esenti, tra i 281 metri e i 600 metri erano esenti dall'imposta i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, mentre al di sotto dei 280 metri erano tutti soggetti passivi di imposta.
      Le suddette disposizioni avevano portato alla paradossale situazione che terreni agricoli ubicati al di sopra dei 600 metri ma con la sede del comune al di sotto dei 600 metri venissero considerati, invece, passivi di imposta anziché esenti benché innegabilmente montani.
      A seguito della confusione generata da questi nuovi criteri, dal brevissimo lasso di tempo intercorrente tra la data dell'emanazione del decreto ministeriale e la data del versamento della rata unica per l'anno 2014 e per gli innumerevoli interventi dei parlamentari e delle associazioni di categoria interessate, il 16 dicembre 2014, giorno della scadenza, veniva pubblicato ed entrava immediatamente in vigore un nuovo decreto-legge, il n. 185 del 2014, che prorogava al 26 gennaio 2015 il pagamento della rata unica dell'IMU.
      Infine, il 1 gennaio 2015 entrava in vigore la legge di stabilità per l'anno 2015, la quale praticamente assorbiva il decreto-legge n. 185 del 2014, traslando in essa, al comma 692, la data del 26 gennaio 2015 quale termine per il versamento della rata unica dell'IMU per il 2014.
      Il suddetto decreto-legge n. 185 del 2014 – oggi ormai decaduto – sembra quindi essere stato una sorta di «passaggio ponte» approfittando della decretazione d'urgenza, come oramai è prassi consolidata di questo Governo, per prorogare un termine che doveva, fin dall'inizio, essere fissato in modo più appropriato senza dover ricorrere ai numerosi slittamenti del termine che hanno solo generato confusione e «schizofrenia legislativa».
      Nonostante la doverosa revisione dei criteri di esenzione e le modifiche apportate siano certamente preferibili rispetto al testo originario, ma soprattutto rispetto al decreto ministeriale del 28 novembre 2014, queste misure non sono ancora sufficienti per eliminare le storture di questa imposizione fiscale, si poteva e si deve certo fare meglio e di più. Con i nuovi criteri del decreto-legge all'esame sono circa 3.546 i comuni che saranno totalmente esenti – prima erano 1.498 – e 655 quelli parzialmente esenti ai quali si aggiungono, con le modifiche apportate durante l'esame, circa altri 1.500 comuni tra esenzione totale, esenzione parziale e franchigia, ma, comunque non si arriva ancora ai 6.103 comuni che erano invece esenti fino al 2013.
      Si possono in un certo senso condividere le modifiche apportate durante l’iter di conversione del decreto-legge in esame ma è doveroso sottolineare che ancora una volta l'agricoltura si trova a pagare la necessità di fare cassa. È sotto gli occhi di tutti che il Governo con il decreto n. 66 del 2014 ha voluto modificare i parametri per l'esenzione dell'IMU sui terreni agricoli in vigore fino al 2013 per recuperare un gettito che è servito, in parte, per coprire gli 80 euro. Bonus, che peraltro resta ancora iniquo, perché, al di là delle promesse del Governo, non è stato elargito a pensionati con la minima, cassintegrati, disoccupati, lavoratori autonomi e a basso reddito. Si è voluto, come è solito fare da questo Governo, stupire con effetti speciali, ma come sempre facendo pagare il conto ad altri.
      Non si possono rastrellare milioni di euro a danno dell'agricoltura e dei contribuenti tassando uno strumento di lavoro, poiché il terreno agricolo è un imprescindibile bene strumentale dell'impresa ed è sostanzialmente lo strumento di guadagno. Quando si mette mano alla proprietà lo si fa con una certa ratio e con determinati punti di riferimento, cosa che questo Governo ha dimostrato di non saper, o peggio non voler fare.
      L'agricoltura è uno dei pilastri fondanti della nostra economia e questa imposizione è iniqua e vessatoria, va abolita totalmente al fine di evitare un ulteriore appesantimento fiscale sul comparto agricolo e agroalimentare, già duramente penalizzato da precedenti interventi fiscali. A dimostrazione che negli ultimi tempi gli interventi del Governo a sostegno dell'agricoltura e degli imprenditori sono stati solo proclami; voglio riportare qualche dato per far comprendere come ad oggi invece l'agricoltura sia stata il «bancomat» del Governo. Gli interventi fiscali in agricoltura hanno portato a circa 1 miliardo di euro di imposizioni come, per fare alcuni esempi, l'imposta TASI sui fabbricati rurali e strumentali, le rivalutazioni dei redditi dominicali, le norme IRPEF per la mancata coltivazione dei fondi, la tassazione sulle agroenergie in campo agricolo e, da ultimo, nella legge di stabilità per il 2015, l'ulteriore riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego ad aliquota agevolata in agricoltura.
      Il testo del decreto-legge prevede che l'esenzione totale dall'IMU si applichi ai terreni, anche non coltivati, ubicati nei comuni classificati come totalmente montani, mentre per quelli parzialmente montani godono dell'esenzione esclusivamente i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola e quelli non montani non hanno diritto ad alcuna esenzione. È stata poi introdotta l'esenzione per i terreni nelle isole minori ed una detrazione di 200 euro per la cosiddetta «collina svantaggiata» ovvero quei comuni che sono ubicati in un'area compresa nei comuni di pianura e quindi totalmente privi di esenzione. Comuni che erano nell'elenco della circolare del 1993, ma che non rientrano più nei criteri di classificazione dell'ISTAT né come montani, né come parzialmente montani e che di fatto si ritrovavano ad essere equiparati alla pianura e, quindi, con pagamento totale, avendo invece caratteristiche e redditività nella più parte dei casi molto differente rispetto alla pianura. L'elenco elaborato dall'ISTAT si basa sulla relazione di «montanità» che risale a una legge del 1952 e che è dunque rimasta «congelata» a tale data, nonostante le modificazioni normative intervenute, al riguardo, dalla normativa successiva e quindi non corrispondente alla realtà economica attuale. Lo stesso ISTAT durante un'audizione al Senato ha ricordato che ad oggi la classificazione dei comuni per grado di montanità è ancora quella elaborata dalla Commissione censuaria istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze e soppressa dalla legge n. 142 del 1990 che aveva la funzione di aggiornare periodicamente la classificazione dei comuni per grado di montanità. Colpire i proprietari dei terreni incolti in aree collinari è una scelta grave, perché penalizza coloro che assicurano la manutenzione del territorio, anche ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico. Per il nostro gruppo dovrebbero essere totalmente esentati anche i comuni parzialmente montani. La riduzione dei livelli di tassazione per il settore agricolo è l'unico mezzo per evitare un ulteriore abbandono dei terreni soprattutto quelli più a rischio.
      Le migliorie al testo del decreto-legge vengono «celebrate» come una grande vittoria e come un deciso perfezionamento del decreto, ma se andiamo, appunto, a considerare la platea degli esenti IMU, prima delle modifiche apportate in materia dal decreto-legge n. 66 del 2014, capiamo che sono ancora molti i contribuenti che invece saranno costretti a pagare. Tale considerazione è confermata anche dall'ammontare del gettito che si avrà dopo la conversione di questo decreto-legge. Si passa infatti dai circa 360 milioni di euro che il Governo voleva recuperare con il suddetto decreto-legge n. 66, a poco meno di 270 milioni: una differenza quindi di circa 90 milioni di minor gettito per le casse dello Stato.
      I contribuenti che non rientrano nei parametri per l'esenzione, hanno dovuto versare l'imposta per l'anno 2014 entro il 10 febbraio 2015. Questa data è apparsa sin da subito inappropriata. Fissare un termine ricadente nei 60 giorni previsti per la conversione del decreto-legge è azzardato perché si può correre il rischio, come infatti è accaduto, che subentrino delle modifiche ai criteri – ricordo che durante l'esame è stata introdotta l'esenzione per le isole minori, è stata stabilita a regime l'esenzione per i terreni agro-silvo-pastorali ed introdotta una detrazione di 200 euro per la collina svantaggiata – o addirittura non essere convertito e quindi decadere. Per ovviare, in modo parziale, a questa stortura è stata introdotta una modifica, fortemente voluta dal nostro gruppo parlamentare, che prevede la non applicazione di sanzioni ed interessi nel caso di ritardato pagamento rispetto alla data del 10 febbraio, a condizione che il versamento dell'imposta per il 2014 avvenga entro il 31 marzo 2015. Possiamo di fatto dire che si tratta di un'ulteriore proroga del termine di pagamento ad una data successiva – ma a nostro avviso sempre troppo breve. La ratio di questa modifica è riconducibile sia alle difficoltà di calcolo – visto che le regole sono cambiate più volte in corso d'opera – sia ai tempi ristretti per il termine di pagamento, ma soprattutto per le obiettive condizioni di incertezza, in cui versano i contribuenti, sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni normative così come sancito anche dall'articolo 10 dello statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000).
      Altra disposizione fortemente voluta dal nostro gruppo, e introdotta durante l'esame al Senato, è quella che dispone, per i contribuenti che hanno già effettuato versamenti di IMU non dovuta – a fronte dei nuovi criteri per i quali risultavano ora esenti – il diritto ad un rimborso da parte del comune di quanto versato o alla compensazione, qualora il medesimo comune abbia previsto tale facoltà, con proprio regolamento.
      Inoltre nel decreto – legge in esame vengono abolite le disposizioni fiscali a favore dell'agricoltura, introdotte recentemente, che consentivano ai produttori agricoli che rientrassero nell'ambito di applicazione dell'IRAP alcune deduzioni dalla base imponibile del medesimo tributo con riferimento ai lavoratori agricoli dipendenti a tempo determinato con contratto di durata almeno triennale impiegati nel periodo di imposta e con almeno 150 giornate lavorative. Misure per un valore di 45 milioni, risorse che verranno quindi a mancare all'agricoltura. Il Governo ha giustificato l'abrogazione di questa disposizione con la mancata ricezione della necessaria autorizzazione da parte della Commissione europea. Viene da chiedersi, ogni qualvolta si fa un provvedimento per venire incontro alle istanze dei cittadini, siano essi imprenditori o lavoratori, se la Commissione europea non rilascia la necessaria autorizzazione – su questo punto ci sarebbe molto da dire ma non è questa la sede – cosa fa il Governo? Torna sui suoi passi e ne approfitta per recuperare risorse per coprire l'ennesimo errore. Come in un gioco di prestigio che magicamente si fanno comparire fondi per finanziare azioni volte a beneficare, solo a parole, i cittadini e, in men che non si dica, si fanno invece sparire.
      Nel decreto non è altresì stata presa in considerazione l'esenzione per coloro che hanno i terreni in zone colpite da calamità naturali (alluvioni, terremoti, valanghe) o da avversità atmosferiche (gelo, grandine, ghiaccio, siccità, piogge, ecc.) e che quindi si trovano a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta non tutelando in questo modo anche la piccola proprietà. Quando si verifica una calamità, il danno spesso non riguarda un solo anno, una sola stagione o un certo periodo di tempo, visto che può accadere che, a seguito di quella calamità, le colture siano completamente danneggiate per qualche anno. Non si è tenuto quindi in minimo conto il fatto che il principio costituzionale dettato dall'articolo 53 della Costituzione prevede che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e quindi non su una mera collocazione territoriale. Quindi non prevedere esenzioni per chi ha perso il raccolto e si vede compromesso il bene strumentale per eccellenza, la terra, quindi la sua fonte primaria di guadagno è una iniquità inaccettabile e non viene assicurata la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva.
      Inoltre, non vengono esentati dal pagamento dell'imposta i proprietari di terreni agricoli non coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che intendono affittare i terreni. Ciò risulta in netto contrasto con le dichiarazioni del Governo di voler agevolare i giovani agricoltori che intendono avviare un'attività e che quindi intendono prendere terreni in affitto. Non esentare i proprietari non professionisti che affittano terreni, rischia di far ricadere il costo dell'imposta sul canone di affitto.
      Una questione molto delicata affrontata del decreto-legge in esame è quella relativa alle misure compensative, per i comuni, derivanti dal minor gettito che questi avranno con questa manovra. Questo influisce sui rapporti tra Stato e comuni. In occasione della definizione del decreto ministeriale del 28 novembre 2014, lo Stato ha stimato il gettito teorico e lo ha sostanzialmente tolto dai trasferimenti dello Stato, autorizzando i comuni a fare un accertamento convenzionale per una cifra eguale. Gli effetti che tali decisioni hanno prodotto sono ricaduti sulla liquidità dei comuni, i quali si sono trovati a subire una riduzione significativa e non prevista di tale liquidità, quando i bilanci erano stati ormai chiusi nel dicembre 2014. Soltanto il 10 febbraio i comuni stessi hanno potuto, tra l'altro neanche in modo totale, disporre dell'incasso di questa imposta con i versamenti dei contribuenti. Con le modifiche apportate è stato previsto che al 30 settembre del 2015 si faccia il punto e si verifichi, comune per comune, quale sia l'accertamento reale dell'incasso rispetto all'incasso teorico, prevedendo quindi che lo Stato provveda sostanzialmente a compensare i comuni medesimi.
      L’iter di questa norma conferma un modus operandi che la dice lunga sulla competenza del Governo, il quale adotta provvedimenti non tenendo in debita considerazione il bene dei cittadini e degli enti territoriali, non solo nel merito, visto che non si procede se non per introdurre nuove tasse e aumenti, ma anche nel metodo.
      L'IMU sui terreni agricoli è una nuova patrimoniale che si aggiunge alle odiate IMU e TASI, alle tasse sulle case e sui capannoni. È un'imposta che mortifica e svilisce il settore agricolo, gli agricoltori e il loro lavoro, penalizzando quei territori che molto spesso partono già svantaggiati. In tutta Europa, tranne che in Francia – ma comunque per somme di poco conto – nessun Paese applica l'imposta sui terreni agricoli.
      In tutto questo è doveroso ricordare che il TAR del Lazio il 22 dicembre 2014 ha accolto – per irragionevolezza del criterio altimetrico basato sull'altitudine del centro del comune – la domanda di sospensione del decreto ministeriale del 28 novembre 2014 presentata dall'ANCI, dalle regioni e da altri soggetti interessati, fissando, per la trattazione collegiale, la camera di consiglio al 21 gennaio 2015. In tale ultima sede il TAR ha deciso di non confermare la sospensiva dell'obbligo di pagamento, rinviando al prossimo 17 giugno il giudizio sul merito della controversia. In quella data il TAR del Lazio deciderà anche su ulteriori ricorsi, presentati in questi giorni ancora dall'ANCI e da molti comuni, che hanno impugnato il decreto-legge, individuando profili di illegittimità per vari motivi. In primis per la violazione del principio di irretroattività delle norme tributarie, per l'irragionevolezza della violazione dell'articolo 81 della Costituzione che riduce le assegnazioni del fondo di solidarietà comunale, quindi entrate certe, sostituendole con entrare future e incerte, nonché per l'inattendibilità e l'irragionevolezza dei criteri individuati per determinare il carattere montano dei comuni. Il TAR del Lazio a tale proposito ha «ritenuto opportuno, ai fini del decidere, acquisire dall'ISTAT una dettagliata relazione, corredata da eventuale documentazione, sui fatti di causa». Va evidenziato, oltretutto, che il 17 giugno è il giorno successivo alla scadenza dell'acconto dell'IMU per il 2015 (16 giugno). La decisione del TAR potrebbe rimettere in discussione tutto ciò che è stato fatto fino a oggi e assestare un duro colpo al provvedimento in esame. Una bocciatura nel merito farebbe venir meno anche i pagamenti ritardati relativi all'IMU 2014, che il decreto-legge in esame consente di effettuare fino al 31 marzo, creando pertanto ulteriore caos in una situazione già di per sé caotica. Ci chiediamo quindi se non sia più opportuno fermarsi in tempo, azzerare tutto e tornare alla situazione anteriore al decreto-legge n. 66 del 2014, come proposto anche da un nostro emendamento.
      Se il Governo deciderà di continuare su questa strada, incurante dell'eventuale decisione negativa del TAR del Lazio, ci auguriamo almeno che il provvedimento in esame possa essere migliorato, anche tramite l'approvazione dei nostri emendamenti, in particolare quello che prevede uno slittamento al 30 giugno del termine entro il quale non si applicano le sanzioni per il ritardato pagamento, così da tenere in considerazione l'eventuale bocciatura da parte del TAR.

Filippo BUSIN
Relatore di minoranza